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Autore: RedLolly    02/10/2008    7 recensioni
Mi avevano detto che non avrei dovuto agire a sangue freddo, dovevo provar loro di avere fegato, dovevo essere spietato… Il boss me lo aveva detto, mi aveva detto che non mi bastava una pistola perché lui si fidasse di me. E io ho bisogno che mi accetti nel suo clan se voglio giungere ai miei obbiettivi. Dovevo essere capace di uccidere qualcuno spargendone il sangue… Ed è proprio quel che ho fatto. Il mio piano è stato perfetto come al solito. Quando il boss vedrà questo mio capolavoro ne rimarrà spiazzato. Forse non si aspetta che io ne sia stato veramente capace. Ho usato un coltello che avevo nascosto qui, proprio come mi aveva chiesto…
Genere: Malinconico, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Matt, Mello, Near
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Non avrei mai pensato che sarebbe stato così terribile… Eppure così sublime

Questa fan fiction è escusivamente dedicata a Frecchan, la mia ammora e anche a Adaralbion (ci ho messo Near apposta x lei!XD).<3 La mia Yoko capirà il perché, visto che è presa da una fan fiction che stiamo scrivendo assieme e si riferisce ad un certo episodio… Spero che ti piaccia, caVa!<3

Lo so, forse ho degenerato in fondo, ma questa possiamo considerarla una cosa speciale e strana… Anche se, come vi ho detto, può apparire una cosa da squilibrati, spero che piaccia a chiunque la legga!

Enjoy!

Lolly

 

Dissecting Room

 

 

Non avrei mai pensato che sarebbe stato così terribile… Eppure così sublime. La mia prima volta…

Me lo aveva detto Matt, il mio caro Matty, in uno di quei suoi rari momenti di lucidità, tra una sniffata e l’altra, rannicchiato contro il muro fatiscente del nostro appartamento.

Il mio piccolo e ingenuo Matty, con le narici arrossate e le pupille dilatate che mi balbettava avvertimenti inutili, che me ne sarei pentito, che mi sarei macchiato di qualcosa di terribile, qualcosa che mi avrebbe perseguitato per tutta la vita.

Povero stupido Matt.         

Sì, è vero che questa colpa non è lavabile, ma lui non può capire… Se esiste davvero un Dio degli Oppressi, questo saprà almeno comprendermi. Comprendermi, ma non perdonarmi. Io dovevo farlo. Dovevo vendicarmi per quello che ho passato. Non ho avuto scelta. E’ stato un piacere così grande che ancora non riesco a capacitarmene. Me ne sto qui come un povero stronzo, tremante, senza scappare come avrebbe fatto una persona normale, un sorriso allucinato dipinto sul volto, un sorriso troppo simile a quello che tanto odio quando si trova viso pallido e lucido di sudore del mio Matt dopo che ha fatto la cazzata. Quegli occhi spalancati e persi, immersi in quel mondo stravolto che viene a crearsi dopo tutta quella malsana eccitazione.

Ora sono uguale. Anche la mia mente sta vagando tra fugaci immagini dopo lo sballo.

E’ come se tenessi tra le dita un labile potere, e so benissimo che tutto questo non è reale , mi sto solo rifugiando nei miei desideri… Perché qualsiasi cosa faccia, io sono e sarò sempre uno schiavo. E alla fin fine non sono poi tanto diverso da quel tossico di Matt…

Per lui è quella fine polverina bianca, pungente, che brucia le narici e manda in pappa i neuroni, mentre per me è questo odore dolciastro tanto da essere quasi nauseante, che impregna le pareti e il mobilio di questa camera da letto. Una stanza che fino ad ora non ha raccolto altro che le mie grida e le mie lacrime, ma che adesso si fa padrona di qualcos’altro…

E’ dappertutto, imbratta il pavimento e le mie braccia, si secca sulle mie guance  e sul mio petto.

E’ caldo, quasi mi ustiona.

Mi avevano detto che non avrei dovuto agire a sangue freddo, dovevo provar loro di avere fegato, dovevo essere spietato… Il boss me lo aveva detto, mi aveva detto che non mi bastava una pistola perché lui si fidasse di me. E io ho bisogno che mi accetti nel suo clan se voglio giungere ai miei obbiettivi.

Dovevo essere capace di uccidere qualcuno spargendone il sangue… Ed è proprio quel che ho fatto. Il mio piano è stato perfetto come al solito. Quando il boss vedrà questo mio capolavoro ne rimarrà spiazzato. Forse non si aspetta che io ne sia stato veramente capace. Ho usato un coltello che avevo nascosto qui, proprio come mi aveva chiesto…

Non che questo tizio lo odiassi particolarmente. No, lo odiavo esattamente come tutti quegli altri porci della sua risma, né più né meno. Quei sudici maiali perversi che mi pagano per quel che mi faccio fare dimenticandomi di essere un essere umano. Dev’essere stata questa la scintilla. Non mi sarei certo accanito così contro una persona qualsiasi. Questa è stata la mia vendetta, mia e di nessun altro!

Era tutto calcolato, di solito ci passo le nottate a farmi straziare in questa stanza… La stessa scena si è ripetuta talmente tante volte che posso quasi sentire ancora i miei urli riecheggiare tra le pareti come gli echi di uno spettro che piange e si dispera in cerca della Pace Eterna.

Il copione era lo stesso di sempre inizialmente. Quel lurido era entrato qui grazie ad uno dei soliti incontri organizzati.

Appena l’ho visto ho provato il desiderio irrefrenabile di cavargli gli occhi per come mi guardava… Non perché il boss mi aveva detto che era il capo di una banda rivale che andava assolutamente eliminato, no… A me non me ne fotte un bel niente delle discordie tra i clan.

Lui mi scrutava… Mi mangiava con gli occhi, quel verme… Come tutti gli altri che ho mio malgrado dovuto accontentare! Eppure questa volta è stato diverso…

Io, vestito di nero, steso lascivamente nel letto a far movenze lascive, a fare la puttana… Sì, la puttana, quello che ho sempre fatto e che mi viene tanto bene…

Ormai è diventato naturale per me fingere. E quel tipo… Quel maniaco mi sbavava sopra tra poco. Grande e grosso, vestito elegantemente… Strano come i tipi che vengono da me si somiglino più o meno tutti.

Ho dovuto reggere il gioco all’inizio, prima di assaporare il dolce sapore della vendetta. Ho sopportato ancora una volta quelle carezze che sembravano graffi e quei baci dolorosi come morsi. Mi sono lasciato domare, sdraiato tra le lenzuola scarlatte, sotto il suo peso prima di agire.

E così l’ho colpito. Ho preso il coltello da sotto il cuscino e gliel’ho piantato dritto nella schiena. Nulla di più bello per soddisfare la mia brama di sangue. Non doveva morire in fretta. Doveva soffrire come ho sofferto io per tutti questi anni.

Sono sceso dal letto e l’ho colpito ancora, ancora e ancora. Ormai non avevo più un controllo, non rispondevo più di me stesso.

Uccidere, certo, era il mio scopo, ma dietro c’era anche dell’altro… Una rabbia repressa che è esplosa di colpo.

Ma non sono stato in qualche modo giustificato a compiere un tale gesto? Perché io non avrei avuto il diritto di ribellarmi e di vendicarmi? Io non mi sento la coscienza sporca. Adesso.

Ho visto il sangue sgorgare e zampillare dagli squarci che io stesso gli ho procurato. Riecheggiano ancora le sue urla, mi implorava di smetterla… Guaiva come un maiale al macello, e io godevo! Ero felice, mi piaceva! Questa è la vera soddisfazione!

Però ora… Ora ho voglia di tornare a casa, e di vedere Matt… In questo stato di euforia, con i vestiti sbrindellati, i capelli collosi che odorano di sangue… Voglio gettarmi tra le sue braccia, prendere il suo viso tra le mani sporche e baciarlo! Desidero potergli dire che gli voglio bene, che anche se è un fottuto cocainomane e l’essere più fancazzista dell’universo, per me è la persona più importante del mondo, e che non gli farei mai del male!

So pertanto che non andrà così… Sto illudendo me stesso. Quando arriverò a casa nessuno dei due parlerà, forse ci insulteremo solo. Se piangeremo lo faremo in due stanze separate, io in camera e lui in salotto, niente baci, niente carezze…

Oppure sarà la volta buona che lo trovo stecchito. Cazzo, c’è pure questa possibilità. Magari lo ritroverò steso a terra o nel letto, il volto livido e gli occhi riversi… Allora sì che piangerei davvero, piangerei tutte le mie lacrime su quel corpo caldo.

Il mio Matt… Nessuno deve toccarlo, nessun può portarmelo via, nemmeno la droga. Altre volte ci siamo separati, ma non abbiamo resistito, siamo sempre dovuti tornare assieme. Chissà cosa succederà questa volta…

E’ ora di andare… Devo tornare a casa. Devo lavarmi e vedere Matt. Non so cosa succederà.

La mia vita ricomincia da qui.

Mello

 

 

 

Near posò sulle ginocchia la pagina di quaderno che i suoi uomini avevano trovato nell’appartamento sequestrato.

Si guardò un attimo intorno, a destra e a sinistra, osservando i muri bianchi e asettici che lo ingabbiavano in quella stanza fredda.

Quella scrittura era inconfondibile, anche se il tratto era tremolante, a volte frettoloso e quasi illeggibile. Era stato davvero Mello a scrivere, non c’erano dubbi.

Il suo primo omicidio… L’aveva immaginato sempre così.

L’erede di L, incominciò ad arricciarsi una ciocca di capelli intorno al pollice. Le sue pupille nere come pozzi di catrame si spostarono sui due tavoli in acciaio proprio di fronte a lui.

Due cadaveri.

Era riuscito ad avere entrambi i corpi. All’inizio non era stato nemmeno sicuro di volerli vedere, ma poi, si era fatto coraggio. E quella lettera… L’unica cosa che rimaneva di Mello

Quel Mello che lo odiava, e di cui il presunto cadavere si trovava sul tavolo di destra di quel soffocante obitorio. Presunto, perché il suo volto non esisteva quasi più. Su quel tavolo stava un corpo carbonizzato, che avrebbe potuto essere chiunque. Non aveva più un capello biondo, non aveva più alcuna fattezza. Solo pelle bruciata, nient’altro. Pareva un manichino di cera fusa. Era stato davvero quell’abominio informe il grande e bellissimo Mello, con le fattezze di un angelo e il cuore di un demonio?

Sull’altro tavolo invece, la situazione era diversa. La persona che stava stesa lì era ben riconoscibile. Si sarebbe potuto dire che stesse dormendo… Se non avesse avuto, sulla fronte, un piccolo foro dai bordi anneriti. Ne aveva anche sul busto, e sulle braccia…

Non avevano avuto pietà di Matt. Lo avevano crivellato di colpi.

Near emise un sospiro lungo e accorato. Mello e Matt erano morti. Non c’era più nulla da fare. Nulla li avrebbe riportati indietro. Avevano un violaceo taglio a ipsilon suturato sul busto e un sacco nero come lenzuolo funebre.

Mello era sparito dalla sua vita, eppure la sua morte gli aveva rivelato delle sorprese. Infatti quella lettera non sarebbe mai arrivata nelle sue piccole mani candide, se lui non fosse morto in quel modo. Ora sapeva molto di più su di lui, almeno, aveva delle prove.  Delle prove inconfutabili della sua sofferenza. Tutto scritto, tutto nero su bianco. I suoi sospetti erano fondati. Mello era stato sfruttato fino al midollo, la vita gli si era presentata davanti nel suo aspetto peggiore, cruda e orribile. Doveva aver lottato come non mai, si era venduto sputando in faccia all’orgoglio, mettendo da parte la fierezza fino a quell’esplosione di rabbia e aggressività selvaggia. Aveva ucciso per vendicarsi di tutte le volte che aveva dovuto subire tacendo.

Near non avrebbe mai resistito vivendo in quella maniera miserabile. Mai.

Ma non era stato solo quel pezzo di carta macchiato di sangue, l’unica cosa interessante che i suoi uomini avevano trovato nell’appartamento che avevano perquisito. Nella piccola cassaforte che i suoi uomini erano riusciti ad aprire, un contenitore che ora si trovava posata accanto a lui, c’erano un sacco di documenti all’apparenza tutti mescolati.

Ma Near sapeva. Near aveva capito.

Quasi si stupiva del fatto che Mello avesse conservato quella roba.

C’era la fotografia che tempo addietro gli aveva restituito, appena sopra di vecchi ritagli di giornale un po’ ingialliti. Piccoli articoli datati 1992 che parlavano del ritrovamento di un bambino abbandonato davanti ad una chiesa di Winchester, addormentato in mezzo ad un ammasso di vecchie coperte tarlate. Il primo trafiletto chiedeva semplicemente ai genitori stessi e a chiunque avesse informazioni utili al riguardo della sua identità o di quella dei famigliari di chiamare e avvertire la polizia. Nel secondo, sicuramente di qualche giorno più recente rispetto all’altro, le informazioni erano più dettagliate: vi era scritto che il bambino sapeva parlare discretamente in inglese, ma che l’accento e l’uso di alcuni vocaboli sconosciuti lasciava pensare ad un’origine slava o dell’Europa dell’est. Aveva saputo dire la sua data di nascita, 13 dicembre, la sua età, tre anni, e il suo nome. Mihael.

Non c’erano dubbi. Che Mello fosse il bambino dell’articolo era evidente.

L’articolo, prima di interrompersi bruscamente diceva che il trovatello aveva spesso ripetuto il nome di quella che alle sue parole doveva essere sua madre. Katerina.

Near sorrise. Era uno dei suoi sorrisi maliziosi, quelli che di solito non piacevano ai suoi collaboratori, e mentre sorrideva rivolgeva ancora lo sguardo al cadavere bruciato.

Lo aveva sempre negato, lui. Diceva sempre che di sua madre non gliene importava niente, visto che lo aveva abbandonato, ma in realtà non era vero. Dio solo sapeva quante volte aveva avuto in testa quel nome, Katerina, che si ripeteva all’infinito. Chissà quante notti insonni aveva passato pensando a dove potesse trovarsi in quei momenti…

Nella scatola Near aveva trovato anche dei ritratti di una donna fatti a matita, molto curati e minuziosi, e soprattutto, tutti molto somiglianti l’uno all’altro. Ne aveva contati ben diciassette. Forse dopo essere scappato dalla Wammy’s House, l’aveva pure inutilmente cercata, non sapendo dove rifugiarsi…

Poi, c’era un altro documento che l’aveva incuriosito. Sì, perché Near stesso ne aveva posseduto in passato uno molto simile. Era la fotocopia di un documento di adozione, fatta sicuramente in gran segreto come la sua, compilata solo nella parte relativa ai dati personali dell’adottato. Nonostante fosse estremamente raro che in quell’orfanotrofio per bambini dall’intelligenza fuori dal comune ci fossero delle adozioni, a volte ce ne erano state. E Near poteva capire ora tutto quel cinismo, infatti, fosse stato il direttore, non avrebbe mai permesso a delle menti del genere di venire sprecate stando in una famiglia che non le avesse valorizzate a dovere. Figurarsi se poi avessero lasciato fuggire così i cervelli dei loro migliori studenti, appunto lui e Mello. No. Nessuno dei due, malgrado lo avessero entrambi ardentemente desiderato, ebbe mai la benché minima possibilità di venire adottati. I loro erano stati solo stupidi sogni vani di due bambini.

“Nessuno dei due aveva mai perso la speranza, vero?”

Near si era rivolto direttamente al suo rivale morto. 

Mello era pazzo, non c’era alcun dubbio al riguardo. Nella sua vita aveva sofferto talmente tanto che ciò lo aveva segnato con cicatrici profonde, visibili e invisibili.

Nessuno poteva vantarsi di averlo conosciuto sul serio, ne lui, ne Halle, anche dopo tutto quello che aveva confessato sui loro incontri, ne L, ne Roger… Nessuno. Forse però… Qualcuno ci era andato molto vicino.

Near si alzò in piedi e si diresse in mezzo ai due tavoli, rivolto verso di Matt. Le dita magre sbucarono dalle maniche troppo lunghe della camicia bianca e sfiorarono con la delicatezza di un petalo i bordi incrostati del foro di proiettile sulla fronte del rosso. La ritrasse poco dopo fulmineo, come se quel contatto gli avesse dato la scossa.

“Tu sei stato l’unico in grado di capirlo… Non di conoscerlo, ma solo comprenderlo… Questo deve averlo consolato molto.”

Si disse che Matt doveva tenere davvero moltissimo a Mello. Una delle prove di questo, era sicuramente il fatto che nonostante nella lettera del biondo fioccavano molte allusioni alla tossicodipendenza di Matt, negli esami legali del sangue del cadavere non comparivano tracce di cocaina o altre sostanze stupefacenti. Solo polmoni in pessimo stato, ma null’altro. Per chi avrebbe dovuto smettere di drogarsi, Matt, se non per Mello? Il loro legame era forte… Troppo forte per essere spezzato dalla droga, dalla violenza, dalla pazzia… O da Near stesso. Perché quei due si amavano, e lui non poteva farci niente. Inutile era intristirsi, non avrebbe cambiato le cose. Tanto valeva restare sempre il solito. Anche lui alla fine si era abituato ad essere una specie di automa senza sentimenti… E non era questa la sua arma vincente?Non era per questo che lui ce l’aveva fatta mentre Mello era miseramente morto?

Sospirò per l’ennesima volta, preparandosi a salutare il rivale una volta per tutte, il corpo distrutto che una volta era stato quello di un bel ragazzo con i capelli dorati.

Non osò toccarlo, avrebbe potuto staccare quella pelle gravemente ustionata e fare dei danni.

Non voleva più vederli. Il passato era passato e basta, doveva concentrarsi solo su Kira ora... Era il momento della verità. E senza Mello, senza quel pazzo che aveva immortalato con orgoglio il suo primo omicidio, falso e presuntuoso, non ce l’avrebbe mai fatta.

Eppure la gloria alla fine non sarebbe stata altro che sua. Mello aveva perso, e Near aveva vinto. Near, il freddo calcolatore.

L’erede di L uscì dall’obitorio e si chiuse la porta alle spalle.

E Mello non lo rivide mai più.

 

 

  
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