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Autore: malaria    21/09/2014    12 recensioni
Bastien, Emma e Morfeo.
Bastien è uno scrittore di successo in crisi. Dopo aver cavalcato la fama degli esordi, sì è lasciato andare a una vita di sregolatezze, salutando del tutto la propria vena creativa.
Emma, invece, sogna. Sogna la vita pregna di soddisfazioni che non ha mai avuto, sogna il college che non è mai riuscita a permettersi, sogna di abbandonare la quiete di Rockport e di vestire i panni di un'altra persona. E sogna lucido.
Poi c'è Morfeo che, da anni, la aiuta a far chiarezza nei suoi sogni. Per Emma, lui non è che un nome dietro un monitor: un intimissimo sconosciuto.
"Morfeo: sogni in appalto" è quel che accade quando un autore in declino trova ispirazione nei sogni di una ragazza comunissima. E quando quei sogni appartengono a un altro.
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Cercò a tentoni il cellulare sul comodino lì accanto, continuando a sorridere. A Lui capitava spesso di svegliarsi col sorriso. Era una sensazione sublime e appagante quella di essere padrone dei propri sogni. E non solo di quelli.
Le quattro del mattino. Sollevandosi a sedere sul letto, con le dita ancora intorpidite, si affrettò a digitare un messaggio brevissimo:
“Ti ho rincorsa, braccata e poi liberata, stanotte, in sogno. - Morfeo”
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago
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#1
Uomo da venti milioni di copie
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    Bastien fissava il foglio bianco da circa due ore, la testa fra le mani e un groviglio di idee informi a rendergliela pesante come un macigno. Le aveva provate tutte: si era acceso una sigaretta, aveva iniziato a camminare in tondo per la stanza ad occhi socchiusi, si era versato da bere e aveva imprecato senza preoccuparsi di moderare la voce, quando il lettore mp3 lo aveva abbandonato con un ultimo lampo tremulo di vita sul display. Si era perfino disteso lasciando che la testa gli cadesse penzoloni oltre il bracciolo della poltrona, senza ottenere risultati rilevanti.

    Bastien aveva sempre avuto questa bizzarra convinzione secondo la quale, di tanto in tanto, le idee necessitassero di una sana scrollata. E, sempre di tanto in tanto e per assurdo, rischiare di farsi salire il sangue alla testa aveva funzionato. Così, aveva fumato con svogliatezza lasciando che la brace gli si spegnesse fra le mani più volte, coltivando, a pulsargli fra le tempie, un principio di emicrania vagamente preoccupante.

    Se avesse potuto, avrebbe abbandonato quel monolocale per fermare il primo passante che gli fosse capitato a tiro, solo per implorarlo di vendergli una manciata di idee. Le avrebbe pagate a caro prezzo, pur di averle.

    “Don Giovanni Impunito” era stato la sua fortuna e la sua condanna. L'aveva scritto più di dieci anni prima, nell'euforia degli anni del college. Poi, dopo aver intascato una laurea pressoché inutile e tanta insoddisfazione, aveva tentato il tutto per tutto. E aveva fatto centro. Così, grazie alla fervida immaginazione di Bastien Fisher, il burlatore di Siviglia era diventato un donnaiolo milionario newyorchese. Senza contare il fatto che il suo magnanimo autore avesse deciso di risparmiargli il castigo divino, alla fine del romanzo.

    A quasi tre anni dal suo esordio da quasi venti milioni di copie vendute, Bastien Fisher aveva esaurito la fantasia. Era come se l'avesse scolata assieme ad altri venti milioni di bicchieri di vodka, l'avesse sparsa e calpestata sulle piste da ballo dei suoi festini mondani o, peggio ancora, come se l'avesse persa fra le gambe dell'ennesima sconosciuta accorsa a scaldargli il letto di una costosissima suite nell'Upper East Side.

    Conosciuto in molti più paesi di quanti avrebbe immaginato sotto lo pseudonimo di Bastien Idole, aveva trascorso mesi a calarsi nella parte che il proprio agente aveva deciso di cucirgli addosso. Il primo passo era stato quello di rimpiazzare il suo cognome - apparentemente troppo banale - con uno che lui aveva sempre trovato a dir poco ridicolo.

    Nella tarda adolescenza, quando Bastien scriveva pagine e pagine di avventure impudiche del proprio personaggio sognando la fama, avrebbe potuto immaginare tutto, fuorché l'eventualità di firmare la propria opera con l'equivalente francese della parola “rubacuori”.

    Ricordava di aver riso a lungo, quando la cosa gli era stata proposta. Sul momento, aveva anche rifiutato categoricamente di coprirsi di ridicolo in un modo simile. Poi, era arrivato il lavaggio del cervello: incontri su incontri e colloqui su colloqui, promesse grandiose farcite dalla prospettiva dorata di poter essere qualcuno che avrebbe lasciato il segno. Così, Bastien si era arreso al fatto che quel segno non l'avrebbe mai lasciato con il proprio vero nome.

    Tre anni e molti più soldi del previsto dopo, Bastien Idole era diventato in tutto e per tutto il Dom Juan del suo romanzo. La sua immagine era stata studiata in ogni singolo dettaglio, allo scopo di poter aderire il più possibile all'uomo che la sua penna aveva reinventato.

    Così, col tempo, Bastien era riuscito non solo ad abbracciare quello stile di vita davvero poco salubre: lo aveva fatto proprio. E la cosa sembrava piacergli molto più di quanto avesse sperato.

    Gradualmente, e senza che lui potesse accorgersene, l'estro era stato spazzato via dalla bella vita, sfuggendogli di mano, pian piano.

    Pertanto, sempre quei maledetti tre anni dopo il suo esordio, a Bastien Idole non erano rimasti che il proprio carico di cattive abitudini, una grossa mole di frustrazione e una casa editrice che pressava per un sequel. E, tragicamente, nemmeno lo straccio di un'idea per poterne buttare giù una bozza.

***

        «Jude, senti, non posso farcela. Facciamola finita con questa cazzata del luogo catartico. Sto per fare le valigie e tornarmene a New York».

    Bastien, ancora stravaccato sul divano e con i resti del defunto lettore mp3 fra le mani fu categorico.

    Il suo agente, dall'altro capo del ricevitore, purtroppo, lo fu di più.

    «Tu non vai da nessuna parte e scrivi quello stramaledetto romanzo, Bastien» gli rispose Jude senza perifrasi, seccatissima anche attraverso il vivavoce dell'apparecchio abbandonato nell'angolo apposto della stanza.

    A quell'imposizione, lui non poté fare altro che ridere di una vaga esasperazione. Si passò una mano fra i capelli scuri scompigliandoli, scosse la testa e fissò il nulla nel bianco abbacinante di quel soffitto: concluse che quelle quattro mura, accoglienti in modo sin troppo spartano, sarebbero state strette a chiunque. Figurarsi al suo ego.

    «Tu non hai idea di dove mi hai mandato, davvero. Altro che angolo di paradiso, Jude; questo è l'inferno. Ed è un cazzo di inferno che pullula di pescatori. Ora, di grazia» trasse un respiro profondo, cercò di mettere assieme quanta più cortesia gli fosse possibile. Gli riuscì di ammorbidire il tono della voce, ma il sarcasmo sfiduciatissimo delle sue parole restò ben piantato dov'era: «...dimmi: che diamine di ispirazione dovrei trovare, tra i pescatori?»

    «Guarda il mare» fu l'unico consiglio della donna al telefono, sbrigativo a dir poco.

    «Mi ci dovrete raccogliere dal fondo, di questo passo» la avvisò Bastien, cupo.

    «Sono sicura che saprai nuotare che è una meraviglia» ottenne in risposta, da una Jude tutt'altro che impressionata. E dovette prendere quella frase come un congedo bello e buono, considerando l'inesorabile “click” a seguire, e a segnare la fine di quella conversazione.

    «Stronza in crisi da pre-mestruo» si preoccupò di definirla quell'altro, tra i denti e senza mezzi termini, scagliando la carcassa dell'mp3 contro la parete opposta. Centrò in pieno la cornice di un grosso quadro, mandandone tragicamente in frantumi un intero angolo.

    Era quasi l'ora di pranzo e l'uomo da venti milioni di copie, non più abituato a una sveglia umana, si trovò a fare i conti con il vecchio amico di una vita: un terribile mal di testa cronico, stavolta farcito da un brontolare di stomaco non indifferente. A New York, a quell'ora, si sarebbe limitato a rigirarsi nel letto fino a raccogliere le forze per raccattare il telefono e ordinarsi del cibo, scontando i postumi di una recente sbornia.

    Approdando in quel piccolo angolo di inferno, invece, Bastien Fisher era stato costretto ad abbandonare tutte le carissime cattive abitudini, compreso l'alzarsi a pomeriggio inoltrato. Era arrivato a Rockport da appena due giorni, il tempo sufficiente per arrivare a considerare quella piccola cittadina come il proprio carcere personale. “Castigato”, a suo parere, sarebbe stato il termine più calzante per definire quel soggiorno, nonostante fosse appena agli inizi.

    Appena una settimana prima, considerata la produzione pressoché nulla dell'ultimo anno, gli era stato caldamente consigliato di moderare il proprio stile di vita. Lui, permaloso per natura e per via di una presunzione ingrassata dal successo degli ultimi anni, aveva preso la cosa come una sfida. Alla luce di qualche pubblica insinuazione sul fatto che, considerata la lunga inattività, la sua carriera fosse oramai in declino, aveva preso la questione sul personale. E, sullo slancio del momento, aveva rilanciato. Per poi pentirsene. Erano trascorsi già tre mesi, da quando aveva firmato il comunicato stampa in cui annunciava che il suo prossimo romanzo, già in lavorazione, sarebbe uscito entro la fine dell'anno. Non contento, aveva ben pensato di gonfiare la menzogna specificando che si sarebbe trattato di una storia completamente nuova, originale e rivoluzionaria.

    Nulla, insomma, che avesse a che fare con le avventure del suo Dom Juan urbano.

    Giunto ai primi di Marzo, con null'altro che un pugno di mosche e un'imminente perdita di credibilità in mano, Bastien aveva dovuto accettare quella reclusione forzata senza fiatare.

    Così, infastidito, sfiduciato e con una gran voglia di lasciarsi alla nullafacenza una volta ancora, decise che riempirsi lo stomaco e placare in qualche modo quel mal di testa insopportabile sarebbero stati dei primi, piccoli passi.

***

    «Un caffè, grazie».

    Quattro anni, e il vecchio signor Champan si ostinava a ordinare sempre la stessa cosa, con una puntualità sconvolgente, alle due del pomeriggio.

    Emma non lo guardava affatto: meditava. Rimuginava da tempo, asciugando meccanicamente bicchieri, con gli occhi scuri persi oltre la vetrata che dava sul molo, a fissare qualche nube sporadica.

    «E un piatto» riprese il vecchio, sollevando il bastone e scuotendolo blandamente a mezz'aria. Nel mentre, s'era appoggiato al bancone curvandosi nell'imponente stazza del suo metro e sessanta abbondante.

    «...di pancakes. Ben caldi, sì» completò la ragazza, meccanicamente.

    L'anziano sembrò sorpreso dal fatto che lei lo stesse ascoltando. Sgranò sue occhi piccoli e liquidi, si sporse maggiormente oltre il bancone e le agitò il palmo di una mano davanti agli occhi. «Caspita, ma allora ci sei!»

    «Certo che ci sono, signor Chapman, dove vuole che vada?» rispose svogliatamente quell'altra, impilando l'ennesimo bicchiere che continuava a rigirarsi fra le mani, asciutto giù da un pezzo. Nonostante tutto, scuotendosi a malincuore dai propri pensieri, si decise a guardarlo. E gli sorrise. Emma Lyons aveva un sorriso semplice, genuino e pulito: sorrideva di frequente. Nel suo volto, tuttavia, sul fondo di due grandi occhi nocciola, sostava una velo di distacco che la rendeva vagamente bislacca. A Rockport, dov'era nata e cresciuta, la gente aveva fatto l'abitudine a vederla immersa, il più delle volte, in chissà quali congetture.

    «Ma poi... Io vorrei sapere a cosa diavolo pensi, tutto il giorno» borbottò il vecchio, allungando le mani nodose verso la tazza ancora vuota, che lei intanto aveva adagiato sul bancone.

    «Se lei potesse camminare sul mare, signor Chapman» esordì Emma, stavolta con un fervore il pensionato trovò del tutto immotivato, «dove andrebbe?»

    «Lontano, lontanissimo. A quante più miglia possibili da questo schifo di posto. E di corsa. Fa' un caffè anche per me» interruppe una voce sgarbatissima, alle spalle dell'ometto grinzoso al bancone.

    Troppo presa dal proprio ragionare vaghissimo, Emma realizzò di non essersi mai accorta del suo ingresso. Lo vide per la prima volta quando si sporse oltre la sagoma di Chapman, per indagare: seduto in maniera assolutamente scomposta, con le gambe accavallate sul tavolino, i capelli scuri e ricci stravolti e gli occhi cerchiati di nero di chi non chiudesse occhio da almeno una settimana, Bastien Idole non la guardava nemmeno. Era intento a sfogliare con un certo accanimento una piccola agendina rilegata in pelle marrone, dall'aria maledettamente familiare.

Il suo diario onirico.

***

    Quando riaprì gli occhi, l'assenza di luce oltre le vetrate gli diede l'immediata consapevolezza di essersi svegliato troppo presto. Cercò a tentoni il cellulare sul comodino lì accanto, continuando a sorridere. A Lui capitava spesso di svegliarsi col sorriso. Era una sensazione sublime e appagante quella di essere padrone dei propri sogni. E non solo di quelli.

    Le quattro del mattino. Sollevandosi a sedere sul letto, con le dita ancora intorpidite, si affrettò a digitare un messaggio brevissimo:

    “Ti ho rincorsa, braccata e poi liberata, stanotte, in sogno. - Morfeo”

Angolo autore: Ebbene, dopo aver lasciato EFP, ci riprovo. E stavolta voglio mettermi alla prova con una storia semplice, che piaccia e che non mi tolga il sonno. Ma che riesca a rubarne un po' del vostro, perché no! Rispetto alle mie vecchie storie, stavolta ho preso un impegno concreto: provare a scrivere capitoli più lunghi, per non lasciarvi con l'amaro in bocca alla fine di ciascuno. Ho scelto deliberatamente di non includere alcuna sottocategoria rilevante nella storia (sì, trattandosi - in parte - di un racconto onirico, l'introspettivo è d'obbligo) perché deciderò man mano che piega far prendere al racconto. A tale scopo, le vostre opinioni e i vostri pareri sono imprescindibili, gente U_U Aiutatemi a tenere vivo l'interesse per questo progetto, perché ho davvero voglia di portarlo avanti a lungo. Le idee ci sono, e ce ne sono tante. E insomma: sono tornata a lavorare per voi con piacere.

In coda, vi lascio il link della playlist di Morfeo su Spotify. Ho voluto fare un esperimento: creare una playlist aperta. Questo significa che chiunque creda di avere una canzone adatta all'atmosfera è caldamente invitato ad aggiungerla °_° proviamoci, dai! (Playlist)

Inoltre, il link al mio gruppo di facebook, per i soliti spoiler e anticipazioni: (I deliri di Malaria)

E, in ultimo, la mia tendenza masochista ad espormi a domande di qualsiasi sorta, a questo link: (Ask)

Grazie a quella santa di Amartema: quella genialata di banner che avete ammirato in cima è opera sua.

Un abbraccio, 

Mal

   
 
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