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Autore: _Robbo    17/09/2014    1 recensioni
Uccidere.
Bisogna saperlo fare, è un'arte.
Genere: Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L’arte dell’uccidere.
 
Stava lì. Dietro la porta, spalle al muro, pronto a sferrare il suo attacco, nascosto nel buio della notte.
Un raggio di luna filtrava dalla finestra attraverso la tenda per poi finire in un piccolo luccichio che seguiva l’intero filo della lama per poi scomparire una volta arrivato alla punta.
La vittima era ignara di tutto; Entrò in casa tranquillo, come ogni sera dopo una lunga giornata di lavoro.
Era stanco e aveva solo voglia di dormire ma prima sarebbe stato meglio prepararsi un caffè.
Aprì la lavastoviglie e prese la caffettiera tra il rumore dei piatti e delle stoviglie.
Il killer era ancora li, nel salone, fermo, attento a ogni singola mossa della sua preda.
La povera vittima si aggirava per la cucina tranquillo, aspettando che la caffettiera completasse il suo lavoro e che il suo caffè fosse pronto.
D’un tratto quell’uomo mosse i primi passi verso il salone, come se si fosse accorto di qualcosa di anomalo o semplicemente perché quella è casa sua e va dove vuole.
L’assassino respirava corto, il suo cuore aveva accelerato i battiti, ma restava fermo in attesa della sua preda.
La caffettiera cominciò a fischiare, la vittima varcò la soglia della porta del salone.
Solo due passi.
Il fischio della caffettiera si dissolse piano fino a smettere.
Con uno scatto furtivo l’assassino era balzato sulla sua vittima pugnalandolo alle spalle.
L’uomo cadde inerme sul tappeto, l’arma ancora conficcata nella schiena.
Il caffè era pronto.
I raggi della luna illuminarono solo parte del viso, la bocca, scoprendo un sorriso maligno.
Dopo aver contemplato per vari secondi il suo comportamento, si ricordò di estrarre il coltello dalla schiena della vittima e lo pulì con cura facendo attenzione a non lasciare traccia.
Si avviò verso la porta, pronto a tornare a casa ma prima di andarsene prese il suo cappotto all’attaccapanni all’ingresso e uscì, camminando tranquillo come se nulla fosse successo.
- Agente Smith a rapporto – urlò il capitano Nicholson del dipartimento di polizia della contea di Newcastle.
Era un tipo grosso e basso, con una pancia sporgente, ovviamente pelato e baffuto, era il classico stereotipo di capitano.
Assai scorbutico e solitamente nervoso, soprattutto quando aveva a che fare con agenti nullafacenti o idioti, come usava definirli.
- A rapporto signore – disse l’agente Smith, un ragazzo sulla ventina, capelli scuri e occhi chiari, robusto di fisico e di media altezza, forse sul metro e settanta.
Un tipo calmo e sereno, efficiente nel suo lavoro e molto paziente, soprattutto se si trattava appunto del capitano Nicholson.
- Mi dica un po’ agente, è stata eseguita la perizia sul corpo della vittima? – disse il commissario.
- Si signore, l’ora del decesso è stata stabilita verso le 01:30 di stanotte e l’arma del delitto dovrebbe trattarsi di un coltello, con una grossa lama, forse un coltello da macellaio, ma non è ancora stato trovato – rispose il giovane agente.
- E dell’assassino che mi dite? –
- Non ci sono segni di scasso sulle serrature delle finestre e su quella della porta. Potrebbe trattarsi di un amico, o forse di un parente che avesse in possesso una copia delle chiavi e che quindi potesse entrare indisturbato in casa –
- Bene, ottimo lavoro agente, ora vada –
- Si signore – e avviandosi verso la volante, l’agente si congedò.
Il commissario si diresse verso l’interno della casa entrando quindi in cucina.
Si avviò verso il salone, ancora pieno di persone, agenti, medici e specialisti della scientifica.
Il salone era abbastanza grande, le pareti decorate da quadri da uno stile astratto, al centro due poltrone ai lati di un ampio divano posti di fronte a un grosso televisore, al lato di esso un mobile basso su cui era posato un cordless.
Il corpo era ancora steso inerme sul tappeto, con le spalle rivolte verso il soffitto, ornato da un lampadario antico, e sulla schiena la grossa ferita provocata dall’arma.
Oltre al corpo sporco di sangue, anche il tappeto ne era macchiato.
Il capitano era un uomo burbero ma la vista di quella scena gli diede il voltastomaco tant’è che dovette corre in cucina a prendere il suo solito antiemetico.
Per consolarsi, agguantò la caffettiera piena e si versò un po’ di caffè in una tazza, che si trovava ancora sul lavandino.
Bevve solo un paio di sorsi e poi lo sputò subito a terra; Il caffè era bruciato, freddo e amaro.
Non sapeva che era rimasto nella caffettiera senza essere zuccherato.
Era il caffè che si era preparato la vittima prima di morire.
Il suo ultimo caffè.
Erano le 06:00 di mattina e la polizia era ancora in casa a svolgere le indagini.
Il delitto era stato segnalato poche ore prima dal fratello della vittima, il sig. Nat Thomas.
Nat preparava le ultime valigie prima di caricarle in auto e partire per le vacanze.
Una volta salito in auto ed esser partito, decise di allungare il percorso e passare dal fratello per salutarlo e magari invitarlo a partire con lui.
Erano entrambi single ma Nat era molto più giovane, aveva trentadue anni e ancora un bel po’ di tempo per trovarsi una compagna.
La vittima si chiamava Patel Thomas, contabile d’ufficio alla banca della contea.
Un uomo educato e gentile, anche se quasi sulla cinquantina molte donne lo trovavano affascinante con i suoi modi di fare eleganti.
Non aveva molti amici e nessuno fino a quel momento avrebbe creduto potesse avere dei nemici.
Preferiva stare solo dopo il lavoro e spesso tornava anche tardi a casa fin quando non avesse terminato quel che aveva in sospeso.
Se ne stava tranquillo, non dava fastidi e rispettava sempre gli altri.
Un tipo di cui fidarsi, capace di aiutarti quando ne avevi bisogno quindi anche molto disponibile.
Fisicamente era anche un bell’uomo alto e robusto, un po’ scuro di pelle, capelli neri e occhi anch’essi scuri.
Era un uomo per cui fosse difficile trovare un motivo per cui compiere un gesto così estremo come l’omicidio.
Nat quella sera voltò l’angolo di casa sua per dirigersi verso quella di Patel.
La prima cosa che notò, dopo essere arrivato davanti all’abitazione del fratello fu la porta d’ingresso aperta quasi completamente e la luce accesa della cucina.
Entrò in casa un po’ preoccupato, anche se la sua parte razionale gli suggerì comunque che forse Patel non si fosse accorto di non aver chiuso bene la porta e che forse un po’ di vento l’avesse aperta.
- Patel ci sei? – urlò Nat ma non ebbe risposta.
- Pat? Pat? – ancora nulla.
D’un tratto tutto il corridoio d’ingresso fu pervaso da una puzza di gas e bruciato proveniente dalla cucina e subito Nat si precipitò pensando al peggio.
Un sorriso idiota, quasi isterico, comparse sul suo volto quando si accorse che era solo il caffè che bruciava poiché il gas era rimasto accesso sotto la caffettiera.
Girò la manopola e spense la fiamma senza però preoccuparsi di svuotare la caffettiera da un caffè ormai imbevibile.
Provò di nuovo a chiamare suo fratello ma, come prima, non ricevette risposta.
Dalla cucina decise di spostarsi verso il salone dove avrebbe fatto una scoperta raccapricciante.
Dopo aver pigiato l’interruttore della lampada e aver fatto luce alla stanza apparve ai suoi occhi uno spettacolo orrendo: il corpo del fratello che giaceva riverso inerme sul pavimento, il sangue che ancora fuoriusciva dalla schiena e tutto il tappeto e il pavimento macchiati e sporchi.
Restò un paio di secondi inorridito e spaventato sapendo già che il fratello poteva essere certamente morto.
Chiamò lo stesso il 911 richiedendo anche l’intervento di un’ambulanza sperando solo in un miracolo.
Erano le 01:00 di notte quando Nat aveva segnalato il delitto e la polizia seguita dall’ambulanza arrivò sul luogo dell’omicidio circa venticinque minuti dopo.
I medici si precipitarono nel salone pronte a prestar le cure necessarie al povero Patel per cui però non ci fu nulla da fare.
Nat restò lì una ventina di minuti, forse trenta prima di essere accompagnato in centrale per un formale interrogatorio.
Il lavoro della polizia cominciò subito tra la ricerca dell’arma del delitto (che ovviamente non fu trovata), la ricerca di eventuali indizi o impronte che potevano essere state lasciate dall’assassino in giro per la casa o sul corpo della vittima, i vari interrogatori ai vicini di casa di Patel e l’ordine di posti di blocco per evitare che il killer potesse lasciar la città.
Dopo quattro lunghissime ore di lavoro la polizia lasciò la casa ordinando ai medici di spostare il corpo e di portarlo al laboratorio della scientifica per ulteriori analisi e perizie.
Nat invece fu libero di lasciare il commissariato dopo l’interrogatorio poiché aveva un alibi e non era ancora stato trovato un indizio che potesse colpevolizzarlo o scagionarlo del tutto.
Intanto restava per la polizia il primo e, per ora, l’unico sospettato che avessero.
Il giovane decise di non partire più per le vacanze e si diresse così verso casa, quella giornata era già stata troppo stressante per lui.
Lo shock subito fu molto forte per Nat, che teneva molto a Patel, il suo fratello maggiore, quello che prendeva sempre le sue difese quando era piccolo, quello con cui giocava in cortile a calcio, quello con cui litigava sul canale da vedere in tv o sul gioco da fare con la console.
Insomma, Nat e il fratello erano sempre stati molto legati e ora la morte di Pat, così come lui adorava chiamarlo, lo aveva sconvolto in modo assurdo.
Arrivò quasi subito a casa parcheggiando l’auto nel garage.
Entrò in casa senza badare al disordine e andò a chiudersi in bagno per lasciarsi andare sotto un getto d’acqua calda.
La casa non era molto grande ma abbastanza accogliente e Nat adorava viverci.
Era composta da quattro stanza, una cucina, un salotto, un bagno e una camera, quasi tutte della stessa grandezza apparte il salotto che forse era il più grande.
La cucina aveva le pareti di colore bianco in contrasto con i colori scuri del mobilio che l’arredava.
Il tavolo in marmo si trovava al centro della stanza circondato da quattro sedie in legno di ciliegio, un frigorifero in colore grigio simile a quello dell’acciaio e i vari mobili in ciliegio.
Il salotto era molto diverso sa quello della casa di Patel.
Era spazioso e molto disordinato.
Alle pareti invece dei quadri erano appese due chitarre, un’elettrica e un’acustica, che sono sempre state la più grande passione di Nat che anche di professione era musicista e gestiva anche un suo studio di registrazione.
A un lato del salotto era situato un divano – letto, ovviamente sfatto con sopra tutti i vestiti stropicciati e varia biancheria intima.
La tv, un piccolo schermo collegato a un lettore dvd, era stato messo di fronte al divano all’altro lato della parete ed era poggiato su un tavolino ancora pieno di scatole di pizza e lattine di birra vuote.
Il resto della stanza era equamente disordinato.
La camera aveva invece delle pareti di color giallo canarino ed era l’unica stanza più ordinata anche perché era l’unica che non veniva mai usata se non in rarissime occasioni.
Il bagno è il classico con una doccia, la tazza e il lavandino con sopra uno specchio appeso un po’ storto e ovviamente era sempre disordinato anche quello.
Uscì dalla doccia dopo una quindicina di minuti, si asciugò e si gettò sul letto avendo addosso solo la biancheria intima e si lasciò cullare dal sonno.
Si svegliò che erano circa le sette di sera con nessuna voglia di uscire con gli amici o riprendere l’auto e partire per le vacanze non più cominciate.
D’un tratto senti bussare al campanello della porta e afferrando il primo jeans che trovò nei paragi se lo infilò e corse a vedere dall’occhiello chi è che lo disturbasse.
Apparve, anche se in forme un po’ curve, il viso di una ragazza, più piccola di lui di qualche anno, bionda, occhi azzurri e un volto dai lineamenti perfetti.
Era una sua cara amica che aveva saputo della morte dell’accaduto ed era corsa subito da Nat preoccupata per come lui poteva stare.
- Nat ci sei? – disse la ragazza dietro la porta.
- Si Rose, arrivo subito – rispose il giovane cercando di far velocemente ordine nel salotto.
- Nat, va tutto bene – disse lei ancora fuori
- Sisi, ti apro subito – e corse alla porta inciampando distrattamente in un amplificatore quasi al centro della stanza.
Aprì la porta e rimase stupito, come ogni volta che la vedeva, dalla bellezza di quella ragazza.
Nat ne era innamorato pazzo ma non aveva mai avuto il coraggio di dichiararsi; Si conoscevano da molto e pensava che se lei non ricambiasse, fare la prima mossa avrebbe solo potuto rovinare la loro amicizia.
- Prego entra – le disse Nat sorridendo.
- Si certo – rispose lei timidamente spostandosi un ciuffo di capelli che le copriva in parte l’occhio destro.
Rose entrò in casa e notando il disordine ridicolamente coperto da Nat cominciò a ridere.
- Sei sempre il solito disordinato – gli disse.
- Ehm...non badarci troppo, lo sai che l’ordine non fa per me - le rispose il ragazzo arrossendo imbarazzato.
- Tranquillo disse lei –
Nat andò intanto in cucina a prepararle qualcosa da bere.
- Posso offrirti qualcosa? -
- Un bicchiere d’acqua grazie. -
Il giovane prese l’acqua dal frigo e ne verso un po’ in un bicchiere preso dal mobile sulla cucina.
- Ecco tieni – gli porse il bicchiere
Rose lo afferrò attenta a non farlo cadere e bevve un paio di sorsi.
- Dio che caldo che fa fuori rispose lei. -
- E ci credo, siamo a luglio. -
- Beh come stai? Ho saputo quel che è successo –
- Molto scosso direi, sto malissimo e mi manca già molto. –
- Mi dispiace tanto Nat, so che tu e lui eravate molto legati. –
- Si, abbiamo sempre avuto uno splendido rapporto e raramente abbiamo avuto dei diverbi. –
- Quanto mi dispiace, ma pensa che ora lui starà lo stesso bene – disse lei accarezzandolo al viso e tenendo nell’altra mano ancora il bicchiere mezzo pieno.
- Grazie Rose, ma lo sai che sono ateo e non credo a queste cose. – lei non disse nulla e tolse la mano dal suo viso.
Posò il bicchiere sul mobiletto affianco alla tv e lo abbracciò forte.
Strinse Nat come non aveva mai fatto e lui ricambiò allo stesso modo quel suo abbraccio molto affettuoso.
Rimasero per un po’ così, fermi, in piedi, ad abbracciarsi come se tutto il resto, apparte quell’abbraccio, non esistesse.
- Oh ragazzo mio, andrà tutto bene vedrai. –
- Lo spero tanto Rose. –
La ragazza si scosto allegramente da lui e corse a buttarsi sul divano – letto.
- Ora però ti voglio felice quindi stasera staremo insieme con pizza e tv – disse lei felice.
- Va bene ma tu promettimi di non bere troppo – disse lui abbozzando un sorriso e sapendo della smania di ubriacarsi della ragazza.
- Certo paparino – lo apostrofò lei in tono scherzoso.
Fu così che la loro serata si svolse tra pizza e birra mentre alla tv davano un classico del film horror, “l’esorcista”.
Ovviamente lei si ubriacò e Nat fu costretto a farla rimanere a casa sua per la notte, per evitare che lei si cacciasse in pericolo.
E mentre la ragazza dormiva dopo la sbornia, Nat restò sveglio.
Il tentativo di Rose di rallegrarlo non aveva cambiato il suo umorismo, si sentiva sempre più male per la scomparsa del fratello e non riusciva a pensar ad altro che a lui e a tutti i momenti passati.
Al dipartimento di polizia il lavoro era frenetico.
L’aria che si respirava negli uffici era molto tesa e gli umori molto suscettibili.
Il capitano Nicholson aveva dato ordine di controllare qualsiasi cosa del passato di Patel Thomas.
L’unica cosa più rilevante che fu trovata era un avvenimento accaduto ai tempo dei primi anni in cui la vittima lavorava in banca.
Era il 1948 e Patel lavorava da circa due anni come contabile di una banca nel Newcastle.
Un cliente della banca in cu lavorava, un ricco imprenditore, si rivolse a Patel per farsi aiutare, aveva bisogno di un contabile che tenesse conto del’andamento finanziario della sua impresa.
Allora Patel era inesperto ma tentò comunque di aiutarlo.
Il disastro fu inevitabile.
L’impresario, un certo Jack Mardon, andò in bancarotta e fu arrestato.
Dalle indagini emerse che la colpa del fallimento fu la causa di un errore di contabilità, un piccolo errore che frantumò l’intero patrimonio finanziario.
Ovviamente l’impresario Mardon fece causa a Patel e alla banca ottenendo un risarcimento che comunque non gli permise di riacquistare il suo intero capitale e fu costretto così ad una vita mediocre, odiando per tutta la vita l’uomo che gli aveva distrutto la vita.
Durante l’interrogatorio del giorno prima Nat aveva ammesso che il fratello gli aveva raccontato di questo episodio e che fosse preoccupato per la sua incolumità poiché Jack era un uomo pericoloso da cui tenersi lontano.
Queste affermazioni e la scoperta dei quella vicenda nel passato di Patel incuriosirono il capitano che ordinò di indagare anche sulla vita di Jack Mardon.
Emerse che l’uomo in questione, da giovane era stato condannato a sette anni nel carcere minorile per spaccio di droga.
Fu poi rilasciato al quarto anno per buona condotta e condannato comunque a un anno di lavori socialmente utili.
Dopo di che il sig. Jack quasi diventò un santo ma per Pat restava ancora un uomo pericoloso, anche se le sue paure erano un pò infondate.
Si scoprì anche che Jack fu sospettato di omicidio nei confronti di un concorrente d’affari, ma non se ne venne mai a capo e il caso fu archiviato.
Il capitano mandò due agenti, tra cui uno era appunto l’agente Smith, a casa del sig. Mardon per interrogarlo.
I due agenti, Smith e Logan, si diressero quindi verso l’abitazione dell’ex impresario.
Arrivati, parcheggiarono l’auto nel cortile e bussarono alla porta.
- Sig. Mardon, polizia, è in casa? – disse l’agente Smith.
- Si arrivo -  rispose l’uomo da dentro che non fece attendere gli agenti e aprì subito la porta.
- Salve signori, come posso esservi utile? -
- Volevamo solo farle delle domande, possiamo? –
- Certo, entrate pure – disse Mardon mostrando loro la strada verso il salotto – Accomodatevi, posso offrirvi qualcosa? –
- No ma grazie lo stesso -  disse l’agente Smith.
Mardon dopo essersi versato un paio di dita di brandy preso dal frigo andò a sedersi sulla poltrona di fronte ai due poliziotti.
- Ditemi tutto agenti – disse dopo aver bevuto un paio di sorsi dal bicchiere.
- Sig. Mardon lei dove si trovava l’altro ieri, verso circa la mezzanotte? –
- Beh..ero qui a casa mia – disse Jack un po’ preoccupato.
- C’è qualcuno che potrebbe confermarlo? –
- Apparte il mio doberman che è nel retro a dormire no – disse con un sorriso nervoso.
E infatti il doberman era appunto fuori al giardino a godersi quella calda e rilassante giornata.
- Sa nulla della morte del sig. Patel Thomas? –
- No..nulla, davvero è stato ucciso? –
- Lei come fa a sapere che si tratta di un omicidio? –
- Oh beh.. – rispose imbarazzato – è la prima cosa a cui ho pensato ma spero non sia così. –
L’agente Smith lo guardò dubbioso mentre Logan restava in piedi affianco ad egli, impassibile e silenzioso.
- Purtroppo ha indovinato, è stato brutalmente assassinato e lei è uno dei sospettati. –
- Mi spiace molto, capisco di essere sospettato dopo quella brutta vicenda di molti anni fa tra me e il sig. Thomas. –
- Non sono comunque stati trovati prove o indizi a suo carico. –
- Spero non ne troviate..nel senso che non ci siano indizi che possano colpevolizzarmi – disse sfociando poi in una grossa risata, ma Smith rimase serio.
- Vedremo, beh noi per ora abbiamo finito, le faremo sapere se avremo ancora bisogno di lei – disse il giovane agente alzandosi dalla poltrona.
- Va bene, vi accompagno – rispose Mardon che si affrettò ad aprire la porta ai poliziotti.
- A presto. –
- Arrivederci sig. Mardon – salutarono gli agenti che entrarono in auto per avviarsi verso la centrale.
Rose si svegliò con aria stanca e un forte mal di testa.
A tavola era già pronta la colazione per lei e Nat era ancora sotto la doccia a lavarsi.
La ragazza sorrise vedendo la tavola imbandita, segno di premura da parte del suo amico.
Rose aveva avuto un passato difficile, tra la separazione dei suoi genitori, i problemi adolescenziali, lo sfogo nella droga.
In tutto questo però Nat le era sempre stato vicino, da quando la conosceva.
Non si erano mai separati e la ragazza sapeva di essere in debito con lui per tutto ciò che aveva fatto per farla star meglio.
Si alzò, ancora frastornato, dal letto e con passo un po’ sbilenco si avviò verso la cucina.
Intanto Nat aveva finito di farsi la doccia.
- Buongiorno Rose, come ti senti? – disse il ragazzo mentre si asciugava i capelli-
- Bene ma abbastanza rincoglionita – rispose la ragazza che si massaggiava la testa dolorante.
- È normale dopo la sbronza di ieri, te lo avevo detto di non bere troppo. –
- Lo so è che mi sono lasciata andare. –
- Va bè, dai fai colazione che tra poco arrivo. –
- Certo, ti aspetto. – disse Rose sedendosi.
Nat andò in camera a vestirsi, scelse uno shorts in jeans maschile e una maglia nera a maniche corte dei Pink Floyd.
- Eccomi dolcezza – disse sedendosi al fianco di Rose
- Bene – le sorrise lei addentando un boccone della brioche al cioccolato.
- Che si fa oggi? –
 - Non so, potremo uscire e passeggiare per il parco o andare a prendere un gelato –
- Vedremo dai, usciamo e poi magari il gelato lo prendiamo prima di tornare a casa. –
- Ci sto, disse la ragazza sorridendo – vado a lavarmi e vestirmi, ti aspetto a casa alle 10.-
- Sarò puntualissimo.-
- A dopo bello – disse Rose ridendo ed uscendo per dirigersi verso casa sua.
Nat intanto sparecchiò la tavola e, data la sua immensa pigrizia, decise di metter tutto quel che c’era da lavare nella lavastoviglie così che evitasse di faticare moto e poteva quindi dedicarsi a suonare un po’, a sfogarsi nella musica cercando di non pensare ancora al fratello.
Alle 10 precise Nat era già sotto casa di Rose ad aspettarla.
Ovviamente lei non era ancora pronta e gli toccò aspettare tre quarti d’ora prima che lei fosse pronta per scendere.
Il pomeriggio passò in tranquillità, tra una chiacchiera e un’altra, tra un continuo scambio di abbracci e sorrisi.
La situazione continuò però ad essere abbastanza complicata per la polizia.
Le indagini si svolgevano regolarmente ma non era ancora stata trovata traccia per un presunto colpevole.
Nemmeno l’autopsia sul cadavere ebbe un esito positivo sulle indagini.
I giorni passarono così come i mesi e gli anni.
Il caso venne archiviato 10 anni dopo.
Jack Mardon uscì per l’ennesima volta pulito dopo l’ennesimo omicidio di cui era stato sospettato e quasi accusato.
Nat e Rose si fidanzarono un anno dopo la morte di Patel.
Il ragazzo aveva trovato il coraggio di dichiararsi e lei fu ben felice di accettare confessandogli che segretamente anche lei era sempre stata innamorata di lui, me anche ella non aveva mai trovato il modo giusto per dirglielo.
Non si sposarono mai e scelsero di convivere a casa di Nat.
Egli comunque, sotto quella illusoria e quasi falsa felicità, continuava ad essere tormentato per la scomparsa del fratello.
Tentò il suicidio dopo due anni dal suo fidanzamento,  e si salvò grazie a Rose che lo soccorse appena in tempo chiamando l’ambulanza dopo che egli si era accoltellato alla pancia chiudendosi nel bagno.
Ora hanno due figli, una bambina di nome Margareth e il fratellino Patel, nome scelto da Nat come segno di ringraziamento verso il fratello per tutto quello che aveva fatto per lui, e anche come modo per ricordarlo sempre.
   
 
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