N.d.T.
Eccoci
con il nuovo capitolo. Questa volta entriamo più nel
vivo della situazione tra Jared e Jensen, soprattutto nella testa di
Jensen, il
cui pov domina questa parte. È da qui che la situazione
comincia davvero a
precipitare.
Buona
lettura!
Capitolo II
“Stop!
Jensen, cosa c’è che non va? Si presuppone che tu
appaia un po’ spaventato, non che tu stia per uccidere il
diavolo in questo
istante.” Urlò il regista, incazzato,
perché era la terza volta ormai che
ripetevano la scena e Jensen dentro di sé ribolliva.
Era
solo che… non poteva stare a guardare Mark entrare in
scena, con quel mezzo sorriso arrogante sulla faccia, che lo guardava
come se
possedesse il mondo.
Nel
profondo sapeva che era stupido, ma in quel momento
poteva a malapena fermarsi dal far esplodere la sua rabbia.
“Ci
prendiamo cinque minuti di pausa!” Annunciò
velocemente
Jared da dietro di lui e, con un tocco gentile ma fermo sulla sua
schiena, lo
spinse via.
Adam
e Rekha gettarono loro delle strane occhiate nervose ed
entrambi fecero un passo indietro per lasciarli passare.
Non
dissero una parola per tutto il tragitto fino al trailer
di Jensen, ma lui sapeva di essere fregato, poteva sentirlo nella
tensione
controllata che trasudava dal corpo di Jared.
“Puoi
spiegarmi cosa diavolo era quello?” domandò il suo
amico non appena la porta si chiuse. Jared incombeva su di lui,
preoccupato ed
arrabbiato e Jensen non poteva affrontare nessuna delle due cose.
“Non
è niente, ok? Mark mi fa incazzare!”
“Cosa?!”
Jared lo guardò incredulo. “Da quando? Jensen, tu
ami quel ragazzo!”
Qualcosa
di simile al disgusto fece rivoltare lo stomaco di
Jensen. “No, non è vero!”
Jared
sembrava sempre più nervoso ad ogni secondo che
passava. “Si! Si cazzo, è vero!” Emise
un gemito sofferente, come se non
riconoscesse l’uomo che aveva di fronte.
E
anche attraverso tutta la rabbia, Jensen ebbe paura che
Jared, forse, non ci riuscisse veramente.
“Jensen,
tu davvero, davvero, adori Mark! Ami lavorare con
lui e se anche non fosse così, non ti saresti mai comportato
come hai appena
fatto!”
“Io
non mi sono comportato in modo differente da come faccio
sempre, cazzo!” Gridò Jensen, sentendo il bisogno
di difendersi, nonostante una
vocina dentro la sua testa, ormai non più così
piccola, gli stesse urlando che
Jared aveva ragione.
“Gesù,
Jensen, cosa c’è di sbagliato in te? Ti sei
comportato come un bambino viziato là fuori! E non
è nemmeno la prima volta!”
“Di
cosa cazzo stai parlando?!”
Jared
lo afferrò per la spalla facendo in modo che lo
guardasse negli occhi. “Ti sei comportato nello stesso modo
con Kurt l’ultima volta
che è stato qui. Sei stato lunatico fin da allora. Sei
scattato con Pellegrino
e Sheppard e con chiunque ti abbia guardato nel modo
sbagliato.”
“Non
è vero, cazzo!”
“Ma
ti ascolti almeno?!” Jared lo scosse non troppo forte e
non troppo violentemente, ma Jensen ne aveva avuto abbastanza e si
divincolò
dalla presa del suo amico.
“Basta!
Smettila di toccarmi per tutto il fottuto tempo, va
bene?”
Jensen
rimpianse quelle parole non appena ebbero lasciato la
sua bocca. Vide lo spasmo doloroso sulla faccia di Jared e per un
secondo lo
sentì riflettersi nel suo cuore.
Ma
subito dopo, l’espressione di Jared cambiò,
divenendo
sempre più preoccupata piuttosto che arrabbiata o ferita.
“Quindi
hai un problema con me?”
Il tono di Jared era mutato completamente, sembrava più
prudente e freddo
adesso, circospetto.
“Cosa?
NO! Gesù, no, okay?” E non lo era. La
verità era che
Jensen non aveva idea di cosa ci fosse di sbagliato in lui ultimamente.
E non
voleva reagire contro nessuno, ma in qualche modo non poteva fermarsi.
Sospirò
profondamente, passandosi le dita tra i capelli.
“Mi
dispiace, solo... non mi sento bene oggi.” Spiegò
stancamente; sapeva che Jared meritava di più. Senza
menzionare la quantità di
scuse che spettavano al resto del cast e della crew.
“Va
tutto bene, amico. Tutti hanno il diritto di avere una
brutta giornata, d’accordo? Solo, cerca di non fare in modo
che tutti ti odino
là fuori, intanto che ci sei... okay?” Era intesa
come una battuta e Jared
tentò anche di fargli un mezzo sorriso, ma Jensen si
sentì solo peggio.
Irrigidì
il collo, diede una pacca sul petto di Jared e gli
passò oltre.
Il
suo amico capì abbastanza dal suo atteggiamento da
lasciarlo solo.
Poté
sentire tutti gli occhi su di sé, quando
attraversò il
set. Quelli che intercettò, più o meno tutti, non
mostravano altro che
preoccupazione per lui, e questo lo fece sentire ancora di
più un ingrato
bastardo.
“Scusami…”
disse una voce leggera dietro di lui.
“Cosa?”
Jensen si girò e si trovò di fronte Misha, che lo
guardava con un’espressione accigliata sul volto.
“Mi
dispiace che tu ti senta così male.” Disse
l’altro uomo
seriamente, inclinando la testa di lato. Per un secondo
sembrò più simile a
Castiel di quanto, a volte, non lo fosse mentre recitava, ma questo era
ridicolo e Jensen ricordò che era con Misha che stava
parlando. Quell’uomo
riusciva a sorprenderlo nei suoi giorni peggiori.
Non
seppe cosa dire, annuì solo, con gratitudine e
passò
oltre senza riuscire a scrollarsi di dosso il fatto che Misha
continuasse a
guardarlo per tutto il tragitto, fino a che non sparì dietro
l’angolo
successivo.
****
Erano
trascorsi due giorni e Jensen poteva continuare a sentire
lo sguardo di Jared su di sé, ogni volta che
l’altro uomo pensava di non essere
visto. Quegli occhi preoccupati seguivano ogni sua mossa, e
c’erano state
alcune volte in cui avrebbe voluto farglielo notare. Ma le domande che
sarebbero seguite dopo, quelle che lui era determinato ad evitare, lo
avevano
fatto restare in silenzio.
Jared
gli passò una birra fredda dal frigo, senza dire
nulla, e accese la TV. Avevano cenato in uno dei loro ristoranti
preferiti, uno
tranquillo, ed erano tornati a casa subito dopo, tacitamente
d’accordo nel
guardare la partita insieme.
Non
scambiarono molte parole durante il gioco. Sorseggiarono
solamente le loro birre, cercando di seguire l’incontro alla
TV. Jared fu il
primo a rompere il silenzio.
“Allora,
c’è qualcosa che ti devo dire...”
Iniziò,
strusciandosi nervosamente le mani sulle cosce.
“Okay,
che c’è?” Jensen si girò
verso di lui, guardando il
suo amico con attenzione.
“Sto
per chiedere… sto per chiedere a Genevieve di
sposarmi.” Jared sorrise nervosamente, il suo viso era un
misto di speranza e
preoccupazione e, per un momento, Jensen non poté pensare ad
una ragione per
cui avrebbe dovuto essere preoccupato, perché fosse nervoso
di parlargli di
questo.
Poi
le parole dell’altro arrivarono a segno.
“Wow,
questo… questo è fantastico, Jared.”
Rispose e
sorrise, a dispetto della morsa che gli aveva stretto le viscere e che
non
avrebbe saputo spiegare, e del malessere che gli riempì la
pancia. “E’
fantastico! Sono felice per te, amico.” Enfatizzò
la frase e il disagio svanì
chiaramente dal viso di Jared, sostituito da un sorriso raggiante.
“Uhm,
dato che ci siamo.” Jensen si sentì arrossire e si
trovò a riflettere per un momento se quello fosse il momento
giusto. Ma a quel
punto aveva già atteso per due settimane e sapeva che, in
primo luogo, non
avrebbe mai dovuto attendere per un momento adatto. Non con Jared.
“In
effetti ho comprato un anello anch’io. Lo sai… per
Dani.
Glielo chiederò presto. Quando mi sembrerà il
momento giusto, voglio dire. Lei
ha due giorni liberi il weekend dopo il prossimo, quindi pensavo che
potrei
volare giù e…”
Sapeva
di stare balbettando ma Jared rimase a fissarlo e
Jensen avrebbe voluto dire qualcosa, qualsiasi cosa; poi il suo amico
scoppiò
in un enorme sorriso. “Questo è fantastico! Jensen
perché non me lo hai detto?”
Jensen
si strinse nelle spalle, perché non aveva una
risposta da dargli.
Ma
il più giovane era già passato oltre.
“Wow. Io… non posso
credere che stiamo per sposarci, amico! Sposati!”
Jensen
rise e sentì il cuore saltargli in gola. “Non lo
abbiamo ancora chiesto, Jared. Non ci hanno ancora detto
sì.” Ricordò al suo
amico, ma l’altro era già saltato su dal divano,
diretto verso la cucina.
“Dovremmo
celebrare, amico! Penso che abbiamo ancora del
vino o un po’ di champagne o qualcosa.”
Il
cuore di Jensen non smise di battere furiosamente nel suo
petto, nemmeno quando Jared uscì dalla stanza.
“Hey,
vuoi…” il più giovane iniziò
ad urlare, perché era
convinto che Jensen fosse rimasto sul divano, ma lui, in tre soli
passi, stava
già percorrendo la distanza che li separava; con una mano
sul colletto della
maglietta tirò giù Jared e mise le labbra
sulle sue.
Jensen
aprì gli occhi per un attimo e si tirò un
po’
indietro, abbastanza da poter vedere il viso dell’altro.
Aveva gli occhi chiusi
e stava perfettamente immobile.
Era
magnifico. Angoli sottili e definiti e una pelle soffice
e tonica. I capelli gli ricadevano sul viso, le ciglia erano
morbidamente
appoggiate sulle guance. Jensen venne improvvisamente colpito dal fatto
di
essere così vicino a lui e che tutto sembrava nuovo e
differente, come se
qualcuno avesse acceso la luce e immediatamente lui avesse potuto
vedere, ma
molto più in profondità; così si rese
conto di cosa ci fosse sotto quel
bellissimo viso, della persona che c’era dietro.
Qualcosa
lo colpì nello stomaco, qualcosa di più della
semplice attrazione ed era un sentimento terrificante. Prima di avere
il tempo
di pensare, ridusse di nuovo la distanza tra loro, lentamente ora,
sentendo la
soffice curva delle labbra di Jared contro le proprie.
Questa
volta fu più simile ad un bacio rispetto a prima.
L’esitazione
che Jensen sentiva, si sciolse sotto il calore proveniente dalla pelle
dell’altro, nel punto in cui si stavano toccando e lui si
spinse oltre,
gentilmente, persuadendo le labbra di Jared ad aprirsi; il suo corpo
tremò
quando finalmente le loro lingue si incontrarono, con titubanza, ma
Dio, in
modo così bello.
Jared
lo spinse via un secondo dopo.
Jensen
inciampò all’indietro andando ad impattare contro
il
bancone della cucina.
Il
suo amico rimase a fissarlo con gli occhi dilatati, il
petto che si alzava ed abbassava ansimante, in stato di shock.
“Mi
dispiace.” Iniziarono entrambi all’unisono
fermandosi
subito dopo, i loro sguardi inchiodati uno nell’altro,
l’aria che si era fatta
tagliente intorno a loro.
“Jensen,
cosa…”
“Jared,
mi dispiace così tanto.” Lo interruppe, la voce
che
non sembrava nemmeno la sua. Il cuore gli batteva nel petto
così forte che
stava minacciando di rompergli le costole. “Non avrei dovuto
farlo, non so
perché…”
Jared
respirava pesantemente, con tutta la confusione del
mondo scritta sul viso. “Perché lo hai…
Jensen?” Chiese. Non sembrava che
avesse nemmeno registrato le parole dell’altro.
“Non
lo so.” Ripeté. Era esattamente nella stessa
situazione
di Jared: scioccato e senza parole, senza indizi di cosa fosse appena
accaduto.
“Ok,
questo è… uhm, wow.” Il più
giovane lasciò andare una
risata tremante. “Onestamente non so che cosa dire.”
I
suoi occhi si muovevano intorno alla stanza,
focalizzandosi su tutto e niente, ma decisi a non guardare Jensen;
quest’ultimo
non sapeva cosa dire.
“Voglio
dire, non possiamo… uhm, non posso… wow, io
non…”
“Jared
mi dispiace.” Jensen lo disse di nuovo perché era
l’unica cosa che sapeva per certo in quel momento.
“Dio, mi stavi appena
dicendo di te e Gen, ed io…”
Uno
sguardo scioccato si spostò su Jensen. “Cazzo,
Gen!”
Gemette Jared, come se avesse pensato a lei solo il quel momento, come
se
quella non fosse stata la principale ragione per cui aveva spinto via
Jensen.
“Lei non ha bisogno di saperlo, Jensen. Giusto? Loro non
hanno bisogno…”
L’altro
annuì silenziosamente.
“È
stato un evento casuale, giusto? Solo panico, forse? Il
matrimonio è un grosso passo, amico.” Jared rise,
facendo uno sforzo per
scrollarsi tutto di dosso e Jensen gliene fu grato, perché
continuava a sentire
la lingua pesante nella bocca e le sue labbra ancora non volevano
rispondergli.
“Sì,
certo.” Rispose rigidamente. Non era in grado di
pensare, non era in grado di processare nient’altro che non
fosse ‘ho baciato
Jared’ e si sentiva come se
stesse per impazzire. Come se, in ogni minuto, da lì in
avanti, avesse potuto
fare qualcosa di stupido. Qualcosa di ancora più stupido
dell’aver baciato il
suo migliore amico.
“Okay,
quindi uhm… siamo a posto?” Chiese Jared e Jensen
ebbe bisogno di alcuni secondi prima di decidersi finalmente ad annuire.
“Beh…”
Proseguì il più giovane “Penso che
dovrei… lo sai…
andare a letto. È già tardi e hum…
sì.”
Jensen
lo guardò andare via; qualcosa si ruppe dentro di
lui, l’unico pensiero che riecheggiava nella sua testa era: ‘domani
è sabato’.
****
Nel
momento in cui sentì la porta della camera di Jared
chiudersi, seppe che non poteva restare. Qualcosa prudeva sotto la sua
pelle,
rendendolo irritabile ed irriconoscibile perfino a se stesso.
E
quello che aveva appena fatto...
Jensen
non ci pensò molto, si infilò semplicemente nella
sua
stanza, tirò fuori il suo borsone dal fondo
dell’armadio, ci buttò dentro
qualche vestito e alcuni accessori da bagno e tornò in
cucina. Scrisse a Jared
una nota veloce – “Vado a trovare
Chris. Torno
domenica. J.” – e fu fuori
dalla casa prima che il battito del suo
cuore avesse la possibilità di calmarsi.
Le
gomme stridettero sull’asfalto quando se ne andò e
avrebbe dovuto sentirsi imbarazzato di quanto tutto quello fosse
diventato un
cliché, ma in quel momento non riusciva a pensare.
Aveva
fatto qualcosa di incredibilmente sbagliato e non solo
per Danneel o Genevieve, ma anche per loro, Jared e Jensen, da sempre
migliori
amici e tutta quella merda da ragazzine, che ora non poteva essere
più vera.
Aveva messo tutto a rischio. Tutto.
Quando
vide i primi segnali dell’aeroporto Jensen lasciò
andare un respiro che non si era reso conto di trattenere. Avrebbe
preso il
volo successivo per andare da Chris… o
all’Inferno, avrebbe continuato a
guidare fin laggiù; poi si sarebbe schiarito la testa,
l’avrebbe fatta tornare
dritta*. Jensen gemette e chiuse gli occhi per un attimo al cattivo
gioco di
parole.
Chris
avrebbe saputo cosa fare e cosa dire (o non dire) e
lui sarebbe stato meglio con un cambio di scenario per il weekend.
Jared
sarebbe stato grato per un paio di giorni di libertà da lui,
specialmente dopo
quello che aveva fatto.
Jensen
continuò a dirsi tutto questo mentre parcheggiava
l’auto in aeroporto. Sebbene sentisse un brivido di disagio
scendergli lungo la
schiena mentre guardava una di quei pesanti aerei prendere il volo e,
nonostante le fitte allo stomaco dovute a qualcosa a cui non riusciva a
dare un
nome si fossero fatte più forti, qualcosa che voleva che
tornasse indietro,
qualcosa che quasi gli fece male al pensiero di lasciare Jared,
nonostante
tutto, i passi di Jensen erano sicuri quando entrò
nell’edificio.
****
Jensen
guardò Chris sparire dietro l’angolo e subito
tornò a
dove era rimasto il venerdì. Il suo volo sarebbe partito
solo dopo un’ora, ma
Chris aveva un appuntamento importante e con lui andato, se ne era
andata anche
la fiducia che aveva costruito nelle ultime ore.
Chris
lo aveva aiutato. Uno sguardo a Jensen e l’amico era
stato determinato a fargli sputare il rospo.
Aveva
impiegato fino a quel giorno.
All’inizio,
Jensen non si era sentito di discuterne, non si
era sentito di preoccuparsene, di condividere e di parlare dei suoi
sentimenti
come una scolaretta. Ma quella mattina Chris non aveva accettato oltre
le sue cazzate
e gli aveva fatto sputare tutto.
Chiuse
gli occhi per un momento e continuò a sentire le
orecchie diventare rosse al ricordo di quando lo aveva detto ad alta
voce. ‘Ho baciato
Jared’.
Chris
aveva quasi sputato il suo caffè, ma lo aveva ascoltato
senza interromperlo e all’improvviso da lui era uscito tutto.
Tutto
degli incubi e delle insicurezze delle passate
settimane, degli sbalzi di umore e della troppa rabbia; tutto quello
era sfociato
in un bacio che Jensen non aveva visto arrivare. Ma ora che aveva
lasciato alla
sua mente la possibilità di pensarci per un po’,
forse non era poi così
sorprendente dopotutto.
Chris
lo aveva ascoltato silenziosamente e, quando Jensen
aveva finito e aveva tirato fuori dal petto molte più cose
di quelle che si era
reso conto di trattenere, l’altro gli aveva posto una sola
domanda.
“Lo
ami?”
All’inizio,
Jensen avrebbe voluto ridere, perché era ovvio
che lo amasse. Era Jared.
Ma
poi, lo sguardo serio di Chris gli aveva fatto capire che
non se la sarebbe cavata così facilmente.
Jensen
trasalì, tornando al presente, quando due bambini
corsero vicino a lui, ridendo rumorosamente mentre giocavano. Quando si
guardò
in giro, poté perfino vedere due ragazze che gli facevano
delle foto,
sghignazzando dietro i loro cellulari. Ma non gli vennero vicino per
chiedergli
degli autografi e Jensen gliene fu grato.
Aspettare
di salire su uno di quei pezzi di metallo
assemblati, che qualcuno presupponeva potessero tenerlo in aria, era
già
abbastanza difficile di suo.
Continuava
a non avere una risposta per la domanda di Chris.
Decisamente
voleva bene a Jared, come suo migliore amico, un
fratello, ma più di quello? Jensen non lo sapeva. Cose come
quella non erano
mai state in discussione prima, per lui; non aveva mai avuto
l’occasione di
considerare la possibilità di essere bisessuale e
decisamente si sentiva troppo
vecchio per considerarlo ora.
Le
parole di Chris gli risuonavano nelle orecchie. Non
avrebbe dovuto pensare a cose stupide (come il mettersi a succhiare
uccelli
tutto ad un tratto), avrebbe dovuto preoccuparsi di più del
fatto di come
potesse amare qualcuno che non fosse la donna che aveva
l’intenzione di
sposare.
Pensare
a Danneel lo riportò alla realtà. Si sentiva
terribilmente in colpa. Se solo avesse preso l’aereo per
vedere lei invece di
Chris, se glielo avesse detto lei probabilmente avrebbe riso e lo
avrebbe
definito carino. Entrambi lo avrebbero ridotto ad una tarda
sperimentazione e
lei lo avrebbe perdonato.
Ma
lui aveva preso l’aereo per andare da Chris. E questo
diceva a Jensen più di quanto fosse pronto ad ammettere in
quel momento.
Diede
un’occhiata al cellulare, il suo stomaco si contrasse
alla vista del display vuoto. Nessuna chiamata da parte di Jared.
L’amico
aveva cercato di rintracciarlo venerdì notte e quasi
tutto il sabato. Lo aveva chiamato e aveva mandato messaggi e cercato
di
chiamare di nuovo, ma Jensen si era rifiutato di rispondere ad ognuno
di essi.
Ora sembrava che l’altro avesse rinunciato a lui.
Scorse
i messaggi di Jared, anche se li conosceva a memoria,
sentendosi come una ragazzina mentre lo faceva.
‘Hey,
mi dispiace,
ho esagerato, per favore chiamami.’
‘Jensen,
per
favore chiamami, d’accordo? Ho davvero reagito in modo
esagerato e mi dispiace
per questo.”
‘Andiamo
amico,
per favore non evitarmi, okay? È stupido, siamo amici
giusto? Le cose
succedono, possiamo parlare di tutto, okay?’
‘Jensen,
per
favore, cosa c’è che non va? Ci deve essere di
più di un singolo bacio. Parla
con me amico.’
Poi
c’era quello che Jensen aveva ricevuto quella mattina
presto, molto dopo la mezzanotte.
‘Jensen,
se questo
non è stato solo un evento casuale, possiamo parlarne
ancora? Okay? Troveremo
un modo di superarlo. Non posso perderti.’
Rimase
a fissare i messaggi, leggendoli tutti di nuovo, poi
chiuse il cellulare.
L’annuncio
del suo volo pose fine alle sue riflessioni.
Afferrò la borsa, ma mentre si dirigeva al gate,
esitò. Sentì il forte impulso di
voltarsi indietro, di non salire su quel fottuto aeroplano. Di andare a
noleggiare una macchina e guidare per tutta la strada fino a Vancouver.
Ma
Jensen alzò gli occhi al cielo a quel pensiero e
ricominciò a camminare. Se il suo cuore cominciò
a battere più forte e le sue
mani iniziarono a sudare, lui lo imputò alla paura di
trovarsi presto faccia a
faccia con Jared.
Anche
se sapeva che non era interamente vero.
****
Per
tutta la strada dall’aeroporto, Jensen sperò
silenziosamente che a casa sarebbe stato solo, almeno per qualche ora,
così
avrebbe potuto pensare a cosa dire a Jared. Ma appena si
fermò di fronte alla
loro casa, capì che non sarebbe stato così
fortunato.
Il
SUV di Jared era parcheggiato lì di fronte e, quando
entrò,
vide le scarpe del suo amico e sentì dei rumori provenire
dalla sala da pranzo.
Jensen
si prese il suo tempo, in corridoio e poi nella sua
stanza. Mise lentamente via tutto, dando all’altro il tempo
di fare la prima
mossa e rompere il ghiaccio. Ma anche se svuotò la borsa e
mise tutto a posto,
si lavò la faccia e prese una bottiglia dal frigorifero in
cucina, Jared rimase
lontano.
Jensen
emise un gemito profondo. Solo poche settimane prima
tutto era a posto, ed ora era affondato fino alle ginocchia in quel
casino e
non sapeva come ci fosse finito, né tantomeno come ne
sarebbe uscito.
“Allora?
Vuoi che me ne vada?”
La
domanda pacata di Jared lo spaventò facendolo voltare di
scatto, e quando vide il suo amico appoggiato allo stipite della porta,
che
giocava con la penna che aveva in mano, gli ricordò molto
Sam. Meditabondo e
sulla difensiva.
“Cosa?
Questa è la tua casa, amico! Io me ne dovrei
andare!”
Fu la prima reazione di un Jensen preso dal panico. Poi quelle parole
fecero
davvero presa su di lui e si sentì come se avesse preso un
calcio nello
stomaco. “Intendi dire… davvero?”
sussurrò, incapace di guardare l’altro negli
occhi.
“No!
Dannazione!” Urlò Jared, buttando in aria le
braccia.
“Ma non so cosa ci sia che non vada, amico, e non posso
aiutarti se non parli
con me!”
Jensen
deglutì, si sentiva a disagio, la sensazione di aver
sbagliato, che era un po’ diminuita mentre era da Chris,
stava tornando con
pieno vigore. “Non c’è nulla di cui
parlare.” Disse e non poté credere alle sue
stesse orecchie. “Non so perché pensi che io
voglia che tu te ne vada.”
Jared
rimase a fissarlo per alcuni secondi incredulo e, per
un momento, Jensen pensò che fosse tutto, che stessero per
lasciar perdere la
questione e che potessero andare avanti, tornare alle loro vite e far
finta che
quanto accaduto negli ultimi giorni non fosse mai successo.
Jared
non glielo lasciò fare.
“Mi
hai baciato e poi sei scappato. Amico, sei sparito dal
fottuto paese per tre giorni.” Jared gettò le mani
in aria, proprio come faceva
quando era sconvolto e arrabbiato. “Cosa diavolo avrei dovuto
pensare?”
Jensen
rimase immobile. Era combattuto tra il rimanere in
silenzio e il dire a Jared tutto quello che sapeva: quanto confuso
fosse,
quanto fuori equilibrio si sentisse quando si svegliava ogni mattina;
come il
suo cuore battesse più veloce ogni volta che lo vedeva, ma
come, in qualche
modo, non la sentisse come una stupida infatuazione.
Voleva
dirgli quanto fosse spaventato. Che stava mandando
tutto a puttane: la loro amicizia, Danneel, il suo lavoro. Aveva una
vita
perfetta ed ora si sentiva come se stesse lottando per cercare di
rimanere a
galla.
Voleva
dire tutto a Jared ma, allo stesso tempo, sentiva che
si stava chiudendo in se stesso. Si sentiva come se qualcun
altro si stesse assestando su di lui, dentro
di lui, riempiendolo.
“Non
parleremo di questo.” Disse bruscamente e si girò
per
non tradire le sue parole con quello che l’altro avrebbe
potuto leggere nei
suoi occhi.
“Non
ne parleremo?” Chiese Jared con rabbia, alzando il tono
di voce ad ogni parola. “News flash, Jensen: non sei Dean,
okay?”
L’altro
serrò la mascella e rimase in silenzio.
Ma
Jared continuò ad andare avanti. “Amico, le ultime
settimane?
Mi hai spaventato a morte. E non sto parlando solo del bacio. Questo
non sei
tu! Ti prego, se hai bisogno di aiuto, qualsiasi cosa sia,
chiedilo.”
“Ho
detto che sto bene.” Abbaiò Jensen, girandosi ed
andandosene, ma Jared lo prese per un braccio, facendolo fermare.
“Jensen!”
Quando
l’altro si voltò per guardare il suo amico, non
riuscì a sopportare di vedere Jared guardarlo come un
cucciolo smarrito; usava
i suoi occhi e probabilmente non si rendeva nemmeno conto di farlo, ma
lo colpì
a prescindere.
“Senti,
io…” Iniziò, sentendo la rabbia e le
sue difese
scivolare via. “Forse è perché la cosa
con Danneel si sta facendo seria,
d’accordo? Forse è quello. Non lo so. Ma
non… non facciamola diventare più
grande di quanto non sia, ti prego.”
Jensen
si sentì uno stronzo per averlo detto; poté
vedere
sul viso dell’altro come quelle parole lo avessero ferito,
anche se cercava di
non mostrarlo. Jared era solo preoccupato per lui e lui continuava a
comportarsi come un coglione.
Ma
non sapeva come dirlo in modo giusto, perché continuava a
non sapere cosa stava provando. Era come se dentro di lui mancasse
qualcosa, un
vuoto che aveva dolorosamente bisogno di essere riempito, ma qualunque
cosa
fosse quello che gli mancava, stava lentamente tornando indietro e lo
faceva
sentire estraneo e differente dal suo solito se stesso.
Come
se non fosse una parte di lui o non lo fosse stata per
lungo tempo.
“Jared,
mi dispiace. So che ho incasinato tutto. Lo so.”
Disse quando intercettò lo sguardo del suo amico.
“Ma non pensi che sarebbe
meglio se solo noi andassimo oltre e lasciassimo perdere questa
cosa?” Sapeva
che stava supplicando, implorando, ma poteva già vedere la
determinazione di
Jared a farlo parlare che si indeboliva, e questo era tutto
ciò di cui aveva
bisogno in quel momento.
“Ma
sei sicuro che… siamo a posto?” Chiese il
più giovane
dopo un po’, la sua voce era pacata adesso, esitante.
“Sei sicuro che non c’è
nulla di cui dobbiamo discutere qui?” Sembrava nervoso,
arrossì perfino e
Jensen fu in qualche modo grato di non essere l’unico a
sentirsi completamente
fuori di sé.
“Ne
sono sicuro.” Rispose, la sua voce solo un po’
roca, le
sue parole solo una mezza bugia.
****
“Amico?
Hey.”
Jensen
gemette quando sentì le parole bussare contro la sua
coscienza. Era più addormentato che sveglio quando qualcuno
toccò la sua
spalla, spingendolo.
Reagì
d’istinto: la sua mano sparì sotto il cuscino, si
chiuse intorno a qualcosa e tirò.
“Sei
tu.” Si lamentò poi, sbattendo le palpebre in
direzione
di Jared e sentendo il suo intero corpo rilassarsi. Era ancora stanco,
i suoi
occhi erano ancora mezzi chiusi e fu per questo che non si accorse
dello
sguardo di panico sul viso dell’altro.
“Jensen?”
Disse Jared accanto a lui e il suo tono, senza
fiato e scioccato, lo svegliò all’istante.
“Che
succede?” Chiese, tirandosi a sedere, studiando la
faccia dell’amico.
Il
più giovane indicò silenziosamente qualcosa nella
mano
destra di Jensen e lui seguì la direzione.
Si
gelò.
C’era
un coltello nella sua mano destra, un coltello da
pane, quello che di solito stava in uno dei cassetti del mobile della
cucina.
Quello che la sua mano destra aveva appena tirato fuori da sotto il
cuscino.
“Jensen?”
Chiese Jared, la sua voce dieci volte più alta.
“Perché hai un coltello?”
“Non
lo so.” Rantolò e lo lasciò cadere
immediatamente, come
se gli stesse bruciando la mano. “Non lo so.”
Ripeté, i suoi occhi saettavano
tra Jared e il coltello.
Non
era del tutto vero. Ricordava un sogno, qualcosa su Dean
che si svegliava per degli strani rumori. Nel sogno cercava il pugnale
sotto il
cuscino, qualcosa che teneva sempre lì, e poi andava al
piano di sotto per
scoprire cosa fosse stato ad aver disturbato il suo sonno.
Jensen
non ricordava di più, ma aveva la sensazione che il
sogno fosse in qualche modo connesso con questo.
“Forse
io… forse ho avuto un episodio di sonnambulismo?”
La
buttò lì, ma Jared continuò a fissarlo
come se gli fosse cresciuta una terza
testa.
“Gesù,
Jensen.” Il suo amico soffiò fuori.
“Questo fa
dannatamente paura.”
Jensen
sbuffò. “Non dirlo a me.”
“Avresti
potuto ferirti, amico.” Disse Jared e subito
sembrò
incazzato, come se fosse colpa di Jensen.
“Non
l’ho fatto di proposito!” Sibilò
l’altro ed ora era
spaventato quanto lo era Jared, perché il più
giovane aveva ragione: avrebbe
potuto farsi male. O peggio, avrebbe potuto inciampare sui cani e
ferirli,
avrebbe potuto andare nella stanza di Jared…
“Jensen
cosa c’è che non va in te?” Chiese
l’amico e questa
volta sembrava addolorato e disperato.
Jensen
non aveva una risposta.
*La
parola in inglese è straight,
che viene usata
anche per definire l’orientamento sessuale etero, da qui il
gioco di parole a
cui si riferisce nella frase successiva.