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Autore: DeadlyPain    17/09/2014    2 recensioni
Un ragazzo sta tornando da una festa, quando sente dall'albero diroccato provenire una voce meravigliosa che lo ammalia. Chi sta cantando di notte? Spinto dalla curiosità il ragazzo va a scoprirlo, ma non sarà ciò che si aspetta...
Genere: Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Videogioco
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Di tutti gli anni di vita che ho vissuto, sebbene siano solo 25, una cosa ho imparato, una cosa sola ho amato ed la stessa cosa mi ha portato alla perdizione.
L'essere umano ha un enorme amore per l'inconscio e il terrore.
Per quanto il sangue e l'orrore lo spaventi a morte, l'essere umano sarà sempre attratto da ciò che più lo spaventa. Come sporgersi da un baratro, e guardare il mondo da metri d'altezza. Sappiamo tutti che basterebbe un solo passo falso e potremmo sfracellarci al suolo morendo di morte lenta e dolorosa, eppure, eppure, sentirà sempre quella spinta, quella grande voglia di buttarsi giù.
Di provare a volare.
Di provare a morire.
L'inconscio. La morte. L'orrore.
Ero il tipo di ragazzo pieno di fobie, bastava che di notte fonda qualcuno battesse le mani per farmi sentire un fremito al cuore, eppure, eppure, amavo i film d'orrore.
Amavo guardarli con gli amici.
Amavo guardarli da solo.
Forse solo per sapere fin dove mi sarei spinto.
Fin dove sarei riuscito a guardare.
Il cuore battere e gli incubi erano solo le amare conseguenze di questo peccato divino.
Come Adamo che morde la mela, solo per il gusto del male, della perdizione e del dolore.

Fu così che quella sera diventai un'anima persa.
Ero a casa di amici a FrescoVilla. Nulla di impegnativo, i genitori di uno di loro erano partiti per il mare lasciando il figlio solo a casa in mezzo alle montagne.
Un silenzio ed un'apatia che una cassa di bottiglie di birra e qualche bel film d'orrore possono facilmente risolvere.
Dopo un paio di birre ed un paio di shottini perfino il celebre film “I murkrow” di Hitchcock sembrava una bonaria commedia.
La festa finì molto tardi, e decidemmo di tornare a casa, sebbene fossero le 4 di mattina.
“E breve sorgerà il sole e vedremo il nostro cammino, siamo uomini, cosa vuoi che ci spaventi?”
Personalmente avrei preferito dormire sul tappeto di Mark, che avventurarmi per il percorso16 a quell'ora, ma ovviamente acconsentii.
Insomma, la luna era alta nel cielo, e vedere la natura in tutta la sua spettralità sarebbe stato come vivere all'interno di un dipinto del grottesco, vivendo una storia romantica del calibro di Mary Shelly.
Io e Frank venivamo da un paesino sperduto, dimenticato dalle mappe tra le due vie principali, via Fogliebrune e via Malinconia.
20 abitanti contando anche i pokèmon di compagnia.
La strada non era lunga.

Stavamo camminando da non molto e la nebbia che si alzava certo non rendeva l'atmosfera meno macabra.
L'erba era alta al punto da sfiorarci i capelli come fossero mani di fantasmi vissuti nell'ottocento, e solo un piccolo sentiero, scavato da anni di piedi e calpestii ci permetteva di non perderci in quella radura di erba e foglie e brume.
Ciò che rendeva il tutto più grottesco era l'imponenza della desolazione.
La maestosità dell'abbandono.
L'albergo diroccato.
Girano sempre tante leggende sul suo conto, chi parla di antichi fasti caduti dopo la decadenza della monarchia, chi di incendi dolosi, chi di spettri e fantasmi e assassinii di epoche remote.
Ovviamente tutte leggende.
Ovviamente nessuna racconta la verità.

Spesso si parla del canto del vento, quel suono melodioso che produce il vento passando tra canneti e boschi, ma quello che mi colpii non era un rumore della natura.
Stavo parlando con Frank della prossima festa, quando i suoi sarebbero andati a trovare dei parenti a Unova, quando sentii in lontananza una voce melodiosa.
Non capivo cosa dicesse, non riuscivo a distinguere le parole ma sentivo chiaramente una voce così soave da farmi perdere le fila del discorso.
“Oi! Mi stai ascoltando o sei perso nel nulla?”
La voce di Frank mi risveglia da quel suono soave.
Mi sentivo come Ulisse, stregato dal canto delle sirene, ma senza un palo a cui essere legato per trattenermi dal buttarmi in mare.
“Lo senti anche te?”
“Sento cosa?”
“Questo canto”
“Non c'è nulla, non si sente nessun canto”
Come faceva a non sentirlo?
Una voce di donna così soave e perfetta, cristallina e armoniosa come un cacciaspiriti dei più fini diamanti.
Mi attardai, immobile come una statua, a seguire quel meraviglioso suono. Oh, non capita nulla di buono ai marinai che si imbattono nelle sirene, ma d'altronde le sirene non esistono, sono solo fandonie raccontate ai bambini.
“Che diamine fai? Muoviti che ho freddo!”
Urla Frank. Vuole tornare a casa, ma io... io voglio ascoltare ancora questa meravigliosa canzone.
“Vai avanti! Ti raggiungo dopo!”
Frank fa spallucce e si incammina imperterrito verso il nostro paese di cui ormai si scorgono i tetti.
Io, invece, torno sui miei passi.
Torno là, dove il suono era più forte, più intenso. Voglio sentire ancora un po' quella voce, voglio distinguere le parola di questa canzone per poterla amare.
Mi giro perso nell'erba, cercando il richiamo di quel suono come se inseguissi una farfalla nera.
Non so da dove provenga, posso solo sperare di avvicinarmici sempre di più, sentirla più forte, capire da dove proviene.
Arrancavo nell'erba alta ed i rovi mi segnavano la pelle in tanti piccoli tagli che intrecciandosi tra loro formavano una ragnatela piena di perle lucenti di sangue come rugiada.
Seguivo il suono e arrivai all'albergo diroccato.
Quel posto da sempre mette agitazione, ma sapevo, lo sentivo che la voce proveniva dall'interno.
Una giovane ragazza probabilmente si era persa e ora cantava le sue ultime ore di vita prima di morire assiderata, prima che arrivi qualcuno a salvarla.
Entrai in quel postaccio, il pavimento orami era coperto da macerie e detriti, e rovi e piante crescevano storte e agonizzanti tra le pietre e le piastrelle.
Era buio, ma una luce richiamò la mia attenzione.
E fu un miracolo, perchè senza non avrei mai notato quella piccola fessura nel muro, una piccolissima crepa da cui si poteva passare solo costringendo il proprio corpo ad assumere posizioni innaturali.
Sbirciai e notai una bellissima ragazza dall'altra parte.
Aveva lunghe gambe snelle, un vitino da vespa coperto a un lungo abito rimborsato marrone finendo in una corta gonna a palloncino.
I capelli erano lunghi e divisi in due ciocche rosa.
Sbirciai attentamente la stanza ma non notai candele o torce, da dove poteva provenire la luce che vedevo?
Sarà stata forse la luna?
Eppure la luce era quasi arancionata, tipica di una fiammella che brucia nella cera.
“We're in the place of wonder
I Ain't gonna play nice
Watch out, you might just go under”
continuava a cantare con la sua voce perfetta, quando d'un tratto si fermò.
La vidi muoversi, ma non sentii il rumore dei passi sul pavimento.
Rimasi immobile aspettando di vederla ricomparire, o quantomeno, che ricominciasse a cantare.
Ricomparve, come un fantasma davanti ai miei occhi, i suoi occhi, gialli erano enormi e sporgenti al di là di quella piccola fessura.
Urlai, non mi aspettavo di vederla comparire così all'improvviso e nello spavento caddi sul freddo pavimento.
Lei ridacchiò.
“Per essere qua a quest'ora non ti faceva così impressionabile”
La sua voce era un coro di angeli.
Il suo sorriso la mezzaluna.
“Non me l'aspettavo”
“E cosa ti saresti aspettato, quindi?”
Sorrise di nuovo, davanti alla mia incapacità di rispondere.
“Come ci sei finita lì?” chiesi.
“Mi sono incastrata. Volevo guardare la luna ed il panorama. Oh da qua c'è uno splendido panorama sulla valle e volevo vederlo. Ma negli anni la porta ha ceduto sempre di più e oggi ne è crollato un altro pezzo murandomi dentro. Oh, ma ne vale davvero la pena. C'è ancora uno spiraglio, vieni qua e guardiamo la luna insieme.”
Sembrava incredibile. Insomma, seriamente, certe cose capitano solo nei film strappalacrime per ragazzine decerebrate. Situazioni così fintamente costruite che fanno venir il diabete ancor prima di averle viste.
Non credevo potesse succedere davvero.
A me poi.
“Certo! Volentieri.”
Ah, la mia stupidità, ah la vanagloria.
Già ci prefiguravo, abbracciati seduti su una vecchia scrivania di mogano a guardare dalle grandi vetrate una luna splendente come il suo sorriso.
Già immaginavo quando avrei spostato i massi e avrei aperto il passaggio così da farla passare senza che rischiasse di rovinarsi il vestito.
Già sentivo le sue labbra sulle mie mentre la riportavo alla libertà nelle prime luci dell'alba.
Ma certe cose capitano solo nei film.
Ma io ero troppo stupido per riuscire a convincermene.
I calcinacci e le anime di ferro sporgenti mi ferirono la pelle del volto e mi strapparono i vestiti, ma nulla, non sentivo nulla di fronte ai miei assurdi pensieri da ragazzina innamorata.
Appena riuscii a infilarmi completamente nella stanza notai che era vuota.
Un piccolo ripostiglio spoglio e vuoto e sopratutto senza finestre.
Un rumore alle mie spalle e nemmeno il tempo di voltarmi che tutta la perte era crollata non lasciandoci via d'uscita.
Ero spaventato.
Davvero spaventato.
La ragazza ora aveva un sorriso strano, sornione, ed i suoi occhi gialli quasi brillavano.
“Siamo intrappolati!” urlai con un filo di voce.
“Lo so”
“Dove sono le finestre? Cos'è questo posto?”
“È il nulla.”
Non capii le sue parole, ma notai che le sue gambe si stavano assottigliando ed i suoi capelli diventavano sempre più lunghi, divisi in ciocche quasi sembravano formare due mani.
Non era possibile, queste cose non succedono, devo rimanere lucido, devo rimanere lucido.
Mi voltai e cercai di spostare i massi.
Dovevo uscire da lì.
E ci sari uscito, in un modo o nell'altro.
Lei riprese a cantare, ma stavolta la canzone era sconnessa, sempre più stonata, aveva rallentato anche il ritmo rendendola quasi sinistra.
“Trust me, it's no good
We're in the place of wonder
I Ain't gonna play nice
Watch out, you might just go under
It's no place good to be
Maybe it's the last time the sun to see.”
Ormai la sua voce sembrava il suono di unghie affilate che grattano su una lavagna ed io cercavo di spostare più massi possibili.
Dovevo andarmene da lì.
Improvvisamente sentii come corde strette e bagnate che mi legavano polsi e caviglie, le sentii come edera arrampicarsi sul mio corpo e stringermi sempre più forte.
Appena abbassai lo sguardo riconobbi subito i morbidi capelli di quella ragazza, rosa e perfetti ora erano sbiaditi e secchi e come dita affilate di lunghe unghie mi immobilizzavano conficcandosi nella carne e stringendomi come a soffocare ogni cellula del mio ormai martoriato corpo.
Mi sollevò dal suolo e allora capii che ero spacciato.
Quando mi girò verso di lei notai che le gambe e le braccia erano del tutto sparite e la testa, prima così piccola e perfetta era diventata tutt'uno con il resto del tronco.
Il suo sorriso era acido e sornione.
Sul vestito si aprì una ferita a forma di volto, un volto crudele di mostro con occhi gialli e una bocca piena di denti tagliata in un sorriso freddo e crudele da cui fuoriusciva una luce spettrale.
Era una gourgeist.
Una splendida gourgeist che mi aveva tratto in trappola.
Entrambe le sue bocche si spalancarono e la sua voce ed il suo canto divenne più forte e crudele, invece che un canto sembrava un urlo.
Tante urla.
Come se decine e centinaia di persone stessero urlando quella che prima era una canzone con una voce talmente rauca e acuta che sentii i timpani vibrare.
Centinaia di voci che fouriuscivano da una bocca muta. Voci che gridavano la loro sofferenza, anime perse risucchiate in un vortice di sofferenze, un inferno per anime che non hanno mai trovato pace.
Ero terrorizzato.
Ero terrorizzato perchè anch'io sarei diventato come loro, mi sarei unito di lì a breve alle loro schiere, ma quanto breve?
Avete presente quando siete terrorizzati per una cosa che sapete succederà? Quando pregate che la tortura finisca presto e che il vostro carnefice si sbrighi a darvi il colpo di grazia? E lui, invece, non si muove. Questa è la vera tortura, questa è la vera paura.
Finiscimi. Mangiami. Fammi a pezzi. Uccidimi. Ma fallo ora, non lasciarmi qui a crogiolare nel mio dolore in attesa di una fine vicina, ma non abbastanza vicina.
Le voci si fecero più stridule, come tante unghie che grattano la superficie di una lavagna.
Medesime unghie che grattavano dentro la mia testa, stringendo il mio cervello in una morsa di dolore straziante.
Sentivo il caldo, umido e pastoso sangue che colava, lo sentivo come scendere bollente come lava dal mio patetico cervello giù fino alla bocca. Sentivo il mio sangue colare dalle orecchie, naso e bocca, mi sentivo soffocare, annegare dal mio stesso sangue, lo stridore e il dolore nella testa e i capelli che stringevano come filo spinato intorno al mio corpo, ma più del corpo era la mia anima ad essere martoriata.
La sentivo stringere le sue corde intorno a me, stringermi e ridurmi in pezzi.
Fammi a pezzi, ti prego, fammi a pezzi, ma fallo ora!
Eppure continuava, lenta e costante a stringere sempre di più, e la voce sempre più forte e stridula.
Oh cervello, oh mio caro cervello esplodi. Ti sento caldo e affranto, ti sento dolorante e ti prego esplodi qui, seduta stante, fammi morire, fammi smettere di soffrire, e tu, cuore, e tu cuore, smetti di battere e liberami da questo dolore.
Avrei dato la mia vita per morire in quell'istante, non temevo la morte ma la tortura.
Strinse e strinse, fino a rompermi le ossa, ridurle in poltiglia, e rendermi un corpo vuoto di me, ma ancora ancora ero vivo.
Le servivo vivo. Mi voleva intero, mi voleva vivo per strapparmi l'anima dal corpo con forza e brutalità, se fossi morto, se le mie sofferenze avessero avuto tregua, la mia anima sarebbe volata via prima che lei riuscisse a catturarla. Sarei stato inutile.
Una preda inutile.
Quando ogni osso fu ridotto in polvere mi lasciò cadere al suolo.
Ormai dovrebbe essere l'aurora, vorrei vedere per l'ultima volta il sole sorgere, ma in quella stanzina buia e senza finestre non sarei riuscito nemmeno a vedere uno spiraglio di luce.
Quanto ancora dovrà durare quest'agonia?
Il mio corpo ormai è un ammasso informe di carne, i miei organi bruciano riversandosi informi in spazi e cavità prima a loro precluse, sformandosi e riformandosi senza ormai nessuno scheletro che possa dar loro forme e consistenze precise.
Lei continua a cantare e vorrei solo riuscire a muovere ancora le mani per tapparmi le orecchie.
O per strapparmele.
Il sangue continua a colare dalla bocca e presto mi ritrovo come un pesce agonizzante in una pozza del mio stesso sangue.
Il dolore e la sofferenza sono il pane di questo diavolo che lentamente usa i suoi capelli per lacerarmi le membra.
Il dolore è acutissimo, ma ormai non riesco più a sentirlo. Ho sofferto troppo e troppo a lungo e ora non riesco nemmeno più a sentire e percepire il dolore.
Finiscimi oh spirito della morte.
Invece no. Calma e metodica mi stacca e dilania pezzo per pezzo ed io molle come budino nei suoi artigli mi spezzo riversando sangue e dolore in quello stanzino angusto.
Lasciami morire, ti prego.
Permettimi di morire.
Le sue unghie, aguzze come quelle di arpie, portano i pezzi molli e triturati delle mie membra dentro quella bocca così grossa e disgustosa. Ogni volta che la apre è pace e dolore.
Ogni volta che la apre so che un pezzo di me se ne sta andando, e so che presto arriverà anche il turno della morte.
Ogni volta che apre la bocca vedo volti di sconosciuti che si accalcano e imprecano e urlano da dentro quelle fauci luminose e giallognole. Le anime perse, anime costrette ad una vita infelice, costrette a vivere qui, sulla terra, senza mai poter aver pace, senza mai poter tirare un sospiro di morte, costrette a morire e a passare l'inferno in terra.
Leggo la sofferenza nei loro volti, una tortura peggiore della morte stessa, peggiore di quello che ho passato io fin'ora.
Un artiglio mi afferrano la testa, cavandomi un occhio, ed io, ancora ormai non sento più dolore. Il corpo si è anestetizzato, sono pronto a morire.
Ma non morirò.
Di quello che un tempo era il mio corpo è rimasto solo una testa, integra, se così vogliamo considerarla, sporca di sangue rappreso e fresco. Unica parte con ancora il cranio, unico sostegno per quella cosa gelatinosa e grigia che altrimenti fuoriuscirebbe da ogni orefizio, donandomi una morte lenta, ma pur sempre morte; e un accenno di tronco, un petto in cui sono stati schiacciato polmoni e cuore. Senza morirei.
L'altro artiglio mi tiene da sotto, è nel suo interesse che testa, cuore e polmoni siano integri e funzionanti, mi vuole vivo.
Sebbene vivo, ormai non sono più.
Sento il mio cuore pulsare lentamente.
Sento la nebbia nella mia testa.
E vorrei solo dormire.
Addormentarmi e non svegliarmi.
Uccidimi.
Finiscimi.
Lasciami morire.
Lei mi solleva e con l'unico occhio rimasto vedo che sorride, un sorriso crudele, ovvio.
Il canto cessa.
Dopo tutto questo tempo quelle voci stridule e asincrone smettono di urlare e finalmente le mie orecchie hanno pace.
È la fine.
La vedo spalancare le grosse fauci che ha sulla zucca, e lentamente mi cala dentro. Vedo quelle anime luminose che mi prendono con loro, tante piccole e lunghe mani che mi afferrano dolcemente e mi trascinano giù.
Sorrido.
È la fine.
Finalmente è la fine.
   
 
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