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Autore: AbsynthFairy    20/09/2014    4 recensioni
quando Jace aveva otto anni, lui, Isabelle e Alec erano un trio inseparabile; ora, che di anni ne ha 19, non potrebbero essere più distanti di così. E quando Alec fugge dal regno di Idris, lasciandosi alle spalle una scia di ghiaccio e devastazione, Jace è costretto a mettere da parte l'orgoglio e lanciarsi al suo inseguimento, in compagnia di personaggi decisamente particolari.
[The Mortal Instruments / Frozen crossover]
Genere: Angst, Avventura, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Alec Lightwood, Clarissa, Jace Lightwood, Magnus Bane, Simon Lewis
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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Note generali alla storia: ho amato Frozen, e dopo un paio di mesi ho amato perfino The Mortal Instruments. Recentemente ho trovato questo video, e ancora questo e i miei feelings sono esplosi con la potenza di ventimila soli.
Andava scritta, ecco. 
E' una AU. Non penso che sarò particolarmente sentimentale, questa vuole più essere una storia... alla Frozen, ecco: Molto bromance, molto angst, un finale felice e fluffy.
Spero che piaccia c:

 

1 Legami


do you wanna build a snowman?
come on, let's go and play

 

Un silenzio agghiacciante era calato sulla sala da ballo. Le candele, che prima illuminavano l'ambiente di una luce calda e accogliente, erano state spente dal vento gelido; la luna, filtrando attraverso le ampie vetrate, bagnava con la sua luce l'enorme salone, rendendo quasi grottesche le figure che avevano smesso di danzare, e il ghiaccio (era ovunque, per terra e sulle pareti di pietra, perfino l'imponente lampadario sopra le loro teste era dannatamente ghiacciato), se possibile, ancora più inquietante di quanto in realtà non lo fosse.

Gli invitati urlavano, scappavano dal portone principale, senza curarsi un minimo né della decenza né dell'impressione che avrebbero potuto dare ai padroni di casa. Solo alcuni, più coraggiosi (o più sciocchi) di altri erano rimasti immobili dov'erano, spinti dalla curiosità o dalla mancanza di istinto di autoconservazione. Le espressioni nei loro volti erano le più disparate, ma tutto ciò non aveva alcuna importanza per lui. I loro mormorii (“Pazzia” “Stregoneria” “Era da anni che non si vedeva in giro, lo sapevo che stava studiando le arti oscure”) giungevano come ronzii alle orecchie di Jace, fastidiosi ma assolutamente irrilevanti; la sua mente disperata aveva occhi per Alec, e Alec soltanto.

In piedi davanti a lui, a pochi metri di distanza, mostrava, per l'unica volta da quando si erano rivisti, qualche espressione: paura, e anche angoscia, sì, per quello che aveva appena fatto, come se neanche lui ci riuscisse a crederci. Il volto, grazioso e pallido come quello di una bambola di porcellana, era imperlato di sudore e contratto in una smorfia di terrore. Stringeva la mano nuda in quella guantata, portandosela all'altezza del petto, senza guardare direttamente negli occhi né lui né sua sorella.

In quel momento sembrava un daino braccato dai cacciatori, e mai metafora avrebbe potuto essere più adeguata. Passava il peso da una gamba all'altra, si guardava spasmodicamente intorno, come se fosse circondato da soldati armati di arco e frecce. Fortunatamente, la guardia era fuori dal portone e, comunque, decisamente restia ad attaccare il proprio re.

“Alec,” Jace provò ad avvicinarsi. Strinse con forza il guanto di velluto blu del fratello, quasi aggrappandosi ad esso con tutte le sue forze, mentre con la mano libera si spettinava i capelli, visibilmente a disagio. Sentiva il proprio cuore battergli forte nel petto, ma non si sentiva spaventato: come avrebbe potuto esserlo? Conosceva suo fratello – o forse conosceva il bambino con cui aveva costruito pupazzi di neve? Jace non era del tutto sicuro di sapersi rapportare al ragazzo di fronte a lui, non dopo tutti quegli anni, almeno – e sapeva che non avrebbe mai fatto del male neanche a un insetto. “Alec, ascolta, mi... mi dispiace, io non-”

Nonostante i capelli scuri gli coprissero gli occhi, Jace poteva scorgere puro terrore nello sguardo del fratello “No!” Urlò indietreggiando, e Jace trasalì: era la prima volta, da quando erano bambini, che lo sentiva alzare la voce. Quante prime volte in una sera, pensò con amarezza, “Non ti avvicinare. Solo... non farlo, per favore. Tu... tu non capisci, non puoi...”

Era quasi ironico che quello fra loro due ad avere più paura era lo stesso che aveva congelato un'intera stanza in una frazione di secondo. Ironico e parecchio triste.

“No, hai ragione, non posso capire.” Fece ancora un passo in avanti, cercando di sembrare il più sicuro e pacato possibile, “Ma se mi– se ci dai una possibilità, possiamo aiutarti, possiamo-” Jace si voltò rapidamente indietro. Nonostante fosse nascosta dalla penombra, poteva vedere distintamente le spalle nude di Isabelle scosse dal pianto. Ecco là, un'altra prima volta: in più di dieci anni, aveva visto Izzy urlare, sbraitare, ridere, emozionarsi, ma mai, mai piangere. Anche quando Alec si era allontanato da loro, era sempre stata lei la più forte dei due. Aveva reagito con stoica indifferenza, almeno in apparenza; in realtà Jace sapeva che Izzy aveva sofferto quanto lui, se non di più.

Vedendola in quello stato, lo sguardo di Alec vacillò. Ma fu solo un attimo. Quando si accorse che Jace si stava facendo sempre più vicino, il terrore sembrò prendere nuovamente possesso della sua mente, e indietreggiò ancora. Quando toccò con una mano la maniglia del portone, dal suo palmo si diradò un sottile strato di ghiaccio. Sussultò. “Smettila, Jace.” fece scattare la maniglia con un movimento secco del polso “Ora basta. È meglio così, per tutti quanti.”

C'erano terrore e dolore, in quegli occhi blu e tormentati come il mare d'inverno, e Jace avrebbe soltanto voluto avvicinarsi, abbracciarlo come quando erano più piccoli, difenderlo dai fantasmi di ghiaccio che lo tormentavano.

Fu questione di un attimo: con un movimento fulmineo, approfittando della distrazione del fratello, il ragazzo dai capelli corvini portò le mani in avanti, e una parete spessa di ghiaccio, alta e spessa, si infrappose fra loro due.

Jace corse verso essa. Sbattè i pugni contro la superficie fredda, gridò, si accasciò a terra e continuò a urlare fino a quando la voce non gli divenne roca dallo sforzo. Quello non era che l'ennesimo muro che Alec costruiva fra loro. Non appena Jace pensava di essersi avvicinato un po' di più, ecco che il fratello maggiore ergeva l'ennesima barriera... soltanto che questa volta non si trattava di chiudersi in camera e cacciarlo via con voce fredda ma esasperata, quello era un muro vero, col quale Alec lo stava spingendo, ancora una volta, lontano da se stesso e dai suoi problemi.

Quando la servitù riuscì a tirare fuori lui, sua sorella e i pochi invitati rimasti, era già l'alba, e di Alexander non c'era più nessuna traccia, se non il rigido inverno che si era lasciato alle spalle.

 

*

 

In realtà, Jace non avrebbe saputo proprio dire quando e come il loro rapporto avesse iniziato ad incrinarsi. Figlio di una famiglia di vassalli della corona da generazioni, alla morte dei genitori i sovrani lo avevano accolto come se fosse figlio loro, eccezion fatta per il cognome, che Jace portava tutt'ora con orgoglio.

Integrarsi con i figli naturali dei Lightwood era stato più semplice di quanto chiunque avesse previsto, visto che giocavano assieme da ben prima che i genitori di Jace morissero. Quando lo avevano presentato a Alec e Izzy come il loro nuovo fratello, aveva otto anni e un caratteraccio, ma i due bambini lo avevano subito amato. Izzy era sempre stata la più sicura di sé ed estroversa del gruppo. Ricordava ancora quando, durante le rigide notti d'inverno, svegliava lui e Alec agli orari più improbabili, solo per uscire in giardino e costruire pupazzi di neve assieme. Era diventata velocemente un'abitudine piacevole durante i mesi invernali: Isabelle sgattaiolava la notte in camera di Jace, ed entrambi, ancora assonnati e in pigiama, andavano poi a svegliare Alec saltandogli sul letto come degli ossessi, per poi trascinarlo (letteralmente) a costruire pupazzi di neve. Non ricordava molto di quelle nottate, se non il calore che gli stringeva il cuore quando ci pensava; ricordava le risate, gli abbracci, gli angeli di neve, le urla sconvolte dei servi quando li scoprivano, le fughe lungo gli ampi corridoi per sfuggire dalle punizioni.

Pensava di conoscere Alec, lo aveva pensato per tanto tempo; erano diventati amici fin da subito, uniti da un legame così intenso da risultare, con il senno di poi, forse un po' troppo morboso, ma da bambini non se ne preoccupavano poi molto. Alec era quasi più magrolino della sorella, lo ricordava, come se non fossero passati tanti anni, come il figlio modello: i precettori ne lodavano l'intelligenza e il temperamento mite, e per un certo periodo di tempo Jace avrebbe veramente voluto essere come lui, timido ma dotato di una forza d'animo fuori dal comune, protettivo ma sensibile, timido ma amato da tutti.

Poi... poi tutto era cambiato. E, davvero, per quanto si sforzasse, Jace non aveva mai capito il perché. Alec aveva semplicemente iniziato a chiudersi in camera sua, senza un motivo apparente, ignorando le richieste di giocare sia sue che di Izzy. I giorni divennero settimane, le settimane mesi, e i mesi anni. Jace si era arrabbiato, aveva pianto, aveva urlato, aveva tirato pugni e calci, ma la porta di camera sua era sempre rimasta inesorabilmente chiusa.

Izzy e Jace lo avevano rivisto solo anni dopo, al funerale dei Lightwood, avvolto in un pesante mantello nero, e in quell'occasione non era parso per niente contento di vedere i suoi fratellini.

Da lì, più nulla. Ancora parole non dette, frasi nascoste per paura di allontanarlo ancora di più, e fra i tre fratelli si era formata una voragine incolmabile. Jace non era più andato a cercarlo, e Alec non aveva mai tentato di avvicinarsi a nessuno di loro.

Jace aveva creduto, sperato, che con la sua incoronazione si sarebbe tutto sistemato... Alexander aveva compiuto recentemente 21 anni, e quindi era diventato per diritto di nascita sovrano di Alicante. Era uscito dalla sua stanza, aveva partecipato all'incoronazione, aveva perfino riso con i suoi fratelli... ma no, ovviamente no, sarebbe stato tutto veramente troppo semplice. Isabelle durante la serata aveva preteso delle risposte da suo fratello, il quale evidentemente non si sentiva pronto a dargliele; e a fronte delle urla sempre più furiose della sorella, aveva sprigionato ghiaccio ovunque.

Stradannatissimo ghiaccio.

Anche quando erano bambini, Jace non ricordava che Alec avesse mai fatto nulla del genere; certo, per quanto adorabile era sempre stato un po' strano, ma era stregoneria, quella, e andava ben al di là di ogni sua più fervida immaginazione. Un conto era leggerlo sui libri, un altro... un altro trovarselo davanti, averci a che fare, ecco.

Probabilmente quello era uno dei tanti motivi che lo aveva spinto all'autosegregazione, e Jace aveva iniziato a provare per lui pena, più che rabbia.

Seduta sul suo letto, le sopracciglia corrucciate dalla rabbia, c'era Isabelle. Il volto aristocratico era contratto in un'espressione a metà fra l'ira e l'angoscia e, stranamente in silenzio, tormentava la stoffa dell'abito porpora con un dito sottile.

Jace le voleva bene, ma mai come il quel momento avrebbe voluto che se ne andasse e basta. Avrebbe semplicemente voluto sdraiarsi, chiudere gli occhi, e annegare nella disperazione più nera... da solo. Non aveva bisogno che lei gli facesse da baby sitter, per quanto il pensiero le avrebbe sicuramente fatto piacere.

“No, Jace. Lo sai che non posso.” Sembrava che gli avesse letto nel pensiero, ma il fatto non lo stupiva più di tanto. Nonostante si mascherasse dietro una patina di freddezza, Izzy era sempre stata particolarmente sensibile agli stati d'animo altrui. “Non puoi chiedermi di rimanere qui.”

Devi, Izzy.” Sbottò spazientito, portandosi una mano fra i capelli. “Qualcuno deve sedere sul trono mentre vado a recuperare quell'idiota di nostro fratello.” Andandosene, Alec aveva lasciato una scia di ghiaccio e devastazione dietro di sé; quella che era stata una cittadina calda e ridente, era adesso in preda alla disperazione, avvolta dal gelo e dalla neve. Ad agosto. “Non posso lasciare che metta troppa distanza fra noi. Devo partire appena posso. Bisogna che sistemari questo casino il più in fretta possibile, capisci?”

Isabelle strinse le labbra. “A quale dei tanti ti riferisci?”

“Senti, so che-”

“No, ora tu senti me.” Jace era sdraiato sull'ampio e morbido letto, e Isabelle, seduta sul suo ciglio, gli dava le spalle. Nonostante ciò, potè percepire dalla linea dritta della schiena di Izzy quanto fosse decisa. Un po' ammirava la sua forza d'animo, la sua impassibilità di fronte a eventi sconcertanti come quello. “È sparito per nove dannatissimi anni. Dopo averci degnato della sua nobile presenza, cosa fa? Inizia a comportarsi come un fratello maggiore dovrebbe fare, facendo storie sul mio matromonio con Meliorn,” qui non poteva dare torto ad Alec, nonostante capisse il punto di vista di Isabelle. Si erano conosciuti al ballo di quella sera, e già stavano parlando di figli e nozze e tombe vicine e ugh “e proibendomi di maritarmi, come invece sarebbe giusto che facessi alla mia età. Non solo priva se stesso della libertà, ma costringe anche me a rimanere chiusa in questa topaia.” Da quando Alec si era chiuso nell'isolamento della sua stanza, le porte del castello erano rimaste chiuse, e le finestre serrate. Gli era sempre sembrata una coincidenza strana, ma non aveva mai trovato modo di farlo notare ai Lightwood senza sembrare inopportuno o ingrato. “Poi, non contento, fa la drama queen con tanto di effetti speciali e scappa! Ah, ovviamente, dopo aver devastato i nostri raccolti, rovinato la legna per l'inverno, compromesso i nostri accordi commerciali e la nostra credibilità, e fatto ammalare metà della popolazione. Sciocchezze, dopotutto, roba da poco, perché tutto questo secondo te si può risolvere-”

“Izzy, smettila.” Il suo tono era stranamente pacato, ma freddo come l'inverno.

Isabelle tacque all'istante.

Jace si alzò di scatto e incominciò a massaggiarsi le tempie con movimenti circolari. “E' difficile. Hai ragione ad arrabbiarti, ma lascia tutti i sentimenti negativi per dopo, quando Alec sarà qui con noi. La nostra priorità è ritrovarlo non per prenderlo a calci in culo – quello lo faremo in seguito, tranquilla, e io sarò il primo –, ma per fargli sciogliere questo assurdo incantesimo.” Sempre che sapesse scioglierlo, s'intende, ma questo non lo disse ad alta voce. Aveva visto il terrore nei suoi occhi quando aveva sprigionato accidentalmente il ghiaccio, e non prometteva nulla di buono. “Una volta tornata l'estate sul regno, penseremo a come comportarci con lui. Il regno ha bisogno del suo re, in ogni senso, ed è mio dovere riportarlo qui sano e salvo.”

Izzy prese una mano del fratello fra le sue. “Allora lasciami venire, Jace.” Gli disse sottovoce, e in quel momento era così sicura, e forte, e bella, che quasi fu tentato di dirle di sì.

Fortunatamente, resistette. “No, è fuori questione.” Alzò il volto e i suoi occhi incrociarono quelli della sorella; si chiese brevemente se anche i suoi erano così colmi di rabbia e tristezza. “Come ti ho già detto, Alicante ha bisogno di un reggente. E in una situazione come questa non possiamo permetterci di perdere anche la principessa.”

Isabelle annuì, e, con un movimento lento e ponderato, gli passò le braccia sopra le spalle, in un abbraccio timido ma caldo e colmo di speranza. Jace lo ricambiò, stringendola con forza, in una promessa silenziosa.

Avrebbe trovato Alec, e lo avrebbe riportato a casa, ad ogni costo.

  
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