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Autore: Joey Potter    18/09/2014    1 recensioni
È notte fonda quando si sveglia di colpo, stordito da un’improvvisa ondata di calore.
Il silenzio della camera d’albergo è interrotto solo dal lento girare delle pale del ventilatore, sopra le loro teste.
Non ha bisogno di aprire gli occhi, per vederlo: Haru è ovunque, attorno a lui.
C’è il suo odore proprio sotto il suo naso, la sua pelle così vicina, i capelli che si mescolano ai suoi e gli solleticano il viso. E poi c’è il calore del suo corpo – il calore che l’ha svegliato – premuto contro il suo, le braccia che lo stringono forte, le dita serrate sulla stoffa della sua canottiera.
Il respiro è irregolare. È sveglio.
[Spoiler 2x12] [(A sort of) Missing Moments] [HaruRin]
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Haruka Nanase, Rin Matsuoka
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Note: 1) HaruRin ma con leggeri accenni MakoHaru e pure MakoRin e pure MakoHaruRin e pure SouRin, perché sostanzialmente io Free senza il multishipping non lo so proprio affrontare (e ho problemi) (ma tanti).
Doveva essere un tappabuchi di quella HaruRinosa meraviglia di 2x12 ma alla fine è diventata un po’ più un Me Che Sbrodolo Amore A Caso Su Rin. Scrivo su questo fandom per la prima volta (dopo mesi di blocco profondo e una crisi mistica peggiore di quella di Haru, tra l'altro) e ancora non sono certa di saperli maneggiare bene, soprattutto quella palla di apatia che è Haru.
Ma ci proviamo.
2) Il nome file di Questa Cosa è stato per tanto tempo “Non è colpa mia io stavo solo ascoltando musica indie folk”, e da qui già potete capire molte cose. Il titolo è un po’ la soundtrack che ho avuto mentre scrivevo: “Sometimes the Blues Is Just a Passing Bird” (“a volte la tristezza è solo un uccello che attraversa il cielo”) è un album (bellissimo) dei The Tallest Man on the Earth, perché tanto lo sappiamo che Rin è un hipster peggiore di me e ascolta robe simili. Ma è anche un verso della loro canzone “The Dreamer” dalla quale ho rubato un paio di immagini e versi, ma tanto non li conosce nessuno quindi in effetti avrei pure potuto non dirlo e spacciarle tutte per mie bellissime idee.
3) Le frasi in corsivo sono tratte dalla 2x12 di Free e mi scuso se sono in inglese ma tradurle mi è un po’ impossibile, mi suonavano malissimo in qualsiasi altro modo. Magari con il tempo le sistemerò.
 
 
 
 
Sometimes the Blues Is Just a Passing Bird
 
 
 
That’s why it’s hard for me when you’re not always there ahead of me, showing me the path I should take.
Without you, I have nothing to aim for, you know?
 
È notte fonda quando si sveglia di colpo, stordito da un’improvvisa ondata di calore.
Il silenzio della camera d’albergo è interrotto solo dal lento girare delle pale del ventilatore, sopra le loro teste.
Non ha bisogno di aprire gli occhi, per vederlo: Haru è ovunque, attorno a lui.
C’è il suo odore proprio sotto il suo naso, la sua pelle così vicina, i capelli che si mescolano ai suoi e gli solleticano il viso. E poi c’è il calore del suo corpo – il calore che l’ha svegliato – premuto contro il suo, le braccia che lo stringono forte, le dita serrate sulla stoffa della sua canottiera.
Il respiro è irregolare. È sveglio.
 
“Haru” tenta, sussurrando il suo nome così piano che, se non fossero così vicini l’uno all’altro, il suo mormorio si perderebbe nella notte. “Mi sei finito addosso”.
“Lo so” gli risponde con un sibilo ancora più basso del suo. “Me ne sono accorto. Scusa. Non volevo.”
Rin ha ancora gli occhi chiusi. Gli sfugge un sospiro che assomiglia a un singhiozzo stanco quando realizza che adesso si allontanerà, e lui perderà quel confortevole contatto.
Ma Haru non accenna a muoversi.
“Quella cosa che mi hai chiesto prima.”
 
“I knew for sure.
That you definitely going to enter the same world as me.
Did you feel something too?”
 
“Sì?”
“Sì.”
Il silenzio diventa pesante, sotto quella confessione, e al calore subentra un gigantesco imbarazzo. C’era più di un motivo, se Rin era così restio a dividere il letto con Haru, nonostante l’avessero già fatto in passato.
Adesso si sente incredibilmente a disagio.
Sono troppo vicini.
Si schiarisce la gola un paio di volte, poi “ah” risponde, perché non riesce ad articolare nient’altro.
“Rin” è un sussurro- dolce. Non saprebbe definirlo in altro modo.
Apre gli occhi che non si era reso conto di star serrando, e quelli di Haru sono così vicini ai suoi che gli sembra quasi di cascarci dentro – quei suoi occhi chiari come l’acqua – potrebbe affogarci, se solo si avvicinasse di un millimetro. Ma forse l’ha già fatto tanto tempo prima.
“Rin?”
“Uh?”
“Senza di te anch’io fatico a trovare la mia strada.”
 
Rin reagisce d’istinto.
 
“C’è una cosa che devo dirti” si alza a sedere all’improvviso, scatenando le proteste di Haru, che viene sballottato dai suoi movimenti.

“Che- cosa?” Haru boccheggia spaesato, forse persino impaurito, e si siede anche lui nel mezzo del letto.
“Quello che cercavo di spiegarti oggi pomeriggio, quello che voglio- quello che voglio mostrarti con questo viaggio- voglio che tu prenda in considerazione tutte le opzioni, Haru. Lo so che- che spesso sono impaziente e che faccio fatica a comprendere chi è diverso da me, discutevamo spesso per questa ragione, perché noi siamo diversi e io capisco poco e tu parli ancora meno e serviva sempre l’aiuto di Makoto perché lui è l’unico che riesce a tradurre i tuoi silenzi e-” si morde la lingua, nominargli Makoto non è stata una grande idea.
Un’ombra gli attraversa il volto, e Rin ne immagina facilmente il motivo. Il loro rapporto non è mai stato fatto di litigi; Makoto non è mai stato fatto di litigi.
Makoto è sempre stato l’unico punto fermo, l’unica certezza della vita di Haru.
Makoto è rimasto anche quando Rin è scappato.
“Ehi. Vi chiarirete. Non potete non chiarirvi proprio voi due. Lui- tu-“ ‘lui non è me’, vorrebbe dirgli, ‘voi non siete noi’, ma gli verrebbe fuori male, e Rin ha accettato il loro rapporto molti anni fa per poterne essere geloso, proprio adesso, poi, mentre gli occhi di Haru sono così sofferenti. Pensa a quanto hanno impiegato loro due a chiarirsi, a come col tempo fosse diventato addirittura facile ignorarsi, ma scuote in fretta quel pensiero dalla testa, perché no, loro non sono la stessa cosa, ed è confortante e incredibilmente giusto che i loro rapporti siano tanto diversi.
“Vi chiarirete”, conclude.
Haru annuisce fiaccamente. Rin fa scivolare piano una mano sul suo braccio, e studia a lungo la sua espressione, prima di stringerlo.

“Ma- ecco”, riprende, quando l’ombra si è affievolita ed è sicuro di riavere la sua attenzione, “volevo dirti che- non voglio forzarti. Non voglio... appiccicarti addosso il mio stesso sogno. So che non funzionerebbe. Ma Haru- io ti ammiro. E sei- speciale. E ti- io ti- ti-“ smettere di balbettare sembra impossibile. Nel buio, Haru allunga una mano per scostargli i capelli dal viso. Sono di nuovo incredibilmente vicini.
“Va’ avanti, Rin.”
“Beh. Voglio solo che tu consideri tutte le possibilità. E sì, vorrei vederti ancora gareggiare nella corsia affianco alla mia, gareggiare sul serio, magari vincere qualche trofeo insieme- tu minore, ovviamente” ghigna per spezzare la tensione. Si sente la faccia incredibilmente bollente, e pensa che le orecchie possano fondersi da un momento all’altro per il troppo calore. Dentro di sé ringrazia il buio della stanza.
“Non credo proprio” controbatte laconico Haru.
“Invece sì!”
“Invece no.”
“Invece sì!”
“Invece no!”
“Invec- beh. Ma non è questo il punto” schiocca la lingua contro il palato mentre alza il mento in un’espressione scocciata.
“Qual è il punto?”
“Quando tieni a una persona- quando tieni tanto ad una persona vuoi- vuoi solo il meglio per lei. Ed il mio meglio, nella mia prospettiva, lo sai, è il nuoto professionista. Tu hai del talento infinito, Haru. E la caparbietà. E-“  sbuffa un sorriso “la sana competitività. Hai sempre nuotato per nuotare, ed è bellissimo. È quello che mi- che, che mi ha colpito di te. Quello che mi ha sempre inspirato e spinto ad andare avanti, a nuotare più forte, più veloce. E non- non voglio vederlo morire. Non voglio che tu- che tu possa rimpiangerlo.”
“Rin-“
“No, ascoltami. Lasciami finire, perché è già difficile e se- e non-“
“Okay, okay. Continua.”
“Non voglio forzarti. Lo so che non funzionerebbe mai. Non hai mai fatto niente che non volessi. Sai essere incredibilmente testone”, da sotto le coperte, Haru gli tira un debole calcio su uno stinco.
“Ehi!” si lamenta Rin, ma poi Haru sorride e allora non può che sorridergli a sua volta.
“Voglio solo… che consideri tutte le possibilità. Voglio mostrartele, Haru. E se poi sceglierai di non percorrere la mia stessa strada- lo accetterò. Ma non scartarla a priori per paura. Se non- se davvero non è quello che vuoi… allora okay. Ma prima dalle una possibilità. Dalla a te stesso. C’è così tanto fuori da Iwatobi, e lo so che quella sarà sempre casa nostra, sarà sempre casa mia, ma- ma almeno prima guarda dall’altra parte, ecco.”

“Io voglio essere libero.”
“Lo so. Non riesco a immaginarti diverso da come sei. Ma- essere libero cosa vuol dire, Haru? Cos’è che vuoi fare davvero?”
“Io… io non lo so.” Sembra incredibilmente abbattuto, adesso. Rin si sente in colpa per averlo fatto ripiombare nello stato catatonico nel quale è stato tutto il pomeriggio. Ma è riuscito a farlo sorridere, un po’, almeno un po’, e Rin è sempre stato uno capace di godersi le proprie vittorie, per quanto piccole esse siano.
“Beh. Allora lo capiremo!” esclama raccogliendo tutto l’entusiasmo e ottimismo di cui è capace, tentando di rifilarlo anche ad Haru. “Lo capirai!”
 
 
 
 
Si sono ridistesi da pochi minuti, dopo una breve infantile lotta di calci e spintoni. Haru gli sta dando le spalle, ma può sentire la consistenza della sua schiena poggiata a pochi centimetri dalla sua.
“Rin? Rin, sei sveglio?”
“Uh? Che?” Rin solleva la testa dal cuscino e si sporge a guardarlo, torcendo il collo fin quanto può.
“Io non- non ti ho ringraziato. Per… per quello che stai facendo.”
“Oh. Io- beh. Tu hai salvato me. È giunto il momento di ricambiare.”
 
 
 
 
 
 
* * *
 
 
 
 
 
 
“Gli hai parlato di me.”
Sono appena usciti dalla stazione, e Rin si è fermato a comprare il pranzo. Gli aveva detto di aspettarlo seduto su una panchina, ma Haru ha arpionato la manica del suo cappotto e l’ha lasciato solo quando hanno avuto in mano del cibo.
Morde un pezzo di panino e, con la bocca ancora piena, gli chiede “che?”
“Ai- alla tua famiglia australiana. Gli hai parlato di me.”
“Già. Beh. Un po’.”
Rin potrebbe avergli parlato di lui più di un po’. Arrossisce al ricordo, perché c’era stato un momento in cui, tra i vari “Haru dice”, “Haru pensa”, “Haru-“, Lori gli aveva detto “ma questa Haru è la tua fidanzata?” e Rin è abbastanza sicuro che la domanda di Russell della sera precedente sia stato un velato riferimento a quell’episodio.

“Gli ho parlato di tutti voi. A volte era l’unico modo per… sopportare la nostalgia. Così gli ho parlato di tutti. Di te- e di Gou, e Makoto e Nagisa e Sousuke.”
“Già. Yamazaki. Cosa farà, adesso?” la voce è piatta, inespressiva. Rin rinuncia a cercarvi dentro qualsiasi indizio di emozione.
Manda giù un sorso d’acqua con molta fatica, prima di riuscire a rispondere.
“Uhm. Non lo so di preciso. Ha detto che andrà ad aiutare suo padre, ma non-“ sospira alzando e rilasciando le spalle. “Sai, credo che alla fine abbia preso la faccenda dell’infortunio molto meglio di me. Sono incredibilmente incapace di accettare che le cose non vadano come ho immaginato.”
“Lo sei. Sei una vera regina del dramma” commenta Haru, e c’è qualcosa di speciale nella sua breve risata tranquilla e incoraggiante.
“Ehi!”
“Lo hai ammesso tu stesso!”
“Sì, beh, non ho detto-“
“Ma stai migliorando” concede. Rin china il capo in un muto ringraziamento.

“Stiamo crescendo tutti, Haru. È solo che… è difficile accettare che tra poche settimane cambierà tutto.”  È come se nulla a questo mondo restasse mai fermo, e lo spaventa. Non quanto in passato, non come la prima volta che è venuto in Australia, ma lo spaventa lo stesso, perché l'insicurezza dei suoi diciassette anni nemmeno la sua spavalderia può annullarla.
A volte si sente come un groviglio, tutto attorcigliato su di sé, un gomitolo di percezioni che gira in tondo, come un cane sperduto.
Spia di sottecchi lo sguardo di Haru, perché lui ha sempre accettato i cambiamenti anche peggio di Rin.
Sta fissando gli uccelli nel cielo, che cadono in picchiata e poi svaniscono nell’orizzonte.
“Lo so”, mormora.
“Mi sembra di… aver sprecato tempo prezioso facendo il sostenuto. Con voi, con Sousuke… è solo un anno che le cose sono- che stiamo- che insomma, ecco.” Si morde la lingua insultandosi mentalmente per la sua grande capacità lessicale.
“Non è mai stata una questione di tempo, Rin.” Haru ha abbassato la testa, e adesso guarda la strada davanti, inespressivo. Sembrerebbe distante, se non avesse imparato a leggere almeno un po’ nei suoi sguardi.
Forse non servono molte parole: hanno vissuto tutti così vicini che probabilmente hanno iniziato a vedere nello stesso momento. Solo che non se ne sono resi conto.

C’era stato un periodo, quand’era tornato, quando le cose tra di loro era lentamente tornate al loro posto, in cui aveva sentito l’esigenza di definire i rapporti che li legavano l’uno all’altro. E c’era stato un periodo, uno peggiore, in cui Rin aveva pensato di dover scegliere.

E l’aveva fatto.

Ma adesso crede che possano trovare il modo di lasciarsi alle spalle inutili esplicitazioni e prendere solo quello che hanno, come quando erano tutti e tre dei bambini e vivevano in simbiosi soltanto perché così doveva essere. Senza rinunce.
O per lo meno, questo è il sogno che ama fare. Nel suo sogno, c’è spazio per tutto. C’è spazio anche per Sousuke e la sua spalla che forse, chissà, magari un giorno, prima o poi, come d’incanto, guarirà.
Di colpo, pensa con preoccupazione a Makoto. Si ripromette di mandargli presto un messaggio, perché anche lui avrà bisogno di rassicurazioni e conforto. Forse persino più di Haru.

“No. Immagino di no. Io comunque- io imparo dai miei errori, ecco.” Spera che Haru capisca, che trovi il vero significato nascosto in quelle parole, quel ‘non ci perderemo di nuovo’ che vorrebbe poter pronunciare e che invece gli rimane dentro e gli graffia la gola. Vorrebbe dirlo, per poter rassicurare se stesso.
Haru annuisce, sorride lievemente e si porta la mano dietro al collo mentre piega la testa per guardarlo oltre il riflesso del sole. E Rin non sa se sia normale, se accada a tutti, se sia solo lui troppo emotivo, ma non può impedirsi di pensare che per gesti come quello ci si innamori irrimediabilmente per tutta una vita.
 
 
 
 
Hanno ripreso a camminare. Haru non ha fatto domande sulla loro destinazione, ma ha anche smesso di seguirlo a molti passi di distanza, con l’aria mesta e l’apatia tatuate sul volto.
Alla loro destra c’è l’oceano. Rin lo guarda e, mentre camminano sul marciapiede, Haru gli sfiora il braccio con il suo. Ha il sole negli occhi, ma anche così può vedere la sua figura irradiata di luce, e sembra quasi che sia Haru stesso a splenderla su di lui.
‘Mi aggrapperò per tutta la vita a questo momento’, pensa Rin. Se lo tiene stretto.
 
 
 
 
 
 
* * *
 
 
 
 
 
Rientrano nella loro camera d’albergo dopo aver passato il resto del pomeriggio a mollo nella piscina, perché quando Haru si è sbloccato da qualsiasi rimuginamento lo stesse dilaniando, è ritornato difficile convincerlo ad uscire.
Rin vorrebbe solo buttarsi sul letto e morire di sonno: si sente tutti i muscoli drammaticamente indolenziti ed è miseramente esausto.
Ma c’è sempre un segreto piacere nello stancarsi di fatica nuotando, soprattutto quando nella vasca accanto c’è Haru. Non sente mai nessun dolore, non si accorge nemmeno del tempo che passa, quando sa che lui è vicino.

Gli ha promesso – e in verità prima l’ha fatto anche con se stesso - di non mettergli nessuna pressione, ma la verità è che rinunciare alla sua vicinanza, adesso, dopo che l’ha ritrovata, è difficile.
Haru ha detto di aver trovato un sogno. Uno scopo, un progetto. Gli ha detto di aver capito, di aver preso una decisione e Rin si è limitato a sentirsi più leggero e felice per lui.
Non gli ha chiesto delucidazioni. Non sa nemmeno se possa permetterselo, se sia degno di essere il primo a conoscere le scelte di Haru.
“Rin?” lo chiama questi. È rimasto in piedi vicino alla porta ancora semi aperta.
Per la prima volta la sua espressione è chiara, non lascia spazio a nessun’altra interpretazione: è intimorito, dubbioso e decisamente imbarazzato.

“Che succede?” chiede, togliendosi il cappotto e abbandonandolo malamente sul letto. Gli era parso troppo semplice: con molta probabilità la sua crisi non si è risolta per niente.

“Voglio- voglio-” prova, ma poi sbuffa, scuote la testa e chiude la porta alle sue spalle. “È più semplice se te lo mostro”.
Sente le gambe tremargli incontrollabilmente, ed è costretto ad appoggiarsi al corpo di Haru, per non rischiare di finire a terra, quando inaspettatamente lo bacia.
“Rin” e Rin risponde subito al suo gemito con un bacio deciso, le dita che sgusciano a stringergli la testa, ad avvicinarlo di più, sempre di più.
Si avvicinano al bordo del letto quasi calpestandosi i piedi, e quando Rin lo spinge a sdraiarsi, il suo cappotto scivola malamente sul pavimento. Nessuno dei due lo degna della minima attenzione.

Vorrebbe rallentare, persino fermarsi; si sente stordito, come se un cumolo di gigantesche emozioni travestite da camion l’avessero investito a tutta velocità e lui ora stesse precipitando giù da un burrone senza possibilità di controllo.
È terrorizzato dall’idea di poter fare un movimento sbagliato, troppo brusco, che allontani Haru. Che così come è nato, tutto possa dissolversi e sparire di colpo, prima che l’abbia anche solo finito di realizzare.
A Rin piaceva il ritmo leggero che sembravano aver instaurato. Quell’atmosfera delicata, la calma placida che mai avrebbe pensato di associare a loro due. Per quanto improbabile, era bello.
Ma la sua pelle, la pelle di Haru sotto le sue mani, è bollente. Rin non può assolutamente fermarsi.
La sfiora con le labbra, posandovi di tanto in tanto un bacio più profondo; la riempie di morsi, di piccoli segni rossi che cura con il tocco della lingua, e Haru si contorce sotto di lui, ansimando senza tentare di non fare troppo rumore e allora va bene, va bene aver ritrovato il loro ritmo, perché è Haru che l’ha chiesto, perché lo vuole quanto lui.

“Sei bellissimo” soffia a pochi centimetri dal suo viso. Haru lo sorprende scoppiando a ridere.
Rin se lo tira contro, un bacio profondo, che lascia le labbra di entrambi doloranti e gonfie.
“Penso di averlo capito. Quello che voglio fare” gli confessa Haru proprio in quel momento.

Rin lo lascia parlare. E Haru parla più di quanto Rin gli abbia mai sentito fare in tutti quegli anni.
Gli racconta i suoi progetti mentre lo spoglia lentamente, quasi volesse equilibrare il grado di nudità, gli racconta i suoi desideri mentre si baciano senza preoccuparsi del tempo o del mondo là fuori, come se fossero di nuovo nelle vasche della piscina, impegnati in una gara nata inaspettatamente, una gara delle loro, quelle senza alcuna traccia di esagitata competizione, germogliata esclusivamente per rispondere a un'esigenza sincera, quella di spronarsi sempre, incalzarsi l'un l'altro, perché è naturale. 


Quella condivisione che Haru gli sta offrendo è più intensa dell’amore che finiranno per fare.

Rin non sa dire cosa abbia sbloccato Haru, cosa l'abbia liberato così all'improvviso, ma gli è immensamente grato, perché vederlo senza l'abulia a consumargli il volto - quella non giusta, quella che non deriva dal suo carattere apatico ma solo dalla paura del futuro che si porta addosso fin da quando erano piccoli - vederlo sereno, è l'immagine più bella che potesse mai desiderare di vedere.

"Sei bellissimo" gli ripete prima di entrare dentro di lui, totalmente perso dentro i suoi occhi profondi che lo guardando di rimando. Ha una patina leggera di sudore a bagnargli la fronte, i lineamenti rilassati e stropicciati, l'espressione rapita. Si morde le labbra e incastra le dita tra i suoi capelli, gemendo ancora una volta il suo nome.
 
 
 
 
Sta sorgendo l’alba, quando si sveglia di nuovo, anche questa volta stordito da un’improvvisa ondata di calore.
La città si è già risvegliata con i suoi rumori, ma Rin sente solo quello quieto e regolare del respiro di Haru sulla sua pelle. È ancora più vicino della notte precedente, il volto nascosto nel suo collo, il bacino premuto contro il suo addome, le labbra semiaperte che gli sfiorano la clavicola, il tocco umido della sua saliva, le dita che lo stringono forte, il suo odore ovunque, il calore – quel calore rassicurante – che lo avvolge in una stretta decisa.
Ed è lì che Rin si arrende.
   
 
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