In
bianco e nero
“La paura gli stava dentro come un cane arrabbiato: guaiva,
ansava, sbavava,
improvvisamente
urlava nel suo sonno;
e mordeva,
dentro mordeva, nel fegato e nel cuore.”
(Sciascia L., “Il giorno
della civetta”)
8. Fantasmi tra le vie di Beika
Quando
la macchina si fermò, la pioggia aveva appena smesso di cadere. Non mancava
molto alle prime luci dell'alba: un nuovo giorno stava per stagliarsi
all'orizzonte. Quelle dodici ore si prospettavano impegnative e lontane da
alcune distrazione, ma forse non tanto deludenti. Vodka aveva compiuto il suo
dovere, stava per portare al suo capo l'uomo che gli aveva chiesto e sarebbe
rimasto lì, in attesa di ordini che sapeva sarebbero ben presto arrivati. Gin
era sembrato fin da subito interessato a quella storia, e aveva già un piano di
cui Vodka ignorava ancora persino i presupposti. Anzi no, qualcosa sapeva,
pensò girandosi a guardare il ragazzo che, privo di sensi, era steso sui sedili
posteriori della macchina, i vestiti ancora fradici e gli occhi chiusi in
quello che, pur ben lungi dall'esserlo, sembrava un dolce sonno ristoratore. I
lineamenti di quel giovane erano piccoli e graziosi, sembrava una colombina
dalle piume bagnate e pesanti che le impediscono di volare senza intralcio
alcuno: Vodka si chiese che cosa avrebbe potuto farsene il capo. Il viso gli
faceva ricordare quello di un bambino, ed proprio quello che l'attore sembrava:
un bambino un po' troppo alto per la sua età. Davvero era un assassino? Davvero
era lui ad aver compiuto quell'omicidio all'Haido City Hotel? E come avrebbe
potuto lui portarli a Shinichi Kudo, che cosa poteva saperne quella figurina
sperduta, che aveva tentato appena un'ora prima di togliersi di dosso una vita
che gli pesava troppo? Vodka si girò di nuovo, sospirando e fissando oltre il
parabrezza il buio rischiarato della fine della notte. Si sentiva fiero di se
stesso per aver assolto al suo compito in così poco tempo; non considerava che,
dopo aver vagato a caso per la città senza alcun successo, aveva contattato
Gin, il quale gli aveva suggerito di ritornare su quel ponte da dove tutto era
partito. Vodka non aveva fatto altre domande, sapeva che quella del suo capo
era un'intuizione e che le intuizioni di Gin difficilmente facevano cilecca. E
così Vodka, in assenza di alternative migliori e intuizioni proprie, si era
recato lì ed era rimasto in attesa: proprio quando stava per perdere ogni
speranza, quel ragazzo si era materializzato accanto a lui. Non era stato
difficile portarlo con sé.
Si
guardò intorno, osservando il luogo in cui Gin gli aveva detto di recarsi. In
quel distributore di benzina ormai dismesso non c'era davvero anima viva. Un
vecchio lampione incrostato di ragnatele funzionava ancora, probabilmente per
grazia divina, e illuminava appena i dintorni. L'insegna scolorita dal tempo
avrebbe forse colpito un animo sensibile con il ricordo di tutte le persone che
lì avevano lavorato, e di tutte le vite che vi erano transitate tra un
rifornimento e l'altro: la macchina di chi era di fretta e doveva presto
raggiungere i colleghi ad un'importante riunione, e imprecava contro quel
dannato aggeggio che non accettava la carta di credito; quella più piccola e modesta
della ragazza appena patentata che accompagnava a casa l'amica e, traballando
sui tacchi, cercava incerta il tubo giusto per ricaricare l'auto del carburante
adatto; quella della famiglia che stava partendo per le vacanze, i bambini che,
elettrizzati sui sedili posteriori, cantavano a squarciagola la canzone del
loro cartone animato preferito, e la moglie che storceva il naso al fastidioso
odore della benzina; e infine quella della famiglia che stava rientrando dalle
ferie, i bambini addormentati in silenzio e la moglie ancora lì, a storcere il
naso per l'odore del carburante.
Ma
a Vodka non era stato fatto il dono della sensibilità, e quell'insegna non gli
portava alla mente e al cuore assolutamente niente. Lui, uomo di pancia e non
di spirito, sentiva solo il disperato bisogno di dover andare al bagno, e
quella scritta poco più avanti che diceva con lettere poco chiare aperto 24
ore su 24 gli faceva saltare i nervi.
“Aperto
ventiquattro ore su ventiquattro? Col cavolo.” bisbigliò irritato. E poi, tamburellando
con le dita sul volante per il nervosismo, rincarò la dose: “Che posto di
merda.”
I
raggi del sole cominciarono a filtrare attraverso il cielo ed esattamente
allora, quasi per una strana coincidenza, le luci della città si spensero. Il
vecchio lampione incrostato non fece eccezione. Vodka sbadigliò, e fu allora
che sentì il borbottare conoscente di un motore. Quella era la macchina di Gin,
ne avrebbe riconosciuto il suono tra mille: era sua compagna di avventure da
molto tempo, e spesso si era ritrovata a guidarla quando il suo capo aveva
desiderato completa libertà di movimento e azione. La Porsche si accostò a lui,
ed entrambi abbassarono i finestrini. Potevano parlarsi agevolmente, dato che
la macchina che portava Vodka era in tipico stile giapponese, con la guida a
destra, mentre quella di Gin riservava al guidatore il posto di sinistra.
Nessuno dei due si girò a guardare l'altro: parlarono e basta.
“Passata
una bella nottata?” chiese Gin, col suo solito tono tranquillo e una punta di
sarcasmo.
“Non
fosse stato per la pioggia, sarebbe stata una notte perfetta, capo.”
Vodka
gli lanciò un'occhiata di sbieco: i vestiti e i capelli di Gin erano
perfettamente asciutti. Dove era stato in tutto quel tempo, da quando si erano
salutati in quello scantinato fino ad ora? I suoi abiti portavano ancora i
segni di quella notte frastornante, mentre quelli di Gin erano lindi e puliti
e, non fosse stato per l'odore di tutte quelle sigarette fumate che li
impregnava, si sarebbero detti appena usciti da una lavanderia.
“Hai
fatto in fretta, vedo.”
“Sì,
capo. Era sul quel ponte, proprio come..”
“..proprio
come ti avevo detto.” concluse Gin, ponendo fine a quella parte del discorso.
Vodka non seppe se annuire o dire qualcosa, e alla fine tacque per non
sbagliare. Sapeva che Gin non amava le affermazioni superflue. Un leggero alito
di vento sibilò attorno a loro, mentre le stelle si spegnevano lentamente nel
cielo.
“Dov'è
lui?”
“Chi?”
chiese Vodka, come colto alla sprovvista. La sua mente, per quanto rifornita,
cominciava a sentire i segni della stanchezza, che si manifestavano come
mancanza di attenzione e nervosismo.
“Che
domande sono? Il nostro attore da quattro soldi.”
Gin
era seccato, si notava chiaramente. Vodka cercò di concentrarsi.
“Oh,
si certo, io..”
“Ti
ho chiesto dov'è.”
“Sul
sedile posteriore.” rispose, per poi aggiungere, con un'espressione da duro e
la voce tendente al beffardo: “Dorme con un angioletto.”
Fu
allora che Gin si girò. Fece voltare lentamente il suo viso, mentre i suoi
occhi degnavano appena Vodka per soffermarsi sul finestrino della portiera
posteriore. Quando vide quel corpo disteso immobile, privo di sensi e inerme,
le ciglia si aprirono, schiudendo due iridi feline e determinate. Le labbra si
piegarono in un sorriso sadico, sfigurando quel viso fino ad allora così calmo.
Vodka sentì un soffio di voce pronunciare: “Perfetto.”
Conosceva
quella voce, conosceva quello sguardo, conosceva quella maschera tinta di
soddisfazione che ricopriva il volto di Gin quando era sicuro, quando assisteva
alla sua crudele vittoria o ne pregustava tra le labbra il sapore dolce e
appagante. Era in quei momenti che Vodka si sentiva importante, in quanto
pedina fondamentale di un piano rivelatosi vincente. E se ne se sentiva anche
un po' autore, nonostante gli ordini non fosse mai lui a dargli: ma quella
soddisfazione surrogata era quanto bastava al suo ego per sentirsi, di tanto in
tanto, importante quanto in fondo avrebbe voluto essere.
“Capo.”
Il
volto di Gin tornò in un attimo quello di prima. Serio, calmo, imperturbabile,
levigato appena da quell'impercettibile goccia di sudore che gli bagnava la
guancia, e solo la punta di crudeltà che si diffondeva al lato degli occhi
restava a testimoniare la maschera che si era appena, forse senza nemmeno
accorgersene, sfilato dai lineamenti.
“Che
c'è?”
“Qual
è il piano? Insomma, che cosa ce ne facciamo di questo ragazzo?”
“Dobbiamo
arrivare a Shinichi Kudo.”
Vodka
emise un grugnito che voleva dire: “Questo lo so, ma non capisco il nesso.” Nel
suo mondo ideale, almeno per una volta, gli sarebbe piaciuto non farsi spiegare
sempre tutto. Ma purtroppo quel mondo era appunto ideale, e con
quell'ammasso di cemento che aveva intorno non c'entrava davvero nulla.
“Ascoltami
bene, Vodka, perché te lo dirò solo una volta.”
L'uomo
con gli occhiali non rispose, ma drizzò ogni antenna del suo corpo per quello
che gli sembrava l'ultimo, immane sforzo.
“Per
prendere le prede astute bisogna essere più astute di loro, e forse anche un
po' più crudeli. Giocheremo sporco, ma giusto un po', di sicuro non più di
quanto la vita giochi sporco con noi ogni giorno. Dobbiamo colpire il suo punto
debole, e penso che la ragazza ritratta con lui in quella foto possa fare al
caso nostro. Ho fatto qualche ricerca mentre tu eri occupato con quell'idiota,
e ho scoperto che è la figlia del Detective Kogoro Mouri. La sua agenzia è a
Beika, ti ricorda qualcosa?”
“Sì
certo, quella sottospecie di imboscata...”
“Esatto.”
concluse Gin, senza lasciargli il tempo di concludere la frase. “Proprio
quella. E non credo alle coincidenze, almeno non quando sono così rilevanti.”
Vodka
annuì, più per compiacere il suo capo che per se stesso. Davvero in quel
momento discutere se quella fosse o meno una coincidenza non gli importava. Lui
non era in grado di apprezzare e dare il giusto peso ai particolari, e forse
non ritenere questo un grave difetto era la sua più grande pecca. Considerare
una coincidenza rilevante era per lui un semplice ossimoro.
“Penso
che da lei potremmo trarre qualche informazione interessante. Sicuramente il
nostro piccolo Sherlock Holmes si nasconderà come ha sempre fatto fino ad ora,
ma sono sicuro che non rinuncerà a cogliere l'occasione di comportarsi da
patetico principe azzurro, e farà qualche mossa azzardata per salvare la sua
amica. E' lei che dobbiamo prendere, nella speranza di far saltare i nervi a
Kudo. E se ciò non dovesse accadere, la faremo parlare. Qualcosa saprà di
sicuro.”
“Si
tratta semplicemente di rapirla?”
“Esatto.
La porteremo a fare un giretto con noi.”
“A
quando il colpo?”
“A
presto, ma non subito. Aspettiamo almeno qualche giorno, dobbiamo studiare
meglio la situazione.”
“Non
sarebbe meglio colpire direttamente Kudo?”
“Non
penso si mostrerà o commetterà imprudenze, ma potrei sbagliarmi. Se entro
qualche giorno non si farà vedere, prenderemo la ragazza.”
“Ho
capito.” affermò d'un tratto Vodka, come se una lampadina si fosse accesa ad
illuminare quella via oscura, “Il piano migliore da attuare sarebbe eliminare
subito Shinichi Kudo, senza tanti complimenti. Ma potendosi questo rivelare non
possibile, il piano B, talmente probabile da trasformarsi in A, è rapire quella
ragazzina.”
Nell'altra
macchina Gin si accese una sigaretta, emettendo un verso flebile di assenso.
“Ho
solo una domanda.”
“Avevi
detto di aver capito.” rispose il suo capo, come se sapesse già, senza ancora
averla sentita, che la richiesta di quell'omone occhialuto di sarebbe rivelata
nient'altro che una breve quanto indisponente seccatura.
“Non
attireremo troppi occhi indiscreti?”
“Chi
pensi che potrebbe arrivare fino a noi? La polizia è troppo stupida.”
“E
la ragazza? Una volta presa dovremo farla fuori.”
“Non
dirmi che ti dispiace.” sentenziò Gin con tono sprezzante e ironico, fissandolo
con un sopracciglio alzato in segno di disappunto.
“Il
suo corpo potrebbe essere un indizio, o comunque facendo scomparire il
suo cadavere e quello eventuale di Shinichi Kudo finiremmo per lasciare il caso
aperto, senza apparente soluzione.”
Gin
mordicchiò la sua sigaretta, e aspettò qualche secondo prima di rispondere,
come sperando che Vodka potesse trovare le ovvie risposte a quelle altrettanto
ovvie domande che lui aveva già provveduto a porsi e risolvere. Ma sentendo su
di sé solo lo sguardo interrogativo del suo compare, capì che non ci sarebbe
arrivato, o almeno non presto. Ponderò le parole in modo da sprecare il minor
tempo e fiato possibile: quella sigaretta lo stava rilassando.
“Io
invece vedo già i titoli dei giornali che raccontano di un macabro caso di
omicidio-suicidio. Sì, e sento anche i servizi dei notiziari che parlano di
come il piccolo attore Arthur Newman, ormai assorbito dalla follia, abbia
ucciso Shinichi Kudo, il detective che l'aveva smascherato la notte dell'Haido
City Hotel, e la sua adorabile fidanzatina, per poi togliersi la vita e
concludere la sua miserabile esistenza in un modo che gli altri giudicherebbero
forse estremamente melodrammatico, ma che io ritengo del tutto patetico. E
forse staremo percorrendo una strada qualsiasi e non penseremo nemmeno più a
questo piccolo imprevisto quando la radio diffonderà la notizia del
ritrovamento dei loro corpi. Non trovi che sia una storia perfetta per i canoni
di questo secolo morto? Un giallo che trova la sua degna conclusione con la
fine dei protagonisti, e che non lascia spazio a dubbi sulla loro sorte.
Immagino già la scena, Vodka: tu riderai, soddisfatto dell'impresa e penserai
già alla prossima, e io.. io forse avrò tratto da tutto questo quello che
voglio davvero.”
Tacque,
e in quello stesso momento Vodka capì che c'era dell'altro, qualcosa che il suo
capo pensava o sperava, che stava già progettando e assaporando, ma che era
ancora avvolta nel fumo dell'incertezza. Non era suo compito indagare oltre,
almeno non ora che il piano che lo riguardava direttamente gli era stato
illustrato. Con la coda dell'occhio sbirciò quel ragazzo, ancora addormentato,
e si chiese per quanto ancora l'effetto del sonnifero sarebbe durato.
Quell'esile figura dalle mani sporche di sangue sarebbe ben presto diventata
una loro pedina, fondamentale per poter rimanere in gioco dietro le quinte. Era
tutto lì il loro mestiere: agire e non farsi mai scoprire. L'ombra era la casa
alquanto comoda dove alloggiavano, e l'affitto si pagava col sangue altrui.
“Tu
occupati del ragazzo. Se incontri Vermouth non raccontarle molto su questa
storia, anzi preferirei che tenessi la bocca chiusa. Quella donna non mi
convince e non la voglio tra i piedi. Per oggi non hai altro da fare.”
Per
poco Vodka non si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo: restò impassibile e
professionale, senza sapere nemmeno lui come.
“E
tu, capo? Cosa farai?”
Gin
accese il motore, che borbottò come a dire che era pronto per partire. Spense
la sigaretta e la lasciò cadere per terra, e prima di mettere in moto e sparire
in quella poca penombra dell'albeggiare che ormai rimaneva disse solo: “Io penso
che andrò a farmi un giretto a Beika.”
Ran
scostò le tende della finestra, diede un'ultima aggiustata al letto appena
rifatto e uscì dalla camera. Le nubi stavano scomparendo all'orizzonte, e le
scuole erano chiuse: sarebbe stato un giorno perfetto e felice per una
qualsiasi liceale, eppure Ran sentiva che non aveva di che sorridere. Aveva
passato tutto il giorno precedente a fissare indolente il telefono che non si
decideva a squillare, vibrare o dare alcun segno di reale funzionamento. Eppure
era lì, lo schermo perfettamente illuminato a ricordarle data e ora. Ma
Shinichi non chiamava. Che cosa era successo questa volta? Per quanto alle
volte si dicesse che doveva smetterla di pensarci e ripensarci, di arrivare
addirittura a credere di aver sbagliato qualcosa, di averlo in qualche modo
allontanato da lei, non ce la faceva mai. La mente ricadeva sempre nella stessa
trappola, e tutto rincominciava da capo.
Erano
solo le nove di mattina e quella giornata le sembrava già iniziata da un
millennio. Non era riuscita a dormire bene, e il rombare dei tuoni l'aveva
scossa. Aveva un brutto presentimento, e quella notte, nel silenzio tuonante
del suo letto, si era impossessata di lei una sgradevole sensazione. Come se
qualcosa stesse strisciando tra le vie della città, come se qualcosa stesse
venendo a prenderla. Presa dall'angoscia, si era alzata in silenzio e aveva
bevuto una camomilla calda, che però non era servita a rilassarla granché. In
cucina trovò ancora la tazza e il cucchiaino poggiati sul tavolo: li avrebbe
puliti dopo, in quel momento non ne aveva davvero la voglia. Si lasciò andare
sul divano. Lo studio era chiuso, suo padre era stato contattato dall'ispettore
Megure che gli aveva chiesto di recarsi in centrale, affermando di volergli
parlare urgentemente. Forse c'erano novità sul caso dell'Haido City Hotel.
Pensò di accendere la televisione e aspettare il notiziario, ma alzarsi per
arrivare fino al telecomando le parve una fatica insostenibile. Stette
semplicemente lì, lasciando scorrere all'indietro il film di quei giorni, e
ripensando a come si era addormentata tranquillamente solo una notte prima,
cullata dalla voce di Shinichi e dalle mani di lui che le accarezzavano i
capelli. In quel momento non c'era stato nessun imbarazzo tra di loro, solo una
sensazione di beatitudine e complicità.
Il
suono del campanello la fece sobbalzare. Chi poteva essere? Suo padre doveva
aver lasciato fuori il cartello che indicava la chiusura dello studio. In punta
di piedi si incamminò verso la porta, con la segreta speranza nel cuore che
fosse Shinichi. Lo spioncino congelò ogni possibilità. Dall'altra parte vi era
una donna distinta, dal viso bello ma leggermente tirato, come segnato da una
preoccupazione profonda. I lunghi capelli neri le scendevano fino alla schiena,
contrastando in maniera nitida ed affascinante con la pelle candida. Doveva
trattarsi di una cliente, forse era un caso urgente. Ran fece scattare la
serratura, e aprì la porta sorridendo.
“Salve,
signora. Purtroppo il detective Mouri non c'è, la prego di ripassare, oppure
se..”
“Ran.”
disse la donna con voce seria, come a volerla riportare alla realtà. Il tono diceva
a chiare lettere che quella donna la conosceva.
“Scusi,
ma lei..”
La
donna, senza aggiungere altro, si lasciò scivolare dentro, e richiuse la porta
alle sue spalle. Ran la fissava attonita. Quel volto non le diceva molto, ma
quella voce la riconosceva, assomigliava terribilmente a quella della madre di
Shinichi. Possibile che fosse davvero lei?
“Ran.”
la chiamò ancora, come a confermare i suoi sospetti, “sono io, Yukiko, la madre
di Shinichi. Devo parlarti, tuo padre non c'è?” chiese avanzando nello studio,
che conosceva come fosse casa propria. Ran era rimasta leggermente indietro.
Yukiko
sorrideva, ma la ragazza, spaesata, non poteva fare a meno di notare una certa
agitazione nella voce della donna. Cosa era successo? Perché Yukiko si
presentava da lei ora, così abilmente travestita? Ran non poté fare a meno di
pensare al peggio.
“Yukiko,
è successo qualcosa? Shinichi..” iniziò titubante, sedendosi e invitando la
donna a fare altrettanto. Yukiko capì di averla messa in agitazione. Aveva
pensato tutta la notte alle parole opportune da usare, eppure in quel momento
le sembrò di non sapere da dove cominciare. Ran la guardava con occhi angosciati
e Yukiko capì che stava per porle l'ennesima disperata domanda. Doveva parlare.
“Ran,
prometto che risponderò a qualsiasi cosa. O meglio, a qualsiasi domanda potrò
rispondere. Ma ora devi ascoltarmi: quello che devo dirti è importante.”
Strinse
le mani della ragazza alle sue, e quello che prima per Ran era un sospetto
divenne una certezza. Gli occhi di Yukiko, sotto lo spesso strato di trucco,
non presagivano nulla di buono.
“Tu
padre non è con te?”
“E'
uscito. L'ha fatto chiamare Megure, doveva parlargli urgentemente.”
Yukiko non sembrò stupita, e il battito del cuore di Ran divenne un continuo
sussulto. La donna trasse un profondo respiro prima di parlare.
“Probabilmente
l'ispettore ha voluto dire di persona a Kogoro quello che io ora dovrò dire a
te. Lo so che forse ti sembrerà assurdo, così all'improvviso, ma sei in
pericolo, o potresti esserlo.”
Ran
sgranò gli occhi. Si aspettava una brutta notizia riguardante Shinichi, e
invece quella per cui tutti erano preoccupati era lei. Lasciò nervosamente le
mani di Yukiko, come d'istinto. La donna capì di non aver forse pronunciato le
parole adatte, se mai fossero davvero esistite.
“Co-cosa?”
balbettò la ragazza. “Io non capisco. Non ho fatto assolutamente nulla che..”
“Tu
no, Ran. Ma purtroppo spesso non basta non fare nulla per non essere in
pericolo.”
“Questo
non mi consola affatto!” sbottò impulsivamente. Si rese conto subito dopo di
essere stata troppo dura, e guardò la madre di Shinichi con occhi lucidi.
“Scusa,
io.. non capisco davvero.. Shinichi che è andato via così all'improvviso dopo
quella notte finita in tragedia, e stanotte non ho chiuso occhio e..”
Si
rannicchiò su se stessa, tremante. Yukiko l'abbracciò.
“Sei
tu a dovermi scusare Ran. Non avrei mai voluto venire qui a dirti qualcosa del
genere. Ma purtroppo non abbiamo scelta.”
Ran
la osservava in silenzio. Il suo sguardo chiedeva solo una spiegazione.
“Shinichi
è implicato in un caso complicato. E' lo stesso caso a cui sta lavorando da
quando è.. beh, per così dire, scomparso dalla circolazione.”
“Su
chi sta indagando?”
“Non
posso dirtelo.”
Ran
prevedeva la risposta, e sorrise tristemente: “Lo immaginavo.”
“Fidati,
è per il tuo bene. La notte della presentazione del libro all'Haido City Hotel
Shinichi non era intenzionato a presentarsi pubblicamente. Era un evento troppo
importante, e la sua presenza avrebbe potuto destare scalpore. E lui non può
permetterlo, perché..”
“Perché?”
incalzò Ran. Yukiko esitò, titubante se dire o meno la verità. Ma era
intenzionata a dare a quella povera ragazza quante più spiegazioni possibili.
Ciò che non la metteva in pericolo, poteva anche saperlo.
“Perché
gli uomini su cui sta indagando lo credono morto.”
Ci
fu un attimo di silenzio. Alla parola morto Ran ebbe un brivido.
“Era
il modo più sicuro per indagare. Sono persone senza scrupoli, e per loro la
parola d'ordine è eliminare chiunque si ponga sulla loro strada. Chiunque,
anche se solo sospettati di conoscerli o sapere qualcosa di troppo.”
Ran
non poteva fare a meno di pensare a quella sera, al Tropical Land, quando
Shinichi era corso via per non tornare più se non improvvisamente e di rado.
Era per proteggerla che evitava di vederla? Non voleva che quegli uomini potessero
identificarla come una sua amica o alleata? Yukiko, come se le leggesse nel
pensiero, disse: “Tutto quello che Shinichi ha fatto finora, lo ha fatto solo
per proteggerti. Non voleva metterti in pericolo, Ran.”
Una
lacrima silenziosa le scese sulla guancia, e si affrettò ad asciugarla. Che le
prendeva? Non era da lei piangere così. Eppure la consapevolezza che Shinichi
avesse fatto tutto quello che per lei, che in quei mesi avesse sofferto quanto
se non più di lei, le era, per così dire, di conforto.
“Ma
se tutto questo è vero, come mai la scorsa notte..”
Ran
lasciò la domanda a metà, ma Yukiko l'afferrò al volo.
“Lui
ci teneva, voleva.. voleva vederti.” disse. La sua, in fondo, non era una
bugia. Anche se a riportare Shinichi il piccolo Conan era stato un errore, la
donna ben conosceva i sentimenti del figlio.
“Ma
così.. così ha rischiato di mettere in pericolo la sua vita..” balbettò Ran.
“Forse
ritiene che ci siano momenti per cui valga la pena rischiare tutto.”
“Io..
io non so che dire.” disse ancora Ran. Tutte quelle notizie in un solo momento
l'avevano assordata. Sentì un bruciante senso di colpa per tutte le volte in
cui aveva pensato che Shinichi la trascurasse o in cui era arrivata a credere
che non gli importasse in fondo così tanto di lei.
“La
scorsa notte nessuno doveva vederlo, e invece la sua foto è finita sulla prima
pagina di un giornale. Con te.”
Ran
ripensò al giornale che teneva custodito in camera, e alla foto che aveva
ritagliato il giorno prima. Aveva sperato che Shinichi la contattasse, ma lui
non si era fatto sentire e lei, forse con una punta di orgoglio, aveva fatto
altrettanto, continuando a pensare a quel singolo istante in cui lui le aveva
mormorato: “Sei bellissima.”
“Se
quella foto finisse sotto gli occhi sbagliati, tu saresti in grave pericolo
Ran. Non esiterebbero a cercarti e a prenderti.”
“Ma
io, cosa dovrei..”
“Devi
abbandonare la città. Subito, insieme a tuo padre. Non c'è tempo da perdere.”
“E'
per questo che Megure l'ha fatto chiamare? Lui sa che..?”
“Gliene
ha parlato Yusaku.”
“Io
non..”
“Mi
spiace, Ran. Lo so che è dura, ma non c'è tempo per i dubbi.”
Come
colpita da quell'affermazione, Ran scattò in piedi. Yukiko fece altrettanto.
“Dovrei
fuggire, abbandonando Shinichi? Che ne sarà di lui?”
“Tu
non hai colpe, Ran, se non quella di essergli affezionata. Hai bisogno di
protezione.”
“E
lui, lui no? Come posso lasciare la città sapendo che lui è in pericolo, che
rischia di..”
“Shinichi
può affrontarli.”
“Da
solo?”
“Ha
degli alleati.”
“Chi?”
“Non
posso dirti niente, Ran.”
“Io
non mi muovo da qui.”
Yukiko
comprendeva perfettamente i sentimenti che muovevano la ragazza, perché erano
gli stessi che, un giorno prima, aveva provato lei. Ma non potevano permettere
che Ran restasse lì: avrebbe cercato Shinichi, e sarebbe finita in guai più
grandi di lei.
“Ran, ti capisco, ma credimi..”
“Dov'è
lui? Lo sa? Andrò da lui. Lo aiuterò.”
“Ascoltami,
Ran. Shinichi avrebbe voluto venire a parlarti di persona, ma sono stata io a
convincerlo che non era il caso. E' troppo pericoloso. Io stessa ho dovuto
adottare questo travestimento.” disse, indicando il proprio volto.
“Io
non posso.”
“Fidati,
se ci fosse un'altra soluzione sarei la prima a dirti di rimanere. Ma non puoi,
almeno non per ora. Tu e tuo padre dovete lasciare questo posto. Fallo per
Shinichi. Lui vuole solo proteggerti. Quando tutto sarà sistemato, te lo
prometto, non ci sarà bisogno di soffrire ancora.”
Ran
sembrò acquietarsi. Ora non stringeva più i pugni. Le mani pendevano inerti.
“E
mia madre?”
“Contatteremo
la polizia per controllarla. Lei non è comunque coinvolta quanto voi.”
“E
voi?”
“Ce
la caveremo.”
“Che
farete?”
“Meglio
per te non sapere nulla di più.”
Quella
frase la fece rabbrividire.
“E
Conan?” chiese, come se se ne fosse appena ricordata.
“Conan
starà dal dottor Agasa, insieme ad Haibara.”
“Se
sono davvero in pericolo, deve venire con me. Lui sentiva spesso Shinichi e..”
“Fidati,
lui non c'entra.”
La
voce di Yukiko era così sicura e rassicurante che Ran finì per convincersene.
“Immagino
che non lo potrò nemmeno salutare.”
Qui
Yukiko esitò un attimo. Aprì la bocca per parlare, poi tacque. Alla fine disse:
“Meglio di no.”
“E
i miei amici? Sonoko?”
“La
rivedrai presto.”
Ran
fece qualche passo verso le finestre dello studio e scrutò la strada. Tutto
sembrava tranquillo.
“Pensano
tutti che sia più facile fuggire che affrontare il nemico in prima linea.”
disse, come pensando ad alta voce. “Quanto vorrei che fosse davvero così.”
Yukiko
le si avvicinò. Lo sguardo di Ran era perso oltre il vetro, come se fosse alla
ricerca di una figura, una voce, un qualsiasi fantasma tra le vie di Beika che
la rassicurasse e le desse la forza per capire quale fosse davvero la via
giusta da prendere.
“Perdonami,
Ran.”
“Non
c'è niente di cui debba scusarla. In fondo, da quando lo conosco, Shinichi non
ha mai preso un granchio. Se lui pensa che sia giusto così, così deve essere,
non credi?”
La
ragazza sorrise debolmente. Se non poteva convincersi di star facendo la scelta
giusta, non le restava che fidarsi di Shinichi. Lui non l'aveva mai tradita e,
lo sapeva, non l'avrebbe mai fatto. Mentre voltava il capo lontano dalle vie
della città, due occhi la osservavano da poco distante.
Shinichi,
solo un po' più basso e con un viso diverso, stringeva i pugni chiedendole di
perdonarlo. La sua malinconia si tramutò in rabbia al pensiero di quegli uomini
vestiti di nero che, ne era certo, si sarebbero fatto ben presto vivi. Non
avrebbe mai lasciato che toccassero Ran. La sua Ran.
Il
sole splendeva come se quello fosse uno dei giorni migliori dell'anno. La
tempesta di quella notte sembrava solo un ricordo lontano, nonostante a sua
testimonianza fossero rimaste numerose pozzanghere, qualche alberello abbattuto
dal vento, e il gazebo di un negozio sventrato dalla forza della natura. Ma la
gente dimenticava in fretta, quel sole metteva il buon umore e i sorrisi
stampati sui volti delle persone che camminavano accanto a lui erano
innumerevoli. A Gin, invece, quel sole non faceva né caldo né freddo. Anzi, ad
essere sinceri forse solo un po' di caldo, perché la temperatura si era
impennata nell'arco di qualche ora e quel nero che amava tanto indossare non
era certo la protezione più adatta contro il caldo che si affacciava sulla
primavera di Tokyo. Slacciò i bottoni del suo cappotto, ma sistemò ancora
meglio il cappello sul capo: non gli andava di mostrare il suo viso tra le vie
di Beika. Il suo passo cadenzato si fermò, aspettando che il semaforo
diventasse verde. Quel maledetto aggeggio era intenzionato più che mai a fargli
perdere tempo: se solo avesse potuto, avrebbe estratto la pistola, sparato due
colpi, fermato ogni macchina, e attraversato la strada senza aspettare un
secondo di più. Purtroppo il suo compito era restare nell'ombra, e per quanto
in generale amasse quella condizione, alle volte avrebbe volentieri ridisegnato
il mondo. Meno scrupoli, meno idioti per le strade, meno sentimentalismi che
non portavano a nulla. Eppure se il mondo fosse stato a misura per lui, non si
sarebbe potuto divertire a fracassarlo ogni volta che ne aveva voglia o che gli
veniva ordinato. Quindi, in fondo, forse andava bene così. Verde. Si mischiò
nella folla di passanti, mimetizzandosi per come poteva. Mancava ancora qualche
isolato all'agenzia di investigazioni Mouri, ed era esattamente da lì che
voleva passare. Non che si aspettasse di vedere o trovare qualcosa, voleva solo
dare un'occhiata. Controllare che fosse tutto a posto, tutto apparentemente
normale. La normalità era davvero una buona maschera sotto la quale agire, un
concetto che pur apparendo banale nascondeva al suo interno ingranaggi più
astrusi di un orologio d'epoca.
Ebbe
d'un tratto la sgradevole sensazione di essere osservato. Rallentò il passo
senza fermarsi, e si guardò intorno cercando di non dare nell'occhio. Dopo
qualche sbirciata tesa e precisa, fu abbastanza sicuro di poter procedere.
Forse le poche ore di sonno iniziavano a tirargli qualche scherzo: si chiese
come se la stesse cavando Vodka con il suo prigioniero del tutto innocuo, ma
constatò infine che, non essendoci pericolo di complicazione alcuna, non gli
interessava più di tanto. L'importante era avere quell'attore lì, pronto per
coprir loro le spalle pur non sapendolo. Dubitava che Shinichi Kudo avrebbe
fatto una mossa avventata, sembrava una preda fin troppo astuta e da non
sottovalutare. Ma se pensava di averli in mano o di poter loro sfuggire di
nuovo, allora si sbagliava di grosso: la morte che Gin portava con sé non
falliva due volte. Shinichi Kudo era condannato e non c'era via di scampo, così
come la sua graziosa ragazza che, Gin ne era certo, li avrebbe portati a lui.
Prima di quell'esecuzione, però, voleva accertarsi di una cosa. Era sicuro che
Sherry c'entrasse qualcosa in tutto quello. Lo sentiva, e non c'era bisogno di
aggiungere altro. Una mosca continuava a ronzargli in testa, dicendogli che
quella era la pista giusta da seguire per riprendersi infine Sherry, e per
punirla per il suo eroico tradimento e la sua dannata e incomprensibile fuga.
Com'era fuggita da quella gabbia in cui era rinchiusa, come aveva fatto a
scivolare via da quelle manette, a dissolversi come neve al sole? Dov'era
andata, cosa aveva fatto in tutto quel tempo? Cos'era successo da quella notte
Haido City Hotel, dove si era rifugiata? Di lei era rimasto solo il sangue su
quel tetto, e il ricordo di un freddo pungente tanto quanto l'anestetico che
qualcuno gli aveva scherzosamente rifilato. Quel qualcuno..che fosse stato
Shinichi Kudo?
Gin
svoltò l'angolo, e accelerò nuovamente il passo. Era sicuro che quel caso lo
avrebbe portato più vicino alla verità. E se fosse davvero riuscito a riavere
Sherry, allora.. strinse i pugni, mentre le sue pupille si dilatavano in uno
spasmo di desiderio e vendetta. Aveva un conto in sospeso con Sherry, una
soddisfazione che doveva ancora strapparle e uno sguardo di supplica che voleva
ancora vederle sul volto.
Lanciò
via quei pensieri che, per quanto lo spingessero ad andare avanti, lo
distraevano da quello che era per ora il suo compito. Passando davanti al
palazzo dove aveva sede l'agenzia investigativa di suo interesse, alzò lo
sguardo. Le persiane erano abbassate e non sembrava esserci anima viva
all'interno, nonostante non fosse ancora ora di chiusura. Fece qualche passo
indietro, fino a raggiungere la scalinata che portava all'ingresso dello studio.
Un foglio vi era attaccato, sembrava un avviso per i clienti, ma da quella
distanza non riusciva a leggere. Salire le scale e controllare cosa vi fosse
scritto sarebbe stata la soluzione più semplice, ma aveva notato la telecamera
che puntava dritta sull'ingresso. Poteva essere accesa, e non era di certo una
buona idea farsi riprendere come il primo pivello. Lanciò un'occhiata intorno
in cerca di una soluzione: a quella distanza nemmeno lo zoom del cellulare
poteva aiutarlo. Notò un bambino che passava di lì, il naso attaccato al manga
che stava leggendo e un'espressione totalmente ebete stampata sulla faccia.
Cercando di non pensare a quanto poco certi metodi si addicessero a lui, si
avvicinò al bambino, sbarrandogli la strada. Quello, vedendosi improvvisamente
oscurato dall'imponente figura, staccò gli occhi dal suo fumetto e alzò lo
sguardo. Quando vide l'uomo che non sembrava intenzionato a farlo passare, la
sua bocca si contorse involontariamente in una smorfia di paura e il manga gli
cadde di mano. Gin aveva tutto l'aspetto dell'Uomo Nero delle filastrocche per
i più piccini.
“Cos'è
quella faccia? Non voglio mica farti del male.” scandì l'uomo con voce atona.
Gin
si chinò, osservandolo con freddezza. Il bambino aveva preso a tremare.
“Mi
serve solo un favore.”
L'altro
annuì, temendo cosa sarebbe potuto accadere se non avesse obbedito.
“Allora
sali quelle scale, e leggi quello che c'è scritto sul foglio appeso alla porta.
Poi torna qui e dimmelo.”
“M-mi
scusi, ma p-perché lei non..” iniziò balbettando il ragazzino.
“Fai
quello che ti dico.”
Il
bambino non osò dire altro. Corse come un pazzo saltando due gradini alla
volta, e meno di un minuto dopo era già di ritorno, paonazzo in volto per la
fatica e per la paura. Recitò a memoria, sparando le parole di botto, come una
mitragliatrice.
“Chiuso
per lutto, riapriremo il prima possibile.”
Gin
socchiuse gli occhi e l'ira, pur trattenuta, distorse i suoi lineamenti. Il
bambino fu percorso da un brivido, stava per scoppiare a piangere.
“Non
c'era altro?”
Scosse
violentemente la testa.
“Beh,
allora..” disse ancora l'uomo, chinandosi nuovamente e cercando qualcosa in
tasca, “questi sono per il favore che mi hai fatto. Comprati quello che vuoi. E
dimenticati di me, che è meglio.”
Gli
diede qualche spiccio e gli voltò le spalle prima di vederlo scappare via. Che
cos'era quella storia, perché improvvisamente l'agenzia era chiusa? Non credeva
alle coincidenze. Che Shinichi avesse capito le sue intenzioni e previsto le
sue mosse? Ma per quanto furbo fosse, come faceva a conoscerli così bene da
arrivare addirittura a capire qualche avrebbe potuto essere il loro piano, su
chi avrebbero puntato? Un flash gli illuminò la mente. Sherry..
Sentì
improvvisamente qualcosa che gli urtava da dietro una gamba. Abbassò lo
sguardo, e vide una bambina a gattoni per terra accanto a lui, le ginocchia
sull'asfalto e le braccia a sostenerla, come se fosse appena caduta. Era stata
lei ad urtarlo? Forse correva e nella foga aveva sbattuto. Era talmente nervoso
per quanto appena successo che stava per afferrare il braccio di quella povera
creatura, voleva fissarla in faccia e guardare il viso di lei spaventato dal
suo solo sguardo. Era così appagante fissare la paura negli occhi degli altri,
e sapere di avere in pugno i loro sentimenti. Lo faceva sentire terribilmente
forte.
Ma
la piccola, come se avesse fiutato il pericolo, sfuggì e scappò via senza dire
una parola né voltarsi. Gin la guardò sparire tra le gambe della gente, e batté
furioso il piede per terra. Dannati bambini. Aveva bisogno di una sigaretta e
aveva finito il suo pacchetto. Fu allora che gli sembrò di sentirlo: la scia di
un profumo che ben conosceva. Possibile? Lui non sbagliava, almeno non su di
lei. Era stato un attimo, quel profumo l'aveva colpito e ora era di nuovo lì
nella sua testa ad ossessionarlo. Si guardò intorno, ma non c'era niente che
potesse dargli un suggerimento. Davvero l'aveva solo immaginato? Si fermò al
distributore di sigarette. Mentre inseriva le monete, ebbe di nuovo la
sensazione di essere osservato e questa volta, con la coda dell'occhio, non gli
sfuggì una figura che svoltava poco prima in un vicolo, un cappuccio nero sul
volto. Prese le sue sigarette e si incamminò dalla parte opposta. Il quartiere
di Beika quel giorno sembrava pieno zeppo di fantasmi.
Ai
corse fino a non sentire più nemmeno una goccia di fiato nei polmoni. Quando
capì che non ce l'avrebbe fatta a muovere un solo passo in più, si infilò nella
prima strada secondaria che incontrò, e cadde a terra ansimando. Si asciugò con
il dorso della mano la fronte imperlata di sudore e stette immobile finché il
battito del suo cuore non tornò regolare e il respiro si fece meno affannato.
Un passante si fermò a chiederle se aveva bisogno di aiuto, ma lei scattò in
piedi scuotendo la testa e, senza dire una parola si incamminò lasciando l'uomo
attonito e un po' stranito.
Per
quel pomeriggio Yusaku aveva proposto di fare un giro nei dintorni, per
controllare se tutto fosse tranquillo o meno. Il travestimento ad opera di
Yukiko era riuscito talmente bene che, sicuri di non essere riconosciuti, i due
adulti avevano acconsentito a far venire anche i bambini, se così potevano
essere definiti. E Ai, tranquilla sotto al suo nuovo caschetto biondo e
all'abile make-up, aveva convinto Conan a fare un giro da sola per alcuni
isolati. Ed effettivamente non aveva avuto paura, o almeno finché non aveva
visto stagliarsi, a soli pochi metri da lei, la sagoma imponente di un uomo
vestito di nero. Non c'era stato bisogno di distinguerne i lunghi capelli
biondi che lo caratterizzavano, l'aveva capito in un solo attimo: era Gin. In
quel momento aveva sentito una stretta al cuore, e un brivido diffondersi
pulsante per tutto il suo corpo. In quel momento sì, aveva avvertito chiara e
nitida la paurosa sensazione del terrore. E sotto i morsi laceranti della paura
aveva cominciato a correre, correre, e invece di allontanarsi da lui era stata
persino in grado di urtarlo. Pregò che lui non l'avesse riconosciuta, che non
l'avesse vista in volto, che l'avesse presa solo per una stupida bimba
spaesata. Dannazione, non era stata in grado di mantenere il controllo. E ora,
dove si trovava? Persa nei suoi pensieri, con le gambe che le tremavano ancora
per i rimasugli della paura e dello sforzo, non riusciva a capire in che
stradina fosse approdata. Si guardò intorno, pensando che bisognava fare qualcosa.
Gin non poteva essere solamente in visita tra le vie di Beika, non era solo un
fantasma del passato tornato a tormentarla, era l'incubo di un presente che
sapeva prima o poi sarebbe arrivato. Ma che cosa cercava? Chi voleva
controllare, e soprattutto perché era venuto lui, in prima linea? L'aveva
incontrato poco più avanti dell'agenzia di Mouri: che fosse solo una
coincidenza? O che avesse visto davvero la foto del giornale, e quella lo
avesse portato a scoprire l'identità di Ran? Per fortuna, a quell'ora la
ragazza e il padre dovevano essere già sull'aereo che li avrebbe portati
lontano da ogni pericolo. Ma se davvero Gin voleva mettersi sulle loro tracce,
prima o poi li avrebbe trovati. Avrebbe trovato Ran e Shinichi, a costo di
inseguirli fino in capo al mondo. Che cosa poteva fare lei? Nel momento stesso
in cui si pose quella domanda, alzò lo sguardo. Poco distante c'era una piccola
insegna sbilenca, un negozietto scuro e poco attraente, incastonato tra un
parrucchiere e una vecchia libreria consunta. Un piccolo cartello in quella che
sembrava una vetrina diceva:
“Vuoi
essere un altro per un giorno, per una festa, per una speciale occasione?
Travestimenti e trucco perfetti per chi è stufo della propria identità.”
Ai
lesse la scritta e sorrise. L'idea poteva non essere male, anche se i risultati
non erano, a giudicare da un prima occhiata, del tutto garantiti. Eppure forse
valeva la pena provare: in fondo quella era un’occasione speciale.
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Con il
ritardo che mi caratterizza (perdonatemi!), ecco l’ottavo capitolo. Speravo di
riuscire a postare entro agosto, ma purtroppo sono successe un po’ di cose che,
sommandosi allo studio per l’ultimo esame, mi hanno tenuta lontana dalle pagine
di word. Spero che il capitolo vi sia piaciuto, anche se come al solito mi
convince poco.
Ringrazio ExecutionKla
che ha recensito e Aya_Brea che mi ha fatto tempestivamente sapere che cosa se
pensava <3 Ne approfitto inoltre per farle un grandissimo in bocca al lupo
per l’esame che tra poco dovrà affrontare (che Krebs sia con te) e per tutto il
resto <3 Ti voglio bene, grazie per incoraggiarmi e sopportarmi :) Ringrazio
anche Il Cavaliere Nero, per le belle parole che ha speso su questa
storia *-* Sono onorata u.u
Grazie
inoltre a Cristina__98 che ha iniziato a leggere:)
Grazie anche
a tutti coloro che leggono e hanno la storia tra le preferite, ricordate o
seguite :)
Un saluto e un bacio a tutti voi!
Flami