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Autore: moonwhisper    04/10/2008    3 recensioni
E lui dondola, dondola. Ma continua a non volerla guardare. E tutto brucia.
E lui si stropiccia il viso, tira la pelle. Afferra i capelli e si accartoccia su se stesso. E dondola.
E lei piange e affonda, sempre, in tutti i sensi.
Sta pensando a quello che ha detto Sarah.
“Amare è guardare qualcuno morire”.
Ti guarderò morire, amore mio.
[Inspired by What Sarah Said - Death Cab For Cutie]
Genere: Drammatico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Da una stanza lontana il suono del pianoforte arriva attutito.

In quel bagno bianco lei si guarda nello specchio e vede solo un sorriso sbiadito e un viso delicato. Capelli scuri che incorniciano occhi grandi e neri di tristezza.

La camicia candida che le copre le spalle le arriva a metà coscia, coprendo ciò che gli slip e la magliettina bianca non riescono a coprire. Profuma di lui. Dell’altro lui, non quello che in quell’esatto momento l’aspetta nell’altra stanza. No… non la sta aspettando. Semplicemente rimane li. Non aspetta niente, tantomeno lei.

Il rossetto è di un rosso prepotente. Ne passa un po’ sulle labbra, lo sfuma con un dito. Un attimo di incertezza, di fronte a quello specchio.

Il rossetto è ancora nella sua mano. Allunga il braccio verso la superficie splendente e traccia poche parole.

“Mi ama”.

Rimangono li. Le osserva. E la forza di un sorriso le da ragione di sperare che forse questa volta riuscirà a vederla.

Un sorriso accennato, timido, ma tanto dolce.

A piedi nudi ritorna da dove era venuta, e il suono del pianoforte si fa più forte.

Il monolocale è grande. C’è una finestra affacciata sul cielo e da li entra il sole. Il riverbero dei raggi contro le pareti bianche rende tutto accecante.

Al centro della stanza c’è il loro letto disfatto. Lenzuola stropicciate, cuscini intatti. Una poltrona antica di fronte, appoggiata al muro, i suoi barattoli di vernice e le sue lame da incisione appoggiate su un mobile zoppo. Una pianta che ha trovato il coraggio di continuare ad innaffiare solo per inerzia.

E lui è seduto li. Sul bordo del letto. Tra le dita, tra le labbra, una sigaretta appena iniziata. Ai suoi piedi ha un posacenere ricolmo di mozziconi abbandonati. C’è tanta cenere sparsa per terra. Veste di nero, come al solito, e in quella maglietta sembra ancora più magro di quello che è. Ha gli occhi sbarrati persi nel vuoto, i capelli corvini e spettinati che coprono la cicatrice dietro l’orecchio. Il volto scavato, la carne sulle dita consumata. Continua a portare la sigaretta alle labbra, non si volta quando la sente entrare. Ma… l’ha sentita entrare?

Lei continua a camminare spedita. Non può fermarsi. Un pennarello nero lungo la strada, parole disegnate sul palmo della mano sinistra. Si ferma accanto a lui che non la vede ed apre la mano a pochi centimetri dal suo viso.

“Un po’?”.

Ha ancora il sorriso sulle labbra. Trattiene il respiro quando lo osserva muovere il capo. Ma non è per lei. Non la vede. Chiude la mano e la porta al petto, il sorriso si spegne, il cuore brucia.

Si volta e cade nella poltrona antica. E’ proprio li, di fronte a lui. Ma è come se non esistesse.

Porta una ciocca di capelli dietro l’orecchio. Delusa per l’ennesima volta. Non si stanca mai di vedere  le sue speranze spezzarsi. Forse è malata come lui, ma la sua è una droga diversa.

Accarezza il bracciolo della poltrona, strisciando la mano sinistra contro il legno scuro. Le parole sul suo palmo si perdono, confondendosi in un’unica macchia nera, indistinguibile.

Scorge i pennelli appoggiati sul mobile. Ne accarezza i manici di legno, scheggiati e consumati. Lo guarda. Ma lui ha sempre gli occhi bassi.

Afferra un barattolo di vernice nera. Salta sul letto disfatto e raggiunge il muro candido.

Il pennello scorre sulla superficie liscia, ed ogni tratto è dolore, amore, speranza.

“Tanto!”.

Si volta. Spera che lui finalmente la guardi, che le chieda scusa, che riesca a vedere ciò che è diventato, ciò che sono diventati insieme. Ma non è così. Lui è ancora chino. Le braccia magre appoggiate sulle ginocchia, il collo bianco e sottile piegato, spezzato, gli occhi sempre più bassi. Non vuole vedere. Non può più farlo.

Il barattolo le cade di mano. La vernice cola sulle lenzuola bianche, corrompendole. Le scivola tra le dita.

Nero e bianco. Tutta la loro vita contesa dal bene e dal male. Tutto il loro amore corroso dall’eterna lotta.

Si inginocchia. Lo abbraccia, stringe quel torace scheletrico. Appoggia il viso sulla sua spalla e respira contro la sua guancia. Fa scivolare le braccia lungo le sue. Un’altra parola vergata senza saperlo sulla carne bianca.

“Appassionatamente”.

La sua pelle è fredda. Trova la forza per un altro sorriso d’amore e preme il volto contro il suo collo. Ma lui guarda ancora altrove. Non la sente. Non sente il suo corpo, non sente il suo tocco.

Si trascina lontano da lui, ancora sconfitta.

Quanto fanno male, quelle ferite. Quando preme in profondità quel coltello gelido.

Sente il respiro soffocarsi sotto onde di angoscia, impotenza, rabbia.

Avanti e indietro, cammina di fronte a lui. E non ha più mezzi per riportarlo da lei, tranne quell’amore, quell’amore che lui non può più vedere. Lo guarda, morde le labbra fino a ferirsi. Ma non serve a nulla. Vorrebbe colpirlo, colpirlo fino a farlo svenire. Restituirgli tutto il dolore, ucciderlo.

Non può. Perché lei lo ama. Un po’. Tanto. Appassionatamente.

Lo raggiunge. Lo afferra per le spalle. Lo scuote. Gli urla addosso tutto. Perché la sta lasciando? Perché non vuole tornare?

Torna, torna amore mio. Torna da me, gli urla. Ma lui non sente, non si muove. E’ come un pupazzo nelle sue mani. E le ossa le premono contro le dita, e la sua pelle è ancora fredda.

Gli urla addosso fino a quando sente la gola bruciare e le lacrime le solcano il viso.

E' tutto perduto?

Io sono qui, amore mio. Perché non mi vedi?

Cade sulla poltrona, piegata in due dal dolore. E’ così intenso. La trafigge all’altezza dello sterno. Fitte insopportabili. Lancinanti.

Lui getta via un’altra sigaretta consumata a metà.

Si dondola sul bordo del letto. Dondola, dondola, dondola.

Accende un’altra sigaretta e non la vede.

Affonda le dita nei capelli, sempre più in fondo, fino a premere sul cranio. E dondola. Avanti e indietro, avanti e indietro. Senza pace, mai. Senza spazio per vedere altro.

E lei tra le lacrime vede una lama, piccola e sottile, che luccica in quella stanza troppo bianca o troppo nera.

L’afferra.

Affonda nella carne della coscia. Si aggrappa al bracciolo della poltrona, stringendolo. Morde le guance, le labbra, assaggia le lacrime. E continua ad affondare. Una linea di sangue dopo l’altra.

E lui dondola, dondola. Ma continua a non volerla guardare.

E tutto brucia.

E lui si stropiccia il viso, tira la pelle. Afferra i capelli e si accartoccia su se stesso. E dondola.

E lei piange e affonda, sempre, in tutti i sensi.

E quando ogni parola è finita, lascia cadere la lama dalle sue dita.

Lui piange, lontano da quella stanza, perso in una disperazione artificiale.

Lei raccoglie le gambe contro il petto. Piange contro la pelle che sa ancora di lui, dentro la camicia che ha il suo odore. Piange, e le parole incise brillano di sangue fresco.

“Alla follia”.

A piedi nudi torna da dove era venuta.

Il bagno è sempre bianco. Lo specchio la riflette, riflette un viso che non sorride più.

Quelle parole colorano ancora la superficie splendente.

“Mi ama”.

Raccoglie il rossetto dal fondo del lavandino e termina l’ennesima frase.

“Affatto”.

Fa male. Tanto male. Un male che non credeva di poter sopportare. Un male che non ha niente di umano.

Si china e porta al viso un sorso di acqua fredda. La passa sulle sue lacrime.

Si solleva piano, goccioline le scivolano dal mento, lungo il collo.

Lui si è voltato, quando lei è scappata via.

E’ per questo che tornerà. Per questo ritornerà ogni volta.

Perché lui la guarda sempre all’ultimo momento. Perché uno sguardo, un movimento del capo, per lei ormai sono le ultime speranze e le ultime illusioni.

Pulisce lo specchio.

Il rossetto è di nuovo nella sua mano, le parole sono sempre le stesse.

“Mi ama”.

Tornerà.

Sta pensando a quello che ha detto Sarah.

“Amare è guardare qualcuno morire”.

Ti guarderò morire, amore mio.

 

 

***

 

Inspired by What Sarah Said - Death Cab For Cutie

Commenti e consigli sempre graditi. La One-shot riprende l'argomento della dipendenza dalle droghe.

  
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