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Autore: mamogirl    21/09/2014    2 recensioni
We don't need wings to be angels,
Angels and heroes at heart.

«Non posso restare.»
«No.»
«Devo... - La voce di Brian si incrinò, spezzandosi in un singhiozzo che lasciò visibili i segni di una disperazione che non era solo ed esclusivamente di proprietà di Nick. - Non posso più rimanere qui. Devo tornare.»
«Dove?»
«Nel mio mondo.»

Due ragazzi.
Due mondi completamente differenti.
Un incontro.
E la speranza di poter farlo durare per sempre.
Nonostante tutto.
Genere: Angst, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: AJ McLean, Brian Littrell, Howie Dorough, Kevin Richardson, Nick Carter
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Prologo

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Era strano come tutto non solo avesse avuto inizio ma sarebbe anche finito in quel luogo. E, con quella peculiarità appartenente solamente a quel meraviglioso mondo, sembrava che tutto fosse cambiato e, allo stesso tempo, poco o niente fosse cambiato. Anche se era più giusto dire che non era stata la spiaggia a cambiare, a modificarsi nel corso degli anni. Era lui a non essere più quel bambino che era capitato per caso in quel luogo, spinto solo dalla smania di scappare e poter assaporare, anche solo per qualche fugace attimo, quel mondo di cui si era follemente innamorato.

C'erano ancora le barche, arroncate contro la riva come addormentati e sornioni gatti: alcune erano state abbandonate a se stesse, arrugginite e abbruttite dall'incuria; le altre, invece, cercavano di starsene il più lontano possibile, quasi come se fossero convinte di poter essere contagiate o cadere vittima anch'esse di quella maledizione. La spiaggia stessa non era cambiata, con le sue rocce a protezione della sabbia e con alberi e tronchi che fornivano naturali sedie e divani.

Come quel lontano giorno, era il tramonto a offrire lo spettacolo più bello e meraviglioso, lasciandosi osservare con i suoi colori dipinti in una tela infinita. Faceva freddo, più freddo rispetto a quel giorno che ancora faceva parte dell'estate e delle giornate scaldate e abbronzate dal sole. Era autunno inoltrato anche se, a giudicare dagli alberi e dai ciuffi d'erba ancora verdi, sembrava ancora di essere parte integrante della stagione estiva. Era l'aria che si era infreddolita; erano le nuvole, sempre grigie e cariche di pioggia, a ricordare che era ormai tempo di mettere via costumi e magliette e tirare fuori dagli armadi maglioni e giacche.

Seduto su un ceppo di un albero, tagliato chissà quanti anni prima e chissà quanto alto e imponente, gli occhi non potevano non rimanere rapiti dalla maestosità del mare di fronte a lui. Quel giorno il mare era arrabbiato. Alte onde si infrangevano contro la riva o contro i massi di roccia che si frapponevano fra esse e la spiaggia. Era come se spiaggia e mare fossero due amanti, puniti e costretti da qualche maledizione a non potersi mai amare, se non per quei fugaci e mai abbastanza abbracci, baci rubati in un secondo e carezze che non avrebbero mai lenito l'assenza e il desiderio di poter stare insieme per sempre. E quando il dolore diventava troppo forte da sopportare, quando la pazienza non poteva sopperire a quel lancinante e così imponente desiderio, ecco che il mare scatenava la sua rabbia. Voleva urlare con quelle onde, voleva che tutto il mondo fosse a conoscenza di quale tortura lui e il suo amante fossero costretti a subire sin dall'alba dei tempi.

In quel momento, Brian comprendeva e condivideva quella rabbia. Si sentiva partecipe di quella tristezza, quasi come se la sua stessa anima avesse trovato qualcuno che potesse comprendere la sua stessa condanna.

Era ingiusto.

Era dannatamente e ingiustificabilmente ingiusto.

Ignorò, Brian, quella vocina che continuava a ripetergli che avrebbe dovuto saperlo. Avrebbe dovuto sapere che quel giorno sarebbe arrivato. In quel momento sentiva solo l'altra voce, quella dell'anima che urlava quanto fosse ingiusto quel momento. Finalmente aveva trovato se stesso, finalmente aveva trovato una vita in cui poter essere completamente e così naturalmente felice che non voleva abbandonare tutto.

Per che cosa, poi?

Per ritornare lassù, in un mondo che non era mai riuscito a fare suo nonostante ci fosse nato? Per ritornare a sentire un escluso, a sentirsi come una variabile nata male e che rovinava la precisione e la perfezione di un popolo che non sapeva cogliere la bellezza attorno a loro? Per tornare fra individui che potevano essere legati da nodi famigliari ma che si trattavano come estranei perchè non si conosceva il concetto di amore?

Come poteva tornare in un mondo dove Nick non viveva, non respirava la sua stessa aria e condivideva i suoi sorrisi e le sue lacrime? Come poteva vivere la sua eterna esistenza ricordando ciò che aveva perduto e ciò che non avrebbe potuto più avere?

Era quella la vera condanna. Era quella la più crudele delle punizioni. Aver conosciuto l'amore, averlo provato sulla propria pelle e sentirselo strappare via come se fosse un peccato, un brutto tatuaggio che rovinava la perfezione del suo popolo. Avere di fronte un'eternità, infiniti giorni e infinite notti, e doverla trascorrere nel ricordo straziante di ciò che non poteva più avere.

Come potevano chiedergli di scegliere?

La logica, quella parte che parlava di appartenenza e di regole inculcate sin dalla nascita, sopperiva a quella domanda. La logica rispondeva con crudele e fredda voce, ricordandogli che nesssuno aveva mai violato così profondamente le leggi. Gli ricordò che nessuno, prima di lui, aveva mai scelto di abbandonare volontariamente quel mondo; chi ci aveva provato era tornato mestamente con le orecchie abbassate, come un cane scoperto a combinare il peggiore dei disastri. Nessuno aveva rischiato, nessuno aveva mai rifiutato l'offerta di apparente perdono e, quei pochi stupidi che lo avevano fatto, non avevano mai avuto la possibilità di parlarne.

Non erano mai sopravvissuti.

Brian percepì la presenza di Nick ancor prima di alzare lo sguardo e vedere il ragazzo avvicinarsi sempre di più. Il ricordo era così lampante, era come una polaroid sfocata che si sovrapponeva a quella scena che si stava svolgendo in quel momento.

Era stato il destino. Brian ne era certo. Era stato il destino a farli incontrare, non solo anni prima ma anche la seconda volta che lui era venuto in quel posto.

Destino.

Non esisteva quel concetto nel suo mondo. C'era solo l'orgoglio di essere una delle razze più perfette che fossero mai esistete, c'era solo la consapevolezza della propria superiorità e di come tutto fosse dovuto. Tutto era già scritto, senza possibilità di cambiare o modificare. E nessuno avrebbe voluto mai cambiare quella vita. Lì, invece, il destino era una sorta di guida linea, delle spinte ad arrivare a certi punti ben precisi per poi lasciare le redini nelle loro mani. Il destino lo aveva spinto lì, il destino lo aveva fatto nascere con quel desiderio e quella curiosità di esplorare ciò che non conosceva. Il destino gli aveva fatto conoscere Nick ma erano stati loro due a far innamorare l'altro. Erano stati loro due a costruire una prima bozza di vita insieme. Ed ora era lui a dover distruggere tutto.

«Ti ho trovato finalmente.» Esordì Nick, sedendosi accanto a lui su un sasso. Il tono era leggero ma negli occhi, in quelle linee che erano apparse sulla sua fronte, Brian leggeva la nota della preoccupazione.

Come poteva raccontargli tutto? Smascherare la sua identità e, allo stesso tempo, strappargli anche il cuore? No, era quella la più crudele delle punizioni.

«Non è la prima volta che vengo qui.»

«E' un bel posto per pensare. - Commentò Nick, ignaro del vero significato dietro la frase di Brian. - Venivo spesso da piccolo. Sfuggivo dai miei e dal loro odio.»

«Lo so.»

Nick aggrottò la fronte in confusione. Come faceva Brian a saperlo? Cercò di ricordarsi le loro conversazioni, forse gli era sfuggito quel particolare in una di quelle tante volte in cui aveva inveito o sofferto per colpa della sua famiglia.

Eppure.

Eppure c'era qualcosa, nella voce di Brian, che lo mise in allarme. Fino a quel momento, fino a quel particolare attimo fra spazio e tempo, non era mai stato difficile decifrare le intenzioni e le emozioni dietro i toni e gli sguardi del compagno. All'inizio si era quasi spaventato da quella velocità, ripensando a quando osservava i suoi genitori e li vedeva come due estranei che non riuscivano e non sarebbero mai riusciti a comprendersi. Ma, poi, Nick si era reso conto che non era stato merito suo ma di Brian, così chiaro e limpido come le acque dell'oceano e così facilmente leggibile. 

Non in quel momento. Ora sembrava quasi che quel temporale, che era sul punto di abbattersi sulla spiaggia, si fosse intrufolato all'interno dell'anima di Brian e ne stesse oscurando gli occhi e il volto. Era imperscrutabile, quel volto che lo aveva sempre osservato e fissato con calore e gioia. Imperscrutabile come solo poteva essere una statua, una di quelle meravigliose statue di marmo che nemmeno il trascorrere del tempo era riuscito a scalfire e a danneggiare. Era sempre stato così perfetto? La linea della mascella, tesa e tagliente come un filo di lama; il profilo del naso, il ghiaccio in cui l'azzurro degli occhi si era trasformato. Le aveva notate prima, certo, ma non gli erano mai sembrate così perfette, così disegnate dalla mano del più bravo e talentuoso artista.

«Come?» Fu tutto quello che Nick riuscì a domandare.

Quel ghiaccio si posò sul suo volto ma non apparve un sorriso a sciogliere quella freddezza che non impermeava solamente l'aria attorno a loro.

«Non hai mai fatto il collegamento, vero? Non ti sei mai fermato per un secondo e chiederti se...»

«Se cosa?» Domandò Nick, interruppendo Brian con il terrore che si era fermato stretto in gola. La paura che stesse tutto per finire era lì, palpabile in quel ritmo del cuore che stava aumentando, un thum thum che batteva dolorosamente contro lo sterno.

«Se io potessi essere quel bambino?»

«Quale bambi... - incominciò a domandare Nick ma, a metà frase, l'immagine sfocata di quel ricordo si presentò davanti ai suoi occhi, senza nemmeno bussare o avvisare. - Tu? Eri tu?»

Brian non rispose, annuì semplicemente e lasciò che quella scoperta, quella nuova consapevolezza, prendesse piede e forma nella mente di Nick. Così riabbassò lo sgyardo, incapace di sostenerlo quando sapeva già che cosa avrebbe visto fra poco. Rabbia, incredulità. Tradimento.

«Tu mi hai regalato la piuma?»

Ancora la sua mente non riusciva a sciogliere quella matassa. No, non aveva mai ricondotto il viso di Brian a quello di quel bambino, incontrato solamente per qualche minuto. A dir la verità, Nick non era mai riuscito a ricordare quei tratti, come se una nube avesse offuscato il viso e gli avesse impedito di portare con sè quel viso. Aveva la piuma, quella sì. Quella meravigliosa piuma dai colori delicati e così insoliti da qualsiasi altra piuma mai vista in tutta la sua vita. E ricordava, Nick, gli ultimi attimi di quell'incontro. Ricordava di aver inseguito quel bambino e, invece che vederlo scomparire lungo la strada che portava in città e poi all'autostrada, Nick lo vide trasformarsi in una creatura che non avrebbe dovuto esistere.

«Ero io.»

Non poteva essere. Fu quella la prima cosa che la mente di Nick pensò. Non poteva essere, non solo per ciò che quella sempice e infantile implicazione poteva raccontare. Soprattutto, era impossibile che Brian e quella creatura potessero essere la stessa persona perché lui, Nick, non era così speciale o eccezionale da poter catturare l'attenzione e l'amore di qualcuno così unico.

«No. No. - Incominciò a negare Nick, scuotendo la testa come se volesse porre l'accento su quella semplice sillaba. - Che cosa succede adesso?» Si ritrovò a chiedere. C'era solo una ragione per cui Brian glielo stava dicendo proprio in quel momento. C'era solo una giustificazione per essere scomparso tutto il giorno, per aver ignorato le sue chiamate proprio ora che aveva finalmente imparato ad usare il telefonino. E lo terrorizzava quel pensiero. Quel pensiero riusciva a superare la rabbia e il senso di tradimento che stavano tentando, inutilmente, di crescere dentro Nick:

«Non posso restare.»

«No.»

«Devo... - La voce di Brian si incrinò, spezzandosi in un singhiozzo che lasciò visibili i segni di una disperazione che non era solo ed esclusivamente di proprietà di Nick. - Non posso più rimanere qui. Devo tornare.»

«Dove?»

«Nel mio mondo.»

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Lo so. Lo so. Non dovrei iniziare una nuova long, non quando "Forces" è ancora così in mezzo al mare. Ma quest'idea mi continuava a bussare alla porta e ho dovuto scriverla. Devo scriverla. Forse perché, per me, Brian è davvero.... *spoiler!*
Inoltre, questa storia è un regalo. Laphy (U.U Continuerò a chiamarti così.)  non solo per il suo compleanno (anche se in dannato ritardo) ma per esserci sempre. Mondo fantasy di fanfiction e mondo reale. <3
Alla prossima!

   
 
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