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Autore: Nimel17    21/09/2014    5 recensioni
One shot ispirata alla long "Grimm - no more happily ever after" di Beauty e al ballo di Labyrinth
Genere: Avventura, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Elizabeth non sapeva con certezza da quanti giorni si trovava nella foresta. Lì era sempre buio perché il sole non filtrava mai tra i rami nodosi degli alberi contorti in pose ricurve e ingobbite e faceva molto freddo.
La cosa che le pesava più di tutte, però, era la solitudine.
Quanto rimpiangeva le parole sagge e realistiche di Cenerentola, la presenza confortante del Cacciatore, persino le prese in giro per il suo “civettare” con Hansel! Non aveva più pensato a lui, in realtà, concentrata sull’unico pensiero di sua sorella Anya.
La coraggiosa, pratica Anya.
Cos’avrebbe fatto, al suo posto? Certamente non si sarebbe lasciata incantare dal primo cacciatore di streghe che passava di lì ed Elizabeth aveva represso ogni desiderio che andasse in quella direzione, scoprendo con sorpresa di considerarlo ora, ad una settimana… o era di più?... di distanza, nient’altro che una tronfia testa di legno.
Al cuore si comanda, allora.
Nella foresta, la ragazza aveva scoperto in sé nuove potenzialità: era riuscita a svolgere i difficili compiti che le aveva affidato Baba Yaga in cambio di un rifugio per la notte, era stata attaccata da un cobra gigante (da quando poi i cobra abitavano le foreste? La sua solita fortuna) ed era sopravvissuta, facendolo precipitare da una gola terminante con massi particolarmente appuntiti.
Aveva imparato a distinguere i frutti commestibili e ad accendere un fuoco per la notte: la vecchia strega che aveva popolato le sue fiabe russe le aveva detto “Meglio essere individuata dagli uomini della regina che dall’Uomo Nero”.
Di tanto in tanto credeva di delirare e di essere a casa, visto che le era sembrato un paio di volte di scorgere tra gli alberi quel pervertito che andava dietro ad Anya, George o Gaston, non si ricordava nemmeno più il nome.
Talvolta però non sentiva affatto d’essere maturata o diventata più in gamba: da quando aveva scoperto il sogno infranto, non aveva fatto più niente di minimamente utile per la profezia, era solo riuscita a perdersi ancora di più nell’oscurità.
Era una nullità, proprio come dicevano Jessica, Ursula e le altre.  Non c’era da meravigliarsi se la sua stessa madre l’aveva odiata con tutte le sue forze.
Il suo stomaco brontolò, ma lei non aveva voglia di lasciare quel comodo posto ai piedi di un cespuglio gigantesco e si limitò a ignorare quel senso di fame che bacche e radici non bastavano a saziare.
Non voleva arrendersi, sul serio, non voleva, ma era così stanca… nonostante sapesse, tuttavia, che quella era la vera Elizabeth, senza occhiali, nel suo elemento naturale, alla ricerca di qualcosa che potesse salvare il mondo delle fiabe.
“Sssssignorina?”
La ragazza sussultò, facendo crollare a terra alcune foglie dell’arbusto su cui si era leggermente appoggiata e rimase impietrita davanti alla creatura che la osservava come se fosse uno strano insetto.
Era basso e rattrappito, con la pelle verdastra e bitorzoluta, orecchie cascanti, naso adunco e lunghe dita dalle unghie lunghissime e affilate.
Un goblin.
“Cosa vuoi? Chi sei?”
Elizabeth fu orgogliosa di come la voce le uscì sicura e senza il tremito che sarebbe sicuramente comparso se non fosse stata attenta a nasconderlo. Quell’essere la inquietava, non solo per il suo aspetto raccapricciante, ma perché era sicura che Baba Yaga l’avesse messa in guardia contro quella particolare razza magica… ma perché?
“Mi chiamo Grendel, sono venuto per conto del mio padrone.”
La sedicenne scattò in piedi e indietreggiò.
“Tu lavori per Tremotino, non è vero? Via, vattene via, non voglio avere niente a che fare con nessuno di voi due!”
Secondo la strega che viveva su una casa retta da una zampa gigante di gallina, il mago si serviva dei goblin per i compiti più semplici, elementari ed abietti. Inizialmente si era quasi messa a ridere, nella sua immaginazione la figura di Tremotino si era sovrapposta a quella di Malefica nel cartone animato Disney, ma un’occhiata obliqua e severa della vecchia l’aveva dissuasa.
La creatura – Grendel, in fondo lei era sempre stata rispettosa verso il prossimo – le si era avvicinata e si era inginocchiata tremante.
“Vi prego, signorina, bella signorina, ascoltatemi, almeno! Altrimenti, il mio padrone…”
Elizabeth ebbe pietà di quel povero corpo deforme scosso dai brividi e respirò profondamente. Anya se ne sarebbe andata subito, ma anche se faceva del suo meglio, lei non era sua sorella.
“Va bene, va bene. Riferisci quello che hai da dire.”
“Il padrone vi propone un patto. Andate nel suo castello, stasera, per fare uno scambio equo e sincero d’informazioni.”
Il suo primo istinto fu quello di gridare indignata: andare a cacciarsi nella tana del lupo? Sarebbe stato stupido,  ma soprattutto estremamente rischioso… come avrebbe potuto difendersi contro un esperto di arti magiche oscure?
Poi, però, riconobbe che alcune informazioni potevano farle comodo. E Tremotino non spezzava mai un accordo, giusto?
Grendel si sbatté violentemente la mano sulla fronte.
“Mi sono dimenticato! Il padrone ha detto anche che, dopo due ore nel castello, sarete libera di andarvene e che non subirete alcun male mentre siete lì.”
Elizabeth si morse nervosamente il labbro inferiore. Le pareva troppo facile, troppo bello per essere vero. Poi, si guardò intorno e prese nota della desolazione della foresta, della situazione di stallo in cui si trovava, delle opzioni che le rimanevano.
Cercare di tornare da Cenerentola e dal Cacciatore? Starsene lì a piangere le sue sventure?
“Di’ a Tremotino che accetto. Dove si trova il suo castello?”
Il goblin tirò fuori da una borsa stranamente pulita una pesca dal vivo colore giallo-arancio, grande quanto il pugno della sua mano. La ragazza deglutì: l’acquolina già si faceva sentire.
“Un morso a questo frutto e vi troverete al castello.”
Lei fece per prenderla, poi ritrasse la mano e scosse la testa.
“Come faccio a sapere che non è avvelenata?”
“Il mio padrone ha detto di no.”
Grendel le cacciò praticamente a forza la pesca tra le mani, poi si voltò e trotterellò verso il punto più buio della foresta. Elizabeth soppesò il frutto e ne annusò il profumo: era dolce, fresco e invitante.
O la va o la spacca.
Chiuse gli occhi e diede un morso deciso, masticando la polpa tenerissima e succosa. Le parve la cosa più buona che mangiava da giorni… anzi, da quando era arrivata nel mondo delle fiabe.
Stette in piedi per qualche secondo, ma non si sentiva molto diversa. Si leccò il succo che colava dalla bocca e si asciugò la mano sui jeans, decisa ad aspettare eventuali effetti collaterali prima di dare un altro morso.
Niente atroci dolori allo stomaco.
Niente senso di soffocamento.
Niente prurito incontrollabile.
Solo caldo, il caldo più insopportabile che avesse mai provato, ed Elizabeth non sapeva come fare per scacciarlo, troppo debole per farsi aria. Le gambe le tremarono come gelatina e si appoggiò all’albero alle sue spalle, chiudendo gli occhi e appoggiando la fronte bruciante contro la sua superficie liscia e gelida.
Liscia e gelida…?
La ragazza tornò subito alla realtà e si guardò intorno, sbalordita: si trovava effettivamente in un castello, ma non era buio e tetro come se l’era immaginato, era anzi illuminato da moltissime candele. Si trovava vicino ad una scalinata e sotto di lei decine di persone danzavano in vestiti sfarzosi e maschere barocche. Un violino risuonava lontano e tutto sembrava ovattato, come in una bolla.
Fece un passo in avanti e dovette aggrapparsi alla balaustra per non inciampare e cadere dalle scale: indossava anche lei un abito da sera, al posto dei comodi jeans. Sollevò lo sguardo verso lo specchio gigantesco a poca distanza da lei e rimase a bocca aperta davanti a quello che vide.
Quella non poteva essere lei.
Nossignore.
Cosa c’entrava Elizabeth, la sfigata, il brutto anatroccolo, con quella fanciulla affascinante che ricambiava il suo sguardo?
I capelli lisci e castani le ricadevano brillanti e morbidi sulle spalle, un abito bianco dalla scollatura fatta di onde di raso era stretto sotto il seno per poi ricadere dritto fino a terra, coprendole i piedi.
Il collo era cinto da uno strano collier simile ad un bracciale, composto da tre file di rubini e la fece rabbrividire. Nonostante la sua straordinaria bellezza, le ricordava una gola tagliata.
Iniziò a scendere le scale, circospetta. Era l’unica senza maschera e questo la faceva sentire inadeguata, come… no, non doveva ricordare quell’orrenda beffa del ballo scolastico.
Arrivata in fondo, una donna dai capelli rossi vestita di verde la urtò subito, spingendola verso il centro delle danze. Elizabeth camminò svelta, attenta a evitare altre spinte, cercando il mago con lo sguardo ansioso.
Venire era stato un tremendo errore, era…
“Sono felice che tu sia qui, raggio di sole.”
La ragazza si voltò di scatto, trovandosi davanti la mano tesa di Tremotino.
Lei voleva seriamente rimproverarlo e chiedere d’essere rimandata nella foresta, tuttavia mentre pensava questo aveva già intrecciato le dita con quelle del suo nemico.
Ora il violino aveva incominciato a suonare Danse Macabre di Saint-Saens, il valzer dei morti.
“Sei pensierosa. Non ti piace il tuo vestito? Pensavo che le fanciulle andassero matte per i balli.”
Nonostante sapesse che non parlava sul serio, Elizabeth alzò le spalle.
“Non ne ho dei bei ricordi, tutto qui. Inoltre, non mi aspettavo una festa in maschera come sfondo del nostro… scambio d’informazioni.”
“Ma è molto più divertente così, non è vero cara?”
Lei alzò lo sguardo e lo osservò attentamente: il mago aveva il volto coperto da una semplice maschera nera e il suo completo nero con la camicia bianca e merlettata sembrava uscito dal film di Intervista col vampiro. Non portava il mantello, questa volta, ma i capelli scurissimi erano trattenuti nella familiare coda dietro la nuca.
Tremotino la fece girare velocemente e la fermò quando gli diede le spalle, posandole una mano sul fianco. Elizabeth non aveva idea di come facesse a muoversi in sincronia con i passi agili e aggraziati di lui, proprio lei che aveva due piedi sinistri. Si sentiva le guance rosse, non sapeva se per il calore del ballo o per… altre ragioni.
“Qualcosa non va?”
La sua bocca le sfiorò l’orecchio e la ragazza dovette fare del suo meglio per non sussultare come una bambina.
“Va tutto bene, ma preferirei parlare.”
“Mi sembra che lo stiamo facendo, cara.”
Elizabeth ruotò gli occhi ed era quasi disposta a giurare di averlo sentito soffocare una risata.
“Cosa vuoi sapere, Tremotino? Sicuramente c’è ben poco che io possa dire che ti sia utile.”
“Non si sa mai, bellezza. Se proprio non troverò nulla d’interessante nelle tue informazioni, mi resterà comunque un ballo.”
Lei non sapeva come rispondere a quello che le sembrava un vago flirtare, così se ne stette zitta a guardarsi le scarpette bianche con la fibbia di granati. Fortunatamente, questo sembrava divertire il suo compagno di danza.
“Sai, cara, quando ti ho conosciuta mi hai ricordato moltissimo una cerbiatta, con i tuoi occhioni scuri, ma mi sono dovuto ricredere.”
“Perché?”
“Una tenera cerbiatta non sarebbe riuscita a fare la metà di quello che sei riuscita a fare tu, raggio di sole. Nascondi molte sorprese, questo è sicuro.”
Elizabeth stava per ribattere la sua incapacità effettiva, poi cambiò idea e lo fissò: non si era mai accorta dei riflessi ambrati che avevano i suoi occhi quasi neri, né della piccola cicatrice che aveva all’angolo della bocca.
“Questo allora farebbe di me…. Che cosa?”
“Devo ancora decidere. È per questo che ho fatto il patto con te e non con tua sorella, mia cara. Lei è una combattente impulsiva, che può vedere solo una cosa per volta. Va alla carica come un rinoceronte o un toro.”
La ragazza dovette sforzarsi per non ridere a quel paragone assurdo, sentendosi in colpa subito dopo.
“Tu, dolcezza, mi intrighi perché sei cauta, intelligente e non dai niente per scontato.”
“Se fossi così intelligente, non sarei qui.”
Tremotino non si offese e l’afferrò per la vita, facendole fare un cerchio in aria.
Ma che razza di valzer era? E quanto durava? Era sempre la stessa musica, solo più sonora…
“Conoscere i propri nemici è sempre saggio, cara.”
Elizabeth si sentì un nodo alla gola. Perché si stupiva? Aveva sempre saputo quali fossero i loro ruoli, gli occhi non avrebbero dovuto inumidirsi. Improvvisamente, era così vicina al mago oscuro che avrebbe potuto appoggiare la fronte sul suo petto e dovette soffocare l’istinto di fare così.
“Ma non deve essere così per forza, mia bella eroina. Posso essere il tuo unico alleato.”
La musica era rallentata, probabilmente si stava avvicinando alla sua fine, un momento magico di cui lei aveva letto spesso. Se fosse stato un libro o un film, avrebbe alzato la testa e sarebbe stata baciata durante le ultime note, ma…
Svegliati! È di Tremotino che stiamo parlando, ragazza!
La voce della sua coscienza era stranamente simile a quella della sorella, così si riscosse e alzò la testa per sostenere quello sguardo così profondo.
“Grazie, ma no. Dopo le due ore, me ne andrò da qui.”
“Non ho mai avuto intenzione di tenerti prigioniera, cara. Non fino ad ora, almeno.”
La ragazza sussultò, facendolo sogghignare.
“Ora sembri un gattino col pelo arruffato. Scherzavo, bellezza… o forse no.”
La musica ingannevole riprese frastornante ed Elizabeth si ritrovò ancora una volta con i piedi sollevati da terra, rossa in viso e con i capelli davanti agli occhi.
“Mettimi giù! Le altre coppie non lo stanno facendo?”
“Quali coppie, raggio di sole?”
In effetti, erano rimasti solo loro due nel salone e lei stava già per ritrarsi spaventata, ma il braccio di lui la teneva ben salda.
“Non aver paura, fanciulla, pensavo solo che la nostra conversazione dovesse avere un po’ più di privacy.”
“Anche un omicidio non deve avere testimoni.”
Per la prima volta quella sera, un lampo d’irritazione o delusione attraversò gli occhi del mago.
“Ti ho promesso che non ti sarebbe stato fatto del male e rispetto sempre i miei accordi.”
“Quanto tempo è passato? Stiamo ballando sempre la stessa melodia.”
Lui sollevò un angolo della bocca e le strinse più forte le dita.
“Tua sorella non ci avrebbe pensato. Mancano ancora trenta minuti, dolcezza.”
Elizabeth si sentì molto più nervosa, anche se non sapeva se per la notizia o perché la mano di lui era salita fino ad accarezzarle i capelli.
“Sbrighiamoci, allora. Cosa vuoi sapere?”
“Quanta fretta, cara.”
“Sono venuta qui per questo.”
“E io che mi stavo illudendo che la mia carismatica presenza fosse sufficiente.”
Lei lo odiò per quel tono canzonatorio, come se parlasse ad una bambina, così serrò le labbra e iniziò a danzare con più energia.
“Perché non ti piacciono i balli, mia cara? Hai detto che non ne avevi dei bei ricordi, prima.”
La ragazza per poco non si fermò, guardandolo a bocca aperta.
“Ma… cosa c’entra…?”
“Ti prego di rispondere, cara. Se non rispetti la tua parte dell’accordo, nemmeno io lo farò.”
E le conseguenze non ti piaceranno, sembrava sottintendere il suo sguardo fermo.
Ignorando la confusione, Elizabeth parlò a voce bassa.
“Ad un ballo scolastico, ero stata invitata dal ragazzo più popolare della scuola.”
Lo sentì soffiare, così alzò la testa incuriosita.
“Vai avanti, cara.”
“Alla fine, era stato tutto uno scherzo. Si era messo d’accordo con delle ragazze cui piaceva tormentarmi e allora sono tornata a casa. Dovevo sapere che c’era qualcosa sotto.”
“Perché mai, raggio di sole?”
La voce del mago era così gentile e sinceramente sorpresa, che lei rispose senza volerlo.
“Perché un ragazzo che tutti idolatrano dovrebbe prestare attenzione ad una reietta che tutti ignorano o usano come sacco da boxe? Era ovvio che doveva essere uno scherzo a mie spese.”
Rimasero in silenzio per qualche istante e la ragazza stava già per fare una domanda sui Grimm, quando venne bloccata dal viso di Tremotino che sfiorava la sua guancia e dalla sua bocca tra il collo e la nuca.
“Signore, quanto sciocchi questi mortali possono essere!”*
La sua voce era così bassa, che se non le fosse stato così vicino non l’avrebbe udita. Il cuore stretto da un sentimento indefinibile, incredula che lui le mostrasse simpatia, forse ispirata dalle note che sembravano suonare sempre più lontane, alzò il viso quel tanto che bastava per fare sì che la bocca di lui la toccasse realmente.
Per un secondo, il panico la invase. Cosa le era saltato in mente? Cosa le faceva pensare che il mago non si sarebbe allontanato di corsa per dare ordine di gettarla in una cella buia e gelida?
Ma lui rimase appoggiato sul suo collo ed Elizabeth poteva distinguere le ciocche quasi corvine da quelle castane dei suoi capelli che le solleticavano la pelle.
“Non sai, cara, che è pericoloso stuzzicare un mostro?”
“Non vedo mostri, qui.”
La frase le era uscita spontanea, nonostante quello che aveva sempre pensato fino a un paio d’ore prima. Le pupille e le iridi di Tremotino erano diventate tutt’uno, immerse in un pozzo profondo e lei si chiese se non stesse cercando d’incantarla.
Forse era così, perché si ritrovò all’improvviso ferma al centro della sala da ballo, con la musica che taceva e il mago che le stringeva le mani, scrutandola con uno sguardo quasi di trionfo.
Non aveva più la maschera e i suoi lineamenti affilati erano sottolineati da un sorriso ironico.
“Il tempo è scaduto, bellezza.”
Elizabeth si diede della stupida. Era ovvio che la stava solo manipolando affinché non facesse le sue domande.
Ma che cosa ci aveva guadagnato, a parte un ricordo?
“Allora… allora, addio.”
“Né addio, né arrivederci, temo, dolce fanciulla. Il patto non è stato rispettato.”
“Ma come…?”
“Non c’è stato uno scambio equo d’informazioni. Tu non hai chiesto nulla.”
Lei si staccò bruscamente da lui e arretrò. Non voleva gridare frasi disperatamente cliché come “Mi hai ingannata”, ma era così che si sentiva. Tremotino stava avanzando con la stessa velocità con cui lei si ritraeva.
“Ascoltami.”
“No! Voglio andarmene da qui, e subito!”
Fu orgogliosa del suo tono deciso e rabbioso, nemmeno un po’ piagnucolante.
“Ascoltami, ho detto! Un accordo deve essere rispettato, altrimenti ci sarebbe il caos.”
“Ma è quello che tu vuoi provocare, facendo tornare i Grimm!”
Lui l’aveva raggiunta, mettendola con le spalle al muro, e le aveva posto un dito sulle labbra.
“Sssh, raggio di sole, non parlare di cose di cui ignori persino l’esistenza. Qual è il tuo ruolo, nel nostro mondo fiabesco? Lo sai?”
“Sono la salvatrice… o forse sua sorella.”
“E come lo sai, mia cara?”
“Ma… dalla profezia.”
“Le profezie vanno e vengono, bellezza, e delle parole scritte da chissà chi chissà quanto tempo fa non possono vincolarti. Tu che cosa vuoi?”
Cosa voleva lei? Che strano… nessuno glielo aveva mai chiesto. Si rese conto di essere completamente persa e stordita. Come poteva non sapere cosa voleva?
“Salvare… il regno delle fiabe.”
“Sei sicura che non sia un dovere quello che senti, cara?”
Elizabeth iniziò a tremare, arrabbiata con se stessa. Non poteva lasciarsi tentare da quelle parole suadenti e allettanti, doveva tenersi concentrata sulla sua missione…
“Può darsi, ma è anche qualcosa che voglio.”
Ecco! Ce l’aveva fatta. Sorrise, aspettandosi di vederlo irato o almeno preso alla sprovvista, ma fu spiazzata dal suo ghigno.
“Ma davvero? Immagino che tu voglia sentirti un’eroina, per dimenticare il timido topolino invisibile alle altre persone. Vuoi essere, per una volta, il cavaliere che sconfigge il drago e non la damigella in difficoltà.”
Lei si sentì le gambe cedere, schiacciata da quelle parole che le mostravano quello che non aveva mai osato vedere, per essere poi prontamente afferrata e sorretta dal mago.
“Ci sono altri modi per ottenere questo, tesoro. Sei già infinitamente superiore a quelli che ti circondano, ma non l’hai mai realizzato perché i diamanti non brillano mai se non sono inseriti nel posto giusto. Se anche riuscissi a sconfiggere me, la regina cattiva e Carabosse, ti ritroveresti comunque nell’ombra di una sorella maggiore che non ti lascerà mai libera di reggerti da sola. Credi che siano tante le persone che sono sopravvissute a Baba Yaga?”
Elizabeth cercò d’ignorare le sue lusinghe ma il sangue le scorreva più veloce, facendo pulsare le vene e il cuore come tamburi.
“Cosa vuoi tu, Tremotino?”
Io voglio che tu rimanga qui. Con me. Il tuo cuore è troppo puro per le arti oscure, ma posso insegnarti lo stesso la magia. Ricorda tutti quelli che ti hanno fatta sentire inadeguata, inferiore, e dimostra che si sbagliano.”
Imparare la magia… lei?
“No, non posso, è una pazzia.”
“Resta con me e diventerai ciò che non hai mai creduto di poter essere. C’è sempre qualche sciocco  pronto a provare a salvare il mondo, mia cara. Al mondo non servi, a me sì.”
“Perché? Che valore posso mai avere?”
“Se ti avrò al mio fianco, avrò una compagnia molto più dolce e degna di quella di quegli stupidi goblin. Avrò qualcosa di bello, d’incontaminato… Elizabeth.”
Per la prima volta nella vita il suo nome le sembrò bello, pronunciato da lui.
Anya non aveva bisogno di lei. Era sempre stata un fardello per la sorella.
Il padre a malapena sapeva che esisteva, vedendo solo quello che voleva vedere.
E la profezia… probabilmente non si riferiva nemmeno a lei, che non avrebbe mai fatto al differenza tra vittoria e sconfitta, Bene e Male.
Tremotino, invece, aveva detto d’aver bisogno di lei.
Sollevò una mano per sfiorargli una guancia e lui vi si appoggiò, baciandole il palmo.
“Elizabeth.”
 
 
 
Angolo dell’autrice: Ok, questa one shot è chiaramente ispirata alla fanfiction di Beauty “Grimm – No more happily ever after” ed è incentrata sulla coppia Tremeth, che adoro, se non si era capito. Essendo un parto della mia fantasia malata, questa storia non c’entra niente con il corso degli eventi stabiliti da Beauty ed è completamente AU dalla prima all’ultima parola.
Ringrazio tantissimo la creatrice della storia effettiva per avermi permesso di prendermi questa libertà.
* citazione presa da Sogno di una notte di mezza estate di Shakespeare. 
  
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