CHARLOTTE
La
radio
passava una canzone anni novanta che né Liam, né
Bree parevano conoscere. Il
castano teneva lo sguardo fisso sulla strada, mentre con le mani
stringeva con
fin troppo vigore il volante. I suoi muscoli erano leggermente tesi,
segno di
quella strana sensazione che padroneggiava nell'abitacolo.
"Sicura
che tua madre non si arrabbierà per l'auto?",
domandò allora, a voler
rompere il silenzio che si era creato nell'esatto momento in cui aveva
messo in
moto la vettura.
Bree
fece spallucce, sistemandosi meglio sul sedile del passeggero.
"Non
se ne accorgerà neppure", spiegò con un filo di
voce, voltando il viso in
direzione del finestrino. "Nel peggiore dei casi darà di
matto e si
riempirà di farmaci", borbottò poi, pentendosi
immediatamente di ciò che
aveva appena detto.
Non
voleva che quella piccola rivelazione potesse in qualche modo
influenzare il comportamento
di Liam. Avrebbe odiato la sola eventualità che lui provasse
commiserazione o
pena nei suoi confronti.
Liam
deglutì sommessamente. Aveva perfettamente capito
ciò che Bree si era lasciata
sfuggire, ma aveva accuratamente ignorato quelle parole, consapevole
che non
erano ancora pronti per affrontare un discorso di tale portata. Sarebbe
stato
come far crollare ogni barriera tra di loro, come riuscire a vedere
finalmente
oltre le apparenze, scorgersi nudi davanti a quel mare inspiegabile di
emozioni
ancora troppo confuse e contrastanti. Avrebbe significato fidarsi e
Liam non
era sicuro di essere la persona adatta a quel genere di confidenza. Non
era
Bree il problema, non era lei l'anello debole tra loro due. Nonostante
le
apparenze, era Liam colui che più si sentiva in
difficoltà in quel genere di
situazioni.
“Hai pensato
a dove potremmo andare?”, questa
volta fu Bree ad interrompere quella nuova ventata di silenzio che si
era
abbattuta all’interno dell’abitacolo.
Non riusciva a
sopportare il silenzio, non
quello di Liam perlomeno. Voleva sapere cosa gli passasse per la mente,
voleva
che lui la rendesse partecipe dei suoi dubbi, delle incertezze, delle
paure,
delle gioie, dei successi, di tutto. Ma era perfettamente cosciente di
quanto
ipocrita fosse quella tacita richiesta, fatta proprio da colei che
ancora non
riusciva a parlare apertamente dell’ambiguo rapporto che la
legava alla madre.
Non poteva pretendere nulla dal castano, se neppure lei riusciva a
superare
quell’ultimo, seppur apparentemente insormontabile ostacolo.
“A
dir il vero no, tu hai qualche idea?”, Liam
arricciò il naso, mentre lanciava una veloce occhiata a Bree.
E quelle
parole risuonarono all’orecchio di
Bree come la più banale delle conversazioni. Non era questo
ciò che lei voleva
dal suo rapporto con Liam, non era l’ovvietà,
l’imbarazzo e la mediocrità.
Voleva un qualcosa di unico, quel qualcosa che sapeva perfettamente
potesse
nascere tra loro, se solo entrambi si fossero decisi a spazzar via
quell’ultima
maschera che ancora copriva i loro volti. Bree voleva finalmente
vederlo,
voleva osservare Liam per ciò che realmente era. Non
avrebbero tenuto
pregiudizi, scuse, luoghi comuni. Ci sarebbero stati solo loro, solo
Liam e
Bree e sarebbe stata la cosa più bella e speciale al mondo.
Doveva farlo,
doveva rischiare. Perché Bree
sapeva di non poter attendere che fosse Liam, perché Bree
sapeva che, contro
ogni aspettativa, era lei la più forte tra i due in quel
momento.
Doveva farlo
per lei, per Liam, per loro.
Prese un
respiro a pieni polmoni, prima di
puntare lo sguardo sul viso del castano.
“Puoi
accostare?”, chiese gentilmente, seppur
nella sua voce trapelasse con chiarezza dell’agitazione.
Liam
arricciò la fronte, sorpreso da quella
richiesta. Erano partiti da appena pochi minuti e Bree già
gli chiedeva di
fermarsi.
“Ti
senti bene?”, domandò apprensivo, mentre
si faceva sempre più di lato, fino a giungere sul ciglio
della strada.
“Sì,
cioè no, cioè sì”, la voce
tremante di
Bree non fece altro che preoccuparlo maggiormente.
Slacciò
la cintura di sicurezza con un unico
gesto, per poi voltarsi in direzione della rossa seduta al suo fianco.
“Ti
manca l’aria? Devi vomitare? Hai la
nausea?”, il tono ansimante di Liam la metteva ancora
più a disagio.
Si
mordicchiava nervosamente il labbro, con le
mani giunte in grembo ed il capo basso.
“Mi
piaci”, esordì tutto d’un fiato,
puntando
gli occhi verdi in quelli castani di Liam.
Il castano
trasalì a quelle parole ed in un
attimo tutto gli parve assumere un senso. Tirò un lungo
sospiro di sollievo
quando finalmente riuscì a metabolizzare il significato di
quelle due sole
parole che Bree gli aveva rivolto. Sentì tutta
l’ansia che aveva provato in
quei pochi istanti scaricarsi all’interno del suo corpo e
allo stesso tempo
percepì l’adrenalina percorrergli veloce tutta la
spina dorsale, ancora
incredulo.
“Cosa?”,
farneticò con gli occhi spalancati e
l’espressione sbigottita.
“Mi
piaci”, ripeté Bree, questa volta con meno
sicurezza della prima.
“Ed
io che pensavo ti sentissi male!”, esultò
allora Liam, mentre un sorriso rilassato si impadroniva delle sue
sottili
labbra.
Bree
serrò la mascella, spiazzata da quella reazione.
Non capiva se stesse cercando di ignorare quella sua dichiarazione o se
semplicemente Liam non aveva compreso cosa quelle parole implicassero.
In
entrambi i casi, quella situazione la irritava.
“Potresti
anche rispondermi”, gli fece notare
allora, con la fronte aggrottata per il disappunto.
“Ah
sì, certo”, disse soltanto, prima di
lasciarsi scappare una risata gioiosa.
Se solo Bree
non fosse stata così comprensiva
e buona, era certa che in quel momento non si sarebbe risparmiata un
bel pungo
in faccia. Proprio non riusciva a comprendere il suo comportamento, non
dopo
quello che c’era stato tra di loro.
Stava per
riaprir bocca, questa volta per
puntualizzare l’inadeguatezza dell’atteggiamento di
Liam, ma le parole le
morirono in gola quando le labbra soffici del castano di posarono sulle
sue,
baciandola.
“Ehi”,
la voce di Jamal rimbombò nella cucina
di casa Malik.
A Zayn era
sembrata molto più roca di quanto
ricordasse. I lineamenti di quello che biologicamente era suo fratello
parevano
più duri, più marcati, come se il tempo li avesse
accentuati.
Zayn non si
preoccupò neppure di ricambiare il
saluto, non era uno da convenevoli lui.
“Ho
visto la tua ragazza l’altro giorno. È
molto carina”, iniziò Jamal, nel patetico
tentativo di intavolare una qualsiasi
conversazione.
Zayn quel
pomeriggio lo aveva lasciato entrare
in casa. Non era stata di certo Millie a convincerlo, né le
parole di conforto
dei suoi genitori o gli sguardi spaesati delle sue sorelle.
Da quando
Jamal era tornato a Londra, appena
pochi giorni dopo la notte in cui Zayn era stato malamente picchiato,
aveva
preso l’irritante abitudine di passare tutti i giorni a
trovarlo. Non aveva
avuto il coraggio di tronare a casa, per il momento si era fatto
ospitare da un
suo amico, ma non aveva mai mancato un pomeriggio. Zayn puntualmente
aveva
chiesto ai suoi genitori di farlo andar via, dichiarandosi ogni volta
ancora
non pronto a parlare con lui. Ma quel giorno non c’era
nessuno in casa ed era
toccato a Zayn andare ad aprire la porta quando aveva sentito il
campanello
suonare. Non aveva neppure controllato dallo spioncino, così
all’improvviso si
era ritrovato l’immagine sorpresa di Jamal e i suoi occhi,
così simili ai suoi,
puntati addosso.
“Non
è la mia ragazza”, finalmente si decise a
dire, borbottando con fare scorbutico.
L’aveva
lasciato avvicinarsi, certo, ma non
sapeva se era pronto anche a perdonarlo. Aveva immaginato
così tante volte quel
momento. Aveva desiderato urlargli contro, gridare a pieni polmoni del
rancore,
della rabbia, del dolore che lui gli aveva procurato. Aveva persino
immaginato
di scagliargli un pugno all’altezza della bocca dello
stomaco, giusto per
sfogare tutta quella miriade di sensazioni che gli ribolliva nelle
vene.
Eppure, da quando Jamal aveva messo piede in casa, non aveva fatto
altro che
scrutarlo attentamente in ogni sua più piccola movenza.
“Beh,
cosa aspetti allora?”, provò a scherzare
Jamal, sfiorando la spalla di Zayn con la mano chiusa in un leggero
pungo.
Il moro
indietreggiò, venendo meno a quel
tentativo di approccio di suo fratello.
“Cosa
vuoi, Jamal?”, quelle parole
fuoriuscirono dalla bocca del moro come un ringhio.
Era furioso,
ma cercava comunque di darsi un
contegno. Suo fratello era lì, a pochi metri da lui, che
provava a fare
conversazione come se fosse la cosa più naturale del mondo.
Jamal
serrò i denti, a disagio.
“Voglio
chiederti scusa”, ammise.
Il suo tono si
era repentinamente fatto più
profondo e serio.
“Mi
pare tu l’abbia già fatto per
messaggio”,
controbatté fingendosi incurante.
“Non
pensavo neanche li leggessi, i miei
messaggi”, replicò allora Jamal con amarezza.
“Senti, Zayn”, riprese, questa
volta con più vigore. “Mi dispiace, se potessi
tornare indietro, io…”, iniziò,
ma il moro non gli tiene il tempo di terminare.
“Sai
cosa, Jamal?”, inveì contro di lui,
puntandogli per la prima volta il dito contro.
Jamal si
zittì all’istante. Era nel torto, non
poteva permettersi di contraddirlo in nessun modo e per di
più attendeva da
troppo tempo che Zayn gli parlasse, non importava se lo faceva solo per
insultarlo.
“Sono
stufo della gente che mi chiede scusa,
della gente che è dispiaciuta, che si sente in colpa, che
prova pietà!”, urlò.
Il sangue
pompava forte nelle vene, la voce
gli tremava per il nervosismo e un fastidioso groppo gli briciava in
gola.
“Tutti
non hanno esitato per neppure un
istante a puntare il dito contro di me per mesi e sai quando hanno
cambiato
idea? Sai quando?”, il tono sarcastico ed adirato di Zayn
costrinse Jamal ad
abbassare il capo. “Quando ci ho quasi rimesso la
pelle!”, sbraitò scagliando
un pugnò contro la parete.
Zayn
portò le mani tra i capelli scuri, poi si
massaggiò con calma le tempie. Aveva bisogno di aria fresca,
aveva bisogno di
darsi una calmata.
“Quindi
non me ne faccio un cazzo delle tue
scuse ora, un cazzo!”, ringhiò con sguardo truce.
Jamal
sussultò, incapace di ribattere. Suo
fratello aveva perfettamente ragione, non avrebbe potuto obiettargli
nulla.
“Ed
ora, gentilmente, vattene a fanculo. L’hai
già fatto una volta, nessuno ti impedisce di farlo una
seconda”, concluse con
un ghigno in volto, prima di sorpassarlo ed uscire di casa.
Audrey
alzò il volto quando percepì il rumore
di passi avvicinarsi. Aveva chiesto ad Harry di passare da lei, prima
di
incontrarsi con gli altri. Lo aveva aspettato per interminabili minuti
seduta
davanti all’ingresso della sua villa, immersa nelle sue
riflessioni.
“Ehi,
finalmente ce l’hai fatta”, ironizzò la
ragazza, sorridendo appena all’indirizzo del riccio.
Harry
ricambiò, poi prese poso accanto ad
Audrey.
“Allora,
dimmi tutto”, esordì con
un’espressione serena.
Audrey
tentennò per qualche istante. Aveva
provato mille volte quel discorso nella sua mente, ma quando finalmente
era
giunto il momento di esternarlo, le parole erano sembrate bloccarsi
sulle sue
labbra. Gli occhi verdi e limpidi di Harry avevano lo stramaledetto
potere di
disarmarla, le fossette agli angoli delle sue labbra erano
così tenere che
Audrey avrebbe voluto toccarle con un dito. Eppure, per quanto lo
desiderasse,
non l’avrebbe mai fatto. Lei era la ragazza cinica, fredda,
menefreghista e
solitaria sulla quale Harry sembrava sortire un certo indesiderato
effetto.
La
verità è che dopo sua sorella, dopo Zayn,
dopo la morte di quella ragazza, dopo che era venuta a conoscenza della
triste
realtà che il destino aveva in serbo per Margaret, Audrey
aveva sentito il
terreno sotto i suoi piedi tremare. Non voleva altri rimpianti, non
altri.
“Ieri
ho riascoltato l’intero ultimo album dei
Radiohead”, raccontò giocherellando con le dita
delle mani.
Harry
corrugò la fronte, spiazzato. Si era
precipitato a casa di Audrey non appena lei aveva chiuso la telefonata
ed aveva
temuto il peggio. Insomma, lo aveva quasi supplicato di raggiungerla
quanto
prima possibile ed Harry di certo non aveva neanche lontanamente
immaginati che
sarebbero finiti a parlare di musica.
“Tra
qualche mese verranno i Muse in
concerto”, proseguì. “Credo sarebbe
carino andarci insieme, insomma, è uno dei
pochi gruppi che piacciono ad entrambi”, propose allora,
mordicchiandosi
nervosamente il labbro.
Harry aveva il
sopracciglio sinistro
particolarmente incurvato, segno del fatto che non riuscisse affatto a
seguire
il discorso di Audrey.
“Certo,
si può fare”, acconsentì scettico,
sperando che quella fosse la cosa giusta da fare.
“Oppure
potrei accompagnarti a vedere i
Coldplay”, farneticò Audrey. “Io non ne
sono affascinata, ma almeno avrei la
scusa per trascinarti ad un concerto dei Three Days Grace”,
vaneggiò con lo sguardo
perso a mezz’aria, mentre con le mani aveva preso a
gesticolare.
“Audrey”,
la voce ferma e rassicurante di
Harry la fece sussultare.
In un attimo
le sue piccole mani furono
raccolte da quelle più grandi e calde di Harry. I suoi occhi
verdi si puntarono
in quelli della ragazza. Era agitata, quasi tremava ed il riccio non
riusciva a
capire il motivo di tale turbamento.
“Che
succede?”, le chiese e non fece neppure
in tempo a scandire l’ultima parola che le labbra di Audrey
si scontrarono con
le sue.
Louis scese
dall’auto insieme a Zayn. Aveva
fatto l’impossibile per avvertire tutti. Margaret gli aveva
fatto promettere di
essere discreto e lui, in un certo qual modo, aveva mantenuto la parola
data.
Ma non poteva lasciarla andare, non nell’indifferenza
più totale ed assoluta.
Margaret meritava attenzione, meritava di essere salutata come
un’amica, come
quella persona che per mesi era stata al suo fianco, al loro fianco.
Ed allora
Louis aveva avvisato Charlie, aveva
chiamato Bree ed aveva costretto Zayn a seguirlo. In un attimo si erano
ritrovati tutti lì, in piedi vicino al muretto che
costeggiava il marciapiede. Louis,
Zayn, Millie, Audrey, Harry, Liam, Bree, Niall e Charlie, erano tutti
lì.
Charlotte
giocava con una ciocca rosa dei suoi
capelli, lo sguardo basso e le spalle strette. Margaret le sarebbe
mancata.
L’aveva vista arrivare con una forza tale che avrebbe potuto
spazzare via
l’intero mondo, con quel sorriso sincero disegnato sulle
labbra e quei boccoli
biondo cenere che le cadevano ai volti del lato. Aveva inaspettatamente
trovato
in lei un’amica. Ma qualcosa non era andato per il verso
giusto. Charlotte
l’aveva vista sgretolarsi a poco a poco, fino a ridursi ad un
brandello di
cenere. Margaret si era allontanata all’improvviso,
chiudendosi a riccio, non
permettendo a nessuno di penetrare oltre quella dura corazza che si era
costruita attorno. Ed invidiava Louis, lo invidiava perché
lui era riuscito a
far breccia tra le mille difese di Margaret. Era riuscito a starle
accanto nel
momento del bisogno, mentre lei era rimasta in un angolino, ad
osservare
impotente delle immagini confuse della vita di Margaret da spettatrice,
da
estranea.
La porta di
casa Phillips si spalancò,
rivelando l’esile e slanciata figura di Margaret. Il suo viso
cupo parve
illuminarsi non appena notò la presenza dei suoi amici sulla
strada. Sorrise,
mordicchiandosi il labbro, forse imbarazzata. Aveva chiesto a Louis di
essere
riservato, ma si trovò a ringraziarlo mentalmente per non
averla ascoltata.
Aveva
già salutato sua madre ed un taxi la
attendeva pochi metri più avanti. Trascinò il
trolley e le due valigie fino a
raggiungere i ragazzi che automaticamente si chiusero in un semicerchio
attorno
a lei.
Margaret
sorrise nel vedere le mani di Harry e
Audrey intrecciate.
“Ma
allora è proprio vero che volevi partire
senza salutarci?”, scherzò Charlotte.
Margaret
abbassò il capo, colpevole. Avrebbe
tanto voluto parlare con Charlie di quello che le stava succedendo,
eppure non
lo aveva fatto.
“Io…”,
iniziò con tono di scuse, ma la bionda
intervenne prima che potesse continuare.
“Tranquilla,
ti capiamo, davvero”, la
rincuorò.
E Charlotte la
comprendeva per davvero.
Margaret
sospirò pesantemente.
“Andrà
tutto bene, tu sei troppo forte per non
farcela”, provò allora Harry sorridendole.
Quel genere di
circostanze lo metteva a
disagio. C’era davvero ben poco da dire in un momento come
quello, c’era
davvero ben poco che loro avrebbero potuto fare per alleviare le
sofferenze di
Margaret.
“Grazie
per il supporto”, la voce di Margaret
era incrinata dal tentativo di trattenere le lacrime. “Non
che ne sia convinta,
ma grazie lo stesso”, continuò per sdrammatizzare.
La tensione
era palpabile, tanto che persino
Zayn fu costretto a distogliere lo sguardo.
“Abbi
cura di te, Margaret”, la
raccomandazione di Louis era intrisa di parole non dette, di sentimenti
soffocati ancor prima che potessero sbocciare.
Margaret
annuì, sforzandosi di sorridere
ancora una volta.
“Allora
ciao”, salutò dopo istanti di
silenzio, alzando la mano destra a mezz’aria.
Margaret
doveva farsi forza, Margaret doveva
farcela.
Charlotte
fremeva, con il piede continuava a ticchettare
nervosamente sull’asfalto. Non avrebbe potuto lasciarla andar
via così. Ed in
un attimo avvolse le sue braccia attorno a quelle della ragazza,
stringendola
forte a sé.
“Qualsiasi
cosa accada, noi siamo qui”, le
sussurrò ad un orecchio. “Qualsiasi cosa ti serva,
non siamo qui”, aggiunse,
con la testa nascosta nell’incavo del collo
dell’amica.
“Grazie”,
Margaret balbettò, tra i singhiozzi
soffocati.
“Grazie
a tutti”, ripeté quando Charlie la
liberò dall’abbraccio.
Sorrise
un’ultima volta, prima di voltarsi in
direzione del taxi che ancora la attendeva. Doveva resistere, doveva
farlo solo
per altri pochi metri, poi si sarebbe lasciata andare ad un pianto
liberatorio.
Louis la
vedeva allontanarsi di spalle, con
passo certo. Non sapeva neppure quando l’avrebbe rivista. In
tutta sincerità,
Louis non sapeva neppure se l’avrebbe rivista. Ed ancor prima
di metabolizzare
i suoi pensieri, si ritrovò ad aver già deciso.
“Oh,
‘fanculo”, borbottò, prima che con uno
scatto raggiungesse Margaret e l’afferrasse per un polso,
costringendola a
voltarsi.
La bionda
riconobbe istintivamente gli occhi
color cielo di Louis, ma non ebbe il tempo neppure di comprendere cosa
stesse
succedendo, che sentì le labbra del ragazzo sulle sue.
Sorrise, mentre lasciava
che Louis approfondisse quel bacio, assaporando ogni più
piccola parte della
sua bocca. Non doveva essere così il loro primo bacio, non
doveva avere il
retrogusto amaro dell’addio.
Louis la
osservò, cercando di carpire ogni
dettaglio del viso della ragazza. Avrebbe voluto ricordarla
così in eterno.
“Fai
buon viaggio”, mormorò, sforzandosi per
evitare che le parole gli morissero in gola.
Margaret
sorrise appena, poi si voltò e questa
volta per sempre.
In silenzio,
senza concedersi neppure un
ultimo sguardo di saluto, salì nell’auto e
lasciò che l’uomo caricasse i
bagagli nel cofano.
Il rombo del
motore che veniva acceso fece
sussultare Bree, costringendola a stringersi meglio al braccio di Liam.
Harry
rafforzò la stretta della mano attorno a
quella di Audrey, mentre Millie si aggrappò impulsivamente
alla spalla di Zayn.
Niall
circondò la vita della sua ragazza con
un braccio, avvicinandola a lui, ma gli occhi di Charlie erano fissi
sul volto
perso e vuoto di Louis.
L’auto
gialla correva lungo la strada, tanto
che in pochi attimi fu al di là della loro visuale, ma loro
erano ancora lì,
fermi, immobili, quasi attendessero qualcosa, un segno. Quasi quel
silenzio
potesse colmare quel vuoto che Margaret aveva lasciato alle sue spalle,
ma
tutto ciò che fece fu scavare delle voragini ancora
più profonde in quegli
animi feriti, deboli e stanchi.
Margaret era
partita e Charlie non poté fare a
meno di chiedersi quale parte di Louis avesse portato via con
sé.
Angolo Autrice
Salve a tutti! Insomma, per questo penultimo capitolo ci è voluto un po'.
Era già pronto da giorni, ma non ho davvero avuto un attimo libero per pubbliaarlo.
Comunque, per il prossimo, che sarà l'ultimo, spero di non farvi aspettare molto... al massimo sabato prossimo!;)
Anyway, nel capitolo succedono parecchie cosette: Bree e Liam, Audrey ed Harry, Jamal e Zayn finalmente parlano!
E Margaret, purtroppo, va via, ma senza passare inosservata!!
Bene, volevo brevemente ringraziare chi segue, ricroda, preferisce e legge!
Allla prossima!:*