Storie originali > Romantico
Ricorda la storia  |      
Autore: LimoneMenta    18/09/2014    0 recensioni
Ispirata alla canzone SOME NIGHTS
Il tenente Pavelka è a capo di una squadra di trenta soldati stanziati sul fianco di una montagna di cui a nessuna delle due fazioni in guerra interessava nulla. Erano lì giusto in caso (improbabile, se non impossibile) d’attacco. La squadra passava il tempo ad aspettare la battaglia, che però non sembrava aver intenzione di arrivare. Meglio così. Ma una sera accade qualcosa di magico. Delle bellissime creature sconosciute li raggiungono e ballano, ballano, ballano. Cosa succederà quando una di queste lo inviterà a ballare? E se dovesse trattarsi proprio di una regina?
***
Faccio un po' schifo con le introduzioni, ma se date un'occhiata mi fate davvero contenta. E se lasciate un commentino ancora di più. In fondo sono solo due minuti, no?
Buona lettura!
Genere: Fantasy, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Storico, Sovrannaturale
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

 Nymphs' Queen

                                                                                                                                                                               27 Luglio 1845

Era una notte tranquilla, con il cielo limpido e le stelle ad illuminare il sentiero di ciottoli che si stendeva a ovest. Era un luogo particolare: i fili d’erba e le foglie degli alberi erano mossi da una leggera brezza notturna, gli occhi dorati di un gufo solitario brillavano nascosti tra i rami, piccole lucciole disegnavano cerchi luminosi nell’oscurità. Qualcosa di magico vibrava nell’aria.                                                                                             
Il Tenente Jessie Pavelka se ne stava seduto davanti al fuoco, immerso in quella notturna bellezza, intagliando distrattamente un ciocco di legno chiaro. Le fiamme illuminavano il suo bel volto, troppo giovane per ricoprire quel ruolo che gli era stato imposto. I suoi capelli, biondo cenere, erano perennemente sparati in ogni direzione, come se fossero appena stati colpiti da una scarica elettrica. Le sue guance erano ricoperte da una leggera barbetta incolta che aveva ormai rinunciato a tagliare. Ma quello che lasciava più sconvolti nel suo viso erano i profondi occhi grigi che lui spesso puntava verso il cielo.                                                                                                                                                          Il ragazzo se ne stava là, seduto alla luce del fuoco, a riflettere sulla sua vita. Aveva ventiquattro anni ed era a capo di una squadra di trenta soldati stanziati sul fianco di una montagna di cui a nessuna delle due fazioni in guerra interessava nulla. Erano lì giusto in caso (improbabile, se non impossibile) d’attacco. La squadra passava il tempo ad aspettare la battaglia, che però non sembrava aver intenzione di arrivare. Meglio così. Nonostante le lamentele di alcuni, montare la guardia e attendere la fine di un’altra pacifica giornata era decisamente più piacevole che rischiare la vita in trincea. E poi, avevano un sacco di tempo libero a disposizione, che spesso sfruttavano per praticare del sano esercizio fisico all’aria aperta.                                                                                                                                      
All’improvviso una flebile musica si sparse nell’aria. Erano note leggere, dolci, come lo sbocciare dei fiori, come un battito d’ali di farfalla. Non poteva essere uno dei suoi uomini a produrre quella melodia: oltre al fatto che non credeva ci fosse qualcuno di così bravo tra di loro, si erano ritirati nelle proprie tende già da un po’, e il silenzio che c’era stato fino a pochi istanti prima placava ogni dubbio. Nel frattempo, le note erano diventate sempre più forti, al punto che tutti i soldati ormai erano svegli e parecchio confusi. Si affacciavano dai loro alloggi, chi assonnato chi spaventato. Guardavano lui, che si era alzato in piedi e aveva posato la statuetta, stringendo in pugno il coltellino svizzero. Nell’istante in cui furono tutti quanti svegli e al centro dello spiazzo davanti all’accampamento, sbucarono fuori dal bosco decine di ragazze. Erano bellissime. Portavano tutte corti abiti bianchi, leggeri come dei veli; i capelli che volavano al vento. Grandi orecchini pendevano dalle loro orecchie, tintinnando a tempo di musica. Ballavano, ballavano a piedi scalzi nell’erba, a ritmo di quella musica che nasceva dai loro movimenti aggraziati. Erano simili, eppure completamente diverse l’una dall’altra: c’era quella con i capelli rossi, gli occhi verdi e le orecchie un po’ a punta; quella con tratti orientali e la compagna vicina con la pelle color della cioccolata, quella con i capelli corti e neri che ricordava moltissimo un elfo.  Ciò che le accumunava… era la magia. Sì, dovevano essere per forza magiche.                                                                                              
Si riunirono in un grande gruppo, ballando in mezzo a loro. Ognuna di esse compiva dei passi differenti dalle altre, eppure tutte insieme creavano una danza unica. Si disposero in una lunga fila, poi, una ad una, si avvicinarono ai soldati e li presero per mano, trascinandoli in quel vortice di ballo. Il Tenente Pavelka si sedette di nuovo davanti al fuoco, riprendendo in mano il ciocco di legno, che ora assomigliava perfettamente ad un cavallo. «Se non sono impazzito, deve trattarsi di un sogno» sussurrò osservando i suoi compagni. Dopo una prima confusione generale, questi avevano cominciato a ballare con quelle fate, o ninfe, o che dir si voglia. Le stringevano fra le braccia, ridevano, scherzavano fra di loro, muovendosi in circolo.                                                               
«È davvero bellissimo».                                                                                                                                                                               
Per poco lui non fece un salto sul tronco su cui era seduto. Si voltò di scatto: alla sua sinistra, dritta sulle gambe nude, se ne stava la fanciulla più bella che avesse mai visto. Portava un vestito identico alle compagne, su cui i lunghi capelli biondi ricadevano sciolti. L’unica cosa che la differenziava era una corona di cristallo che portava sul capo. Le sue labbra carnose erano aperte in un piccolo sorriso.                                                                                                         
«Grazie – disse dopo essersi ripreso dalla sorpresa – È per mio nipote. Ha due anni».                                                                 
Lei allungò la man verso la statuina e ne accarezzò la criniera, sfiorandola con i polpastrelli. Sfiorò anche la mano del Tenente, che avvertì una scossa partire dal braccio ed arrivare fino al petto, ma lei non parve essersene accorta.                                                                                                                                                                                                     
«Mi chiamo Jessie Pavelka. Tenente Jessie Pavelka. E tu sei…?»                                                                                                      
Lei scivolò a sedere sull’erba di fronte a lui, poggiandosi sulle ginocchia. «Mi chiamo Vivian» disse con un sussurro, fissandolo negli occhi.                                                                                                                                                              
«E sei anche una regina» constatò lui. Vivian sembrò sorpresa, poi iniziò a ridere, portando una mano davanti alla bocca. “Wow…” Era un suono così puro, cristallino come tanti campanelli d’argento.                                                   
«Oh, sì. Sono la loro Regina. Ma essere la Regina delle ninfe spesso non ti dà neppure l’idea del tuo ruolo. Siamo un popolo pacifico e amiamo trascorrere il tempo tutti insieme».                                                                                                       
«Quindi siete ninfe?» chiese il tenente dopo aver strabuzzato gli occhi.                                                                                             
Lei annuì con un sorriso. «Posso sedermi?»                                                                                                                                      
«Oh, certo. Ecco» si spostò un po’ più a destra sul tronco per farle spazio, ma lei non aveva le stesse intenzioni.  Si alzò in piedi e si sedette proprio sulle sue gambe, allungando le proprie oltre i suoi fianchi. Erano faccia a faccia e molto, molto vicini. Jessie rivolse preoccupato lo sguardo verso i suoi compagni: stavano ancora ballando, e non sembravano aver notato nulla. Vivian cominciò a sfiorargli il viso con attenzione, seguendo tutti i suoi tratti con le dita: prima la fronte, poi le sopracciglia, il naso, gli zigomi, le labbra…                                                                                                                                                                            
Sentiva il fiato della ragazza mischiarsi con il suo, sapeva di frutti di bosco e di menta e di limone. Chiuse gli occhi, assaporando quell’essenza rinfrescante. Le sue mani corsero a stringere i fianchi morbidi della fanciulla, che con una mano cominciò a sfiorargli la base del collo. Non seppe mai per quanto tempo restò lì, in quella posizione, a farsi accarezzare il volto e a cullarla fra le sue braccia. Era così calda… come se mano a mano che l‘aria si faceva più fredda, lei emanasse più tepore. Era una sensazione bellissima.               «Andiamo insieme a loro» si sentì sussurrare in un orecchio.                                                                                                                 
Si risvegliò dal suo stato vegetativo con parecchia difficoltà, sbattendo più volte le palpebre. «Cosa?» chiese con voce intorpidita. Non era ancora sicuro che tutte le parti del suo cervello avessero ripreso a funzionare.                               
«Andiamo a ballare, avanti!» lo spronò lei, spingendolo un po’ con il proprio petto. Gli accarezzò una guancia, facendolo voltare verso i suoi compagni. Tutte le ninfe erano nelle loro stessa posizione, ciascuna in braccio ad un soldato e volteggiavano in circolo al tempo di quella musica sconosciuta.                                                                   
«O-okay, certo. Andiamo» rispose un po’ agitato. Si alzò dal tronco tenendola stretta fra le braccia, cominciando a volteggiare prima ancora di essere entrato nel cerchio di ballerini. Vivian cominciò a ridere, lanciando indietro la testa. Era bellissima. Ballarono per ore e ore, la notte sembrava essersi fermata solo per loro. Jessie decise di abbandonare le danze e, dopo aver ripreso in braccio una sorridente Vivian, si allontanò dal gruppo.                                                                                                                                     «Il bosco» bisbigliò lei, poggiando le labbra sulla sua spalla nuda. All’incirca dopo il secondo ballo, si erano tolti tutti la camicia, troppo accalorati per continuare così vestiti. Raggiunse gli alberi con passo sereno, godendosi il profumo di muschio della ragazza. Non appena l’ebbe posata a terra, lei andò ad appiattirsi contro il fusto di una pianta. Le si parò davanti, poggiando le mani ai lati della sua testa.                                                                                                        
«Cosa succederà adesso? - chiese preoccupato – Dopo che saranno così stanchi di ballare da crollare a terra  esausti? Cosa farai?»                                                                     Lei si morse il labbro, sorridendogli felice. Sorrideva sempre, non passava minuto senza un suo sorriso. «Ti piacerebbe essere Re?» chiese a sua volta, sfiorandogli i fianchi con le dita. Gli accarezzò il naso con il suo.                                           
«Sì – soffiò lui sulla sua guancia – Sì, ma solo se fossi il tuo Re».                                                                                                                 
Non le servì altro. Strinse le braccia intorno al suo collo, tirandolo giù per premere il corpo contro il suo. Assaporarono entrambi l’uno il sapore dell’altro, quello fresco e dolce di lei e quello speziato di lui. Le mani di Jessie afferrarono Vivian per i fianchi e la staccarono dall’albero, trascinandola giù a terra sotto di sé. Ben presto tutti i vestiti furono lasciati al proprio destino e a dividerli rimase solo la loro pelle. Jessie si staccò stupito dalla labbra della ragazza, quando sentì crearsi sotto di loro un tappeto di foglie rosse. Lei gli sorrise, allacciando le gambe intorno al suo bacino e avvicinandolo ancora di più. La sua pelle era liscia come la seta più pregiata, calda e morbida. Lasciò scorrere le dita di una mano sulle sue cosce, accarezzandole lievemente, mentre l’altra affondava nei lunghi capelli biondi. Per la prima volta in ventiquattro anni, si sentiva vivo, come se non ci fosse nulla di più giusto, nulla di più emozionante. Lì, fra le sue braccia, Jessie Pavelka si sentì per la prima volta a casa.

**********

Quando riaprì gli occhi, una forte luce lo costrinse a richiuderli infastidito. Dopo essersi sfregato più volte le mani sulla faccia, il Tenente Pavelka si guardò intorno. Era disteso fra gli alberi, all’inizio del bosco, sotto una coperta di foglie rosse. Spalancò gli occhi, memore della notte trascorsa. Si ributtò a terra, spargendo qua e là qualche pezzo di quello strano giaciglio naturale. Si girò a guardare in lontananza i suoi compagni: dormivano tutti della grossa, chi stravaccato in mezzo al prato, chi abbandonato accanto al fuoco ormai spento, chi stretto fra le braccia di un altro compagno. Si passò una mano fra i capelli, prima di stiracchiarsi. Mentre allungava le braccia sopra la testa, le sue dita sfiorarono qualcosa di morbido. I suoi vestiti erano ben appesi ad un ramo di un albero che gli faceva ombra. Un luccichio, poi, attirò la sua attenzione: vicino al cumulo di foglie, nascosta fra le radici della pianta, c’erano due corone: una era quella di diamanti di Vivian, l’altra invece una semplice fascia d’oro. Erano appoggiata sul cavallo di legno che aveva creato ieri, sul cui fianco c’era intagliata una scritta: “Questa notte”.                                                                                                                                                       
Il Tenente Pavelka sorrise, mentre una risata cristallina risuonava fra gli alberi.

  
Leggi le 0 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: LimoneMenta