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Autore: Namae    18/09/2014    1 recensioni
A quindici anni non ci si dovrebbe chiedere se si riuscirà a vedere l'alba di domani, non normalmente per lo meno.
I nostri occhi mentono. Ci fanno credere che ciò che ci sta attorno sia normale, nella schifosa routine di tutti i giorni. Non notano ciò che è nell'ombra, quello che non vuole essere visto. E' a causa di questo che la vita di Len cambierà radicalmente, mostrandogli qualcosa che nessuno vorrebbe mai avere il piacere di conoscere.
Il sequestro di persona, o più informalmente il rapimento
Genere: Angst, Dark, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Gumi, Kaito Shion, Len Kagamine, Miku Hatsune, Rin Kagamine
Note: AU, Lemon, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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La cosa andava avanti da molto, molto tempo oramai. Mentre tornavano da scuola, quando uscivano il pomeriggio... Len sapeva che non erano soli. Qualcuno li seguiva.
Era riuscito a vederlo un paio di volte, ma sempre di sfuggita. Era molto, molto bravo. Si teneva sempre a grande distanza da loro e si nascondeva all'occasione dietro cestini dei rifiuti, auto, o persino entrando in alcuni negozi. Fatto stava che lui era sempre lì, dietro di loro. Sì, lui.
Nonostante il ragazzo non avesse mai avuto l'occasione di vederlo da vicino, i suoi occhi erano riusciti a scrutare indumenti ed apparenze maschili, le quali avrebbe potuto difficilmente scambiare con quelle di una donna. Non era possibile infatti che una qualsivoglia signora avesse delle spalle così possenti.
All'inizio Len aveva pensato che era tutto opera della sua fervida immaginazione. Dopotutto i suoi amici lo prendevano spesso in giro per quanto fosse bravo ad essere pessimista ed a come reagisse in modo eccessivo ad ogni piccola cosa, ma col passare del tempo si dovette dare ragione.

Sua sorella Rin aveva uno stalker, e la cosa lo preoccupava molto, moltissimo. Era sempre stato protettivo nei confronti della gemella, ne era consapevole, ma non si pentiva di ciò.

Rin era parte di sé, non poteva immaginare la sua vita senza di lei e per questo si sentiva in dovere di curarla e proteggerla. Lo aveva promesso.
Se da una parte l'adolescente era preoccupato, dall'altra era molto dubbioso. Prima di tutto non poteva essere certo che lo stalker seguisse solo ed esclusivamente sua sorella: poteva benissimo essere interessato ad entrambi i ragazzi oppure soltanto a sé. Purtroppo Len sapeva bene di non poter rispondere a questa domanda siccome i due gemelli Kagamine uscivano sempre ed esclusivamente assieme. D'altro canto non aveva pero' abbastanza prove per dire che sua sorella fosse veramente seguita da qualcuno, e Rin sembrava non accorgersi dell'uomo. Per questa ragione non si sentiva di avvertire le autorità o di agire in un qualsiasi modo. Non voleva di certo spaventare la sorella e non era mai riuscito a vedere completamente la figura, quindi non sarebbe mai stato in grado di identificarlo e la polizia non avrebbe potuto agire.

Il quindicenne sospirò, cercando di togliersi tutti quegli stupidi ragionamenti dalla testa, spostando i ciuffi biondi dalla fronte sudata. I suoi occhi celesti si spostarono sulla figura accanto a lui, studiandola dolcemente.
Anche Rin sembrava soffrire il caldo. Era alla ricerca di qualcosa per legarsi i capelli che, anche se erano corti, le davano un gran fastidio e la facevano sudare. Si era infatti già tolta il pullover rosso e si era sbottonata qualche bottone della camicia. Per non parlare poi del fatto che si era tirata ancora più su la gonna scarlatta.
Len temeva che sarebbe stata richiamata per come indossava l'uniforme, ma non disse nulla. Sua sorella faceva di testa sua, era inutile perdere troppo tempo.
Gli occhi azzurri della ragazza cercavano senza sosta il tanto desiderato oggetto dentro la borsa, mentre le sue sopracciglia assumevano una posizione sempre più imbronciata.
Il suo gemello non poté fare a meno di sorriderle.
“Dimenticato di nuovo l'elastico, eh?”
Rin lo guardò sconsolata: “Ehm...”
“Tranquilla,” il ragazzo si portò le mani ai capelli, sciogliendo in un gesto veloce il proprio codino e porgendo l'elastico alla sorella “puoi prendere il mio.”
Gli occhi della ragazza si illuminarono “Davvero posso? Non ti dà fastidio stare con i capelli sciolti?”
“No, per me va bene, non ho caldo.” mentì lui “E comunque i miei sono più corti dei tuoi, quindi tu ne hai più bisogno.”
La ragazza sorrise dolcemente per poi prendere l'elastico, baciando nel frattempo il fratello sulla guancia in segno di gratitudine.
Len sorrise nuovamente e si avvicinò al cancello d'ingresso della loro scuola, entrando così in cortile, e si girò giusto in tempo per vedere sua sorella assalita da un'esuberante ragazza con due buffi codini azzurri. I suoi occhi celesti si rivolsero a Len, sorridendo colpevoli.
“Te la rubo per un po', okay?”
Len sospirò, acconsentendo. Non avrebbe certo potuto opporsi ai rapimenti giornalieri di Miku; quello era il momento in cui le due ragazze si scambiavano gli ultimi pettegolezzi o parlavano dei loro problemi d'amore, roba con cui Len non voleva avere a che fare. Riconosceva di essere piuttosto geloso di Rin, ma riusciva a condividerla con Miku: era una ragazza molto dolce e buona e, nonostante i suoi sedici anni, piuttosto bambinesca. Si ricordava ancora quando entrò per la prima volta nella loro classe, imbarazzata e pasticciona come sempre. Per colpa di una malattia, la ragazza era stata costretta a saltare un anno di scuola, ed era capitata nella classe dei gemelli Kagamine. Grazie al suo carattere socievole Miku si era immediatamente integrata nella classe e tutti le volevano un gran bene.
Il biondo decise di aspettare la sorella su una delle tante panchine ombreggiate dai grandi alberi di ciliegio che si trovavano lì. I suoi occhi azzurri si posarono sul grande edificio bianco di fronte a lui, mentre la sua mente cominciò a viaggiare nuovamente sull'argomento che tanto lo preoccupava.

C'era stato qualcosa di strano, oggi, nello stalker. Per qualche strana ragione era stato più discreto, tenendosi così lontano che Len non era nemmeno riuscito a sentire i suoi passi. Sembrava più cauto, quasi come se stesse aspettando il momento giusto per fare qualcosa.

Una squillante voce femminile lo riportò alla realtà.
“Len!”
Una ragazza snella, verso i diciassette anni, gli si avvicinò sorridente. I suoi occhi marroni riflettevano la sua forte e vivace personalità, mentre i suoi capelli castani erano corti e perfetti per affrontare l'afa. Era a braccetto con un ragazzo della sua età dagli occhi celesti e dai capelli del medesimo colore, slanciato ancora di più della ragazza. Aveva le mani nelle tasche dei pantaloni rossi ed aveva allentato leggermente la cravatta magenta, mostrando quanto si sentisse rilassato e quanto avesse caldo.
“Meiko,” la salutò il biondo “come stai oggi?”
La ragazza si imbronciò visibilmente, stritolando il braccio del celeste al suo fianco “Starei meglio se lui non facesse il casanova con qualsiasi ragazza che gli passa davanti!”
“Meiko,” il suo compagno sospirò silenziosamente. Len intuì che ciò che stava per dire era stato ripetuto tante, tante volte “ti ho già detto che non è andata così! Quella ragazza era una mia vecchia compagna di classe, volevo solo salutarla!”
La ragazza strinse i denti, guardando il proprio fidanzato in cagnesco. “Hai sempre una fottuta scusa per tutto tu, eh, Kaito?”
Len si allontanò lentamente, senza farsi notare. Sapeva fin troppo bene cosa stava per succedere e aveva deciso di non restarne coinvolto.
“Meiko,” Kaito continuò lentamente “ti prego, non ti arrabbia-”
“Non ti arrabbiare?!” Meiko prese il ragazzo per il colletto della camicia “Io sono già incazzata nera, Kaito!”
Il diciassettenne si girò nella direzione del biondo per chiedergli aiuto, ma questo lo abbandonò gesticolandogli che se ne lavava le mani.
Kaito imprecò sotto voce “Razza di stronzetto...”
“Che hai detto?!” la voce di Meiko riprese la sua attenzione “COME MI HAI CHIAMATA?!”
“N-no, non stavo-”
Il ragazzo venne interrotto da un dolore atroce, provocato da un pugno allo stomaco talmente forte da farlo cadere a terra.
“TI ODIO, KAITO!” Meiko gridò prima di scappare via, le guance rosse dalla rabbia.
Un'altra figura si avvicinò nel frattempo ai due ragazzi.
Due grandi occhi verdi preoccupati guardarono l'amico sdraiato a terra dolorante, mentre due dita affusolate erano occupate ad arricciolare le ciocche più lunghe dei suoi capelli verdi scalati.
“ 'Giorno, Gumi” salutò solennemente Len, accovacciatosi ora al fianco di Kaito per aiutarlo ad alzarsi.
Gumi guardò il celeste negli occhi e domandò rassegnata “È stata Meiko, non è vero?”
Kaito annuì dolorante “Ha le sue cose... non è colpa sua...!”
Len inarcò un sopracciglio. Meiko era sempre così, non erano di certo le mestruazioni a renderla manesca.
Le mani della ragazza si liberarono dalle ciocche di capelli “Sarà meglio che vada a controllarla allora...” si allontanò velocemente, sorridendo ai due ragazzi “Ci si vede!”
Il biondo salutò la ragazza scuotendo il braccio destro fino a quando essa non entrò nell'edificio scolastico, sparendo dalla sua vista.
Kaito, che oramai sembrava aver oltrepassato il dolore, si alzò lentamente e si sedette accanto a lui. Il suo sguardo era provocante e mirava dritto dritto a Len.
“Ti piacciono quelle più grandi, non è vero?”
Il biondo guardò l'amico, non capendo quello che stesse dicendo “Eh?”
“Andiamo,” Kaito alzò gli occhi al cielo “si vede lontano un miglio che ti piace Gumi.”
Le guance del quindicenne diventarono rosso pomodoro, mentre le mani ora venivano agitate freneticamente a destra ed a sinistra “M-ma che dici?! Non è vero!”
“Aww,” il celeste si prese le guance tra le mani, socchiudendo gli occhi in una posa teatrale, degna del presidente del club di recitazione quale era “Len, solo perché Gumi è più grande non significa che tu possa fare sesso con lei...”
Gli occhi azzurri del biondo guardarono il diciassettenne con odio “Ma come ti viene in mente?!” scattò in piedi e serrò i pugni “Ha la stessa età di Miku, non penserei nemmeno ad una cosa del genere!”
Questa era una bugia ovviamente, ma Len non aveva intenzione di rivelare al suo amico i suoi desideri erotici nei confronti della ragazza. E poi lui era un ragazzo per bene, non si sarebbe mai permesso di fare niente se lei non avesse acconsentito. Prima pero' avrebbe dovuto preoccuparsi su come conquistarla, e non su cosa avrebbe potuto fare dopo.
Kaito non sembrava per niente soddisfatto da questa risposta, e la sua espressione bonaria diceva che era sul punto di dire qualcos'altro “Bugiard-”
“Tu dovresti starti zitto poi,” lo interruppe Len “hai un debole per quelle manesche!”
L'altro si alzò in piedi, offeso “Come ti permetti di chiamare la mia Meiko manesca? Lei è la ragazza più dolce del mondo!”
“Quando si dice che l'amore è cieco, eh? Povero coglione, scommetto che a letto sarà una pena assurda gestirla!”
Kaito gli prese il colletto della camicia, aggressivo “Piccolo moccioso di merda, come ti permetti?!”
Len ricambiò il gesto, avvicinando il suo volto a quello dell'avversario in gesto di sfida, sicuro di sé. Se la cavava piuttosto bene nelle risse; nessuno era mai riuscito a sconfiggerlo “I 'mocciosi' sono la bocca della verità.”
Il celeste alzò un pugno, pronto a colpire il biondo, ma venne fermato da una mano femminile. Il diciassettenne girò la testa di lato per gridare a chi lo avesse interrotto di andarsene, ma si bloccò subito. Luka, Luka era di fronte a lui, e la sua faccia non preannunciava nulla di buono.
I lunghi capelli rosa della ragazza erano stati accuratamente intrecciati lateralmente, mentre i suoi occhi blu scuro lo osservavano con un fare aggressivo.
“Voi due...” tossì lei con la sua solita voce matura.
Len si sfilò lentamente dalla presa di Kaito, senza farsi notare, ed iniziò ad allontanarsi dalla pericolosa situazione.
“Fermo lì, Len.” la voce di Luka ordinò, facendo fermare il ragazzo all'istante.
Come diavolo aveva fatto a vederlo se non lo stava nemmeno guardando?
“Voi due continuate a gridare...” la ragazza strinse di più la presa sul polso del celeste, facendolo piangere silenziosamente “Sapete che odio quando qualcuno grida, vero?
I ragazzi annuirono come soldatini.
“E sapete cosa faccio a chi grida, giusto?”
Le due teste annuirono nuovamente, i loro corpi pietrificati.
“Bene, si dà il caso che oggi io abbia un forte mal di testa.” la ragazza fece una lunga pausa, scrutando i due ragazzi lentamente “Len, so che sei bravo in matematica. Moltiplica la vostra pena per diecimila per favore.”
Al ragazzo veniva da piangere. Sarebbe morto, lo sapeva. Luka li avrebbe uccisi in un modo lento e doloroso, non aveva dubbi al riguardo.
Due braccia avvolsero da dietro la vita della ragazza, e due lunghissimi codini verdi spuntarono da dove la testa del loro possessore si trovava, rendendola riconoscibile. Al suo fianco c'era Rin, la quale cercava di trattenere le risate che la scena le aveva provocato.
“Luuukaaa,” trillò Miku “non li uccidere, ti pregoo!”
“Dammi una ragione per cui dovrei farlo, Miku” la diciassettenne strinse più violentemente Kaito, il quale sembrava oramai sul punto del collasso.
Le mani della più giovane indicarono sia lei che l'amica accanto “Len ci deve fare copiare i compiti! Il sensei si arrabbierà se non li faremo nel modo corretto e Len è l'unico che ha capito come fare quel cavolo di esercizio! Quindi ti prego, non gli spaccare la testa, Luka, non prima che me li abbia fatti copiare!”
“Hey!” protestò il biondo “Che ne dici di prolungare la tua richiesta di un pochino, così che io possa vivere?”
“E che ne dici di includere anche me?” pregò Kaito.
Rin sghignazzò di gusto “Voi due siete senza speranza, ci credo che fate perdere la pazienza alla povera Luka.” si rivolse poi alla diretta interessata “Piuttosto, come mai hai mal di testa?”
La diciassettenne mollò Kaito, distratta dalla richiesta dell'amica e rispose incerta “Ehm... ecco io...”
Kaito sgattaiolò via, rifugiandosi dietro all'unico maschio presente per proteggersi. Nessuno dei due ebbe il coraggio di allontanarsi dalle ragazze; si limitarono ad osservare silenziosi la scena.
“Ohhhh,” Miku pizzicò i fianchi della più grande, prendendola in giro “non mi dirai che hai fatto di nuovo la cattiva ragazza, eh Luka?”
Gli occhi cobalto della bionda si socchiusero in un'espressione sarcastica “Bevuto troppo di nuovo, non è così? È colpa di Gakupo non è vero? ”
Luka arrossì notevolmente “N-no... I-io...” si portò le mani al viso, cercando di nascondere l'evidente rossore, e poi scappò via, correndo nella direzione dove Gumi e Meiko erano andate.
Len e Kaito guardarono le due ragazze allibiti: come avevano fatto a tenere testa a Luka, colei che incuteva timore anche al più terribile dei bulli?
“Rin,” sospirò Miku, portandosi un dito sul labbro inferiore “mi sa che hai esagerato un po'.”
La compagna alzò un sopracciglio, squadrando l'amica “Vorresti dire 'abbiamo' esagerato. Ti ricordo che hai iniziato tu.”
“Questo è vero, pero' tirare in mezzo Gakupo è una mossa meschina...”
“Ma lui è il suo unico punto debole, il suo tallone d'Achille! Mi dici che cosa avrei dovuto fare?”
Rin si preoccupò molto per la salute dell'amica: dopotutto la conosceva fin da quando conosceva Meiko, Kaito, e Gumi, ovvero da quando erano bambini. Si ricordava ancora come la proteggeva alle elementari dalle ragazze che la prendevano in giro, vantandosi di essere una studente delle medie ed incutendo terrore con la sua forte personalità. Rin pero' non riusciva ad averne paura paura perché sapeva che sotto a quella maschera da dura si nascondeva un cuore tenero e premuroso. Se solo suo fratello non fosse stato così stupido... Forse avrebbe potuto evitare di farla soffrire così. La ragazza prese nota mentalmente del fatto che doveva assolutamente scusarsi con lei.
Miku guardò i due ragazzi “Forse sareste dovuti morire e basta.”
Kaito ridacchiò “Ti voglio bene anch'io, Miku.”
“E che mi dici dei compiti?” domandò curiosa Rin. Adorava sentire le spiegazioni strampalate dell'amica “Come avremmo fatto?”
“Oh,” concordò l'azzurra “hai ragione. Lui ci serve ancora. L'avremmo consegnato a fine giornata.”
“Grazie tante ragazze,” Len replicò acido “ora mi sento molto amato.”
Kaito lo prese per le spalle, avvicinandosi per bisbigliargli qualcosa nell'orecchio “Lascia che Gumi curi il tuo cuore...”
Len serrò i pugni, sul punto di rincominciare la discussione precedentemente interrotta con l'amica, ma una figura femminile lo fermò di nuovo.
“Gumi che?” chiese la diretta interessata, spuntata all'improvviso vicino all'orecchio libero di Len.
“Ci chiedevamo che fine avessi fatto!” si inventò velocemente il biondo, allontanando velocemente Kaito con una gomitata. Il ragazzo pregò tutti i santi che la sua faccia non fosse rossa come credeva.
La ragazza gli sorrise, facendo perdere al suo cuore qualche battito “Tranquillo, non me ne vado più. Ora starò qui a tormentarvi tutta la giornata, contenti?”
Ti prego, pensò Len, fallo. Purtroppo, non essendo nella stessa classe, il ragazzo non aveva la possibilità di vederla così spesso. Gli unici momenti in cui gli era concesso erano gli intervalli, ma Gumi era spesso impegnata a parlare con qualcun altro oppure a consolare qualcuno. Lei era sempre così dolce, si preoccupava sempre per tutti ed ascoltava sempre i loro problemi cercando di fare del suo meglio per risolverli. Len amava molto questa parte di lei, ma aveva notato qualcosa di alquanto strano: la ragazza non diceva nulla di sé stessa. Non un problema, non un dubbio, niente. Due erano quindi le soluzioni possibili: o la vita di Gumi era perfetta, cosa molto possibile agli occhi di Len, oppure lei era troppo riservata per parlarne.
La campanella interruppe la conversazione dei ragazzi, costringendoli a separarsi per raggiungere le proprie classi.
Len, Miku e Rin si avviarono per la loro strada, e il biondo si trovò sorprendentemente a braccetto con la gemella.
I suoi occhi sostarono con aria maliziosa sul volto del fratello. “Lo sai, sei sexy quando hai i capelli sciolti.”
“Per favore,” rispose lui con fare snob mentre apriva la porta della classe “io sono sempre sexy.”

- - - - -

Le ore passarono veloci e tra un'interrogazione e l'altra i ragazzi riuscirono a sopravvivere fino a quando la campanella non dichiarò che la pausa pranzo era finalmente incominciata. 
Len tirò pigramente fuori dal suo zaino nero la piccola scatola di metallo che conteneva il suo pasto.
Il biondo studiò la forma rettangolare del contenitore blu oceano per puoi scuoterla leggermente, cercando di capire cosa ci fosse all'interno. Lui e Rin facevano spesso scommesse su chi riuscisse ad indovinare cosa ci fosse stato per pranzo quando erano più piccoli, e qualche volta ripetere il rituale gli faceva rivivere la felicità di quei tempi.
"Len!" sua sorella attirò la sua attenzione prendendogli le spalle dolcemente. Indossava il suo miglior sorriso da 'ti prego ho bisogno di qualcosa'.
"Ho dimenticato il pranzo...!"
Come al solito, pensò il fratello.
Omesse questa parte dal suo commento "E che cosa ci posso fare io scusa?"
"Oh andiamo," la sorella sbatté i palmi sul banco, facendo traballare il riso con i würstel di Len "sai benissimo cosa voglio."
Il biondo si portò l'indice sulla guancia con fare innocente "Non capisco di che cosa parli, Rin."
La gemella si morse il labbro, seccata, e tese la mano destra verso il fratello "Dà qua."
Gli occhi celesti del ragazzo guardarono il cielo, esasperati, mentre le sue mani si tuffarono nuovamente nello zaino nero. Ne uscirono qualche secondo dopo, tenendo ben salde una scatoletta rosa identica a quella del pranzo di Len.
Rin la rubò velocemente dalla presa del fratello e si portò la scatola al petto, felice. Si avviò poi velocemente verso il suo banco, situato affianco a quello di Miku, e si preparò per degustare il pasto.
Gli occhi del biondo la osservarono mentre ingurgitava la pietanza senza un minimo di classe. Sospirò, rassegnandosi all'idea che sua sorella sarebbe stata certamente sbattuta fuori da un ristorante di un certo livello a causa delle sue maniere animalesche, ma allontanò quel pensiero rapidamente. Dopotutto Len e la sua famiglia non si sarebbero certo potuti permettere questo lusso, non al momento per lo meno.
Il suo telefono vibrò, distaccandolo dai suoi ragionamenti. Il ragazzo aprì velocemente il messaggio, non preoccupandosi di leggere il mittente e scorrendo le dita sullo schermo suo fedele iPhone 3. I suoi occhi celesti analizzarono la schermata lentamente.
Vieni,” diceva “oggi è un giorno no.
Nonostante le parole non fossero così chiare, Len capii immediatamente il loro significato profondo.

Il ragazzo ripose con cura il cellulare, per poi alzarsi lentamente dal banco.
“Rin,” pronunciò mentre si avviava verso la porta “dì alla professoressa che sono uscito prima per favore.”
La biondina lo guardò sorpreso, con la forchetta ancora in bocca “Uh? Come mai vai già via?”
“Non è che vuoi saltare matematica?” domandò Miku, seduta sul proprio banco a gambe incrociate.
Il ragazzo non riuscì a fare altro che accennare un sorriso malinconico “Oggi è un giorno no.”

 

Rin rimase a bocca aperta, facendo così cadere la propria forchetta a terra. Il suono del contatto dell'oggetto con il pavimento si sincronizzò con il lieve rumore della porta che era appena stata varcata dal fratello.
Gli occhi celesti della ragazza fissarono quel punto, confusi e dispiaciuti.
Un altro attacco... Le cose stavano andando peggio di quanto avesse immaginato e lei si sentiva così impotente al riguardo. Non importava quello che lei o Len facessero, loro madre continuava a dargli quei soliti finti sorrisi, cercando di renderli felici. All'inizio ci erano cascati, ovviamente, ma dopo un po'' i sorrisi erano diventati sempre più spenti e quindi più difficili da rendere credibili. Quel piccolo gesto assunse l'effetto opposto di quello per cui era stato ideato; i ragazzi non potevano fare a meno di rattristarsi ogni volta che vedevano il volto della madre contorcersi in quella forzata cortesia.
Rin avrebbe dato qualsiasi cosa per vederla sorridere veramente, anche se sapeva che questo non era possibile. L'adolescente conosceva benissimo cosa potesse curare la madre dalla propria depressione, ma era consapevole del fatto di non potersi avvicinare a quel desiderio proibito.
I morti non si riportano in vita così facilmente.

“Rin!”
La ragazza sobbalzò, colta di sprovvista dalla trillante voce dell'amica.
“Hey, guarda che io voglio spiegazioni!” Miku le puntò la forchetta di plastica contro minacciosamente “Perché tuo fratello se ne è andato?”
La bionda sorrise, incassando la testa fra le spalle “Sei curiosa, eh?” ripose il proprio pranzo nel suo zaino celeste; dopo la notizia del fratello aveva perso l'appetito.
“Hai tempo per una lunga storia?”

- - - -

Len si spogliò velocemente, levandosi quella che la signora Ayami chiamava la sua “divisa da lavoro”, ovvero un vecchio paio di jeans a zampa di elefante, probabilmente risalenti all'era degli hippy, ed una camicia verde e gialla. Secondo la signora quei colori richiamavano l'insegna del negozio e le sembravano quindi appropriati per i commessi. Peccato pero' che i clienti non la pensassero allo stesso modo: la gente girava a vuoto, chiedendosi che fine avesse fatto il personale della boutique. Alcuni, vedendolo fermo vicino ad una pila di vestiti, lo osservavano per vari minuti, troppo timidi per chiedergli se lavorasse lì o no. Il ragazzo ora come ora ci aveva fatto l'abitudine, ed aveva anche capito che era meglio andare incontro agli stessi clienti da sè, non aspettando che lo chiamassero. In fondo si sentiva in colpa quando le clienti gli si rivolgevano con imbarazzo, chiedendogli se fosse un commesso o meno.
Se solo avesse avuto un fottuto cartellino con il suo nome sopra...
Doveva anche ammettere pero' che rimpiazzare sua madre al lavoro non era stato facile e ci aveva messo un po'' di tempo a capire come funzionassero gli abbinamenti dei capi e come si facesse la vetrina. Hey, lui era un maschio, la sua mente non era programmata per fare quel genere di cose, era già molto fortunato che la signora Ayami lo facesse lavorare lì.
La signora era la socia di sua madre, e quindi possedeva circa il 50% del negozio. Negli ultimi tempi, a causa dei suoi crolli emotivi, sua madre non poteva spesso andare a lavorare e la signora si ritrovava in difficoltà per colpa dei turni troppo pesanti e dei clienti da gestire. Yumi stava quindi pensando di trovare un altro socio, eliminando sua madre dalla possessione del negozio, oppure di trasferirsi da un'altra parte, lasciando la pesante retta del locale sulle spalle della famiglia Kagamine. Len stava cercando in tutti i modi di convincerla a non prendere nessuna delle due decisioni e cercava di aiutare la signora, lavorando quando la madre non poteva.
L'adolescente non amava certo lavorare in un negozio di vestiti da donna e restare a pulire e riordinare il negozio non gli andava di certo a genio, ma doveva farlo per la madre. Dopotutto non avrebbe mai permesso a Rin di uscire prima da scuola per lavorare, facendo le ore piccole la notte per cercare di recuperare le spiegazioni mancate.

Il ragazzo uscì dal negozio, salutando la collega della madre con un caldo sorriso. A forza di vedere sua madre, anche lui aveva imparato qualcosa al riguardo del sorridere per finta.
Si avviò verso casa, prendendo una scorciatoia per arrivare prima. Chissà, magari Rin aveva cucinato qualcosa oppure sua madre si era già ripresa. Gli sarebbe piaciuto mangiare qualcosa di fresco magari, per ammazzare un pochino gli effetti del terribile caldo di oggi.
Il ragazzo controllò l'orario sulla propria schermata dl telefono, chiedendosi se fosse ancora ora di cena o meno.

Fu allora che lo vide.

Grazie al riflesso dello schermo, il ragazzo notò una figura scura camminare dietro di lui. Il biondo rabbrividì al pensiero che non fosse nemmeno riuscito a sentire i suoi passi. Eppure era solitamente attento, dato che sapeva che qualcuno li seguiva.
Che fare ora? Da una parte avrebbe potuto fare finta di camminare come se niente fosse, rischiando così di condurlo verso casa sua, mentre dall'altra avrebbe potuto scontrarlo faccia a faccia. Il ragazzo scartò la seconda opzione, notando che l'uomo era più possente di lui. Anche la prima, pero', non gli sembrava granché; non voleva certo rivelargli dove abitasse.
Il passo dello stalker si fece più veloce.
Merda. Merda, merda, merda! Quel tizio non lo voleva seguire, questo gli si voleva avvicinare! Che cosa cazzo faceva ora? Questo stalker gli era sempre stato alla larga, quindi Len non si era ancora preoccupato del fatto che potesse agire in questo modo. Perché faceva così? Era perché era da solo? O forse perché era buio?
La figura gli si fece più vicina, ed il biondo fu costretto ad accelerare il passo.
Perché proprio lui? Sua sorella era il suo obbiettivo, questa era la prima volta che seguiva soltanto lui. Cosa voleva questo tizio? Perché gli si voleva avvicinare?
Len si ritrovò a correre, ancora seguito dall'uomo.
Il cuore gli batteva a mille e respirava a fatica. Non aveva mai corso così in vita sua, ma era più o meno certo di essere abbastanza veloce per un ragazzino della sua età. Come cazzo faceva quello a stargli dietro?

O mio Dio, o mio Dio, ti prego, vattene!

Non aveva mai avuto così tanta paura prima d'ora. Era disperato, correva più forte che poteva mentre il terrore gli impediva di ragionare razionalmente. Aveva così tante domande per la testa, eppure non era riuscito nemmeno a rispondere ad una decentemente. I suoi polmoni bravamano ossigeno, chiedendogli di fermarsi a prendere fiato, mentre la gola secca lo implorava di bere qualcosa. Ogni singolo battito suonava come un martello nel suo petto e la milza gli doleva a causa dello sforzo eccessivo.
I suoi occhi cercavano intensamente qualcosa che avesse potuto aiutarlo, ma nessuno sembrava essere per strada al momento. Che cosa gli era rimasto da fare?!
In quel momento si rese conto di avere ancora il cellulare in mano, perfettamente funzionante. Maledizione, come aveva fatto a non accorgersene prima? E dov'era finito il suo senso del tatto durante la corsa? Il panico gli stava facendo perdere la testa, doveva mantenere la calma... Forse si sarebbe potuto risparmiare questa maratona se avesse chiamato prima.
Il ragazzo accantonò quei pensieri, digitando il numero della polizia sulla schermata di emergenza. Che fosse benedetto l'iPhone e quel genio di Steve Jobs. A dirla tutta, dubitava di avere abbastanza fiato da poter formare una frase compiuta, ma poco gli importava; una volta ricevuta la chiamata la polizia lo avrebbe rintracciato e lui sarebbe stato salvo in men che non si dica.
O almeno era questo ciò che sperava.
“Buonasera, qui parla la centralina della polizia,” Len sentì la voce della signorina uscire dal santo apparecchio. Forse era a casa delle circostanze, ma quel suono gli pareva bellissimo “come posso aiutarla?”
“La prego,” ansimò “mandi qual-qualcuno!”
“Tesoro,” la voce della signorina si era fatta più seria. Perché lo chiamava tesoro? Era una tecnica psicologica o cosa? “mantieni la calma. Dimmi lentamente cosa sta succedendo.”
“Mi stanno- mi stanno seguendo...!”
Il ragazzo fu costretto ad allontanarsi dalla cornetta contro la sua volontà da una mano che cercava in tutti i modi di strappargli via il telefono. Nel giro di qualche secondo Len si trovò a giocare al tiro e molla con il suo assalitore, che nel frattempo cercava di tirarlo verso di sè. Gli occhi azzurri lo osservarono terrorizzati, sostando sull'impermeabile scuro e sul passamontagna che gli copriva il volto. Quello era abbigliamento da chi voleva commettere un crimine, non c'era dubbio.
Il criminale cambiò improvvisamente strategia, spingendolo con tutta la forza che aveva lontano, facendolo cadere sul duro asfalto. Il dolore percosse il corpo dell'adolescente, che si ritrovò l'uomo addosso, ancora alla ricerca del suo apparecchio. Entrò in panico, iniziando a gridare con tutta la voce che gli era rimasta e muovendosi selvaggiamente sotto il peso del suo assalitore. Ma tutti i suoi sforzi furono vani e l'uomo non si mosse di un centimetro, riuscendo a strappargli il telefono dalle mani e lanciandolo lontano.
Tutte le sue corde vocali si tesero in un urlo disperato.
“Mollami!! Lasciami andare!! Lasciami!!”
Le mani dello sconosciuto si mossero giù, poggiandosi sui fianchi del ragazzo. Iniziarono a tastare il suo corpo velocemente, cercando dentro le tasche della sua camicia.
“Non mi toccare!! Vattene!!”
Len giurò di poter sentire i decibel che il suo apparecchio elettronico stava emettendo. La signorina della centralina sembrava chiamarlo, chiedendogli cosa stesse succedendo.
Muoviti e chiama aiuto, cretina! Non posso risponderti!
Il ragazzo smise di prestare attenzione al cellulare e si concentrò su ciò che era di fronte a sè. L'uomo era ancora lì, frugando. La situazione non era cambiata molto in sè, ma il criminale aveva preso di mira i suoi jeans, mettendo le mani delle tasche anteriori e posteriori. Gli occhi celesti si spalancarono, sconvolti dal contatto non voluto. Il suo corpo si tese maggiormente, inorridito.
Che cosa voleva fargli?
Urlò di nuovo, spingendo le sue corde vocali al loro limite massimo, la paura prendendo il sopravvento su di lui. Non si preoccupò di prendere fiato, non ne sentiva il bisogno; l'adrenalina che aveva nelle vene era già abbastanza.
A quanto pare le sue urla dovevano essere davvero troppo forti, perché il suo assalitore non tardò a tappargli la bocca con una mano. Non che questo desse una giustificazione valida al ragazzo per smettere, ovviamente.
“Sei pulito.” pronunciò l'uomo. Len si sorprese da quanto fosse giovane la sua voce. Qual'era veramente l'età della persona che gli stava di fronte?
Si infilò una mano in tasca, tirandone fuori un fazzoletto che pareva bagnato. L'odore che emanava era strano e riusciva a fare girare la testa del teenager anche se era distante dalle sue narici. Questo non prometteva nulla di buono.
“Hey tu!” una voce estranea catturò l'attenzione di entrambi i presenti. Un uomo sulla quarantina, vestito ancora con l'uniforme da operaio, gli veniva incontro reggendo una tegola di legno come arma “Che cosa credi di fare, eh? Lascialo stare!”
Il rapitore digrignò i denti e schiaffò con violenza il panno sul volto di Len. “Merda...!”
Il ragazzo cercò di trattenere il respiro e di sottrarsi dalla presa del criminale per qualche secondo, guadagnando tempo e ossigeno, ma non ci riuscì. Prima che se ne accorgesse la sua bocca si aprì, inspirando la droga e permettendole di agire. Il ragazzo si strattonò ancora una volta, ma ebbe di nuovo gli stessi risultati.
“Mollalo, ti ho detto! Ti spacco la faccia se non lo lasci in pace!” la voce dell'uomo arrivò alle sue orecchie, ma sembrava più distante di prima, quasi ovattata.

Era così stanco... Sentiva il suo corpo pregarlo di dormire e di smettere di agitarsi come un ossesso. Il dolore che prima invadeva i suoi muscoli sembrava sparito nel nulla, lasciandoli liberi di rilassarsi dolcemente. Sentì le proprie mani, occupate prima a cercare di togliere la pezza che lo soffocava, cadere di lato prive di forza. Era come una marionetta a cui venivano tagliati lentamente i fili: il burattinaio li eliminava uno ad uno, senza fretta, facendo cadere gli arti della sua creazione al suolo, con un suono sordo. I sensi si occultarono, anch'essi prendendosi una quantità di tempo infinita. Dov'era Len? Non riusciva più a sentire l'asfalto sotto di sé, non riusciva a sentire niente. La testa si fece pesante da sorreggere e fu costretto a poggiarla su quella che sembrava una spalla. Quando era stato spostato da terra? Non riusciva a capirlo, tutto sembrava così confuso. Le immagini sfocate danzavano davanti alle sue palpebre assonnate, invitandole a chiudersi.
Il ragazzo non riuscì a vincere la loro monotona ninna-nanna e chiuse gli occhi, oramai già andato lontano dal mondo reale.

Non c'è niente da vedere qui.

 

Angolo di NamiNamae ✩

10 pagine di Word. 5401 parole.
E continua a sembrarmi corto.

Ho mai detto di avere tendenze masochiste?

Cooomunque, spero che questa merdetta qui sia stata di vostro gradimento e che lasciate un commento o che la mettiate tra i preferiti.... Sapete com'è, io sono pigra, se non ho motivazione non continuo a scrivere....

QUINDI FATEVI SENTIREEEE

Per ora è rating arancione, ma credo che questo cambierà molto presto, non so.... forse forse sono ispirata *scappate finchè siete in tempo*

Mhhhh, non ho molto da dire per ora... quindi baci baci ed a presto! (si spera)

  
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