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Autore: Hermione Weasley    18/09/2014    5 recensioni
Lei è in fuga da se stessa. A lui sono stati offerti due milioni di dollari per ucciderla. Ma le mire di qualcun altro, deciso a riunire sei persone che non hanno più niente da perdere, manderanno all'aria i loro piani.
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“Chi cazzo è questo idiota?” Blaterò qualcuno.
“Un forestiere!” Decise un altro.
“Che razza di accento era quello?” Indagò un terzo.
Si sentì spingere bruscamente verso l'arena, senza poter far granché a riguardo. Quando le fu ad un misero metro di distanza, tra le grida che si alzavano dal gruppo, fu la voce bassa e pacata della donna a sovrastare tutte le altre.
“E' l'uomo che mi ucciderà.”

[Clint x Natasha + Avengers] [Dark!AU] [Completa]
Genere: Azione, Malinconico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Clint Barton/Occhio di Falco, Natasha Romanoff/Vedova Nera, Steve Rogers/Captain America, Thor, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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- Capitolo 3 -

 

 

 

Parcheggiò sul retro della stazione di servizio, in corrispondenza del misero rettangolo d'ombra che un grosso cartellone pubblicitario sbiadito proiettava sull'asfalto ancora bollente.

Socchiuse gli occhi e si rilassò per un breve istante contro il sedile, sentendo la schiena fastidiosamente sudata: per come si erano messe le cose, non era neppure sicuro di ricordare come ci si sentisse da asciutti. Giurò a se stesso, per la centesima volta almeno, che, come meta del suo prossimo lavoro extra, non avrebbe accettato niente che si trovasse al di sotto del circolo polare artico.

Disinnescò il motore e ne requisì le chiavi, concedendosi solo una rapida occhiata in direzione della sua inconsapevole compagna di viaggio – distesa su un sottile materasso sistemato sul retro – prima di scendere dal furgone per sgranchirsi un po' le gambe, i muscoli intorpiditi da quasi dieci ore ininterrotte di guida. Si passò una mano sul collo umido e sporco di polvere, seguendo con lo sguardo la linea indistinta dell'orizzonte: il sole sarebbe tramontato di lì a breve, portandosi via – o almeno Clint se lo augurava – l'afa che l'aveva oppresso per tutto il giorno.

Restò in contemplazione della vasta desolazione fatta di terra, caldo, montagne impervie e aride, su cui si snodava il nastro nero della strada. Qualcosa gli suggeriva che non avrebbe abbandonato quel particolare scenario tanto presto.

“Cazzo,” biascicò tra sé, costringendosi ad uscire dallo stato catatonico in cui pareva essere sprofondato. Se si metteva a riflettere su come la situazione, da perfettamente chiara e razionale, era diventata un ammasso confuso di cose che non avevano alcun senso, per di più nel giro di un'ora al massimo, gli girava la testa. Contò i soldi che aveva con sé – solo una piccola parte dei cinquantamila che Elizaveta Drakov gli aveva messo a disposizione – dirigendosi a passo indolente verso la stazione di servizio.

Un impercettibile scampanellio accompagnò il suo ingresso nel piccolo mini-market antistante la pompa di benzina. Un ragazzo, doveva avere una ventina d'anni, capelli ricci e pelle scura, si limitò a lanciargli una pigra occhiata, prima di tornare a prestare attenzione alla tv portatile poggiata sul bancone.

“'Sera,” lo salutò, ricevendo in cambio un grugnito non meglio decifrabile, ma sicuramente disinteressato. Non aveva la più pallida idea di cosa stesse guardando, ma quel poco che riusciva a sentire gli fece nuovamente ringraziare di essere mezzo sordo. Si immise tra le corsie stipate di cibo, bevande, provviste di qualsiasi tipo, bagnoschiuma, shampoo, fazzoletti, oggetti da giardinaggio, un singolo ombrello (chi cazzo poteva averne bisogno in quella merda di deserto?), souvenir di ogni genere. Lo esplorò da cima a fondo con estrema perizia, più per godersi l'aria condizionata che per assicurarsi di non dimenticare niente di essenziale.

Mentre teneva sotto controllo il furgone attraverso le vetrine affacciate sull'esterno, Clint optò infine per un pacco da sei lattine di birra, una grossa confezione d'acqua e un paio di bottigliette più piccole, biscotti al cacao, dei salatini, patatine al formaggio, merendine all'albicocca, due magliette dallo stand dei souvenir e un flacone di deodorante da uomo. Riuscì a portare tutto al bancone senza particolari problemi, sotto lo sguardo incuriosito del cassiere, improvvisamente più interessato alle sue manovre (e – sospettò – al suo occhio nero) che alla televisione.

“Quante buste?” Gli domandò, dopo aver passato in rapida rassegna gli articoli.

“Due. E un pacchetto di Lucky Strike.”

“Non abbiamo le Lucky Strike.”

“Marlboro rosse allora.”

“Neanche.”

“Chesterfield?”

“Solo quelle al mentolo.”

Clint fece fatica a trattenere un moto d'irritazione. “Scelga lei, va bene?” Si impedì di sospirare troppo vistosamente, intrecciando le braccia al petto mentre lo osservava passare gli acquisti al lettore con snervante lentezza.

L'orologio digitale appeso alla parete di compensato lo informò che mancavano esattamente trentasette ore prima che la signora Drakov lo contattasse per aggiornamenti. Ciò significava che era ancora in tempo a togliere di mezzo la ragazza senza che la sua cliente venisse mai a sapere che aveva... esitato. Avrebbe voluto imputare la colpa della sua irresolutezza al fatto che, in fin dei conti, c'era ancora una parte di lui che non poteva essere corrotta. I soldi gli avevano fatto gola, ma non abbastanza da convincerlo a compromettersi. O almeno, l'avevano persuaso a parole, ma non nei fatti.

In realtà era stata una questione di pura praticità: non poteva ucciderla in quel lurido bar davanti a tutti quei testimoni, gente che avrebbe potuto riconoscerlo, descriverlo, indicarlo. Lasciare Florence, dopo aver rubato un mezzo che facesse al caso suo, gli era sembrata la scelta più saggia. Aveva inoltre formulato un grossolano piano che prevedeva di farla soffocare nel sonno senza che neppure se ne accorgesse, scaricarla nel deserto e lasciare che i coyote facessero il resto... ma aveva temporeggiato. Tuttavia, non era affatto pronto a cantar vittoria per la sua anima redenta.

Nonostante sapesse che era una pessima, pessima idea, si era messo a frugare tra le sue cose: portafogli che non avevano l'aria di appartenerle, un passaporto e una patente contraffatti, le aspirine che doveva aver acquistato prima di dirigersi alla bettola in cerca di guai.

E poi c'era quel pacco ancora intonso. Ne aveva riconosciuto il rivestimento, lo spago che lo teneva chiuso, l'etichetta che riportava l'indirizzo di un qualche motel nei paraggi. Quante possibilità c'erano che lui e la sua vittima designata avessero ricevuto lo stesso identico pacco in due stati diversi, a distanza di un paio di giorni al massimo?

Clint Barton non credeva alla coincidenze. Si era visto costretto ad accostare, ripescare dalla sua sacca la busta di carta in cui aveva riposto il contenuto dell'involto prima di lasciare Waverly, ripromettendosi di visionarlo più attentamente quando avesse avuto almeno un'ora libera. Inizialmente aveva creduto si trattasse di un pessimo scherzo: che cazzo se ne sarebbe dovuto fare del frammento di una cartina muta che il cielo solo sapeva cosa rappresentasse, quella che sembrava la chiave di una cassetta di sicurezza e un post-it su cui era riportato un indirizzo di Puente Antiguo, una località del New Mexico di cui non aveva neppure mai sentito parlare? Non aveva esitato a scartare il pacco della ragazza, e affanculo le buone maniere: vi aveva trovato la medesima scatola di cartone, un altro pezzo della stessa cartina, una chiave simile alla sua, un approssimativo indirizzo per una qualche frazione di Lafayette in Louisiana. Ad un controllo più attento si accorse che sotto il pezzo della sua mappa era segnato, appena percettibile, un numero uno, mentre sul retro di quella di Natalie Rushman, Black Widow o come diavolo si chiamasse in realtà, era stato tracciato un minuscolo tre. Non furono sufficienti a decidere se si trattasse o meno della medesima mano.

Aveva ripreso a guidare con le idee ancora più confuse, ma le priorità erano improvvisamente cambiate: prima avrebbe cercato di vederci chiaro, e solo poi l'avrebbe fatta fuori. Le possibilità più disparate gli si erano presentate davanti agli occhi: e se la signora Drakov fosse stata d'accordo con Natalie fin dall'inizio? E se non fosse stato altro che un enorme complotto per metterlo in gattabuia? E comunque che cazzo c'entrava la ragazza? Due milioni di dollari! Come aveva potuto non farsi un paio di domande a riguardo?

“Trentatrè dollari e settanta centesimi.”

La voce del commesso lo riportò bruscamente alla realtà. Le linee dell'orologio su cui si era fissato si rifecero chiare e definite: il mondo tornò improvvisamente a fuoco.

“Vorrei anche due taniche vuote per fare benzina,” si ricordò improvvisamente, porgendogli un paio di banconote da venti.

“Da quella parte,” gliele indicò con uno svogliato cenno del capo. “Piene?”

“Sì.”

“Sono... centoventi dollari in più.”

Suppose che era troppo tardi per chiedergli se avessero un tandem capace di attraversare il deserto.

“Le serve una mano?” Il commesso stava contando i soldi. Palpabile, nella sua voce strascicata, l'apatica speranza che Clint rifiutasse un qualsiasi aiuto.

“No, ce la faccio.” Lo accontentò, sistemandosi le due buste sotto al braccio, la confezione d'acqua nella stessa mano e le taniche vuote nell'altra. Accennò un saluto in direzione del ragazzo, guadagnando rapidamente l'uscita. L'afa lo avvolse come una soffocante coperta non appena ebbe rimesso piede fuori dal mini-market, ma se non altro riusciva a sentire l'alito leggero della notte imminente nell'aria. O forse stava solo cominciando ad avere le allucinazioni.

Scaricò la spesa sul sedile anteriore del furgone prima di tornare indietro a riempire le taniche di benzina. Si assicurò che nessuno lo stesse osservando prima di aprire lo sportello scorrevole del furgone, rivelando la figura riversa sul materasso sottile, ancora assopita.

Si costrinse a non soffermarsi più di tanto sulla linea sinuosa del suo corpo: era già abbastanza confuso di suo.

Immobilizzò le due taniche sul retro con un cavo elastico che aveva ripescato nello scatolone abbandonato tra la ruota di riserva e una cassetta degli attrezzi. Richiuse lo sportello e occupò il posto di guida. Avviò il motore, facendo manovra con una mano, mentre con l'altra si apriva una delle sei lattine di birra che aveva appena comprato (un altro dei suoi talenti). Si immise nella strada e accese la radio, lasciando che le note di una canzone che non conosceva riempissero l'abitacolo.

Decise che avrebbe guidato fino al definitivo calare del sole, dopodiché avrebbe risolto la questione Black Widow una volta per tutte.

 

*

 

La realtà la reclamò bruscamente: si risvegliò di soprassalto al gracchiare di una voce mostruosa. Scattò seduta, la schiena dolorante, i muscoli intorpiditi, lividi e contusioni che si imposero alla sua coscienza, uno dopo l'altro.

La pelle sudata di freddo, la vista ancora confusa, Natasha tentò di non lasciarsi sopraffare dal battito impazzito del proprio cuore, di contenere la paura che l'aveva invasa non appena si era resa conto di non sapere dove si trovasse o... con chi. Prese atto della presenza di qualcuno solo quando si fu rilassata abbastanza da permettere ai suoi sensi di fare il loro lavoro. Il buio la circondava quasi del tutto, se non fosse stato per quella porzione di cielo trapuntata di stelle che riusciva ad intravedere: intuì di trovarsi su un mezzo di trasporto di qualche tipo. Assegnò la voce orrenda che l'aveva ridestata alla radio che udiva in sottofondo e la presenza indistinta che percepiva poco distante – stranamente lontana dal posto di guida – all'autista.

Gli avvenimenti della mattinata la investirono come un fiume in piena, provocandole numerose fitte di mal di testa.

La luce improvvisa della fiammella di un accendino le rivelò il volto di quello che – ne era piuttosto convinta – era (o sarebbe stato) il suo assassino. Sbatté le palpebre un paio di volte, cercando di metterlo a fuoco, ma quella si spense prima che potesse esaminarlo come avrebbe voluto.

“Hai dormito come un sasso,” la informò, senza curarsi del buio che li avvolgeva. A giudicare dal modo in cui pronunciava le parole, doveva essere impegnato a mangiare.

“P-Perché non mi hai uccisa?”

“Avevo fame.”

“Fottiti.”

“Ti sei svegliata bene.”

“Che cazzo è successo?”

“Non potevo di certo ammazzarti davanti a tutta quella gente, no? E poi quel tuo amico Todd è arrivato a rovinarmi la festa, per cui...”

“Non è un mio amico.”

“Si fa per parlare.”

Natasha sprofondò in un ostinato silenzio, mentre prendeva atto delle proprie condizioni: aveva polsi e caviglie legate con delle fascette stringicavo. Lo sfinimento e le botte ricevute, poi, avevano fatto il resto, rendendole di fatto impossibile una qualsiasi fuga.

“Come hai fatto a trovarmi?” Fece quello che Ivan le aveva insegnato a fare nelle situazioni critiche: guadagnare tempo, stimare i danni, esaminare le circostanze, decidere per la soluzione che aveva le più alte probabilità di successo. Quello che la infastidiva era che non aveva realmente pianificato di sopravvivere a quella lurida bettola: aveva deciso di affrontare il suo inseguitore a muso duro, ma la rabbia e l'agitazione avevano preso il sopravvento. Natasha aveva sperato con tutta se stessa che l'arrivo del suo carnefice coincidesse anche con la fine delle sue tribolazioni. Capiva, adesso, che con l'incendio dell'ospedale di San Paolo aveva definitivamente compromesso il suo rapporto con Ivan e, allo stesso tempo, che senza di lui era finita.

Non poteva continuare, non poteva smettere.

La via d'uscita era una e una soltanto e, adesso, le veniva negata anche quella.

“Qualcuno sapeva dove trovarti.”

“Cosa c'entrava il pacco?”

Seguì una lunga pausa in cui riuscì a percepire l'impalpabile mutamento nel ritmo del respiro dell'uomo. Qualcosa le diceva che la risposta a quella particolare domanda non sarebbe stata poi così immediata.

“Non sono stato io a mandartelo.”

“Certo,” sbuffò una risata carica di scherno, smozzicando un'imprecazione mentre provava a rimettersi almeno seduta. La bieca luce delle stelle le stava finalmente permettendo di abituare i propri occhi all'oscurità circostante. A giudicare dall'intensità con cui gli astri brillavano, dovevano trovarsi nel bel mezzo del deserto, lontani da qualsiasi fonte di luce artificiale.

“Non sono stato io,” ribadì l'uomo. “Magari hai fatto incazzare qualcun altro.”

“Ho fatto incazzare un sacco di gente. Questo non significa che siano in grado di trovarmi.”

“Bè, a quanto pare sono in buona compagnia.”

Calò il silenzio per qualche istante ancora, prima che un brusco movimento dello sconosciuto non la facesse scattare malamente. Natasha si schiacciò contro la parete di quello che aveva capito essere un furgone, trattenendo il respiro.

“Sta' calma, sto solo cercando una...” un fascio di luce azzurrina la investì senza alcun preavviso, “... torcia.” Sbatté furiosamente le palpebre, aspettando che il fastidio agli occhi passasse prima di fissare la propria attenzione su di lui. Indossava gli stessi vestiti che gli aveva visto addosso al bar, i capelli più spettinati, il volto segnato dalla stanchezza, lo zigomo gonfio e un occhio nero. “Patatine?” Natasha osservò scetticamente il pacchetto che le stava offrendo, trattenendo a sento una smorfia disgustata.

“Fottiti,” ribadì.

“Non sei una che parla molto, ah?”

“Fottiti.”

“Appunto. Ascoltami... Natalie, o qualsiasi sia il tuo vero nome...”

“Fottiti.”

“Va bene, Fottiti, ti dico quello che so, va bene? So che hai fame e molta più sete...”

Natasha fu sul punto di smentirlo, ma le sue parole ebbero il potere di renderla improvvisamente consapevole della gola arida, della lingua ancora felpata dal sonno, dal rimestare senza sosta del proprio stomaco. Serrò le labbra secche e si impedì di dire alcunché.

“... quindi facciamo così. Un sorso d'acqua per ogni risposta, che te ne pare?”

“Perché non mi uccidi e basta?”

“Perché ci tengo, a vederci chiaro.”

“Credevo dovessi uccidermi.”

“Non ho detto che non ti ucciderò.”

“Hai intenzione di prendermi per sfinimento?”

L'uomo le agitò una bottiglietta d'acqua sotto al naso, lasciando che fosse quella a rispondere per lui. Natasha avrebbe voluto resistere stoicamente, mandarlo tenacemente a fanculo per tutte le volte che fosse stato necessario, ma... al diavolo, se doveva morire, tanto voleva godersi quel che restava della sua patetica esistenza. Annuì infine, irrigidendo i muscoli quando lo sconosciuto si alzò per sederlesi di fianco, sul materasso sgangherato. Il disagio per quella vicinanza non richiesta non esitò a palesarsi. La pelle dell'uomo emanava tutto il calore che aveva assorbito durante il giorno; l'odore del furgone, poi, si mescolava al suo, un misto di deodorante appena spruzzato e sudore che – sorprendentemente – non le risultò poi così sgradevole. Tentò comunque di allontanarsi un poco, ristabilire una certa distanza, riacquistare il proprio spazio. Se lo sconosciuto si era accorto delle sue manovre, fece finta di niente.

“Iniziamo con qualcosa di semplice,” riprese, svitando il tappo della bottiglietta. “Quando hai ricevuto quel pacco?”

“Stamattina,” replicò semplicemente, decidendo che avrebbe fatto la reticente solo con le informazioni più scottanti (che, non dubitava, sarebbero state richieste a breve). L'uomo ne prese tacitamente atto e, senza toccarla, l'aiutò a poggiare le labbra sul bordo della bottiglia, a prenderne un sorso che – per quanto la riguardava – durò troppo poco.

“Ah-ah, non fare l'ingorda.”

“Stronzo.”

“Quando capita,” le concesse. Natasha fu costretta a trattenere il respiro per impedirsi di tirargli una testata in piena fronte. Intanto, approfittando della semi-oscurità, dell'attenzione focalizzata su quel bizzarro interrogatorio, cominciò ad armeggiare con la fascetta stringicavo che le immobilizzava le mani dietro la schiena. Temporeggiare, sempre e comunque.

“Sei stata contattata da qualcuno, ultimamente? Una donna di circa quarant'anni, dell'est Europa... magari?”

Assottigliò lo sguardo, fissandolo dritto in quegli occhi di cui non riusciva ancora a distinguere il colore. Era una domanda estremamente specifica: riusciva a leggergli nello sguardo la confusione, come se si stesse arrovellando alla ricerca della soluzione di un complicato indovinello. Evidentemente aveva pensato che quella donna potesse fungere da collegamento tra le proprie vicende e le... sue. Per quale motivo lo sconosciuto fosse alla ricerca di un terreno comune, però, quello Natasha non l'aveva capito. Forse neanche lui lo sapeva: magari anche lo sconosciuto aveva un suo Ivan ad impartirgli ordini che non poteva contestare.

“No.”

“Ne sei proprio sicura?”

“Cazzo, non so di che cosa tu stia parlando.”

“Va bene, va bene. Non c'è bisogno di scaldarsi,” protestò, concedendole un secondo sorso, stavolta un po' più corposo del primo. Nelle manovre in cui era attualmente impegnata, il dolore ai polsi si intensificò: ebbe cura di cancellare qualsiasi traccia di sofferenza dal proprio volto, dalla propria postura. L'uomo la privò nuovamente del bacio dissetante della bottiglia. Un rivolo d'acqua le scivolò giù per l'angolo della bocca, percorrendo la curva del mento prima di scenderle lungo il collo e sparire da qualche parte, nello spazio tra i suoi seni.

“Chi è che ti manda?” Gli chiese, invertendo per un attimo i ruoli prestabiliti.

“Sono io che faccio le domande,” le rammentò, la voce improvvisamente più bassa, ostile,gli occhi tenacemente fissi nei suoi, quasi fosse stato costretto a sforzarsi per mantenerveli.

“Cosa sei? Una specie di sicario?” Studiò famelicamente il suo volto, la sua espressione. L'insistenza del suo sguardo ebbe l'effetto di metterlo a disagio: lo vide distogliere la sua attenzione altrove, mascherando abilmente il fastidio (ma non abbastanza da impedirle di accorgersene). “Un assassino a pagamento,” realizzò ad alta voce. Per cosa? Un qualche vittima in cerca di vendetta? Un criminale che aveva deciso di toglierla di mezzo per... in realtà Natasha non aveva la più pallida idea di cosa facessero i criminali. Magari là fuori c'erano altre Natalia e altri Ivan che facevano esattamente quello che aveva fatto lei con suo padre. Era possibile che si fosse creata una certa concorrenza, che qualcuno fosse interessato ad ucciderla per allargare il proprio mercato, completare l'opera che lei stessa aveva iniziato in quella chiesa di San Paolo.

“Sono io che faccio le domande. Smettila o niente acqua.”

Irrigidì i tratti del volto per un lunghissimo istante, ma alla fine si ritrovò ad acconsentire con un impercettibile cenno del capo.

“Ti ricordi di me?” Natasha si accigliò.

“Dovrei?”

“Cazzo, odio chi risponde alle domande con altre domande,” blaterò tra sé, esasperato. “Rispondi.”

“No che non mi ricordo di te, non so chi sei, non ti ho mai visto prima d'ora.”

L'uomo si mise a ridere, l'incredulità ad accendergli gli occhi improvvisamente più vispi, ma non le sfuggì l'amarezza nella sua voce. Le sembrò sul punto di dire qualcosa di rilevante, magari rivelarle qualcosa, spiegarle perché le avesse posto quella particolare domanda, ma optò infine per avvicinarle nuovamente la bottiglia, offrirle il terzo sorso, il più breve di tutti. Aveva l'aria di essersela presa. La possibilità che si trattasse di una sua vittima alla ricerca di una vendetta tutta personale, le balenò davanti agli occhi. Cercò di pensare agli ultimi compiti che aveva portato a termine per Ivan, ma non riuscì a ricollegare il volto dell'uomo a nessuna delle persone che ricordava. Anche se, se doveva essere sincera, c'era ben poco che rammentasse degli ultimi anni: le sensazioni, quelle rimanevano nonostante Ivan si fosse premurato di cancellare gli eventi a cui erano collegate. Poteva richiamare alla mente cadaveri dai tratti confusi, oppure le loro ferite, quelle con estrema chiarezza, scorci di posti, luoghi che non avrebbe saputo collocare su nessuna mappa. Non molto altro.

“Non ho una gran memoria,” ammise, come a rendere più sincera la propria risposta e, soprattutto, mantenere attivo il diversivo.

“Me ne sono accorto,” decretò seccamente, umettandosi le labbra. “Cosa sei, quindi? Un'assassina? Una ladra?”

“Non sono niente.”

“Niente non è una risposta.”

“Solo perché non ti piace non significa che non lo sia,” replicò duramente.

“Quindi un sacco di gente vuole ammazzarti, ma tu non sai perché.”

“Oh, lo so il perché.”

“E quel pacco allora?” Le domandò a tradimento.

“Che c'entra?”

“Non hai idea di chi potrebbe avertelo mandato?”

“No,” ribadì, comprendendo improvvisamente che doveva essere stato sincero quando le aveva detto di non essere stato lui ad inviarglielo. “Ne hai ricevuto uno anche tu?” Chiese, più per prenderlo in giro che altro... ma la sua reazione, a malapena trattenuta, fu più rivelatrice di qualsiasi altra risposta.

“Che c'è dentro?” L'uomo esitò: le parve turbato dalla sua perspicacia. Un pensiero, quello, che le provocò un temporaneo moto di soddisfazione.

“Tanto vale che te lo faccia vedere.”

Natasha indietreggiò leggermente con tutto il busto, tentando di nascondere i polsi insanguinati allo spostamento del fascio di luce proiettato dalla torcia. Lo sconosciuto ripescò qualcosa dal sedile anteriore prima di riprendere il suo posto sul materasso: rovesciò il contenuto di una busta di carta sul pavimento dell'abitacolo, disponendo gli oggetti secondo un criterio che Natasha non comprese immediatamente. Dopodiché, vi puntò sopra la luce, permettendole di condurre una prima, sommaria ispezione: quella che sembrava una cartina stracciata priva di indicazioni, due indirizzi, due chiavi.

“Hai aperto anche il mio?”

“Spero non ti dispiaccia,” commentò sarcasticamente. Non riuscì ad impedirsi di lanciargli un'occhiataccia, prima di tornare sugli oggetti (mentre, con l'aiuto di un chiodo infisso nella parete retrostante, continuava a lavorare sui legacci). “Qualche brillante idea, Natalie?”

“Sono stati inviati dalla stessa persona.”

“Ma davvero? Cosa te lo fa pensare?” L'ironia era tagliente.

“Fottiti.”

“E' la tua parola preferita o hai per caso uno di quei calendari 'una parola al giorno'? Perché in quel caso credo di aver capito quella di oggi.”

“Vogliono che troviamo qualcuno... due persone diverse.”

“E le chiavi?”

“Sembrano per delle cassette di sicurezza. Magari contano di farci trovare qualcosa e qualcuno.”

“Illuminante, ti ringrazio.”

“Perché il tuo contributo è stato essenziale, devo dire.”

“Fin lì ci arrivava anche un bambino.”

“Peccato che tu non sia un assassino di bambini allora.”

“Già, almeno uno di noi due non lo è.” La replica, astiosa, le scese nello stomaco, gelida e sgradevole... si ritrovò a fissarlo con occhi leggermente sgranati, il volto tirato e una gran voglia di vomitare. L'uomo sostenne il suo sguardo in aperta sfida. Stavolta fu Natasha ad interrompere per prima il contatto visivo. Sì, c'erano stati dei bambini tra le sue vittime. L'unico lavoro che ricordasse davvero con chiarezza, l'incendio di San Paolo, doveva averne mietute diverse... niente le vietava di pensare che ce ne fossero stati altri, in precedenza.

“Cos'hai intenzione di fare?” Gli domandò allora, stavolta più per distogliere l'attenzione da quel particolare argomento e scacciare l'ansia che la stava tormentando, che per tenerlo occupato.

“Ucciderti e sparire il più lontano possibile.”

“Saggia decisione.” Di cui, tuttavia, non le parve granché contento.

“Hai altri suggerimenti?”

“Potremmo andare a quegli indirizzi.” (La fascetta si faceva sempre più lenta...)

“Per far cosa? Cadere come dei fessi nella trappola di un maniaco?”

“Non guardare me. Sono quella che dev'essere ammazzata, ricordi?”

“Non sono cose che tendo a dimenticare, io.”

“Oh, fattene una ragione. Mi dimentico di un sacco di persone.” (C'era quasi.)

“Saranno contenti quelli che hai derubato.”

“Quindi si tratterebbe di una specie di vendetta personale.”

“Che cazzo... ti preferivo quando eri svenuta.”

“Ti preferivo quando non esistevi.” (Bingo!)

“Devo pensare. Non ci riesco con te qua dietro ch-”

Un violento gancio destro lo prese in pieno viso, facendogli morire le parole in gola. Natasha approfittò del momento di defaillance per tentare un altro affondo: l'uomo, però, era ancora abbastanza lucido da intercettarla, impedirle di colpirlo di nuovo. Con i piedi ancora uniti, lo colpì violentemente allo stomaco, respingendolo contro i sedili anteriori. Afferrò un paio di tenaglie dalla cassetta degli attrezzi che aveva individuato alla sua destra, tagliando anche la fascetta che le immobilizzava le caviglie. Dopodiché gli fu di nuovo addosso, scagliandoglisi contro con tutta la sua furia.

“F-Fermati!”

“Sta' zitto!” L'uomo contrattaccò, ma stavolta la forma fisica non era dalla sua. Natasha lo colpì con una ginocchiata al petto, mozzandogli il respiro. Colse al volo il momento propizio: con un ultimo pugno in testa, lo mise definitivamente fuoriuso, ritraendosi in fretta e furia mentre lo sconosciuto si accasciava sul fondo del furgone. Fottiti, stronzo.

Si obbligò a regolare il respiro, affrettandosi a raccogliere la torcia sfuggita dalla presa dell'uomo. Cercò le fascette stringicavo con cui l'aveva legata e ne recuperò altre due per fare altrettanto con lui. Lo abbandonò su quello stesso materasso, di fatto ribaltando le posizioni originarie. Rimise il contenuto dei due pacchi nella busta di carta, prima di procedere a perquisirlo: lo liberò del peso di un inutile coltello e delle chiavi del furgone. Ebbe cura di rimuovere il chiodo con cui si era liberata e di allontanare dal materasso qualsiasi oggetto capace di agevolargli una possibile fuga. Uscì dal retro e risalì al posto di guida, portando con sé acqua e patatine. Prima di infilare le chiavi nell'ignizione, bevve l'intero contenuto della bottiglietta, lanciandola – ormai vuota – sul sedile del passeggero, a raggiungere un mucchio di latine schiacciate. Si asciugò le labbra col dorso della mano, spengendo la radio ancora accesa con l'altra.

Riempiendosi la bocca con una manciata di patatine, si decise a rimettere in moto il furgone, sperando ardentemente che la notte portasse consiglio.

Trecentocinquanta chilometri la separavano dal New Mexico.



__________________________________________

Note:
E man mano ci si avvicina all'incontro col primo vendicatore: immagino avrete intuito di chi si tratta :P mentre l'indizio per l'altro incontro è un po' meno diretto.
Non sarà un viaggio facile e neanche la convivenza sarà rosa e fiori (ma se Clint e Natasha non si menano un po', ogni tanto, che gusto c'è?)
Oltre a questo ben poco da dire :) Ringraziamenti di rito alla sclerosocia/beta Eli e a chiunque abbia letto, letto & commentato, sbirciato, ecc. Vi ringrazio <3
And that's all! Fino alla prossima...
S.
  
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