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Autore: Nutella_Gangelies    16/09/2014    0 recensioni
Alison sa benissimo cosa la aspetta quando viene sorteggiata come tributo per gli Hunger Games. Ma non sa che ciò a cui sarà sottoposta la priverà di una parte molto importante e preziosa della sua vita: la propria personalità.
Genere: Azione, Fantasy, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Caesar Flickerman, Claudius Templesmith, Nuovi Tributi, Nuovo personaggio, Vincitori Edizioni Passate
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
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Chiudo gli occhi e li stringo forte per alcuni istanti, poi li riapro e guardo la mia immagine riflessa sullo specchio: sono seduta su una sedia, mia madre è dietro di me.
-Ho finito, Alison. Adesso puoi guardarti-.
Mi alzo e mi giro di lato, osservando come mi ha pettinato mia madre: mi ha legato i capelli lunghi e neri in un codo alto, poi ha formato con il codo tante treccine, e ne ha legate due sulla fronte, come a formare una corona. Vorrei dire che è bellissima, perché è ciò che penso, ma un groppo in gola mi impedisce di parlare. Guardo il mio volto, più bianco del vestito che indosso, poi abbraccio mia madre. Mi stringo al suo petto e inspiro forte per imprimermi in testa il suo odore, cerco di ignorare la strana sensazione che ho al torace: sento come una mazza chiodata che si scava la strada per arrivare al cuore,  strappandomi brani di carne; ma non ce la faccio proprio ad ignorarla.
-Dai, su. Jenna ti aspetta fuori dalla porta. Insieme anche quest'anno ricordi?- mi fa.
Annuisco e mi stacco, guardandola un'ultima volta, poi mi avvio verso l'uscio e lo apro. Fuori c'è la mia migliore amica Jenna, i capelli corti e solitamente mossi sono adesso legati in una strana ma meravigliosa acconciatura, lei ha un vestito azzurro che le arriva alle caviglie. Mi sorride e le sorrido anche io, anche se il mio è un sorriso triste e spento. Ho paura. Ci avviamo camminando, mano nella mano, verso il Palazzo di Giustizia. Volgo gli occhi verso il mare blu, che si staglia contro un cielo pieno di nuvole. Sospiro, consapevole che se mi estraggono non rivedrò più questo magnifico posto. Il posto che adoro di più al mondo. Casa mia. L'iniezione non fa male, perché ho troppa paura della mietitura. Mi succhio il dito indice della mia mano destra, mentre con la sinistra stringo forte la mano di Jenna. Ci mettiamo in fila e attendo, lo sguardo incollato sui piedi, le orecchie chiuse a qualsiasi rumore. Arrivano gli altri, ci fanno vedere il film, ma io non sento nulla, nulla di nulla. Non voglio sentire. Poi, le orecchie mi si sturano quando c'è il silenzio: fra poco estrarrano il nome. Tremo tutta. "Non me" penso "non me". Poi guardo le scarpe azzurre di Jenna e mi viene in mente una vita senza di lei. Non dovrei essere così egoista. Così penso: "Non Jenna. E non me. Ti prego. Non Jenna. Non me". Trattengo il respiro. "Non Jenna" è il mio ultimo pensiero prima che il nome del tributo femmina si spanda nell'aria: -Alison Richardson-. Il mio cuore perde un battito. Sono io. Per fortuna non Jenna. Ma non voglio. Non volevo... adesso... non so più cosa... espiro. Inspiro. Raddrizzo testa e schiena e lascio bruscamente la mano di Jenna. Non la guardo, ma avanzo verso il palco. I miei occhi si spostano verso Finnick Odair, colui che sarà il mio mentore, che mi fissa. Salgo sul palco e lui mi sorride: ma è un sorriso rassegnato, come se fosse triste per me. Sbatto lentamente le palpebre, per ringraziarlo. Adesso guardo avanti, verso le case, non guardo Jenna e neppure la mia famiglia. Poi estraggono il tributo maschio. -Henry Ford-. Guardo il ragazzo alto e castano, con una camicia blu e i capelli pettinati un uno strano ciuffo, che si fa spazio fra gli altri ragazzi. Il suo nome mi dice qualcosa, ma non ricordo cosa... poi vedo i suoi occhi e ricordo: il mio compagno di banco in prima elementare. Il cuore mi balza in gola. Dovremo ucciderci. Sale sul palco. Un sacco di pensieri mi opprimono la mente. Non sento, non percepisco più nulla, cerco solo di trattenere la lacrime e le grida. Poi io ed Henry ci diamo la mano. E scompariamo dagli occhi della folla. Respiro a fatica, le mani mi tremano, il groppo in gola non se ne va, la paura si è trasformata in terrore, il male al petto mi trafigge adesso tutto il corpo come mille lame di ghiaccio. Poi la porta si apre ed entra mia madre, in lacrime, mia nonna, con una mano sugli occhi e mio padre, alto e apparentemente impassibile. Ed è in questo momento che penso di dover essere più forte di loro. Di odiare Capitol City per quello che non ha fatto tanto a me, quanto a coloro a cui voglio bene. E la paura scema gradualmente mentre mamma mi abbraccia. Arriva la rabbia. -Proverò a vincere, mamma. Ce la metterò tutta, ma se non vinco non siate tristi. No. Non ne fate un dramma, continuerete a vivere-. La mamma mi guarda e singhiozza. La stringo. Poi abbraccio mio padre, che mi stringe così forte che quasi scoppio. Abbraccio quindi mia nonna, poi le tolgo la mano dal viso e la guardo. Le sorrido dolcemente e lei mi da' un bacio sulla guancia. E poi me li portano via. La mia famiglia. Mentre sto fissando la porta, questa si spalanca ed entra Jenna, come una furia. Mi si attacca al collo e grida: -Alison!-. La stringo e le dico: -Non devi essere triste se muoio. Perché sai che è più probabile questo che la sopravvivenza-. Jenna mi allontana con una spinta e poi mi urla: -No! Tu non morirai-. Le guardo gli occhi rossi e gonfi e capisco che non posso assolutamente permettermi di perdere: le persone che amo starebbero malissimo. E non voglio più la vittoria per me, ma per la mia famiglia e i miei amici, affinché non cadano in depressione per colpa mia. Così la osservo bene, Jenna, la mia migliore amica, e le dico: -Ti giuro che non morirò-. Vale a dire: Ti giuro che vincerò. Lei annuisce, soddisfatta. Poi si volta e se ne va. Rimango ferma dove sono... non siamo arrabbiate, non è colpa mia e nemmeno sua se mi hanno estratto. E' solo che non vogliamo più soffrire. Sorrido amaramente: niente volontari quest'anno, solo io ed Henry, i tributi del Distretto 4. E se i miei piani devono realizzarsi, lui dovrà morire. Ventitré persone dovranno morire, e non io. Non avrò alcuna pietà.
   
 
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