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Autore: GirlWithChakram    17/09/2014    2 recensioni
Cinque amici, compagni di liceo, alle prese con l'ultima vacanza insieme; un viaggio in Europa nel magico paesaggio della Spagna del nord; lo zampino del destino, che sa sempre come far incontrare le anime destinate a stare insieme.
"... E allora pensai che quella sarebbe rimasta nella mia memoria come la peggior vacanza di sempre."
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Brittany Pierce, Santana Lopez, Un po' tutti | Coppie: Brittany/Santana
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO VIII: So emotional
 
«Siete tutte e due vestite? Posso avvicinarmi senza rischiare di perdere la mia innocenza?» ci raggiunse una voce dopo una decina di minuti.
«Cosa vuoi Puckerman?» domandai, scocciata da quella ulteriore interruzione.
«Abbiamo un piccolo problema…» continuò il Mohawk passandosi le dita tra la cresta «Non avevamo considerato un fattore di discreta rilevanza…»
«Cosa vuol dire che la teleferica effettua l’ultima corsa alle dieci e adesso sono le dieci e venti!?» urlai allibita, dopo che Noah e gli altri ci ebbero informato «E come tornano giù i proprietari del lunapark?» proseguii indicando le poche persone rimaste oltre noi.
«C’è una strada asfaltata sull’altro versante» mi spiegò Sam «Se lo avessimo saputo saremmo venuti in macchina…»
«E quindi cosa facciamo?» intervenne Santana, che fino ad allora era rimasta in silenzio al mio fianco tenendomi sottobraccio.
«Speravamo ci aiutassi tu» le disse Kurt «Ci serve qualcuno che parli spagnolo così possiamo elemosinare un passaggio almeno fino alla spiaggia. Da lì possiamo riprendere l’autobus e poi è fatta.»
«Perfetto» rispose la latina, sciogliendo il nostro legame «Vedo cosa riesco a fare.»
La osservai discutere animatamente con un paio dei negozianti, che ormai stavano abbassando le serrande, pronti per tornare a casa. Dal modo in cui si guardavano e da come lei gesticolava infuriata non doveva aver avuto molto successo.
Dopo essere quasi venuta alle mani con una nonnina tutta ossa e rughe, la Lopez tornò verso di noi con aria sconfitta. Venne però intercettata da un panzone con una folta barba bianca che avrei giurato fosse il cugino ispanico di Babbo Natale.
I due parlottarono in spagnolo e poi ripresero ad avanzare nella nostra direzione, visibilmente cordiali l’uno con l’altra.
«Il señor Martinez ha detto che ci può portare fino alla spiaggia col suo furgone, però sarà un viaggio scomodo.»
«Come lo hai convinto?» domandammo in coro.
«Ha detto che gli sembriamo dei simpatici bravi ragazzi, in più ha accennato ad un cugino che vive negli Stati Uniti o qualcosa del genere e doveva un favore all’America… Chissene importa, è la nostra unica possibilità, quindi poche storie e andiamo con lui perché io non discendo da un monte con i tacchi, che sia chiaro.»
Silenziosamente seguimmo l’uomo fino ad un furgoncino rosso su cui era stata grossolanamente dipinta la bandiera spagnola.
Il proprietario aprì la porta posteriore e ci fece segno di entrare. Se non ci fosse stato lo sguardo di Santana a rassicurarmi, sarei stata certa che quello si sarebbe trasformato in un sequestro di persona. La latina non si sedette con noi, ma prese posto accanto al panzone, chiacchierando con lui.
Dopo un quarto d’ora di tornanti e brusche svolte fummo rilasciati da quella che cominciavo a considerare una prigione. Le curve avevano dato la nausea a tutti e di nuovo temetti in un remake di “Tik Tok” da parte di Rachel.
«Forza, scendete, Julio da qui prende una strada diversa. Noi dobbiamo camminare» ci annunciò la surfista.
«Ma non possiamo prendere il bus?» osservò Quinn.
«Quello che abbiamo preso all’andata era la corriera in collaborazione con il servizio funicolare, serve a portare i turisti fino alla base della teleferica. Ovviamente è attivo con gli stessi orari, quindi siamo fuori tempo massimo» le rispose Santana.
«E chiamare un taxi?» propose Finn.
«Con quali soldi, tesoro?» gli fece notare la fidanzata «Avremo sì e no dieci euro tra tutti.»
«Maledette granite» imprecai a denti stretti, realizzando di aver svuotato il mio portafogli per imbottirmi di ghiaccio aromatizzato.
«Beh, vediamo il bicchiere mezzo pieno» intervenne Trouty con un sorriso ottimista «Chi di noi avrebbe mai pensato di farsi una bella passeggiata sul lungomare al chiaro di luna?»
In effetti l’atmosfera era molto suggestiva, nonostante le abbaglianti luci dei lampioni lungo la strada. Le corsie che passavano affianco alla spiaggia erano deserte e il richiamo delle onde era terribilmente invitante. Tuttavia sarebbe stata una bella scarpinata, visto che la baia si estendeva per la bellezza di due chilometri abbondanti. In un primo momento decidemmo di restare sul percorso pedonale che costeggiava il nastro d’asfalto, discostandosi a poco a poco dal mare, ma di comune accordo, superato il Miramar Palace che divideva in due la lingua di sabbia, preferimmo percorrere il bagnasciuga.
«Sei contenta di poterti liberare di quegli affari?» domandai a Santana, vedendola togliersi i tacchi per camminare sulla sabbia.
«Non sai quanto… Non so cosa mi abbia preso per decidere di uscire conciata così» mi rispose con un sorriso beffardo.
«Stavi per caso cercando di attirare l’attenzione di qualcuno?» commentai accompagnando le parole con un occhiolino.
«Sì, peccato che Testa-a-scoiattolo fosse troppo preso dalla Principessa Disney per notarmi» sbuffò facendomi la linguaccia.
«Ah, è così che la vuoi mettere? Vuoi farmi ingelosire?»
«Chi? Io?» replicò assumendo la più innocente delle espressioni «Per chi mi hai presa? Non mi abbasserei mai ad utilizzare simili mezzucci.»
«Beh » dissi afferrandole la mano per fermarla «Questo è per mettere le cose in chiaro.»
Le rubai un rapido bacio.
«Ma basta! State diventando tutti melensi!» si lamentò Sam alle nostre spalle.
Io guardai avanti, vedendo sia i Finchel, sia i Klaine che si tenevano per mano da bravi fidanzati, poi mi voltai ad osservare Puck e Q. presi l’uno dall’altra.
«Mi spiace che tu sia rimasto solo. Se San è d’accordo puoi unirti a noi, non ho mai provato una cosa a tre» lo stuzzicai.
Mi arrivò un colpo dietro la nuca, chiaro segno che la latina non aveva gradito la mia insinuazione. «Ora chi è che fa la stupida per ingelosire l’altra?» mi apostrofò.
«Eddai, lo dicevo per il bene di Froggy Lips. Prima che tu me lo chieda, è un soprannome registrato a marchio Puck.»
«Non male… Ma Trouty Mouth è decisamente meglio» commentò orgogliosa.
«Senti…» sussurrai mentre avanzavamo fianco a fianco sulla sabbia bagnata «Credo che questo sia il momento per un passo importante.» Mi inginocchiai, cogliendola decisamente di sorpresa. Sbirciai rapidamente Quinn, atterrita dal mio gesto, memore delle intenzioni che le avevo rivelato appena qualche giorno prima. Era ancora nei miei piani contrattare con un gioielliere spagnolo per ottenere l’anello dei sogni di Santana, ma non mi misi su un ginocchio per fare “quella” proposta.
«Santana Lopez…» iniziai con tono serio.
Lei spalancò gli occhi sconvolta.
«Vorresti, qui davanti alle stelle e agli dei, giurare solennemente…» continuai, mentre lei appariva sempre più incerta «Di uscire con me uno di questi giorni?» conclusi.
La surfista ci mise un secondo per registrare l’informazione, poi mi dedicò uno dei suoi sorrisi luminosi. «Io, Santana Lopez giuro solennemente, davanti alle stelle e agli dei, di uscire con te, Brittany Pierce.»
«In realtà» puntualizzai «Il mio nome è Brittany Susan Pierce.»
«Oh, non… Non lo sapevo, scusa» balbettò.
«Questo dimostra che abbiamo ancora tanta strada da fare. Da adesso in avanti fingiamo che tra noi non ci sia stato ancora nulla. Voglio partire da zero, corteggiarti come si deve, passare le notti a rigirarmi nel letto chiedendomi se ricambierai mai i miei sentimenti…»
«Sai che tutto ciò è estremamente insensato, vero?» mi fece notare senza smettere di sorridere.
«Lo so, ma non vuoi che io mi dedichi anima e corpo a rendere ogni secondo della tua vita speciale?»
«Ehi, frena… Ho acconsentito ad un appuntamento, magari due, ma non a sposarti» mi redarguì.
«Non ancora…» mormorai poggiandole un leggero bacio sulla guancia.
«Ma non avevi appena detto…?»
«A partire da ora» dissi allontanandomi.
«Molto bene, allora mi aspetto che tu mi venga a prendere domani sera per portarmi in qualche posto speciale, che mi offra la cena e che poi mi riaccompagni a casa, da vera corteggiatrice.»
«Ai vostri ordini, mia signora» risposi umilmente «Mi è concesso avanzare una piccola richiesta per questa sera?»
«Non ti sembra un po’ presto per propormi di dormire insieme?»
Io spalancai la bocca e tacqui un istante. «Non… Non era quello che intendevo. Volevo solo tenerti per mano.»
Lei sghignazzò, prima di rispondermi: «Eh, no. Non hai ancora guadagnato il diritto di manifestare così apertamente il nostro coinvolgimento sentimentale» replicò «Al massimo posso concederti un mignolo.»
«Per me va più che bene.»
Intrecciammo le dita come la prima notte e a me parve di ricominciare da lì, con ancora tutto da scoprire e tutto da conquistare. Sarebbe stato bello rivivere il mio innamoramento e sarei stata disposta a farlo ancora e ancora.
Dopo la piacevole passeggiata tornammo alla nostra consueta routine notturna di visita a “La oca loca”, dato che la notte era ancora giovane.
Dopo diverse insistenze, mi decisi a salire sul palco per la prima volta, ma costrinsi Quinn ad accompagnarmi. Eseguii un cavallo di battaglia della mia omonima Britney Spears, anche se dovetti spiegare a tutti per quale ragione i nostri nomi fossero identici.
Non ero mai stata una cantante eccelsa, ma Britney mi aveva aiutato ad acquisire fiducia in me stessa e le parole di quel brano esprimevano esattamente quello che la latina stava facendo a me e al mio corpo.
With a taste of your lips, I’m on a ride
You’re toxic, I’m slippin’ under
With a taste of a poison paradise
I’m addicted to you,
Don’t you know that you’re toxic?
Santana non mi staccò gli occhi di dosso per tutta la durata della canzone e Noah fece lo stesso con la Fabray. Pendevano dalle nostre labbra.
Rachel cercò di convincerci a restare per la quotidiana sfida, ma preferimmo non partecipare, così, sulle note di una canzone rock “made in Spain”, ci limitammo a chiacchierare al tavolo con un unico drink diviso tra tutti, perché era l’unica cosa che potevamo permetterci in quel momento.
«Un sorso piccolo» ci ammonì Kurt, passando il bicchiere a Finn che gli sedeva accanto «E auguratevi di non contrarre qualche strana malattia.»
Sebbene fosse una possibilità concreta, a nessuno di noi importò molto, solo la Berry fu restia in un primo momento, ma poi, per “non fare la guastafeste come Schuester” bevve anche lei dal “Santo Graal”.
«Con questo gesto sigliamo ufficialmente un’amicizia» disse Puck levando in alto la coppa vuota «Ci ritroveremo ogni anno, tutti insieme, non importa dove, e berremo alcool dallo stesso bicchiere.»
«Non è una cattiva idea» lo appoggiai.
«E allo stesso tempo non è fattibile» ci riportò alla realtà Q. «Ci sono troppe variabili e poi non ci serve una stupida ricorrenza per restare in contatto. In fondo veniamo dalla stessa città, prima o poi capiterà di rincontrarsi.»
In fondo la mia amica aveva ragione, eppure a me il pensiero di tenere in vita la Bella Notte piaceva davvero. Mi appuntai mentalmente di onorarla, per quanto possibile, nel corso degli anni, sperando di avere quegli stessi otto amici a celebrarla con me.
«Direi di andare adesso» ci sorprese Noah.
«Da quando in qua tu rinunci a fare le ore piccole?» gli domandò Hudson.
«Da quando ho deciso che domani alle otto saremo a Pamplona a correre a fianco dei tori» rispose in un soffio.
Spalancammo tutti la bocca.
«Mi sono informato durante i giorni scorsi: basta aver compiuto diciotto anni e non essere sotto l’effetto si strane sostanze. Visto che stasera non abbiamo praticamente bevuto, domani è il giorno ideale. Ma la gara inizia alle otto in punto, dobbiamo tenere conto di doverci arrivare, di dover trovare posto… Insomma, dobbiamo alzarci molto presto.»
«Ma io non voglio rischiare l’osso del collo per una delle tue azioni scellerate» intervenne Rach guardandolo storto.
«I codardi possono stare a guardare da dietro le barricate. Fatto sta che io correrò. Chi è con me?»
Sebbene non del tutto convinti, lo supportammo con grida di incitamento.
Fu così che ci ritirammo per concederci almeno quattro o cinque ore di sonno prima di dover affrontare l’ennesimo viaggio in auto.
Ad un’ora che reputai scandalosamente inappropriata, le cinque del mattino, fui praticamente scaraventata giù dal letto e costretta a vestirmi comoda per poter gareggiare nella corsa contro le bestie.
Non ero molto cosciente quando venni condotta alla fida Renault, affiancata da un’altra auto che reputai essere quella dei surfisti, dato il grande bagagliaio che permetteva di trasportare le tavole. Fui caricata di peso e qualcuno mi allacciò la cintura. Io sbadigliai quando udii il rombo di accensione e poi chiusi gli occhi.
Li riaprii su un paesaggio nuovo. Un parcheggio sempre sotterraneo, ma diverso dal solito Kursaal.
«Siamo arrivati» annunciò Finn «Ma ci sarà da camminare un po’ fino al luogo di partenza della corsa.»
In quel momento non credevo neppure di riuscire a stare in piedi, come si aspettavano che mi lanciassi in quella impresa folle? Eppure, passo dopo passo, il sonno si allontanò, lasciando posto ad una sorda eccitazione che prese a farmi fremere. In fondo era l’occasione di una vita e, come avevo imparato da Blaine, dovevo avere coraggio di fare simili azioni.
Notai come Noah e l’amico fossero in tuta e scarpe da ginnastica, segno che non scherzavano affatto sul fatto di partecipare alla corsa, mentre le due ragazze, con jeans stretti e ballerine, non ci pensavano neppure.
Con mia somma sorpresa scoprii, quando ci riunimmo con i giovani del Morgenstern, che tutti e quattro avrebbero preso parte all’evento. A colpirmi più di tutti fu Kurt, che sembrava aver acquisito un’audacia e una confidenza che non gli avevo mai visto e mai gli avrei attribuito.
Il comitato per l’idoneità dei concorrenti per l’encierro, la corsa con i tori appunto, ci fece un rapido controllo quando giungemmo ai piedi della salita di Santo Domingo, dove si trovavano i recinti.
Ci fu spiegato che, in qualità di principianti, ci avrebbero fatto stare abbastanza di lato rispetto alla carica, ma avremmo comunque potuto godere dell’ebbrezza di vedere al nostro fianco i grossi e pericolosi animali. Decidemmo che, a corsa conclusa, non ci saremmo accodati al fiume di gente che, nella Plaza de Toros avrebbe assistito alla corrida. Noi avremmo sfruttato quel momento di raduno collettivo per girare il resto della città in pace.
Quinn e Rachel, additate come “femminucce codarde” da noi altri, si portarono verso la fine del percorso, armate di macchina fotografica per immortalare il nostro momento di gloria.
Il tragitto era di circa ottocento metri, lungo i quali avremmo dovuto correre davanti a sei tori e otto buoi lanciati in un disperato galoppo. Nel momento in cui saremmo stati avvicinati dai bovini, avremmo dovuto portarci sui lati, in modo da lasciarli proseguire senza rischiare di farci del male.
Dopo la consueta invocazione a San Femìn, dedicatario dell’intera settimana di festa, le gabbie vennero aperte e l’encierro ebbe inizio.
Non ricordavo di aver mai corso così rapidamente. Non percepivo neppure la stanchezza, semplicemente l’adrenalina e il resto della folla tra cui ero pigiata, mi spingevano ad avanzare alla massima velocità. Non molto distanti da me c’erano i miei amici, anche loro esaltati e lanciati in un galoppo persino più sfrenato di quello dei tori.
Eravamo più o meno a metà del gruppo di coraggiosi podisti, quindi gli animali non ci misero molto ad arrivarci col fiato sul collo.
Mi lanciai il più possibile a destra, per lasciarli scorrere.
Eravamo in prossimità del punto definito il più pericoloso, quello della curva di Mercaderes con Estafeta, dove il terreno particolarmente scivoloso rischiava di causare la caduta di parte della mandria. Fortunatamente non ci furono incidenti, tori e buoi proseguirono spediti verso l’arena che avrebbe decretato la loro cruenta fine.
Arrivai alla fine del percorso con il fiatone.
«Pierce, un sorriso per la stampa!» esclamarono le mie compari, puntandomi l’obbiettivo in faccia.
La fotografia impresse una delle mie smorfie peggiori, tra l’agonizzante per la mancanza di fiato e l’estasiata per l’aver concluso un’impresa tanto epica.
Blaine aveva la mia stessa faccia, poco abituato a simili sforzi, ma gli altri, tutti atleti da una vita, arrivarono tranquilli, come avessero fatto una semplice passeggiata attraverso il parco cittadino.
«Ora posso spuntare il “prendere parte ad una pazza festa europea” dalla mia lista delle cose da fare prima dei trent’anni» affermò Puck soddisfatto.
Dopo quell’impresa la cosa migliore che potevamo fare era imbottirci di churros e cioccolata calda per recuperare le energie perdute.
«Dovrebbero darci una medaglia» meditò Sam mentre stavamo gustando la colazione «Insomma, quanto diciottenni di Lima possono dire di aver fatto quello che abbiamo fatto noi?»
Iniziammo a sperticarci in lodi esagerate sul nostro coraggio e la nostra bravura, insignendoci dei più svariati titoli. Le due “scansafatiche” cercarono più volte di sgonfiare il nostro ego e mitigare il nostro entusiasmo, ma con scarsi risultati.
Fui contenta di avere il resto del giorno di tranquillità per girare il centro, permettendomi di chiacchierare con Santana, proprio come avevamo programmato di fare per conoscerci meglio. Mi parlò di suo padre, messicano di nascita, ma trasferitosi a Puerto Rico dove aveva iniziato il suo tirocinio di medicina e dove aveva conosciuto la futura signora Lopez. Mi raccontò ancora della sua infanzia e dell’ottimo rapporto che aveva anche con i parenti messicani, in particolare con la nonna paterna, andata ad abitare con loro a Lima. Quando le chiesi di più su quella donna vidi un sorriso amaro prendere posto sul suo volto. Dopo aver fatto un profondo respiro mi riportò la dinamica del proprio coming out e della brusca reazione che la nonna aveva avuto.
«Insomma, per me era un punto di riferimento, una guida e un modello. Vedermi rifiutata da lei mi ha spezzato il cuore. È partita per il Messico senza dir niente e non l’ho rivista da allora. Abbiamo sue notizie solo tramite i miei zii.»
Pensai a quanto fossi stata fortunata ad avere una famiglia così aperta e tollerante. Un mio cugino si era dichiarato gay alla cena del Ringraziamento due anni prima che lo facessi io e la reazione di tutti era stata inaspettatamente positiva. La più sorprendente era stata, ovviamente, quella di mia madre che se ne era uscita con un: “Ma è quella specie di carciofo il ragazzo che ti piace? Puoi trovare certamente di meglio!” Così, quando era venuto il mio turno, non avevo neppure avuto il piacere dell’effetto sorpresa. Qualcuno aveva fatto un paio di battute sul fatto che il mio amore per il ballo probabilmente derivava dallo stare tanto tempo a contatto con belle fanciulle e insinuazioni sul mio eccessivo apprezzamento nei confronti di Britney, che tutti additarono come mia “celebrity crush”.
La latina ed io passammo poi ad argomenti più leggeri, come musica e libri, scoprendo di avere molto più in comune di quanto non immaginassi. La cosa non potè che rendermi sempre più felice.
Verso le cinque tornammo alle nostre vetture, diretti ancora una volta a San Sebastian.
Una volta a casa, mi concessi una lunga e rigenerante doccia per eliminare qualsiasi residuo della frenetica corsa, lasciandomi fresca come una rosa, pronta per partire con il mio piano di conquista.
Quinn e Rachel mi costrinsero ad affidarmi a loro per la scelta dell’abito e per la questione “trucco e parrucco”. Io non volevo assolutamente nulla di esagerato, ma era ovvio che non mi avrebbero dato retta.
Bocciai subito l’idea di vestiti o gonne, mi facevano sentire a disagio.
«Ma tira fuori un po’ di femminilità!» mi sgridarono.
«Devo ricordarvi che so essere femminile anche vestita da camionista?» mi difesi.
«Quella roba poteva andare bene per una botta e via» mi rispose la Berry. Quelle parole non erano certamente fatte per ferirmi, ma avrei avuto da ridire, se l’ebrea non avesse proseguito con il suo monologo: «Ti ci vuole qualcosa di sexy per davvero. Non solo provocante, ma anche elegante. Direi di puntare sull’azzurro che sta così bene con i tuoi occhi.»
«Condivido» concordò Q. frugando nella mia valigia alla ricerca di qualcosa di adatto «Cosa ne dici di questo?» Ovviamente la domanda non era rivolta a me, ma alla sua compagna modaiola.
«Troppo sportivo» disse, bocciando una delle mie t-shirt preferite.
«Questa!» esclamò la bionda, lanciando per aria un’altra maglietta.
«Non sarà azzurra, ma almeno è decente» approvò l’altra.
Era una maglia a righe bianche e nere, con un enorme sagoma di cuore sul petto, l’avevo indossata all’ultimo San Valentino, quando avevo cercato di invitare ad uscire una cheerleader della cricca di Quinn, ma senza ottenere un buon risultato. Quella poteva essere la giusta occasione per redimerla.
Le due ci abbinarono un paio di pantaloncini neri con bretelle e stivali bassi, anch’essi scuri.
«Capelli?» si domandarono a vicenda. Mi inquietai quando si risposero in contemporanea: «Sciolti.»
Mi pettinarono come fossi una Barbie, poi mi misero un velo di trucco, che avrei boicottato molto volentieri. Per concludere Rach mi prestò un suo braccialetto, color del cielo, che “completava il tutto, mettendo in risalto il mio sguardo”.
Fui soddisfatta del loro lavoro, ma morivo dalla voglia di vedere come si sarebbe presentata la mia bella, il cui look, ero certa, sarebbe stato opera di Kurt, il vero stilista della compagnia.
Mi presentai alla porta accanto con il più smagliante dei sorrisi e bussai. Alle mie spalle, contenti e ridacchianti, c’erano i miei quattro amici, sempre pronti a darmi supporto.
«Sventola in avvicinamento!» annunciò Sam schiudendo l’uscio.
Intravidi i Klaine mano nella mano che mi ammiccavano da dietro le spalle del biondo.
Poi lei fece la sua comparsa ed allora ricordai a me stessa che non avrebbe mai finito di mozzarmi il fiato.
Le sue bellissime gambe sfoggiavano un paio di alti stivali corvini, ovviamente con tacco. Il corpo era fasciato da uno splendido vestito nero, coperto da una giacca bianca molto corta. Aveva messo un paio di orecchini di semplici brillanti che facevano compagnia ad una collana della stessa fattura.
Boccheggiai, incapace di registrare tutta la bellezza che emanava camminando sicura verso di me. Mi sentivo inadeguata, come se avessi deciso di presenziare alla notte degli Oscar in pantofole e accappatoio. Tutte le mie scelte mi sembrarono stupide e inadatte, ma ormai era tardi per tornare indietro.
«Sei stupenda» mi disse, togliendomi le parole di bocca.
«Tu sei perfetta…»
«Queste due cominciano a diventare davvero troppo sdolcinate» sbuffò Noah scuotendo la testa.
«Andiamocene prima di scatenare l’incontrollata gelosia di questi invidiosi» continuò la latina, prendendomi sottobraccio «Fammi strada, cavaliere.»
La accompagnai lungo le vie della città, che probabilmente lei conosceva meglio di me, fino a ritrovare il “Bar Alex”. Non era proprio economica come scelta, ma la qualità del cibo ripagava di ogni sovrapprezzo. Non che dovessi fare particolare attenzione al portafogli, anzi. La cena sarebbe stata offerta da Puck, in memoria del bacio che avevo scambiato con Quinn sotto i suoi occhi.
«Che gradita sorpresa!» esclamò il cameriere, riconoscendomi.
«Avevo detto che sarei tornata» risposi con un sorriso sincero.
«Chef!» gridò l’uomo per farsi sentire fino in cucina «La señorita rubia està devuelta!»
«Pefecto» rispose l’altro dai fornelli «Preparo il menu completo.»
«Ma sei già stata qui?» mi chiese San, mentre prendevamo posto al tavolo.
«Sì e ho gradito molto la loro cucina. Avevo promesso di tornare e quale migliore occasione del nostro primo appuntamento?»
«Allora, questa è una persona especial?» chiese il cameriere portandoci il menu e scoccando un’occhiata alla mia accompagnatrice.
Annuii con un sorriso a trentadue denti.
«È davvero una scelta eccellente, ma lasciate che vi avvisi» aggiunse rivolto alla mora «Non proponetevi mai di offrirle la cena, lo dico per il vostro bene.»
Sogghignarono entrambi, mente io desideravo di sprofondare sotto il tavolo.
«Dai, Britt» mi rassicurò «Non c’è niente di male ad essere golosi. Sono la prima a lasciarmi tentare dal buon cibo.»
Mangiammo molto e bene, come avevo previsto.
«“Non c’è due senza tre?”» mi salutarono i due gestori quando ci apprestammo ad andare via.
«Auguratevi di no, perché la terza volta offre la casa, giusto?» li sorpresi.
«Seguro!» ridacchiarono mentre ci allontanavamo.
«Ora che si fa?» mi domandò Santana.
«Che te ne pare di una romantica passeggiata sul lungomare?»
«Ma l’abbiamo già fatta ieri» obiettò.
«Ieri non conta, ricordi? Dai, possiamo fare il tratto lastricato, così non sei costretta a toglierti le scarpe.»
«Quanta premura» commentò facendomi la linguaccia.
Raggiungemmo la spiaggia e ci fermammo ad osservare l’oceano. Io sarei potuta rimanere incantata per ore. Fissavo l’isola di Santa Clara che si ergeva proprio davanti ai nostri occhi, non sapevo se si potesse visitare, ma mi sarebbe piaciuto poterla vedere da vicino.
«Cosa prevede ora il tuo piano di conquista, dopo avermi imbottita come un tacchino per il Ringraziamento?»
«Beh, quale miglior modo per concludere l’uscita se non con un salto al nostro locale preferito?»
«Fantastico, così avrò l’occasione di cantare ufficialmente per te» gongolò.
Al “La oca loca” trovammo, come mi aspettavo, gli altri sette, curiosi di sapere come fosse andata la nostra cena.
«A meraviglia» dissi «Ma conto che la notte possa ancora migliorare.»
Puck e Sam fischiarono maliziosi.
«Intendevo dire» precisai «Che la dolce signorina Lopez si esibirà per me in un numero speciale.»
Altri ridolini e fischi partirono dal gruppo.
«Un numero musicale» sbuffai, sapendo che non avrei comunque risolto nulla.
«Oh!» esclamò Rachel, esaltata all’idea di potersi esibire ancora una volta «Posso duettare con te? Abbiamo cantato insieme solo una volta per quella insulsa sfida con “Gloria”, voglio avere occasione di legare con qualcosa di meno… Competitivo.»
«A me sta bene» accettò la latina «Ma il brano lo scelgo io.»
Salirono sul palco ed io attesi in silenzio, curiosa di scoprire su cosa avrebbe puntato Santana per fare ancora una volta breccia nel mio cuore.
I don’t know why I like it
I just do
I’ve been hearing your heartbeat inside of me
I keep your photograph beside my bed
Linvin’ in a world of fantasies
I can’t get you out of my head
Cominciò San e io non potei resistere all’idea di immaginarla a versare lacrime di amore non corrisposto su una mia fotografia mentre, tormentata dai sentimenti, non riusciva a prendere sonno.
Poi prese la parola la mia amica ebrea.
Si riunirono per il ritornello.
Oh, I remember the way that we touch
I wish I didn’t like it so much
Oh, I get so emotional baby
Every time I think of you
I get so emotional baby
Ain’t shocking what love can do?
Mi beai sia delle parole, sia della sua bellissima voce. Non vedevo l’ora che scendesse dal palco per poterla almeno abbracciare, per farle sapere che lei aveva lo stesso effetto su di me.
«Forza, torniamo a casa gente, domani si viaggia di nuovo. Dobbiamo andare ad una delle spiagge più suggestive della regione, consigliata da ben tre diversi enti del turismo» ci disse Blaine.
«Non riuscirò a mai a smettere di ripeterti quanto tu sia meravigliosa» sussurrai all’orecchio della surfista, ormai prossime al Kursaal Hotel.
«Oh, ma ancora non hai visto niente…» rispose maliziosa, scoccandomi un’occhiata che mi fece venire i brividi lungo tutta la schiena «Forse…» continuò, facendosi sempre più vicina «Ne vorresti un assaggio…»
Tentai di alzare tutte le mie difese fisiche e mentali, ma come potevo resistere a quello sguardo magnetico e a quella bocca invitante?
«Peccato che non sia nel mio stile svelare troppo al primo appuntamento» concluse, allontanandosi.
Io fui investita da un misto di sollievo e insoddisfazione. Mi avrebbe fatto diventare matta con i suoi giochetti.
«Buonanotte Britt» si congedò come le altre volte, senza però concedermi neppure il bacio sulla guancia, lasciandomi imbambolata sul pianerottolo del terzo piano.
«Domani ritenterai» mi consolò Puck, vedendomi abbattuta.
Io mi scossi e ghignai, fissando l’ora sul cellulare: «Io ho sempre domani, ma tu intanto paga. È mezzanotte, il che vuol dire che hai perso la scommessa sul portarmela a letto in sette giorni. Il tempo è scaduto.»
«Ma… Ma…» balbettò «Non era valida come scommessa!»
«E questo quando l’hai deciso? Se ci sono le parole: “scommetto che” allora è valida. Su, fuori la grana.»
Il Mohawk sbuffò e mi allungò un paio di banconote.
«Così poco? Io ti avrei dato almeno il doppio se avessi vinto tu!»
«Sei davvero incontentabile Pierce! Ma come hai fatto a beccarti una tipa simile con questo caratteraccio?»
Io gli tirai un pugno sul braccio, dichiarando chiusa la questione.

NdA: credo sia difficile eguagliare le emozioni del capitolo scorso, ma ho fatto del mio meglio. Come sempre, al pubblico l'ardua sentenza, quindi siete pregati di farmi sapere cosa ne pensate. Piccola nota riguardo l'encierro: sono personalmente stata a Pamplona durante il mio viaggio in Spagna e ho fatto il percorso della gara, ovviamente senza i tori, quindi la parte della gara in sè è liberamente ispirata ai video e alle foto che ho visto. Momento ringraziamenti: grazie ai recensori: wislava, strapelot, MartaDelo, HeYa Shipper, Fyo e Jenns, grazie, ovviamente, a tutti gli altri lettori e a coloro che hanno inserito la storia tra le preferite/seguite/ricordate. Non vi farò attendere troppo per il prossimo capitolo, prometto. Un saluto.
   
 
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