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Autore: Rain_Flames    19/09/2014    3 recensioni
Il piccolo Katò incontra una bambina nel Parco Nazionale di Skaftafell, in Islanda. Questa storia racconta come sia nata e cresciuta la loro amicizia.
Partecipa al contest sul forum di EFP: On the wings of the heart-beats, di Nikij - con giudice supersara89
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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I fiori del ricordo

 

Conosco Fire da che ne ho memoria.

Ero davvero piccolo, sette, otto anni al massimo quando l'incontrai per la prima volta.

Mi ero perso nella foresta dietro casa, quella del Parco Nazionale di Skaftafell. Era una tiepida giornata d'estate in Islanda e visto il clima che di solito imperversava, decisi di approfittarne avventurandomi tra gli alberi senza curarmi delle raccomandazioni di mia madre.

Seguii il sentiero per qualche minuto fino a quando la mia attenzione fu attirata da un fiore che non avevo mai visto prima. Non saprei definire con esattezza il colore era azzurro, forse celeste, ma a tratti sfumava verso il viola. Era la prima volta che li vedevo, così decisi di raccoglierne un mazzetto per mia madre che aveva una floricoltura ai margini di quella stessa foresta.

Mi piaceva l'idea di portarle un fiore che ancora non aveva.

Ero così preso dalla mia missione, che quando mi accorsi di aver perso la strada era ormai troppo tardi. Ero terrorizzato. Avevo paura di non riuscire più a tornare a casa, ma soprattutto di cosa avrebbe potuto farmi mia madre una volta trovato... sempre se mi avesse trovato.

Insomma avevo sette anni... oltre ai draghi e l'uomo nero la cosa che ti terrorizza di più a quell'età è una mamma furiosa.

Nonostante questo continuavo a seguire il sentiero disseminato di fiorellini celesti. C'era qualcosa che mi attirava in loro. Non capivo il perché, ma nonostante il sole stesse quasi per calare la temperatura vicino ad essi sembrava essere costantemente mite, cosa che per un'isola di ghiaccio era davvero eccezionale.

Continuai a camminare fino a quando arrivai in una piccola radura. Infondo ad essa una cascata meravigliosa scendeva da una roccia nera probabilmente vulcanica, e tutto intorno solo sassi e quei bellissimi fiorellini a cinque petali.

Mi guardai intorno cercando di capire dove fossi finito, e fu in quel momento che la vidi.

Una bambina -circa della mia età- stava saltellando da una roccia all'altra all'interno del bacino d'acqua formato dalla cascata. Era così leggera e aggraziata che sembrava quasi fluttuasse da una pietra all'altra.

«Ciao!» la salutai.

Si bloccò improvvisamente quasi spaventata dalla mia presenza, e si guardò intorno fino a quando non mi vide.

Aveva dei capelli rossicci ed era vestita in modo fin troppo leggero: era infatti avvolta in un abito cremisi di sola seta, le maniche erano lunghe e larghe e svolazzavano ad ogni movimento. La gonna era ampia -le raggiungeva le caviglie- ed era scalza.

Ero rimasto sorpreso dal suo abbigliamento, come faceva a non morire assiderata?

«Io sono Katò,» continuai a dire «mi sono perso... sai dirmi dove siamo?»

La bambina stette in silenzio.

Mi guardò con i suoi grandi occhi verdi ma non si azzardò a dire niente, allora provai ad avvicinarmi ma appena fatto un passo, svanì dalla mia vista.

Dico sul serio. Come se fosse diventata fumo. Era sparita.

Pensai di essermela immaginata, davo la colpa alla paura di essermi perso e al fatto che ero stanco e affamato. Eppure l'avevo vista, ne ero... quasi certo.

Mi avvicinai alla cascata -perlomeno avrei potuto bere- appoggiai il mazzetto di fiori e raccogliendo l'acqua con le mani a coppa bevvi fino a dissetarmi.

Poi mi sedetti sulle rocce non sapevo cosa fare, se avessi provato a tornare sui miei passi probabilmente avrei soltanto peggiorato la situazione, addentrandomi ancora di più nella foresta.

Iniziai a sbuffare cercando di decidermi a fare qualcosa, il sole era sempre più basso ma stranamente non avevo freddo, era come se tutta la zona avesse un clima completamente diverso da quello rigido dell'isola.

Continuavo a giocherellare con i fiori che avevo in mano: di questo passo non sarebbero resistiti a lungo, quando ad un tratto la rividi. La bambina dai capelli rossi era di nuovo li, a qualche metro da me, leggermente nascosta dietro il tronco di un albero.

«Ciao» provai a dire nuovamente sorridendole.

«Ciao» mi rispose finalmente facendosi piccola piccola contro il vegetale.

«Sono Katò. Come ti chiami?» le chiesi.

«Non ce l'ho un nome» pigolò timidamente.

«Tutti hanno un nome» esclamai alzandomi.

Appena mi mossi, svanì nuovamente lasciandomi a bocca aperta.

Non me l'ero immaginato, lei poteva davvero scomparire a suo piacimento.

«Non voglio farti del male» dissi ad alta voce sperando che almeno mi stesse ascoltando «Mi sono perso. Sapresti dirmi da che parte è il villaggio?»

Restai in silenzio aspettando una qualche risposta, quando la vidi riapparire ad una certa distanza.

«Davvero non vuoi farmi male?» domandò impaurita.

«Certo che no!» le risposi sincero «Perché dovrei?»

Mi guardò dubbiosa cercando di capire se poteva davvero fidarsi di me.

«Come sei arrivato qui?» chiese ancora.

«Mi sono perso raccogliendo questi fiori per la mia mamma, sono arrivato qui per caso» le spiegai.

«Sono Pervinche» esclamò «Sono i fiori del ricordo».

Guardai il mazzetto che tenevo in mano e sorrisi, poi ne presi uno e glielo porsi piano.

Mi guardò un po' stranita ma alla fine si avvicinò e sfiorandomi appena la mano prese il fiore.

«Davvero non hai un nome?» le chiesi curioso.

Lei annuì guardandomi, era ancora inquieta.

«Perché?» domandai perplesso.

«Perché nessuno me ne ha mai dato uno» pigolò piano.

«Se vuoi posso sceglierne uno io» sorrisi.

La vidi spalancare gli occhi «Lo faresti davvero?»

«Certo,» dissi sicuro «però devo conoscerti bene prima, per capire quale sia il nome che ti sta meglio. Intanto sei la bambina delle Pervinche».

Mi guardò sorridendo e rigirandosi il fiore tra le mani, «Seguimi» disse prima di voltarsi per addentrarsi nella foresta.

Io restai in silenzio ma decisi di fare come aveva detto. Non parlammo lungo il tragitto, ma dopo una mezz'oretta mi ritrovai al margine del bosco e potevo vedere la serra di mia madre.

«Come facevi a sapere la strada?» domandai stupito.

Lei scrollò le spalle senza rispondermi.

Le presi la pervinca dalle mani e gliela sistemai tra i capelli, fortunatamente non si ritrasse e sorridendomi dolcemente scomparve nel nulla.

 

∆     ∆ 

 

Inutile dire che mia madre mi mise in punizione per un mese, non lasciandomi uscire di casa e rimproverandomi severamente. Mi stava cercando da ore quando riapparvi come se niente fosse con i fiorellini in mano, che no... non servirono a rabbonirla, ma anzi, la fecero arrabbiare ancora di più perché si convinse che li avessi rubati da qualche casa.

«Questi fiori non possono crescere su quest'isola: il clima è troppo freddo,» mi aveva spiegato «e le persone non possono dissolversi nel nulla, perciò smettila di raccontare bugie! I bugiardi non piacciono a nessuno».

Questa era la sua risposta ogni volta che cercavo di spiegarle cos'era successo quel giorno. Non mi credeva, ma io sapevo che la bambina delle Pervinche esisteva davvero.

 

∆     ∆ 

 

Appena mi lasciò uscire di casa tornai ai margini del bosco.

Volevo rivederla e non avevo più paura di perdermi, perché sapevo che lei -in qualche modo- mi avrebbe ricondotto a casa.

L'unico problema era riuscire a trovarla di nuovo, così armato del mio solo coraggio vagai per un po', cercando di ricordarmi la strada che avevo percorso, fino a quando non trovai nuovamente quei fiori speciali. Come la prima volta seguii il sentiero che disegnavano davanti a me, e finalmente mi ritrovai nella radura della cascata.

«Ciao» esclamò una voce alle mie spalle.

Sobbalzai per lo spavento, ma riconobbi subito la sua voce.

«Ciao» le risposi sorridendo mentre mi voltavo verso di lei.

Restammo in silenzio per qualche minuto, non sapevo bene cosa dirle e lei sembrava davvero molto timida.

«Posso chiederti come fai a svanire?» le chiesi ad un tratto curioso.

Mi guardò con quei suoi occhi smeraldo e sorrise inclinando la testa di lato.

«Sono una ninfa» rispose semplicemente.

«Una cosa?» chiesi stupito.

«Un elfo della foresta» mi spiegò «Un elfo femmina... una ninfa».

Restai a bocca aperta, pensai che mi stesse prendendo in giro, ma non c'erano altre spiegazioni logiche per le sue improvvise sparizioni.

 

∆     ∆ 

 

Da quel pomeriggio andai tutti i giorni a trovarla alla cascata, portandole di volta in volta una nuova Pervinca da sistemare tra i suoi capelli. Passavamo il nostro tempo giocando e ridendo assieme, e lei mi raccontava un sacco di storie sugli alberi e la natura che ci circondava.

Non avevo mai detto a nessuno della mia nuova amica, un po' perché mi avrebbero preso per pazzo, e un po' perché ero contento che quello fosse un segreto solo tra me e Fire.

Già... Fire è il nome che le diedi dopo qualche giorno di conoscenza, in quanto era una ninfa del fuoco. Vi sembrerà una scelta banale lo so, ma avevo solo sette anni, capitemi.

L'essere un elfo in grado di controllare quell'elemento, faceva si che non avesse mai freddo, e inconsapevolmente, riscaldava l'ambiente che la circondava rendendo il clima più mite.

Senza di lei, le Pervinche in quella radura non sarebbero mai potute crescere o sbocciare.

 

∆     ∆ 

 

Passarono gli anni eppure continuavo a recarmi nella foresta. Qualche volta gli studi e vari impegni mi impedivano di andarla a trovare ma, cercavo di avvertirla prima in modo che non si preoccupasse troppo per me.

Con il tempo mi aveva fatto conoscere tutti i sentieri, e ormai non avevo più paura di perdermi.

Stare con lei mi faceva sentire libero: non c'erano preoccupazioni, compiti, lavoro o insegnanti. C'era solo Fire, risate e tanta dolcezza.

Così, come ormai ero solito fare, presi qualche cioccolatino dalla credenza e salutando mia madre andai verso il bosco.

Era una bellissima giornata e non si vedeva nemmeno una nuvola. La giovane ninfa in giorni come quello, mi diceva sempre che i miei occhi celesti erano il riflesso del cielo.

Io arrossivo a tal punto, che per non farmi vedere imbarazzato l'abbracciavo stringendola forte a me, e finivamo per ruzzolarci nel prato, mentre le facevo il solletico.

Risi al pensiero e poco dopo arrivai alla cascata. Mi guardai intorno cercandola e ci rimasi un po' male quando capii che non era li ad aspettarmi come al solito.

Mi sedetti su una roccia vicino al laghetto che aveva formato l'acqua, e aspettai che arrivasse.

«Sorpresa!» esclamò comparendomi di fronte improvvisamente «Tanti auguri Katò! Buon diciottesimo compleanno!!!»

«Accidenti Fire» dissi portandomi una mano al petto «Mi hai fatto prendere un colpo».

«Uffa, che brontolone...» celiò divertita «la vecchiaia ti rende acido».

«Non è vero» sbuffai fintamente imbronciato.

«Mmmm» mugolò ridacchiando.

«Guarda che ti ha portato il vecchietto acido» - dissi estraendo dalla tasca i suoi cioccolatini preferiti.

«Grazie!» sorrise gettandomisi al collo «Anch'io ho qualcosa per te».

La guardai curioso, e lei raddrizzandosi davanti a me, mise le mani dietro la schiena.

«Chiudi gli occhi» mi ordinò.

«Posso fidarmi?» domandai ridendo.

«Katò...» esclamò alzando un sopracciglio.

«Ok, ok» sorrisi «Ora li chiudo».

 

∆     ∆ 

 

Feci come mi aveva detto, ma nella mia testa avevo ancora ben definita l'immagine di Fire. Con gli anni era diventata una bellissima ragazza, anche se forse “ragazza” non era la definizione giusta. Insomma era una creatura magica, ma per il suo aspetto poteva essere tranquillamente confusa con una diciottenne qualsiasi.

Nemmeno “qualsiasi” era la parola adatta, perché a mio parere era davvero stupenda:

i lunghi capelli rossi le contornavano il viso splendendo al sole, e il leggero abito di seta era diventato molto più corto negli anni, scoprendole le gambe fin sopra al ginocchio. Era alta quasi quanto me e ogni volta che la guardavo negli occhi mi perdevo in quelle distese di verde.

Si... da qualche anno avevo capito di provare molto più di semplice amicizia verso di lei, ma non mi ero mai azzardato a confessarle i miei veri sentimenti, e non perché me ne mancasse il coraggio, semplicemente non volevo rovinare tutto. Stavo aspettando il momento giusto perché se Fire non mi avesse contraccambiato, le cose non sarebbero più state le stesse, e io avevo bisogno di quella sensazione di evasione nelle ore che trascorrevo con lei.

Chi voglio prendere in giro... io avevo un disperato bisogno di Fire e basta. Sentire il tepore che emanava, vedere il suo meraviglioso sorriso, ascoltare la sua risata cristallina, respirare il suo profumo e vivere tutte le sensazioni che solo lei era in grado di farmi provare.

Da quando eravamo diventati amici non aveva più paura di me, e ben presto scoprii che era una ragazza decisa e determinata, pronta a tutto per aiutare gli altri -animali o vegetali che fossero-. Appassionata e coraggiosa come solo il fuoco sa essere. Erano state le altre ninfe a terrorizzarla dicendole che gli umani l'avrebbero avvicinata solo per gli scopi più torbidi. Ma quando capì che io non pretendevo niente da lei che non fosse la sua amicizia, scoprii anche il suo lato giocoso, tenero e dolce. Non mi ero mai sottratto a una sua carezza o a un suo abbraccio, anzi, l'avevo provocata più volte beandomi poi del risultato.

Mia madre era parecchio perplessa: non capiva dove sparissi tutte quelle ore, così le avevo semplicemente detto che volevo diventare una guardia forestale. Per poter fare questo lavoro necessitavo di conoscere alla perfezione tutto il parco di Skaftafell e perciò, stavo dedicando anima e corpo per il mio futuro.

In realtà non era una bugia, Fire mi stava davvero insegnando molto e con lei avevo imparato un'infinità di cose sulla flora e la fauna dell'isola.

Inoltre, avevo iniziato a costruire una piccola casetta su una quercia secolare, ed era proprio li che passavamo le giornate di pioggia. Non avevamo nemmeno bisogno del fuoco per scaldarci, perché i poteri della mia piccola ninfa facevano si che la temperatura non scendesse mai sotto i quindici gradi.

Che dire... ero l'unico islandese a non soffrire il freddo.

Passavamo pomeriggi interi dentro e fuori il nostro rifugio, distesi su prati o giacigli fatti d'erba e coperte che avevo portato da casa, mentre mi raccontava della magia che ci circondava. Mi faceva appoggiare la testa sul suo grembo, e accarezzandomi la testa mi narrava storie e leggende di altri mondi.

Come potevo anche solo pensare di rinunciare a tutto questo?

 

∆     ∆ 

 

«Dammi la mano» sussurrò.

Alzai il braccio aprendo leggermente l'occhio sinistro.

«Katò!» mi rimproverò coprendomi il viso.

«Scusa,» ridacchiai «faccio il bravo».

La sentii legare qualcosa al mio polso, e infine mi disse che potevo riaprire gli occhi così guardai subito che cosa fosse.

Era un bracciale fatto intrecciando radici e resine naturali: al centro, sporgeva un piccolo rubino incastonato in una pietra lavica che ricordava perfettamente il colore del suo abito e dei suoi capelli.

«Ti piace?» chiese mordicchiandosi il labbro inferiore.

«É stupendo!» esclamai abbracciandola «Davvero! Grazie mille!».

«Sono contenta che ti piaccia» sorrise stringendomi un po' più forte.

 

∆     ∆ 

 

Se avessi potuto fermare il tempo lo avrei fatto in quel momento, mentre potevo respirare il suo profumo e sentirla completamente rilassata tra le mie braccia.

«Katò...» sussurrò.

«Sì?» chiesi lasciandola andare.

La vidi arrossire un po', mentre iniziava a tormentarsi una ciocca dei lunghi capelli.

«Volevo... dirti anche... un'altra cosa» pigolò abbassando lo sguardo.

«Ti ascolto» le sorrisi facendo scorrere le mie mani lungo i suoi avambracci fino ad arrivare ai polsi, e mi fermai su di essi disegnando dei piccoli cerchi concentrici con i pollici.

Ridacchiò leggermente -probabilmente le stavo facendo il solletico-, e almeno in questo modo sembrava meno nervosa.

«Ehmm...» iniziò temporeggiando e prendendo probabilmente il discorso alla larga - «mi piace... passare il mio tempo con te...»

Lo aveva detto davvero? Mi sembrava un sogno.

«Anche a me!» risposi con un sorriso a trentadue denti «Ti voglio bene Fire, lo sai vero!?!».

La vidi illuminarsi spalancando appena gli occhi.

«Quanto bene?» domandò dondolandosi appena, senza interrompere il contatto tra le nostre mani.

«Più di quanto immagini...» dissi arrossendo un po' e facendo poi intrecciare le mie mani alle sue «e tu?» chiesi «Mi vuoi bene?»

Ero ancora seduto sulla roccia e alle mie spalle sentivo scorrere quieta l'acqua della cascata. Fire invece, era in piedi di fronte a me, e alle sue spalle il sole la faceva sembrare un'apparizione mistica.

La vidi annuire facendo ondeggiare i capelli.

Sospirai piano lasciandole andare le mani «Non è vero».

«Cosa?» chiese un po' confusa dal mio gesto «Certo che ti voglio bene» esclamò riprendendole quasi al volo.

La lasciai fare, e una volta sicuro di avere la presa sui suoi polsi la tirai verso di me, con un movimento dolce ma deciso.

Avvampò immediatamente quando si ritrovò seduta sulle mie ginocchia, voltando il viso per non guardarmi negli occhi e rischiare di arrossire ancora di più.

«Dimostramelo» le sussurrai all'orecchio lasciandole un tenero bacio sulla tempia.

Socchiuse gli occhi sorridendo per quel mio gesto, e lasciandomi le mani portò le braccia dietro al mio collo.

Sentivo il suo respiro tiepido sulle mie labbra, così le cinsi i fianchi a mia volta facendole capire che non l'avrei lasciata andare tanto facilmente.

Infilò le dita affusolate nei miei capelli e mi massaggiò piano la nuca.

«Non potremo più tornare indietro» bisbigliò appoggiando la fronte contro la mia.

«Finiti gli studi verrò a vivere qui con te.» risposi sfregando il naso contro il suo «Sempre se tu lo vuoi».

Sorrise riducendo le distanze, i nostri respiri si mischiarono e potei assaggiare con una calma infinita le sue labbra.

Era da tanto che aspettavo questo momento, e da come mi stava coccolando credo che fosse lo stesso anche per lei.

Le accarezzai dolcemente la schiena e la sentii sorridere mentre continuava a baciarmi.

«Lo prendo per un sì» ridacchiai tra un bacio e l'altro.

«Credo proprio di amarti» sussurrò mordicchiandomi piano il labbro inferiore.

«Ti amo anch'io.» sorrisi sistemandole una nuova Pervinca tra i capelli «Ricordalo ora... e sempre».

 


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