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Autore: zenzero    20/09/2014    1 recensioni
I cosplayer sono ragazzi che adorano travestirsi da personaggi dei cartoni animati (o altro). I nostri protagonisti sono un gruppo di amici che hanno scelto di impersonare la ciurma di One Piece, pur non essendo troppo somiglianti e non proprio coesi come gruppo. Ma nel viaggio di ritorno da una fiera hanno capito che è meglio guardarsi le spalle a vicenda…
(Non so quale possa essere la sezione giusta... E' originale ma fortemente ispirata a One Piece e il cosplay)
Genere: Commedia, Sovrannaturale, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mugiwara
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Questa fan fiction partecipa al contest “Ci rivedremo a Filippi” indetto da Chloe R Pendragon
http://freeforumzone.leonardo.it/d/10871373/Ci-rivedremo-a-Filippi/discussione.aspx/1
 
Nome autore sul forum: zenzero91
Nome autore su EFP: zenzero
Titolo:  Viaggio di Ritorno
Fandom: Originale con riferimenti a One Piece
Genere: Commedia, sovrannaturale, Thriller
Personaggi: Riferimento ai personaggi di One Piece, la ciurma fino a Nico Robin
Coppia (se presente): 
Pacchetto utilizzato: 6)Alcol-->Una piccola vendetta è più umana di nessuna vendetta. 
Friedrich Nietzsche, Così parlò Zarathustra, 1883/85. 
Trama: 
I cosplayer sono  ragazzi che adorano travestirsi da personaggi dei cartoni animati (o altro). I nostri protagonisti hanno scelto di impersonare la ciurma di One Piece, pur non essendo troppo somiglianti e non proprio coesi come gruppo. Ma nel viaggio di ritorno hanno capito che è meglio guardarsi le spalle a vicenda…
 
 
 
Il sole autunnale stava ormai per svanire all’orizzonte, rendendo l’aria fredda e oscurando impietosamente tutto. Tuttavia la città di Lucca, in quel pomeriggio d’inizio novembre, era più gremita che mai. In occasione della consueta Fiera del Fumetto, gli  appassionati di ogni cosa valesse il loro divertimento riempivano la città in ogni sua via.
Tra questi, due ragazzi da tempo non più minorenni, si accorsero dell’ora tarda e s’incamminarono per la stazione. Il treno che li avrebbe riportati a casa stava per arrivare, e dovevano muoversi nella calca se volevano prenderlo in tempo.
“Stiamo attenti a non perderci, soprattutto” disse a chi aveva alle spalle Piero, detto Pelo per il suo irsutismo. Lo zaino pesava molto più che all’andata, pieno com’era di ogni cosa le sue tasche potessero permettersi alla fiera. Lo zaino della Seven stonava un po’ col costume da Rufy che aveva, e fisicamente differiva un po’ dal pirata. Una morbida pancetta  spuntava dal gilet e folta peluria la ricopriva, e lo stesso poteva dirsi del petto, braccia e gambe che non voleva rasare, ma del resto si travestiva per divertirsi insieme al resto del suo gruppo, la “Feccia dei sette mari”, come si facevano chiamare.
Dietro di lui, Martina, una Nami altissima, tinta di henné rosso e dalla carnagione scura, li raggiungeva il più velocemente possibile, in braccio un peluche di Chopper.
I due avanzarono fino a trovare finalmente la stazione gremita.
“Ah, eccovi!” li chiamò una voce femminile.
I due ragazzi si guardarono intorno. Riconobbero subito chi aveva parlato. Serena agitava le mani facendo toccare tra loro le tre katane di plastica. Il costume da Zoro le stava veramente bene, anche se la parrucca verde era forse un po’ troppo lunga.
Accanto a lei, Federico, il suo ragazzo, avanzò per accogliere la piccola ciurma, quasi sommerso dalla folla che lo troneggiava dal suo metro e cinquantadue.
La ciurma era ormai al completo. A dire il vero, rispetto al cartone animato mancavano dei personaggi ma non avevano trovato altre persone disposte a fare Franky, Brook e figuriamoci Usopp.
“Dov’eravate finiti?” chiese il capitano “Non vi trovavamo più”
“Ci siamo persi tra la folla, e dato che era tardi, abbiamo deciso di andare direttamente in stazione” rispose Federico, sistemandosi la frangia bionda che gli finiva sistematicamente sugli occhi.
“Beh, potevate almeno telefonare, no, nanetto?” protestò Martina avanzando.
“Non è colpa mia se a entrambi si è scaricato il cellulare, palo della luce” le rispose il nanetto in questione. Il sopracciglio a vortice di Sanji disegnato con la matita si stava ormai sciogliendo dal sudore.
Serena si fece avanti e li separò. “Beh, l’importante è che ci siamo ritrovati. Meglio se timbriamo i biglietti" disse chiudendo la questione.


Il loro treno arrivò più di un’ora dopo. Ormai era davvero buio e faceva parecchio freddo, ma non se ne accorsero, per via della folla che si era ammassata in banchina.
Una volta che il loro regionale si fermò sul binario, la folla iniziò a spintonare con forza, dato che tutti volevano riuscire ad accaparrarsi un posto a sedere. Tanto che, una volta seduto su uno dei due posti trovati fortuitamente  liberi che occuparono a rotazione, il capitano della ciurma si accorse che la tazza di Full Metal Alchemist che aveva acquistato dopo ore ad aggirarsi nella folla degli stand si era rotta.
“Fanculo” protestò arrabbiato.
In quell’istante le luci del treno crepitarono e si spensero causando il panico generale. Ma il treno non si fermò. Dopo circa un minuto le luci si riaccesero. Il capotreno all’altoparlante assicurò che si trattava solo di un piccolo guasto alle luci, anche se non aveva una voce molto tranquilla. In ogni caso tornò la calma. Passarono ore lente in cui la ciurma cercava di distrarsi dalla monotonia di quel viaggio.
“Mi passate un manga?” chiese Federico, schiacciato tra altre persone in piedi, indicando il suo borsone irrimediabilmente incastrato sotto gli altri, sopra la rastrelliera.
Serena, divisa da lui da una signora sulla sessantina che li guardava curiosamente, smise di tormentarsi i brufoli e provò a effettuare la manovra di estrazione ma si rivelò una pessima idea, poiché tirandolo fuori fece cadere tutti gli altri, sulle teste altrui.
“Eccheccazzo, nano, proprio adesso ti andava di leggere?” protestò Martina, stritolando il suo peluche di Chopper. Come gli altri, si era svegliata alle tre quella mattina e tentava di dormire, ma quella caduta di borse le aveva mandato i sensi in allerta.
 Inoltre faceva davvero freddo, anche se i bocchettoni dell’aria condizionata erano spenti.
“Che modi sono questi?” chiese la signora, infastidita. “E poi, scusate, ma mica è carnevale, perché siete conciati così?”
“Mi piace leggere, dato che non sono analfabeta, al contrario di te” rispose il finto cuoco alla ragazza, ignorando la domanda della donna.
“Amore, lascia stare, dai.” propose un po’ seccata la sua Zoro, che sapeva come poteva andare a finire.
“Però leggi solo le ultime righe di un testo, visto che alle prime in alto non ci arrivi” continuò la rossa ignorando la spadaccina.
“Meglio poche righe che nessuna; da quanto ne so le cagne non leggono”
Martina si alzò per rispondere non proprio a parole ma fu bloccata da Piero che la tirò bruscamente giù a sedere.
“Fatela finita, oh!” esclamò rabbioso il capitano, stringendo il cappello di paglia. Ormai il drappo rosso che lo adornava stava iniziando a sgualcirsi. “Siamo tutti stanchi e nervosi, ma adesso non litighiamo, è meglio. Cerchiamo di riposarci, va bene? O vi piglio a calci”
“Chi vi ha insegnato l’educazione?” chiese la donna che aveva ascoltato tutto avidamente.
“Zitta o meno pure te!” esclamò lui alzando il piede spaventandola al punto da farla allontanare, per quanto possibile, in modo da non essere a portata di calcio.
“Mena chi ti pare, ma non è possibile continuare così!” fece Serena.
Martina le mostrò noncurante il dito medio. Avrebbero potuto anche continuato a bisticciare ma le luci si spensero di nuovo, stavolta per più di un minuto, e quando finalmente riuscirono a vedere di nuovo nessuno aveva più tanta voglia di arrabbiarsi.
La navigatrice sembrava anzi un po’ pallida. “Avete sentito? Era come una folata di vento gelato, ho avuto un brivido”
“Veramente fa un caldo boia” disse Piero, e chiuse la questione coprendosi la testa col cappello di paglia, tentando di dormire.
Passarono le ore nella noia quasi totale. Del resto il treno regionale, già in ritardo, per alcune fermate impiegava molto tempo per ripartire.
La radio s’impallava spesso e a volte cambiava del tutto frequenza.
Stazione dopo stazione, la gente scese e il vagone che il gruppo occupava iniziò a svuotarsi, tanto che alla fine i ragazzi si ritrovarono da soli.
“Finalmente posso sgranchirmi le gambe” disse il cuoco, e si avviò felicemente in bagno.
“Devo andarci anch’io” fece Martina subito dopo.
Federico utilizzò i servizi igienici in tutta tranquillità, anche se mancava la carta. Mentre si lavava le mani, notò delle lettere incise sullo specchio, anche se quasi illeggibili.
Sforzandosi, si capiva che di sicuro c’era una V e una N, due T e forse alla fine una A. Federico provò a capire quali fossero le lettere in mezzo, forse poteva…
Poi qualcuno bussò ripetutamente alla porta e il ragazzo, stufo, aprì senza neanche chiedere chi fosse e si ritrovò di fronte Martina, che gli bloccò ogni uscita.
“Che vuoi?” chiese lui seccato.
“Ohi, Fe’, non te la sarai mica presa per prima, eh? Lo sai che ti voglio bene, no?” disse la ragazza sorridendo, avanzando nel poco spazio disponibile.
“Hai uno strano modo per dimostrarlo”
“Dai che te lo dimostro meglio” disse lei e si chinò su di lui “Non ho mai digerito che tu abbia preferito quella brufolosa a me. Prima stavamo molto bene io e te, no?”
“Prima, adesso ho voltato pagina”. Il ragazzo provò a indietreggiare ma la sua testa sbatté contro la parete.
“Non ti credo” fece lei, col volto ormai a pochi centimetri dal suo.
In quel momento le luci si spensero di nuovo. Martina ne approfittò per timbrargli il volto con le labbra un po’ ovunque, dato che non vedevano niente.
Quando le luci si riaccesero si udì un urlo che Federico riconobbe subito.
Sgattaiolò via dalla rossa e si diresse al loro vagone.
 
Serena, tremante e con gli occhi sbarrati, si aggrappava al braccio di Piero, che pure non sembrava stare molto bene. Entrambi fissavano il corridoio vuoto, dalla parte opposta da cui Martina e Federico erano usciti.
“Che succede?” chiese  il finto cuoco.
Piero riuscì a riprendersi per primo. “E’ tornata la luce, e c’era. qualcuno nel corridoio…” disse con un filo di voce. “Una persona... ho visto solo che era vestita di bianco, era troppo lontana... ”
“P-Poi è… sparita” continuò la spadaccina.
“Sicuri di aver visto bene?” chiese Martina, ma gli sguardi dei due membri della ciurma erano inequivocabili.
Poi si accorse che c’era qualcosa che mancava.
“Chopper! Il mio peluche! L’avevo lasciato lì, sono sicura!” esclamò indicando il sedile vuoto.
“Non l’abbiamo mica preso noi” fece Serena.
“Cos’è, hai la coda di paglia?” continuò la rossa, acida. “Per me l’ha rubato qualcuno quando si sono spente le luci”
“Allora vai tu a controllare di là?” chiese il capitano abbottonandosi nervosamente il gilet rosso, sbagliando tutti i bottoni. “Non che abbia paura, eh... semplicemente non ne ho voglia”
“Sì, sì, come no” sibilò lei, e arrabbiata per il furto avanzò lungo il corridoio.
Superò il loro vagone. In quello successivo, non c’era assolutamente nessuno. Avanzò ancora.
“Guarda che se anche se ti nascondi non mi freghi, sai?” esclamò la ragazza, ma era un po’ inquieta.
Spalancò a fatica la rigida portiera che separava un vagone da un altro e la superò, ce ne era un’altra da aprire. Sotto di lei, poteva vedere le rotaie sferragliare attraverso al pavimento metallico; odiava quel piccolo spazio.
“Devi essere per forza più avanti” disse.
La portiera alle sue spalle si chiuse con uno schianto. Provò ad aprire quella più avanti. Ma si accorse che era impossibile. Anche usando tutte le sue forze, non si smuoveva di un millimetro. Come se fosse bloccata.
Si voltò per spalancare la precedente, ma era anch’essa irremovibile.
Non capì più niente.
“Fatemi uscire! Sono claustrofobica, devo uscire! Subito, cazzo, capito? Voglio uscire!” urlò, prendendo a pugni il portellone, ottenendo solo un gran dolore alle nocche. La sua voce le rimbombò addosso.
Da quella distanza era difficile che i suoi amici potessero udirla. Del resto al momento avevano altro a cui pensare.
 
Piero era deciso a capire se si trattasse di uno stupido scherzo o meno. Avanzava cauto nel vagone opposto, affiancato da Federico che doveva “guardargli le spalle”.
Serena, invece che rimanere a badare alle borse come aveva detto, stava cercando di raggiungere Martina. Non era solo perché non voleva rimanere da sola, o per controllare nella direzione opposta. A dire il vero c’era qualcosa che voleva controllare, e non era una stupida carrozza.
Aveva notato dei cambiamenti sul volto del suo amore da quando era uscito dal bagno; quei capelli sudati e scompigliati, quei segni rossi che non si erano certo creati da soli, la velocità con cui si era allontanato da lei senza parlarle per raggiungere Piero, e aveva fatto due più due.
Aveva raggiunto il vagone vuoto che aveva percorso anche la rossa.
“Martina? Dove stai? Ehi? Devo parlarti” esclamò, con la voce da migliore amica più falsa del mondo.
La vide agitarsi nel tramezzo tra un vagone e un altro, e prima di capire cosa stesse accadendo qualcosa si schiantò sulla sua testa, pur non facendole male.
Qualcosa di piccolo e morbido.
Chopper.
Il peluche scomparso volteggiava tranquillamente nell’aria, con il suo sorriso pacioccone e gli arti che ricadevano flosci.
La spadaccina arretrò dalla sorpresa.
“E’ sicuramente un trucco. Una candid camera.” Disse, non troppo convinta. “Se guardo bene, forse troverò anche il filo invisibile”
Il pupazzo per tutta risposta si rovesciò di colpo, rimanendo a mezz’aria, continuando a fissarla a testa in giù.
Poi emise una risata gioiosa.
La ragazza, terrorizzata, finì su un sedile, mentre Chopper continuava a ridere svolazzando. Il tono di quella risata era femminile, giovanile e gioioso.
“Non ho altra scelta” disse la spadaccina, ed estrasse una katana dalle tre che aveva al fianco.
“Lo sai che è fatta di plastica, vero?” chiese la voce di Chopper, gettandosi di nuovo su di lei.
Stavolta però Serena lo respinse con la forza della sua arma.
Il pupazzo finì contro il vetro dei finestrini e ricadde su un sedile.
La cosplayer si alzò cauta per capire se il giocattolo si muovesse ancora.
“Guarda che Zoro usa tre spade, mica due” fece di nuovo quella voce allegra.
Serena sentì vibrare la cintura che aveva addosso e un attimo dopo le katane che non aveva preso si sfilarono dai loro foderi. E anche loro presero a levitare.
“In guardia, Zoro dei miei stivali” continuò la voce, canzonatoria, e le spade diressero la punta contro di lei.
 
Qualche vagone più avanti, Federico si era un po’ scocciato nel cercare una figura scomparsa nel nulla.
“Sei sicuro di averla vista davvero? Magari erano delle tende o la giacca di qualcuno, che ne so…”
Piero scosse la testa. “ No, l’ha vista anche Serena, ricordi? E poi il pupazzo di Chopper è scomparso. Ci deve essere qualcuno per forza e…”
Proprio in quell’istante quel qualcuno apparve vicino ai bagni. Era di spalle, e portava una lunga giacca bianca e un cappello dello stesso colore.
“E’ quello lì!” confermò il capitano “Ehi, tu, fermati!” urlò.
Ma la persona iniziò a correre e si precipitò nel bagno.
“Rispondi, almeno!” protestò Federico, e superato l’amico, spalancò la porta del bagno.
Ma non trovò nessuno.
“Com’è possibile?” si domandò il cuoco, rimanendo confuso all’ingresso, e in quell’istante la porta si chiuse da sola con forza su di lui che era all’ingresso, e batté la testa.
Il ragazzo si ritrovò a terra, stordito.
“Fede? Ma che cacchio succede?” chiese a dir poco spaventato Piero nel vedere la scena. L’amico non rispose, mugolando e toccandosi la fronte tumefatta.
“Ahaha, Sanji che spia una ragazza in bagno è un classico, eh?” ridacchiò una voce squillante e femminile dagli altoparlanti del treno, facendo rabbrividire i due ragazzi.
“C-Chi sei? Che cosa vuoi?” chiese il pirata dal cappello di paglia guardandosi intorno, ma non c’era assolutamente nessuno.
“Rubber, forse è meglio se ti preoccupi del resto della tua ciurma, lo sai?” continuò la voce.
“Cosa? Perché?”
“Pelo, ha ragione...” disse Federico alzando la testa “ le ragazze…”
“Devo andare, eh?” chiese il capitano, riluttante.
“Vai, io ti raggiungo… dopo...”
Il bruno cosplayer annuì e si diresse verso le cabine che avevano abbandonato.
Starnutì per il freddo assurdo, l’aria condizionata era accesa e molto forte.
Alla fine raggiunse Serena. Era in piedi, agitata e con la sua katana… combatteva contro le altre due armi! Ma com’era possibile?
“Se...Serena?” la chiamò.
“Pelo!”
“E Martina?”
La spadaccina colpì una delle spade volanti e corse per raggiungerlo.
“E’ bloccata di là e non riesco a farla uscire!” la indicò “Attento, le mie katane vogliono infilzarmi! Sono di plastica ma fanno male!” esclamò la ragazza, felice di vederlo ma terrorizzata dalla situazione.
“A dire il vero… hanno smesso” constatò il pirata.
Voltandosi, la cosplayer vide che aveva ragione. Le armi bianche erano crollate sul pavimento, inanimate, com’era successo per il peluche.
“Allora ha smesso di torturarci, qualunque cosa sia?”
Si udì di nuovo una risata allegra dagli altoparlanti. “Certo che no! Adesso facciamo un po’ di karaoke”
Dopodiché partì un brano. Una canzone.
Era veramente molto tempo che non la ascoltavano, ma riconobbero immediatamente la voce di Cristina d’Avena.
E quelle parole…
E’ un veliero di pirati veramente scatenati, una ciurma irresistibile! C’è un ragazzo capitano che nel cuore è un veterano, il pirata più incredibile…
In quell’istante Piero sentì i muscoli irrigidirsi e muoversi da soli. Non poté impedirsi di compiere un passo in avanti e agitare le mani che si stavano chiudendo in pugni.
Serena arretrò urlando in preda al panico mentre il ragazzo sferrava cazzotti nella sua direzione. Lo distanziava di un paio di metri ma non ci voleva molto perché la raggiungesse.
“Dai, forza, capitano, canta! Anche tu, Zoro!” esclamò la voce confondendosi con quella di Cristina.
“Dovrei davvero cantare?” chiese Serena.
“Se cantate vi lascerò andare, va bene?”
Cristina continuava entusiasta.
Ciurma, c’è un bastimento di pirati, forza! Noi siamo i re dei sette mari! Niente è più importante del tesoro ma chissà dove sarà? Un solo grido, Ciurma!....
“Veramente non me la ricordo” disse il pirata “Sono passati anni dall’ultima volta che ho visto la sigla della prima serie”
Riuscì a fermare l’avanzata dei pugni ma non poteva muoversi come voleva.
“Anch’io” confermò l’amica “ So solo qualche strofa”
“Ma com’è possibile?” chiese la voce, sinceramente incuriosita “lo trasmettono tutti i giorni su Italia 1!”
“Sono anni che la prima serie non è trasmessa” continuò la piratessa.
La canzone nel frattempo stava finendo.
“Anni? Ma che dite?” chiese la voce.
Poi le luci crepitarono e davanti a loro apparve la persona che avevano visto di sfuggita e inseguito. Era una ragazza, non molto alta. Era vestita di una lunga giacca bianca, un cappello da cowboy dello stesso colore e un completo molto corto viola scuro. I capelli erano neri, mossi e gli occhi verdi, il naso all’insù.
La porta del vagone si aprì e Federico entrò e la guardò. Credeva di sapere chi fosse, non era proprio identica, ma…
“Ah.. ora ricordo…sei Nico Robin, vero? Saga di Alabasta.”
La ragazza sorrise, felice di essere stata riconosciuta. “Esatto, pirati di Cappello di Paglia! Sono la vostra nemica, ah!” esclamò compiaciuta.
“Ma che nemica, scusa?” chiese Martina, ancora bloccata nella sua piccola prigione.
Si voltarono tutti verso di lei. “Nico Robin diventa buona, e si aggrega alla ciurma”
La sconosciuta trasalì. “Cosa? Non è vero, non è mai successo! Ho visto tutte le puntate e non succede nulla del genere. Del resto, è una sottoposta di Crocodile, no?”
Piero scosse la testa. “Dai, lo sanno tutti. Rubber sconfigge Crocodile e..”
“Te lo sei inventato, non è ancora successo!” continuò lei “ Ho visto gli episodi in prima visione, non…”
“Beh, forse hai visto delle repliche” fece Serena. Provò a toccarle una spalla ma non ci riuscì. La sua mano passò attraverso alla giacca bianca della ragazza. La spadaccina avvertì un senso di gelo.
Fissarono tutti la scena atterriti.
La ragazza scoppiò a ridere. “Ops, scusa, sono incidenti che capitano.”
“T-Tu sei…” iniziò Federico.
“A dire il vero ora mi è tornato in mente che è passato un sacco di tempo dall’ultima volta che ho visto un episodio, probabilmente anni, non lo so più”
“Dall’ultima volta?”
“Sì, il tempo vola quando non ne hai più la concezione. E’ strano, ma da quando sono morta..”
“SEI MORTA?” chiese terrorizzato Piero.
“Certo, pensavo lo aveste capito” disse la fantasma ridacchiando.
L’irsuto capitano sentì tremarsi le gambe e dovette appoggiarsi a uno schienale
“Ok, ma adesso fammi uscire da qui, fantasma o no” protestò la navigatrice.
“Altrimenti?”
“Altrimenti ti rivelerò un sacco di cose che ancora non sai. Ad esempio, il padre di Rubber e suo nonno sono…”
“Noooo! Zitta!” esclamò lo spettro tappandosi le orecchie “ E va bene! Esci! Ma non dire altro!”
 
Martina uscì facilmente e si sedette su uno dei sedili, riprendendo a respirare.
Stesero a sedere anche Piero che doveva riaversi da un principio di svenimento.
Federico si tamponava il bernoccolo sulla fronte con un fazzoletto imbevuto d’acqua.
Serena stava invece piuttosto bene ed era anzi parecchio curiosa.
“Dunque.. sei un fantasma…” disse rivolta alla ragazza.
“Oh, sì. Non ricordo quanto tempo fa è accaduto, ma sono morta su questo treno, al ritorno di Lucca, come voi. Un gruppo di cosplayer mi ha preso in giro perché il mio vestito era poco somigliante, e tutti quelli del vagone li hanno imitati. Sono corsa in bagno e solo alla fine del percorso mi hanno trovata, ma era già troppo tardi”
“Scusa se sono indelicato, ma come sei morta?” chiese il cuoco, ma il fantasma lo ignorò e continuò a parlare.
“Per cui sono un fantasma legato a questo treno. Non posso uscirne e chi mi vede scappa, per cui è piuttosto noioso. In compenso però posso controllarlo, va dove decido di andare, posso muovere, accendere o spegnere tutto quello che voglio, basta che resti dentro alle cabine. Questo treno fa quasi sempre gli stessi percorsi e ogni anno, quando mi capita di vedere qualcuno di ritorno da Lucca, se ho l’occasione mi ‘diverto’ un po’ con qualche cosplayer. Solo un pochino. Soprattutto se ci sono persone sono vestite da personaggi di All’Arrembaggio, così è ancora più sensato, no?”
“Si chiama One Piece.” La interruppe Federico “Ma tra tutti i gruppi possibili, perché hai scelto proprio noi?”
La fantasma ghignò “Non solo siete il gruppo di All’Arrembaggio più mal assortito e meno somigliante che abbia mai visto, ma vi comportate male tra voi e con gli altri, per cui meritavate una lezione”
“Ma che dici, oh?” chiese Piero.
“Meno somigliante a chi?” fece Federico.
“Beh, in questo ha ragione, nano” disse Martina.
“Sta zitta, racchia”
“E piantatela, basta!” protestò Serena.
La fantasmina rise tenendosi la pancia. “Visto? Che vi avevo detto? Siete dei bersagli perfetti! Almeno sono riuscita a farvi agire assieme. Di solito le mie vittime scappano via terrorizzate, chiamano la polizia o tentano di esorcizzarmi, ma stasera mi sono proprio divertita, è stato un anno fortunato. In ogni caso, devo salutarvi, tra dieci minuti il treno  finirà la corsa.”
“Di già?” fece stupita Martina, guardando l’orologio, ma in effetti era quasi l’una di notte, l’orario indicato anche sul loro biglietto, e dal finestrino del treno vedevano un paesaggio familiare.
La navigatrice bevette a lungo da una bottiglietta d’acqua per riprendersi. Ormai si poteva intravedere la stazione.
“Però, voglio saperlo.. per quale motivo sei morta?” chiese alla fantasmina.
“Ehm.. non posso dirlo” mormorò lei imbarazzata.
“Ti ricordo che so un sacco di cose che ancora tu non sai. Ad esempio il fratello di Rubber, Ace, più avanti non se la passa molto bene e alla fine…”
“Ok, ok!” gridò lo spettro agitata. “C’è un motivo per cui sono morta, ma non è stata colpa mia”
“No?”
“Sono state le patatine.”
“Patatine? Dove?” s’introdusse il capitano. Sentiva un certo languorino.
“Sì. Mi ero portata una busta extralarge di patatine e non avevo avuto occasione di toccarle. Quando quegli scemi sul treno mi hanno presa in giro, sono corsa in bagno piangendo e per consolarmi… ecco..”
“Cosa?”
“Ho aperto la busta e mi sono strafogata. Ma il treno ha fatto un rallentamento brusco e tutte quelle che avevo in quel momento in gola mi sono andate di traverso. Ecco com’è successo”
Nessuno disse nulla. Erano tristi per quel che le era successo, ma allo stesso tempo dovevano ammettere che era stata una morte un po’… come dire….
“Ecco la stazione!” esclamò Serena felice di poter finalmente mettere piede sulla terra ferma.
Di lì a un minuto il treno si fermò e i ragazzi scesero, salutando il fantasma.
Si sentivano parecchio stanchi e non avevano voglia di parlare. Tornarono ognuno a casa propria col pensiero di una bella dormita a confortarli.
 
L’autunno seguente fece un po’ più caldo e non piovve ma non fu di troppo sollievo rispetto all’esodo dell’ attraversare Lucca congestionata e tornare in stazione. Un po’ accaldati nelle loro divise tutte uguali, i quattro amici in costume sospirarono quando finalmente riuscirono a salire in treno. Miracolosamente trovarono quattro posti anche piuttosto appartati su cui si gettarono stravolti. Il viaggio iniziò abbastanza tranquillamente, e alla fine, quando il loro vagone si svuotò del tutto, lei apparve, con il suo solito costume non molto somigliante a Nico Robin.
“Ragazzi, ci s’incontra anche quest’anno, eh?” fece lo spettro ridendo.
Martina sorrise “Alla buon’ora, pensavamo che non ci fossi”
“Scherzi? Ma voi, piuttosto, quasi non vi riconoscevo! Da dove provengono quelle divise marrone coi pantaloni bianchi? Non le ho mai viste!”
Sicuro di sé, da sotto la parrucca bionda Federico sorrise. “Eh, da un nuovo manga, diventato subito un successo, l’Attacco dei giganti. Ci hanno fatto un sacco di foto vestiti così”
“Come? Non lo conosco..”
Serena le fece segno di avvicinarsi “Guarda, ho comprato tutti i numeri della ristampa, ti faccio vedere” disse, tirando fuori dallo zaino il primo volume del manga.
“Vediamo…” fece il fantasma, volandole accanto. E iniziò a leggere.
"In quel giorno... l'umanità ricordò... il terrore che si prova nel vivere sotto le loro regole... l'umiliazione di essere rinchiusi in gabbia come uccelli..." 
E mentre leggeva le ore scorrevano, e  non sentì il bisogno di terrorizzare a morte nessuno. Neanche un pochino.
Dal suo punto di vista, era un’ occasione sprecata.
Sorrise, mentre leggeva.
Voleva dire che l’anno seguente avrebbe dato il meglio di sé.
   
 
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