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Autore: Wemil    02/10/2008    1 recensioni
Susanne Brandot è una ragazza che ha appena iniziato l'università ma fra incubi e la presenza di uno stressante coniglio, l'inizio universitario sembra più difficile di come si possa pensare. In un vortice sempre più veloce di avvertimenti la ragazza, con la sua amica Claire, si ritroverà ad affrontare l'orrore.
Genere: Drammatico, Horror, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Susanne Brandot si svegliò dal suo sonno urlando a squarciagola; era completamente sudata e il respiro le mancava completamente. Si portò una mano alla testa per massaggiarsi le meningi e cercando di ricordare che cosa avesse sognato.
No, niente da fare... come una buona notizia, l'incubo era arrivato e scomparso dalla memoria quasi sull'immediato benché il proprio animo provasse ancora i postumi del terrore subito.
Sforzandosi ad alzarsi sulle gambe, che pareva non volessero rispondere ai comandi della propria padrona, Susanne si diresse verso la cucina per calmarsi con un bicchiere d'acqua di rubinetto; entrò nella stanza senza accendere la luce e aprì il rubinetto alla cieca.
Stava per riempire il bicchiere appena preso dalla credenza quando due luci rosse si accesero improvvisamente dal fondo della stanza seguite da un forte rumore di foglie spostate.
Susanne corse verso l'interruttore della luce ma nel farlo sbandò e cadde per terra; il bicchiere si ruppe in una miriade di minuscole schegge di vetro, quasi in contemporanea il rumore delle foglie aumentò e, quindi, ci fu un terribile rumore metallico.
La ragazza chiuse spaventata gli occhi ma questo non le impedì di non sentire i rumori e gli odori: qualcosa le si stava avvicinando velocemente senza che lei potesse fermarlo... aprì gli occhi e da sopra i due occhi rossi che aveva visto precedentemente la osservavano dall'alto con vigore e energia.
Susanne gridò il suo terrore con tutta la forza che aveva in corpo.
Come se l'urlo avesse avuto una forza catartica, si accese la luce.
"Che cosa stai facendo? Guarda che c'è gente che vuole dormire!" le rispose Claire Feboulue, sua compagna di appartamento per quell'anno universitario.
"Ma... ma... quegli occhi rossi... e..." balbettò timidamente l'altra, senza alzarsi e indicando con l'indice il punto ove poco prima c'era la presenza diabolica: "Ora non c'è più!"
"Di che cosa stai parlando?!?" la guardò con lo sguardo di chi osserva una pazza.
"No! Ti giuro! Prima qua c'era un qualcosa con occhi rossi che mi stava guardando e..."
"Ah... Mr. Pinky!" esclamò finalmente convinta Claire.
"Chi?!?" la squadrò Susanne.
Senza rispondere l'altra ragazza andò verso il fondo della stanza e tirò su, prima una gabbia metallica visibilmente rotta e poi un grasso coniglione bianco dagli occhi rossi.
"Su Mr. Pinky fa un salutino con la manina" disse la coinquilina muovendo la zampina del piccolo mammifero in segno di saluto.
Brandot, finalmente, si alzò da terra: "Mi ha fatto prendere veramente un colpo! Prima quell'incubo e poi quel coniglio. E guarda che disastro che mi ha fatto combinare... ci sono vetri dappertutto."
"Ahahahah... che stupida." rise di gusto Feboulue, poi tornando seria: "Ora però sbrigati a mettere a posto la cucina. Domani c'è lezione presto."
"Non mi aiuti?" chiese speranzosa la ragazza.
"Notte" fu la laconica risposta.
"Grazie per l'aiuto!" fu l'ultima ironica battuta della serata.

L'università era iniziata da pochi giorni e il trasferimento dal paesino del sud ove Susanne aveva vissuto fino a poche settimane fa era stato abbastanza traumatico sia a causa della continua nostalgia dovuta dalla distanza sia per la perdita di tutto l'ambito d'amicizie che si era formata con difficoltà negli ultimi diciotto anni.
Fortunatamente la presenza della sua compagna di stanza, anch'essa del meridione e al primo anno, le aveva portato una sana ventata d'ottimismo e il fatto che tutte e due frequentassero la stessa facoltà le dava ragione che il tutto sarebbe andato per il meglio.
Le lezioni proseguivano con la placidità che ci si aspetta dagli insegnanti nel mese di settembre: spiegazione del reperimento libri, comprensione del rapporto professore-studente, idealizzazione che lo studio è il fondamento stesso della vita universitaria; le ore d'insegnamento si alternavano con le consuete pause di fine pranzo e post-studio: le continue amicizie proprie della novità dell'ambiente, l'analisi organolettica del cibo e la ricerca del tizio carino definitivo erano gli argomenti fondamentali per la vita delle due ragazze che pian piano iniziavano a formarsi un piccolo mondo di conoscenze e amicizie.
In questo modo fra vita comune e studio le due universitarie riuscivano ad adattarsi a quel luogo completamente nuovo ed estremamente appagante.
Solo una cosa non andava giù a Susanne: "Io odio questo coniglio e sento che lui ricambia il mio odio" disse osservando che Mr. Pinky non accettava le carote che gli porgeva: "Pensi che sia a causa del mio profumo? Ho letto qualcosa su Focus che..."
"Non dire sciocchezze e dammi quelle carote." senza maleducazione Claire gliele strappò di mano e le porse al vorace animaletto che le mangiò senza fare ulteriori storie: "Sai, ho trovato Mr. Pinky pochi giorni prima del tuo arrivo in questo appartamento. Era nel piccolo cortile sotto casa e, oltre ad essere ferito ad una zampina, stava letteralmente morendo di fame. Probabilmente se non lo avessi adottato ora non sarebbe così bello tondetto. Vero Pinky?"
Come se avesse compreso la domanda della sua padroncina l'animale bianco fece un piccolo squittio.
"Toh... prova a dargli ora te una carota!" disse l'amica porgendo un nuovo ortaggio alla collega.
Claire prese in mano la carota e la porse verso il Mister della gabbietta: questo volse la testa da un'altra parte.
"Vedi! Mi odia... maledetto coniglio. BLEAH!!!" fece una smorfia e, quindi, si allontanò dalla stanza infastidita dal comportamento della bestiolina.

"No... nooo... " gemevo debolmente mentre dell'apparente acqua gelida mi veniva versata in fronte e altre urla mi passavano per la testa forse gridate inconsciamente da me, forse da altre anime intrappolate come me in quel posto.
L'ambiente in cui mi trovavo era completamente rosso, color sangue, e di fronte a me si ergevano alte corna diaboliche come se il demonio avesse voluto fare dono a quel posto di tutti i pinnacoli dell'inferno.
Poi, improvvisamente, quel lampo di luce e quel suono... l'intenso dolore che passava attraverso la pelle come se un fulmine fosse passato al di sotto della pelle e si fosse radicato nell'anima; vidi il mio braccio passare insanguinato di fronte a me e, benché non lo percepissi più, urlai con tutto il mio orrore che avevo in corpo... un urlo che non durò a lungo ma che si smorzò piano nel sangue che mi coagulava in fronte e poi...
Poi improvvisamente il nulla, il vagare in un nero inchiostro, il rendersi conto che l'abisso è più profondo di quanto si possa immaginare e che si continua a precipitare senza mai fermarsi, senza possibilità di scampo, senza alcun appiglio... ma il mio appiglio improvvisamente lo trovai e me lo tenni stretto con tutta la forza che avevo in corpo mormorando il mio nome più e più volte.
"Margara May, Margara May, Margara May..." e poi apparve di fronte a me una gigantesca iride color del sangue nel nero dell'agonia eterna.
Mi guardò nel suo sguardo ricolmo di paura e di disperazione.
Ci entrai senza rendermi conto.

"AAAAAAAaaaaaaaaaaaaaaaarghhhh!!!"
Un forte rumore di passi e la porta si aprì improvvisamente: "Che cosa succede anche oggi?" gridò un'assonnata Clare alla sua collega d'università: "Possibile che non passi un giorno che tu non debba gridare?"
"Ho... ho fatto ancora un incubo... come ieri e... e..." la ragazza si sentiva un nodo in gola mentre cercava di ricordare quanto più di ciò che aveva sognato, consapevole che la memoria dell'incubo pian piano spariva per lasciare spazio alla realtà.
"Su... sta calma! Vuoi che ti vada a prendere un bicchiere d'acqua?" cercò di tranquillizzarla l'amica.
"Si, per favore."
Appena si allontanò Susanne si portò le mani alla testa: "Sta calma Brandot. E' solo un sogno, uno stupido sogno... non devi pensarci troppo. Sei bombardata a tutte le ore da film di violenza e da scene di terrore; può capitare anche a te che..."
Un terribile urlò di animale la fece rabbrividire: le passò attraverso la schiena come se la stessa angoscia con la sua fredda mano le avesse sfiorato la colonna vertebrale.
La reazione istintuale della ragazza, oltre a provocarle una terribile pelle d'oca e un battito incontrollato dei denti, le fece mettere la testa sotto al cuscino.
Rimase in questa situazione per qualche minuto ove i pensieri continuavano a passare dal tragico al realistico, dal terrore alla cognizione di causa e stabilizzandosi principalmente sul perché la sua amica ci mettesse così tanto a giungere sin da lei.
Con il cuore in gola, Susanne si alzò per vedere dove fosse finita l'amica; uscì dalla camera per percorrere il breve corridoio che separava la sua stanza dalla cucina quando si ritrovò, a metà della strada, il fiero coniglio che la guardava con i suoi occhi color del sangue.
Quasi non reggendo la situazione Susanne cadde a terra mentre l'animale continuava ad avvinarsi a lei: "No, sta lontano... sta lontano. Ti prego."
Il muso del coniglio era ormai a qualche centimetro dal piede sinistro della studentessa quando due mani braccarono la bianca creatura.
"Ecco qua! Ti ho preso finalmente Mr. Pinky" poi guardando la terrorizzata amica: "Non sapevo che i conigli potessero fare un simile verso. Scusami. Te come stai?"
L'amica non rispose: era come traumatizzata, seduta in un angolo a continuare a ripetere il nome di una ragazza che Claire non conosceva: "Margara May, Margara May, Margara May...".

L'indomani la situazione sembrava essere ritornata, almeno parzialmente, alla normalità; Susanne pareva aver recuperato il senno e il coniglio sembrava sufficientemente calmo, come al suo solito, seduto sul tavolo a nutrirsi di carote e lattuga sotto lo sguardo divertito di Claire; quest'ultima, d'altro canto, voleva evitare d'introdurre l'argomento: “Cos'è successo ieri notte?” e, quindi, la colazione stava tranquillamente passando come il solito tran tran pareva aver imposto.
Alle sette del mattino, come suo solito, passò il postino a consegnare a Susanne il giornale nazionale a cui s'era abbonata già prima di partire; lo sfogliò rapidamente notando le solite notizie da quotidiano: politica, esteri, economia, sport e meteo. Niente di estremamente importante o degno di nota; lo stava per buttare nell'angolo della poltrona quando Mr. Pinky volle fare l'ennesima bravata della giornata saltando sopra la carta riciclata delle pagine della cronaca.
“Sento di aver bisogno di una pentola per cucinare carne fresca di coniglio! Ne vuoi anche tu un poco?” chiese con ironia Feboulue alla sua amica.
Invece però di risponderle Susanne guardava terrorizzata le foto di quello che aveva sotto gli occhi. Claire prese da terra il giornale e iniziò a leggere il titolo: “Trovata ragazza morta ai limiti delle grotte di Mangrodone.”
“Leggi cosa dice l'articolo...” la incitò a proseguire l'amica che sentiva le lacrime salirle verso le proprie iridi.
L'altra ubbidì: “Mentre il cinquantenne Mark Serving si avviava a fare la sua quotidiana battuta di caccia, grazie all'utilizzo dei suoi fedeli segugi, si è imbattuto per puro caso nel corpo di una giovane ragazza sui ventitre anni. La ragazza sembra aver subito lesioni e brutali sevizie su tutto il corpo, quali l'amputazione di tutti gli altri e della testa, che l'hanno portata alla repentina morte, non da escludere la possibilità di una violenza. La polizia di tutto lo stato si è già appostata per tappezzare l'intera foresta e osservare, tramite l'aiuto di alcuni geologi, l'ingresso delle caverne di Mondregone; purtroppo, come già detto dall'ingegnere Keith Seminna, se l'assassino si nascondesse nelle grotte, sarebbe difficile ritrovarlo essendo il mare di cunicoli un vero e proprio labirinto. Mark Serving ha dichiarato di non sapere nulla a riguardo della vittima mentre i poliziotti grazie ad un analisi delle impronte digitali rivenute sugli arti mozzati sono riusciti a giungere al nome di Margara May, la famiglia di quest'ultima è già stata avvertita.”
Le due amiche si guardarono negli occhi leggendo nell'altra la stessa paura che loro stesse provavano.

La strada da casa all'università fu più rapida di quanto si aspettassero.
“Ma com'è possibile secondo te che conoscessi questo nome prima del tempo?”
“Potrebbe trattarsi banalmente di una coincidenza, magari avevi un'amica con un nome simile.”
“Ma è lo stesso abbastanza agghiacciante non pensi?”
“Mai come il tuo comportamento di ieri notte: sembravi impazzita.”
“Non mi ricordo più niente di ciò ch'è accaduto ieri, perché cos'è successo?”
“Meglio evitare! Oh... guarda c'è Paul!”
Paul McTellar era uno dei primi ragazzi che Claire aveva conosciuto ed era evidente che fra i due ci fosse del tenero; questo era chiaro sia a Susanne che agli amici di Paul che se la ridevano a pochi metri da loro, assistendo alla scena.
“Ciao ragazze! Come va?” esordì il ragazzo.
“Tutto bene, grazie Paul.” minimizzò con un sorriso leggermente forzato Susanne.
“Pensate di venire alla festa organizzata a casa di Mark questa sera?” chiese con occhi speranzosi il buon giovane.
“C'è una festa? Ma certo!” rispose con allegria Claire: “A che ora inizia?”
“Se vuoi ti posso passare a prendere. Sarei lì per le nove e mezza.” rispose con tono ammaliante.
“Allora ti aspetto.” disse salutandolo con il solo movimento delle dita.
“Ci conto!” fu l'ultima parola mentre si allontanava con i suoi amici che si congratulavano con lui per il successo appena ottenuto.
Susanne era leggermente perplessa; la avevano completamente ignorata: “E io?”
Come svegliata improvvisamente da un sogno Claire si ricordò dell'amica: “Eh? Oh... scusa! Se vuoi corro subito a chiamare Paul e dirgli che anche tu hai bisogno di un passaggio. Non so cosa mi è preso!”
“So io perfettamente cosa ti ha preso... comunque lascia perdere. Con quest'incubo continuo credo che non mi godrei appieno la serata e poi... potrei esserti d'impiccio.” ammiccò con una certa malizia.
“Ma non dire sciocchezze! Dai che ti svaghi un po'. Questa storia di Margara May e del coniglio ti sta veramente stressando. Vieni anche tu, su!” la incoraggiò.
“Preferisco di no... ma... dovrò stare da sola con quell'animale terribile?” domandò con uno sguardo semi terrorizzato Susanne.
“Ma che vuoi che ti faccia?!? E' solo un coniglio! Comunque d'accordo; per stasera riposati, ma la prossima volta non accetterò un no come risposta.”
“Va bene. Ma ora andiamo a lezione che probabilmente siamo già in ritardo.” la ammonì.
“Hai ragione, sono già le otto e mezza. Di corsa!”
E con una breve corsetta raggiunsero la loro università.

Quella sera a casa delle due ragazze c'era il solito show da donne pre-festa: quale vestito mettere? Queste scarpe come mi stanno? Questa gonna s'intona con la maglietta? Argh... ma guarda che capelli che ho!? Ma dov'è finito il mascara? Susanne, libera il bagno che serve a me! Che profumo è meglio, questo o quello? Ma perché questa dannata lente a contatto non vuole entrare? Nella borsetta c'è tutto? I fazzoletti li ho già presi oppure no? Secondo te questi orecchini sono troppo grandi? Ma guarda! Questo vestito mi fa sembrare grassa!
Alle nove e trentadue il campanello, come promesso, squillò.
“Oh mio Dio! E' Paul! Che devo fare? Aiuto!” reagì agitata al dindon tanto aspettato.
“Sta calma amore! E' solo una festa... respira e va con calma.” la tranquillizzò l'amica.
Claire fece un lungo sospiro e cercò di ritornare in se, poi guardò la coinquilina con occhi speranzosi: “Dai! Vieni anche tu; conoscerai tantissima gente. Ti divertirai e magari troverai anche qualche bel ragazzo.”
“No no... proprio non me la sento. Scusami.” scosse la testa in segno negativo.
“Uffa. Comunque se ti venisse voglia o hai bisogno di me telefonami pure sul cellulare. Non ti fare scrupoli. Ok?”
“Si, certo! Ora va che il bel Paul ti sta aspettando!”
“La festa è da Mark, in via delle rose numero ventitre. Se vuoi raggiungerci con il settantasei non dovresti avere problemi a trovare il party.” insisté per l'ultima volta.
“Ho capito. Se avrò voglia vi raggiungerò... ora va!” disse leggermente spazientita.
“Ok, un bacio!”
Si scambiarono due baci sulle guance e, finalmente, Claire uscì dall'appartamento.
“Uff... non se ne andava più. Vero Mr Pinky?” chiese retoricamente al coniglietto che girava, in quel mentre, liberamente fuori dalla sua gabbietta.
L'animale si grattò un'orecchia con la zampetta e si diresse in cucina.

Alle dieci e mezza di sera la ragazza, in compagnia del coniglio con cui lentamente stava iniziando a convivere, dopo aver constatato che lo studio per l'indomani era già stato compiuto, che in televisione oltre a degli squallidi reality show e ad un vecchio western, non c'era niente e che il sonno pareva estremamente lontano, iniziò a pentirsi di non aver accettato l'invito dell'amica.
Cosa fare? Tenersi il proprio orgoglio di persona che mantiene ferree le sue convinzioni e rimanere a casa ad annoiarsi o prendere coraggio, impugnare la cornetta del telefonino e provare a raggiungere l'amica?
“Te cosa pensi che debba fare?” chiese al peloso coinquilino che sedeva vicino a lei: “Vado o non vado?”
Il coniglio saltò in braccio a lei e con il muso fece uscire dal taschino dei jeans della ragazza il suo cellulare.
“Ok, decisione presa. Sai che sembri quasi umano certe volte?” esclamò emettendo una risatina ironica fra se e se.
Compilò con rapidità il numero e iniziò ad aspettare che il cellulare smettesse di tubare lasciando posto alla femminile voce della sua amica.
Ciò non successe; rispose invece la monotona voce della rete telefonica a cui l'altra era abbonata: “Il numero da lei chiamato potrebbe essere spento e irraggiungibile. Se volete potete...” Click! Pose fine alla chiamata.
“Se ti venisse voglia o hai bisogno di me telefonami pure sul cellulare” cercò di canzonare la voce di Claire: “Maledetta. Comunque la decisione è presa e non mi tirerò indietro; mi preparerò in quattro e quattr'otto e grazie al bus sarò lì in un battibaleno. Forza con la scelta degli abiti e con il trucco!”
Nel giro di dieci minuti la ragazza si sentiva pronta ad uscire; ma prima forse era meglio sentire anche il parere del più grande esperto d'estetica presente in quel momento in quel mentre: “Allora Mr. Pinky come mi sta?”
Il coniglio si grattò ancora una volta l'orecchia sinistra con la zampetta: “Lo prenderò per un “Bene”. Grazie!” .
Chiuse l'animale nella sua gabbietta e quindi, nascondendo il vestito elegante e attillato sotto una giacca, si diresse a prendere il bus numero settantasei.

Dopo circa venti minuti di viaggio finalmente anche Susanne giunse in via delle rose; sapeva solo dai film com'erano quelle feste: un numero impressionante di ragazzi e ragazze, un casino di musica di vario genere, fiumi di alcool e superalcolici, creazione costante di nuove coppiette e infami litigi da rottura di rapporto, le stanze superiori riservate per azioni leggermente più intime e così via: sarebbe stata una figata, lo sapeva!
Prima d'iniziare a cercare la casa provò a fare un altro tentativo col cellulare per contattare l'amica: anche stavolta suonò a vuoto; niente da fare, doveva cercare il numero ventitre da sola.
La ragazza iniziò così ad osservare i vari numeri civici delle case che componevano la via: “Ventisei, devo attraversare la strada... perfetto! Ventisette, venticinque, ventitre... dovrebbe essere qua... strano.”
Non c'era alcun segno di alcuna festa, nessun individuo che gridava a squarciagola, nessuna bottiglia di vodka dimenticata su di una finestra, nessuna musica sparata a palla... era una casa lasciata alla sua banale normalità di luci spente e tende tirate come si confaceva all'orario notturno.
Susanne si avvicinò al campanello; esitò per qualche secondo e quindi premette lo stesso il pulsante: un sonoro DONG risuonò nel silenzio della notte.
Attese per qualche secondo non sapendo se rimanere o andarsene via di soppiatto, quando un signore quarantenne visibilmente assonnato le aprì la porta esordendo con un ampio sbadiglio.
“Chi sei ragazza?” le chiese leggermente scocciato l'uomo.
“Oh...” sobbalzò l'altra: “Mi chiamo Susanne Brandot. Stavo cercando Mark... ma evidentemente ho sbagliato casa... mi scu...”
“Mark attualmente non è in casa. E' uscito con alcuni suoi amici per andare da qualche parte; dubito che lo troverai prima di domani. Avevi qualche appuntamento con mio figlio? Se vuoi posso lasciare un messaggio per te.” cercò di essere comprensivo.
“Oh... no... mi scusi, ma evidentemente ho frainteso io qualcosa. Le chiedo scusa per averla svegliata.” rispose agitata la ragazza.
“Ti conviene tornare a casa. Vuoi che ti chiami un taxi?”
“No no... la ringrazio tantissimo. Prenderò un bus, buona notte! Mi scusi ancora.”
“Buona notte anche a lei.”; il padre di Mark chiuse la porta lasciando Susanne da sola sul vialetto della casa del suo compagno di università.
Non sapendo bene cosa fare la ragazza tentò ancora una volta di chiamare la propria amica... invano.
Iniziava a preoccuparsi; la festa non c'era, Claire era introvabile, era notte e gli incubi di quelle ultime nottate non erano dei buoni presagi di quello che stava accadendo.
“Cosa può andarmi peggio?” mormorò fra se e se.
La risposta alla sua domanda venne praticamente sull'immediato quando uno squittio la fece trasalire e alzando lo sguardo si ritrovò due occhi rossi che la stavano osservando.
Mr. Pinky torreggiava di fronte a lei posizionato sopra al grigio marciapiede: si grattò ancora una volta il padiglione auricolare.

Susanne s'era domandata più volte perché e, soprattutto, come quella bestia fosse giunta sin lì, ma, vista l'impossibilità di poter comunicare con gli animali, aveva deciso di prenderlo, di riportarlo a casa il prima possibile e di dimenticare al più presto quella brutta serata con la certezza che l'indomani Claire sarebbe tornata... o almeno così sperava.
Fece, quindi, qualche passo avanti per raccogliere il coniglio ma quello scattò improvvisamente verso destra cominciando a correre verso il fondo della via.
“Ma dove vai?” gli chiese retorica la ragazza che non aveva intenzione di fare un inseguimento nel cuore della notte.
Mr. Pinky si fermò ad una decina di metri, come se la stesse aspettando; Susanne sbuffò e riprovò a prendere il coniglio, stessa storia: il coniglio fece una corsetta in avanti come se volesse essere seguito in qualche luogo.
“Guarda che non ho alcuna voglia di seguirti come una moderna Alice. Sono stanca e delusa e l'unica cosa che desidero è il mio letto. Buona notte!” disse perentoria, poi sbottò: “Ma guarda se mi tocca parlare con un coniglio! Sono veramente distrutta.”
La ragazza fece per andare verso la fermata del bus quando il grido spaccaossa che l'aveva scioccata la sera precedente si ripresentò con tutta la sua violenza; stavolta, non stordita dall'incubo, la ragazza si portò le mani alle orecchie e individuò la fonte di quel suonaccio in quella tenera creatura.
“Va bene, va bene! Ti seguo fino a dove vuoi portarmi, ma smettila con questo terribile gemito”; come se avesse capito ciò che la ragazza volesse dire l'animale si zittii e cominciò ad incamminarsi verso est.

Stavano camminando ormai da due ore e, in quella lunga passeggiata, avevano passato tutto il vecchio quartiere francese ed erano entrate nella vecchia foresta del faggio trasformata per l'occasione del centenario della città in un parco per anziani.
La scarsa quantità di gente che frequentavano il luogo e le brutte storie di violenze che circolavano fra la gente avevano, però, reso il posto un tetro ricettacolo di rovi e arbusti ove solo alcuni drogati e barboni cercavano rifugio.
Nonostante l'incuria del posto una strada non asfaltata che giungeva al gazebo abbandonato del parco era stata comunque mantenuta e, proprio alla fine di essa, risiedeva una grossa auto nera: Susanne la riconobbe subito; era quella con cui Paul era venuto a prendere l'amica.
Un freddo brivido percorse la schiena della ragazza; se prima il timore che qualcosa di grave fosse accaduto, ora questa paura si mutava in certezza: avrebbe dovuto immaginarlo, Paul non le era mai sembrato un buon ragazzo e i suoi amici erano anche peggio.
Maledizione, non doveva lasciare Claire da sola; era stata imprudente ma ora non lo sarebbe stato ulteriormente.
L'universitaria impugnò il cellulare e digitò, sotto gli occhi impazienti del coniglio, il numero d'emergenza della polizia nella speranza che non giungessero troppo tardi.
Il telefono suonò a vuoto; il led dello schermo sentenziò che lì non c'era campo e che quindi chiamare aiuto era impossibile.
“Scusami Mr.Pinky, ma dovrò tornare indietro un poco per cercare aiuto e...”; il bianco mammifero non le diede possibilità di concludere la frase perché emise di nuovo il lungo grido di terrore che tanto faceva soffrire i timpani e il senno dell'umana.
“Ok, ok... va bene! Scusa...” senza ulteriori commenti Mr Pinky si gettò all'interno di un sentiero che fiancheggiava l'auto; si notava che qualcuno era già passato di lì in quanto arbusti e rovi erano stati spezzati o tagliati di netto.
Il cammino quindi non si rivelò così complesso come l'oscuro bosco, ricolmo di uccelli notturni e falene, sembrava presagire; nel giro di dieci minuti la bianca creatura l'aveva portata all'ingresso di un'ampia grotta.
“Ma queste sono le grotte di Mondregone.” si sentì gelare il sangue: “Devo entrarci?” chiese preoccupata alla sua pelosa guida.
Quest'ultima non rispose avendo appena incontrato sull'ingresso una bella coniglietta dal pelo bianco e dagli occhi rossi.
“Ti sembra il caso di filtrare con quella coniglietta mentre la tua padrona rischia la vita? Indicami subito la strada!” disse leggermente alterata l'unica umana di quel trio.
I due conigli alzarono lo sguardo verso la ragazza, si grattarono una propria orecchia e quindi si avviarono saltellando all'interno della caverna.
“Ehy... aspettatemi!” gridò la poveretta incespicando su alcune rocce un po' troppo spigolose.

I conigli si avviarono sicuri in una precisa direzione anche se per Susanne quella via era l'unica percorribile in quanto, mentre il sentiero percorso in quel labirinto di rocce, cunicoli e stalagmiti, era leggermente illuminato da candele o torce improvvisate, il resto della caverna era preda dell'oscurità. Avventurarsi in altre parti di quell'intrigo di pietre sarebbe stato sicuramente sinonimo di morte.
L'universitaria continuava a tremare anche se non sapeva se lo faceva più per paura o per la fredda umidità che impregnava le rocce di quel luogo sotterraneo; l'esplorazione del posto si alternava fra l'affascinante panorama di gigantesche volte illuminate solo da qualche fioco lume e la presenza di orridi e abnormi ammassi di pietre che dominavano su piccoli laghetti sotterranei ove creature, forse preistoriche, nuotavano placidamente.
Solo un tratto fu parecchio angosciante per la fanciulla, ovvero quando dovettero passare attraverso un cunicolo ove l'illuminazione era completamente assente; l'unica possibilità per proseguire era farsi forza affidandosi ai rimanenti quattro sensi: il freddo contatto della pietra con i palmi delle mani, il silenzioso e rassicurante squittire delle sue due guide che forse parlavano fra loro, l'acro odore delle muffe sotterranee che cercavano disperatamente acqua e luce, l'aspro sapore dell'acqua marmorea che talvolta cadeva sulle labbra.
Con questi aiuti sensitivi la ragazza riuscì, finalmente, ad uscire da quell'antro oscuro penetrando in una parte della grotta estremamente illuminata di color rosso.
Se il pezzo nell'oscurità era stato angosciante, quello che vedeva in quel luogo stracolmo di luce era semplicemente agghiacciante: l'intera volta in cui si trovava era illuminata da dei fari che emettevano luci rosse su tutte le pareti generando, fra le stallatiti e le stalagmiti strani e infernali giochi di luce, le aguzze punte sembravano corna demoniache che sovrastavano con violenta accondiscendenza sull'abominevole rito che si stava svolgendo sulla base di quel luogo.

Al centro del cupolone sotterraneo si ergeva un pinnacolo con su in cima un altare in roccia con sopra scritte runiche e numeri arabi, a guardia della struttura erano presenti delle torce che illuminavano il luogo; attorno a quest'altare sette uomini, vestiti con tuniche violacee con rifiniture dorate, intonavano strani inni in un linguaggio dimenticato.
Sopra all'altare, visibilmente priva di sensi, forse drogata, e con addosso anch'essa lo stesso abito violaceo dei predicatori stava, sdraiata, Claire.
La monotona nenia continuava in un sinusoidale andirivieni di cambi di tono mutando dal lento predicare al veloce interloquire, dal basso grido di una parola all'acuto sillabare di un “gloria”: i sette personaggi continuavano a girare in tondo portando le proprie mani, freneticamente, in alto e in basso, a destra e a sinistra in una strana estasi che rendeva i loro visi quasi violacei come l'abito che indossavano.
Il forte odore d'incenso e l'acro odore del fumo avevano contribuito a rendere quel luogo più soffocante di quello che già era; solo l'odore salmastro di un ruscelletto che scorreva in quel luogo rendeva il tutto più naturale.
Susanne era rimasta incantata e scioccata da quello che vedeva finché riuscì, sforzando la vista, a riconoscere il viso di Paul e dei suoi amici; c'era fra gli emissari del rito anche una ragazza ma non era riuscita a riconoscere chi fosse.
A causa del fatto che i sette erano troppo concentrati dalle loro ossessive preghiere e che s'era riparata dietro ad una delle numerose stalagmiti del luogo, Susanne era riuscita a non farsi notare aspettando il momento più opportuno per correre in soccorso dell'amica.
Questo attimo però sembrava non giungere mai e il tempo passava in una tensione terribile che portava la ragazza a mangiarsi tutte le unghie per evitare di cadere nel baratro del terrore.
Improvvisamente gli incappucciati fecero un grido unanime “ASHALAM” e estrassero ognuno dalla manica della loro tunica una lunga sciabola rifinita d'oro su cui erano incise sopra delle scritte, stavolta in inglese... la lontananza dall'arma impediva però all'universitaria di poter leggere cosa ci fosse scritto sopra.
L'unico esponente femminile dei sette disse qualche parola in quello strano aramaico e quindi, imitato dai compagni, si avvicinò alla vittima alzando in aria il coltellaccio; proprio in quel momento, in uno sguardo ricolmo di paura, Claire riaprì gli occhi.
In un istante successivo tutti gli arti della ragazza furono recisi di netto da dei precisi colpi di spada: dal basso dell'antro una strana luce rossa si alzò con ira invadendo tutta la grotta con un emissione simile a quella del Sole al tramonto; Susanne ne venne abbagliata.
Subito dopo la ragazza recisa emise un lunghissimo e acutissimo urlo di dolore che sembrò far aumentare l'intensità del rosso che riverberava nella stanza; l'amica si tappò le orecchie e gridò con tutto il fiato le uniche parole che le sembravano utili in quel momento: “Fermatevi, vi prego... fermatevi!”
Si alzò di scatto dal suo posto e fece per raggiungere l'amica che sanguinava copiosamente sull'altare; le lacrime gli formavano un nodo alla gola che le impediva di urlare ulteriormente.
Il dolore fu vano perché Paul alzò il machete e con un colpo netto decapitò l'amica; mentre la testa di Claire cadeva lentamente a terra, gli occhi di Brandot si sgranarono e la gola si liberò completamente da tutto il blocco che la paura e l'impressione le avevano procurato.
Un agghiacciante e profondissimo urlo di schifo, terrore, odio e dolore divampò dalle corde vocali dell'amica facendo rimbombare le varie stallatiti che osservavano silenziose in un perentorio assenso; i sette carnefici ammirarono indifferenti alla scena. L'universitaria corse a cogliere da terra la testa dell'amica ma si fermò a pochi centimetri, bloccata dall'istintuale disgusto per il sangue altrui.

Susanne guardò disperata per qualche secondo il viso inorridito, stravolto e senza anima dell'amica dimenticandosi del luogo, delle persone e dei motivi che l'avevano portata lì; non capiva perché stesse succedendo ciò, l'unica cosa che vedeva chiaramente era la morte violenta di una persona a cui aveva voluto bene e il suo cervello non riusciva a concentrarsi su nient'altro che questo.
Un leggero colpo di tosse le fece girare la testa e, girandosi con uno sguardo da vendicatrice disperata, squadrò l'intero gruppo di omicidi che aveva trucidato così violentemente l'amica che la ricambiarono con un freddo colpo d'occhi tipico dell'assassino che sa che quello che ha fatto è stato compiuto per un motivo preciso.
Questo motivo la ragazza voleva saperlo; non era possibile che una così bella e buona persona come Claire morisse senza alcuno scopo... si prese qualche secondo, mandò giù un po' di saliva e poi mormorò in un rantolo di dolore: “Perché l'avete fatto?”
I sei maschi presenti, senza risposta, voltarono la schiena e a andarono a pregare attorno all'altare che grondava del sangue del cadavere che ancora giaceva su di esso; la ragazza, invece, mise via il pugnale e sfidò gli occhi dell'intrusa con un'altra domanda: “Perché sei qua?”
L'altra non demorse e ripeté, questa volta con rabbia, la sua questione: “Perché l'avete fatto?”
La donna sospirò come se la risposta fosse ovvia e l'avesse ripetuta ormai decina di volte, alzò le mani al cielo: “Le anime dell'Universo, gli spiriti del corpo, le angosce dei sogni, le speranze dell'alba sono tutte condanne che il cielo, il signore, Dio ci ha promulgato in una serie di dolori in un'agonizzante ricerca della passione e della felicità. Ma questa felicità che cos'è se non una terribile condanna a cui siamo tutti predestinati? C'è stato forse solo un momento decisivo in cui il destino dell'anima dell'uomo è stata decisa ed è stata scritta: alla Creazione.
Dio si palesò nell'Universo, creò il Sole e la Luna e gli Angeli poterono assistere per la prima volta al potere e alla verità dell'Altissimo e ciò che notarono alla maggior parte di essi non piacque; molti delle celestiali creature caddero, distolsero lo sguardo inorridite, bestemmiarono il nome di Dio rendendosi conto che la loro esistenza e il loro essere era non solo privo di scopo ma anche senza la vitale speranza che contrassegnava il regno dei Cieli.
Il loro grido prese corpo nella seconda più grande essenza del cielo e dello spirito: il portatore di luce, il Lucifero che raccolse l'alta arma del riscatto contro Dio e decise di combattere non per la felicità, non per la gioia, non per la volontà ma per la libertà e il desiderio di non essere sottomesso all'oscuro destino di eterna soggezione ad un altra Essenza. Fu guerra e le mannaie del Signore si abbatterono con tutta la sua violenza provocando, non morti fra gli immortali, ma Inferno e Purgatorio sulla neonata Terra.
Ma cosa accade, in tal modo, se non che l'intero Paradiso era completamente svanito, dilaniato e distrutto, dall'essenza della salvezza divina, privo di anime e Angeli? Dio osservò attorno e notò che, in confronto al numero di Angeli che prima sussistevano, era solo. Prese della Terra e così creò l'uomo: gli diede la disperazione affinché potesse soffrire e richiedere l'aiuto di Dio, gli consegnò la morte affinché si potesse comandare e sottomettere più facilmente, lo condannò al desiderio affinché potesse essere sempre legato ad un filo che non conducesse dalla libertà.
La nostra presenza sussiste per liberare l'anima delle persone da Dio, per togliere la disperazione dallo spirito dei corpi, per strappare il desiderio dalle carni degli individui e fare in modo che Satana risalga in un corpo per poter ribadire con la sua giustizia un nuovo conflitto contro il Signore ove, finalmente, possa uscirne vincitore!”.
La ragazza aveva ascoltato con attenzione questo astruso e pazzesco monologo, incapace di scappare, ed era rimasta quasi senza parole: “Ma... ma voi siete completamente pazzi! FOLLI!!! Chi vi dà il diritto di poter gestire la vita delle altre persone?”
“Lui!” fece segno la ragazza indicando una stella rovesciata disegnata di rosso su una parete della grotta.
Susanne rabbrividì a vedere tale simbolo, chiuse gli occhi inorridita e poi si ripeté con forza di correre via con tutta la forza che aveva in corpo; doveva fuggire al più presto da quel covo di pazzi omicidi, doveva scappare al più presto!
Cercò di scattare via ma le sue gambe, intorpidite dalla sensazione che l'inevitabile stava per accadere, non rispettarono i suoi voleri. Cadde per terra.
Nel frattempo i sei ragazzi avevano smesso di pregare, si erano messi in circolo attorno a lei e avevano iniziare a emettere una strana canzone che continuava ad aumentare di velocità in un mescolamento di note, suoni e grida... Susanne distesa per terra, invasa da quei suoni onirici e demoniaci, perse completamente i sensi.

Numeri rosso sangue, parole senza significato, simboli esotericamente dimenticati volarono nelle ombre del nero salone ove si trovava come terribili grida che squarciavano il velo del silenzio, ma i suoni e i rumori non sussistevano, non apparivano, non si captavano... solo la parte visiva era presente e stagnante con opprimente presenza.
Poi l'immagine di un giardino e di un albero con sopra dei fiori violacei, non riusciva ad avvinarsi ma la sensazione che fossero tulipani le riempiva il cuore: essi erano sbocciati con forza come se avessero dovuto lottare contro la stessa esistenza dell'arbusto.
Poi lo intuì: erano parassiti dell'anima della pianta e aspiravano con forza le speranze che esso creava dall'acquisizione della vita della Terra; poi in lontananza si avvicinò lenta ma inevitabile la tempesta di numeri e parole a cui era sfuggita anzi tempo.
In pochi minuti furono fulmini matematici e tempeste letterarie e sulla verde radura si scatenarono gocce di cifre, inondazioni di assonanze, scrosci di accenti in un mare di metafore e citazioni che avvolsero l'essere con la ragione dei calcoli e delle parole.
Piovve per ore, forse giorni e poi silenziosamente il diluvio si fermò sostituendosi ad un Sole caldo, alto e rosso; ma esso chiuse la palpebra e si palesò l'occhio del demonio che guardava la Terra inondata dalla ragione.
Crollò sulla terra e immerse col suo sangue demoniaco tutta l'essenza che si era formato in quei giorni.

Susanne Brandot si svegliò dal suo sonno urlando a squarciagola; era completamente sudata e il respiro le mancava completamente. Ma stavolta non era nella sua camera, era in una grotta, circondata da sette uomini che le avevano appena tagliato braccia e gamba in una sequela di cori e nenie privi di alcun senso.
La ragazza ruotò in giro la testa alla ricerca di un qualsiasi aiuto conscia perfettamente che quella era la più orribile realtà in cui poteva trovarsi: alla sua destra c'erano solo il muto osservare delle alte colonne calcaree, alla sinistra la scena era molto simile ad eccezione di tre creaturine bianche dagli occhi rossi che si grattavano le orecchie.
“Ma non erano due?”, con quel pensiero la sciabola con su scritto: “Freedom is truth”si avventò sul collo della ragazza tranciandolo in pochi istanti.
Le ultime cose che vide furono il corpo che rimaneva sul tavolo mentre il peso della testa faceva girare il viso verso il soffitto.
Poi solo il nero della morte.

“Ehy... ehy Susanne! Sveglia! Sveglia!!!”una voce conosciuta la chiamava ripetutamente ordinandole di aprire gli occhi; lei eseguì il comando ubbidientemente.
“Ah!” fece un salto all'indietro vedendo accanto a se tre conigli giganti che la osservavano accanto a lei: “Dei conigli giganti! Ma dove sono finita?”
“Quei cretini della “Setta per l'invocazione di Satana” hanno sbagliato ancora una volta; invece di evocare l'essere demoniaco hanno evocato un coniglio e in esso hanno incastrato la tua anima.”
“Eh?” la guardò stupita continuando a non capire; poi si osservò le mani e notò che esse non sussistevano più, al loro posto c'erano delle tenere bianche e pelose zampette di coniglio.
La nuova coniglietta guardò con uno sguardo terrorizzato i suoi tre amici pelosi e poi fece un grido di paura: “No... non è possibile! Ma allora cosa possiamo fare?”
Mr. Pinky, uno dei tre conigli, si avvicinò e le porse ciò che aveva portato con se: “Carota?”.

  
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