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Autore: Astrea_    21/09/2014    0 recensioni
[Dal primo capitolo]
Sapevano che erano esattamente come tante piccole mine vaganti, senza passato né futuro, anime che si affannavano per sopravvivere, che si sbracciavano per rimanere a galla nell’oceano increspato della vita. Si sforzavano di cercare contatti, di trovare stabilità, amore ed affetto. Fingevano di comprendersi, di esserci l’uno per l’altro, di essere uniti, ma in realtà sapevano di essere terribilmente soli. Non erano un gruppo, ma solo l’unione di individualità problematiche, di adolescenti troppo presi ad affrontare le difficoltà del piccolo mondo nel quale si rinchiudevano. Erano fragili, talmente tanto che sarebbe bastata una sola folata di vento per raderli al suolo, ridurli a brandelli. Erano forti, tanto forti da mascherare le loro più grandi paure, l’incolmabile vuoto che sentivano nei loro petti e nelle loro menti.
STORIA ISPIRATA ALLA SERIE TELEVISIVA "SKINS".
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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CHARLOTTE

La radio passava una canzone anni novanta che né Liam, né Bree parevano conoscere. Il castano teneva lo sguardo fisso sulla strada, mentre con le mani stringeva con fin troppo vigore il volante. I suoi muscoli erano leggermente tesi, segno di quella strana sensazione che padroneggiava nell'abitacolo.
"Sicura che tua madre non si arrabbierà per l'auto?", domandò allora, a voler rompere il silenzio che si era creato nell'esatto momento in cui aveva messo in moto la vettura.
Bree fece spallucce, sistemandosi meglio sul sedile del passeggero.
"Non se ne accorgerà neppure", spiegò con un filo di voce, voltando il viso in direzione del finestrino. "Nel peggiore dei casi darà di matto e si riempirà di farmaci", borbottò poi, pentendosi immediatamente di ciò che aveva appena detto.
Non voleva che quella piccola rivelazione potesse in qualche modo influenzare il comportamento di Liam. Avrebbe odiato la sola eventualità che lui provasse commiserazione o pena nei suoi confronti.
Liam deglutì sommessamente. Aveva perfettamente capito ciò che Bree si era lasciata sfuggire, ma aveva accuratamente ignorato quelle parole, consapevole che non erano ancora pronti per affrontare un discorso di tale portata. Sarebbe stato come far crollare ogni barriera tra di loro, come riuscire a vedere finalmente oltre le apparenze, scorgersi nudi davanti a quel mare inspiegabile di emozioni ancora troppo confuse e contrastanti. Avrebbe significato fidarsi e Liam non era sicuro di essere la persona adatta a quel genere di confidenza. Non era Bree il problema, non era lei l'anello debole tra loro due. Nonostante le apparenze, era Liam colui che più si sentiva in difficoltà in quel genere di situazioni.

“Hai pensato a dove potremmo andare?”, questa volta fu Bree ad interrompere quella nuova ventata di silenzio che si era abbattuta all’interno dell’abitacolo.
Non riusciva a sopportare il silenzio, non quello di Liam perlomeno. Voleva sapere cosa gli passasse per la mente, voleva che lui la rendesse partecipe dei suoi dubbi, delle incertezze, delle paure, delle gioie, dei successi, di tutto. Ma era perfettamente cosciente di quanto ipocrita fosse quella tacita richiesta, fatta proprio da colei che ancora non riusciva a parlare apertamente dell’ambiguo rapporto che la legava alla madre. Non poteva pretendere nulla dal castano, se neppure lei riusciva a superare quell’ultimo, seppur apparentemente insormontabile ostacolo.
“A dir il vero no, tu hai qualche idea?”, Liam arricciò il naso, mentre lanciava una veloce occhiata a Bree.
E quelle parole risuonarono all’orecchio di Bree come la più banale delle conversazioni. Non era questo ciò che lei voleva dal suo rapporto con Liam, non era l’ovvietà, l’imbarazzo e la mediocrità. Voleva un qualcosa di unico, quel qualcosa che sapeva perfettamente potesse nascere tra loro, se solo entrambi si fossero decisi a spazzar via quell’ultima maschera che ancora copriva i loro volti. Bree voleva finalmente vederlo, voleva osservare Liam per ciò che realmente era. Non avrebbero tenuto pregiudizi, scuse, luoghi comuni. Ci sarebbero stati solo loro, solo Liam e Bree e sarebbe stata la cosa più bella e speciale al mondo.
Doveva farlo, doveva rischiare. Perché Bree sapeva di non poter attendere che fosse Liam, perché Bree sapeva che, contro ogni aspettativa, era lei la più forte tra i due in quel momento.
Doveva farlo per lei, per Liam, per loro.
Prese un respiro a pieni polmoni, prima di puntare lo sguardo sul viso del castano.
“Puoi accostare?”, chiese gentilmente, seppur nella sua voce trapelasse con chiarezza dell’agitazione.
Liam arricciò la fronte, sorpreso da quella richiesta. Erano partiti da appena pochi minuti e Bree già gli chiedeva di fermarsi.
“Ti senti bene?”, domandò apprensivo, mentre si faceva sempre più di lato, fino a giungere sul ciglio della strada.
“Sì, cioè no, cioè sì”, la voce tremante di Bree non fece altro che preoccuparlo maggiormente.
Slacciò la cintura di sicurezza con un unico gesto, per poi voltarsi in direzione della rossa seduta al suo fianco.
“Ti manca l’aria? Devi vomitare? Hai la nausea?”, il tono ansimante di Liam la metteva ancora più a disagio.
Si mordicchiava nervosamente il labbro, con le mani giunte in grembo ed il capo basso.
“Mi piaci”, esordì tutto d’un fiato, puntando gli occhi verdi in quelli castani di Liam.
Il castano trasalì a quelle parole ed in un attimo tutto gli parve assumere un senso. Tirò un lungo sospiro di sollievo quando finalmente riuscì a metabolizzare il significato di quelle due sole parole che Bree gli aveva rivolto. Sentì tutta l’ansia che aveva provato in quei pochi istanti scaricarsi all’interno del suo corpo e allo stesso tempo percepì l’adrenalina percorrergli veloce tutta la spina dorsale, ancora incredulo.
“Cosa?”, farneticò con gli occhi spalancati e l’espressione sbigottita.
“Mi piaci”, ripeté Bree, questa volta con meno sicurezza della prima.
“Ed io che pensavo ti sentissi male!”, esultò allora Liam, mentre un sorriso rilassato si impadroniva delle sue sottili labbra.
Bree serrò la mascella, spiazzata da quella reazione. Non capiva se stesse cercando di ignorare quella sua dichiarazione o se semplicemente Liam non aveva compreso cosa quelle parole implicassero. In entrambi i casi, quella situazione la irritava.
“Potresti anche rispondermi”, gli fece notare allora, con la fronte aggrottata per il disappunto.
“Ah sì, certo”, disse soltanto, prima di lasciarsi scappare una risata gioiosa.
Se solo Bree non fosse stata così comprensiva e buona, era certa che in quel momento non si sarebbe risparmiata un bel pungo in faccia. Proprio non riusciva a comprendere il suo comportamento, non dopo quello che c’era stato tra di loro.
Stava per riaprir bocca, questa volta per puntualizzare l’inadeguatezza dell’atteggiamento di Liam, ma le parole le morirono in gola quando le labbra soffici del castano di posarono sulle sue, baciandola.
“Ehi”, la voce di Jamal rimbombò nella cucina di casa Malik.
A Zayn era sembrata molto più roca di quanto ricordasse. I lineamenti di quello che biologicamente era suo fratello parevano più duri, più marcati, come se il tempo li avesse accentuati.
Zayn non si preoccupò neppure di ricambiare il saluto, non era uno da convenevoli lui.
“Ho visto la tua ragazza l’altro giorno. È molto carina”, iniziò Jamal, nel patetico tentativo di intavolare una qualsiasi conversazione.
Zayn quel pomeriggio lo aveva lasciato entrare in casa. Non era stata di certo Millie a convincerlo, né le parole di conforto dei suoi genitori o gli sguardi spaesati delle sue sorelle.
Da quando Jamal era tornato a Londra, appena pochi giorni dopo la notte in cui Zayn era stato malamente picchiato, aveva preso l’irritante abitudine di passare tutti i giorni a trovarlo. Non aveva avuto il coraggio di tronare a casa, per il momento si era fatto ospitare da un suo amico, ma non aveva mai mancato un pomeriggio. Zayn puntualmente aveva chiesto ai suoi genitori di farlo andar via, dichiarandosi ogni volta ancora non pronto a parlare con lui. Ma quel giorno non c’era nessuno in casa ed era toccato a Zayn andare ad aprire la porta quando aveva sentito il campanello suonare. Non aveva neppure controllato dallo spioncino, così all’improvviso si era ritrovato l’immagine sorpresa di Jamal e i suoi occhi, così simili ai suoi, puntati addosso.
“Non è la mia ragazza”, finalmente si decise a dire, borbottando con fare scorbutico.
L’aveva lasciato avvicinarsi, certo, ma non sapeva se era pronto anche a perdonarlo. Aveva immaginato così tante volte quel momento. Aveva desiderato urlargli contro, gridare a pieni polmoni del rancore, della rabbia, del dolore che lui gli aveva procurato. Aveva persino immaginato di scagliargli un pugno all’altezza della bocca dello stomaco, giusto per sfogare tutta quella miriade di sensazioni che gli ribolliva nelle vene. Eppure, da quando Jamal aveva messo piede in casa, non aveva fatto altro che scrutarlo attentamente in ogni sua più piccola movenza.
“Beh, cosa aspetti allora?”, provò a scherzare Jamal, sfiorando la spalla di Zayn con la mano chiusa in un leggero pungo.
Il moro indietreggiò, venendo meno a quel tentativo di approccio di suo fratello.
“Cosa vuoi, Jamal?”, quelle parole fuoriuscirono dalla bocca del moro come un ringhio.
Era furioso, ma cercava comunque di darsi un contegno. Suo fratello era lì, a pochi metri da lui, che provava a fare conversazione come se fosse la cosa più naturale del mondo.
Jamal serrò i denti, a disagio.
“Voglio chiederti scusa”, ammise.
Il suo tono si era repentinamente fatto più profondo e serio.
“Mi pare tu l’abbia già fatto per messaggio”, controbatté fingendosi incurante.
“Non pensavo neanche li leggessi, i miei messaggi”, replicò allora Jamal con amarezza. “Senti, Zayn”, riprese, questa volta con più vigore. “Mi dispiace, se potessi tornare indietro, io…”, iniziò, ma il moro non gli tiene il tempo di terminare.
“Sai cosa, Jamal?”, inveì contro di lui, puntandogli per la prima volta il dito contro.
Jamal si zittì all’istante. Era nel torto, non poteva permettersi di contraddirlo in nessun modo e per di più attendeva da troppo tempo che Zayn gli parlasse, non importava se lo faceva solo per insultarlo.
“Sono stufo della gente che mi chiede scusa, della gente che è dispiaciuta, che si sente in colpa, che prova pietà!”, urlò.
Il sangue pompava forte nelle vene, la voce gli tremava per il nervosismo e un fastidioso groppo gli briciava in gola.
“Tutti non hanno esitato per neppure un istante a puntare il dito contro di me per mesi e sai quando hanno cambiato idea? Sai quando?”, il tono sarcastico ed adirato di Zayn costrinse Jamal ad abbassare il capo. “Quando ci ho quasi rimesso la pelle!”, sbraitò scagliando un pugnò contro la parete.
Zayn portò le mani tra i capelli scuri, poi si massaggiò con calma le tempie. Aveva bisogno di aria fresca, aveva bisogno di darsi una calmata.
“Quindi non me ne faccio un cazzo delle tue scuse ora, un cazzo!”, ringhiò con sguardo truce.
Jamal sussultò, incapace di ribattere. Suo fratello aveva perfettamente ragione, non avrebbe potuto obiettargli nulla.
“Ed ora, gentilmente, vattene a fanculo. L’hai già fatto una volta, nessuno ti impedisce di farlo una seconda”, concluse con un ghigno in volto, prima di sorpassarlo ed uscire di casa.
Audrey alzò il volto quando percepì il rumore di passi avvicinarsi. Aveva chiesto ad Harry di passare da lei, prima di incontrarsi con gli altri. Lo aveva aspettato per interminabili minuti seduta davanti all’ingresso della sua villa, immersa nelle sue riflessioni.
“Ehi, finalmente ce l’hai fatta”, ironizzò la ragazza, sorridendo appena all’indirizzo del riccio.
Harry ricambiò, poi prese poso accanto ad Audrey.
“Allora, dimmi tutto”, esordì con un’espressione serena.
Audrey tentennò per qualche istante. Aveva provato mille volte quel discorso nella sua mente, ma quando finalmente era giunto il momento di esternarlo, le parole erano sembrate bloccarsi sulle sue labbra. Gli occhi verdi e limpidi di Harry avevano lo stramaledetto potere di disarmarla, le fossette agli angoli delle sue labbra erano così tenere che Audrey avrebbe voluto toccarle con un dito. Eppure, per quanto lo desiderasse, non l’avrebbe mai fatto. Lei era la ragazza cinica, fredda, menefreghista e solitaria sulla quale Harry sembrava sortire un certo indesiderato effetto.
La verità è che dopo sua sorella, dopo Zayn, dopo la morte di quella ragazza, dopo che era venuta a conoscenza della triste realtà che il destino aveva in serbo per Margaret, Audrey aveva sentito il terreno sotto i suoi piedi tremare. Non voleva altri rimpianti, non altri.
“Ieri ho riascoltato l’intero ultimo album dei Radiohead”, raccontò giocherellando con le dita delle mani.
Harry corrugò la fronte, spiazzato. Si era precipitato a casa di Audrey non appena lei aveva chiuso la telefonata ed aveva temuto il peggio. Insomma, lo aveva quasi supplicato di raggiungerla quanto prima possibile ed Harry di certo non aveva neanche lontanamente immaginati che sarebbero finiti a parlare di musica.
“Tra qualche mese verranno i Muse in concerto”, proseguì. “Credo sarebbe carino andarci insieme, insomma, è uno dei pochi gruppi che piacciono ad entrambi”, propose allora, mordicchiandosi nervosamente il labbro.
Harry aveva il sopracciglio sinistro particolarmente incurvato, segno del fatto che non riuscisse affatto a seguire il discorso di Audrey.
“Certo, si può fare”, acconsentì scettico, sperando che quella fosse la cosa giusta da fare.
“Oppure potrei accompagnarti a vedere i Coldplay”, farneticò Audrey. “Io non ne sono affascinata, ma almeno avrei la scusa per trascinarti ad un concerto dei Three Days Grace”, vaneggiò con lo sguardo perso a mezz’aria, mentre con le mani aveva preso a gesticolare.
“Audrey”, la voce ferma e rassicurante di Harry la fece sussultare.
In un attimo le sue piccole mani furono raccolte da quelle più grandi e calde di Harry. I suoi occhi verdi si puntarono in quelli della ragazza. Era agitata, quasi tremava ed il riccio non riusciva a capire il motivo di tale turbamento.
“Che succede?”, le chiese e non fece neppure in tempo a scandire l’ultima parola che le labbra di Audrey si scontrarono con le sue.
Louis scese dall’auto insieme a Zayn. Aveva fatto l’impossibile per avvertire tutti. Margaret gli aveva fatto promettere di essere discreto e lui, in un certo qual modo, aveva mantenuto la parola data. Ma non poteva lasciarla andare, non nell’indifferenza più totale ed assoluta. Margaret meritava attenzione, meritava di essere salutata come un’amica, come quella persona che per mesi era stata al suo fianco, al loro fianco.
Ed allora Louis aveva avvisato Charlie, aveva chiamato Bree ed aveva costretto Zayn a seguirlo. In un attimo si erano ritrovati tutti lì, in piedi vicino al muretto che costeggiava il marciapiede. Louis, Zayn, Millie, Audrey, Harry, Liam, Bree, Niall e Charlie, erano tutti lì.
Charlotte giocava con una ciocca rosa dei suoi capelli, lo sguardo basso e le spalle strette. Margaret le sarebbe mancata. L’aveva vista arrivare con una forza tale che avrebbe potuto spazzare via l’intero mondo, con quel sorriso sincero disegnato sulle labbra e quei boccoli biondo cenere che le cadevano ai volti del lato. Aveva inaspettatamente trovato in lei un’amica. Ma qualcosa non era andato per il verso giusto. Charlotte l’aveva vista sgretolarsi a poco a poco, fino a ridursi ad un brandello di cenere. Margaret si era allontanata all’improvviso, chiudendosi a riccio, non permettendo a nessuno di penetrare oltre quella dura corazza che si era costruita attorno. Ed invidiava Louis, lo invidiava perché lui era riuscito a far breccia tra le mille difese di Margaret. Era riuscito a starle accanto nel momento del bisogno, mentre lei era rimasta in un angolino, ad osservare impotente delle immagini confuse della vita di Margaret da spettatrice, da estranea.
La porta di casa Phillips si spalancò, rivelando l’esile e slanciata figura di Margaret. Il suo viso cupo parve illuminarsi non appena notò la presenza dei suoi amici sulla strada. Sorrise, mordicchiandosi il labbro, forse imbarazzata. Aveva chiesto a Louis di essere riservato, ma si trovò a ringraziarlo mentalmente per non averla ascoltata.
Aveva già salutato sua madre ed un taxi la attendeva pochi metri più avanti. Trascinò il trolley e le due valigie fino a raggiungere i ragazzi che automaticamente si chiusero in un semicerchio attorno a lei.
Margaret sorrise nel vedere le mani di Harry e Audrey intrecciate.
“Ma allora è proprio vero che volevi partire senza salutarci?”, scherzò Charlotte.
Margaret abbassò il capo, colpevole. Avrebbe tanto voluto parlare con Charlie di quello che le stava succedendo, eppure non lo aveva fatto.
“Io…”, iniziò con tono di scuse, ma la bionda intervenne prima che potesse continuare.
“Tranquilla, ti capiamo, davvero”, la rincuorò.
E Charlotte la comprendeva per davvero.
Margaret sospirò pesantemente.
“Andrà tutto bene, tu sei troppo forte per non farcela”, provò allora Harry sorridendole.
Quel genere di circostanze lo metteva a disagio. C’era davvero ben poco da dire in un momento come quello, c’era davvero ben poco che loro avrebbero potuto fare per alleviare le sofferenze di Margaret.
“Grazie per il supporto”, la voce di Margaret era incrinata dal tentativo di trattenere le lacrime. “Non che ne sia convinta, ma grazie lo stesso”, continuò per sdrammatizzare.
La tensione era palpabile, tanto che persino Zayn fu costretto a distogliere lo sguardo.
“Abbi cura di te, Margaret”, la raccomandazione di Louis era intrisa di parole non dette, di sentimenti soffocati ancor prima che potessero sbocciare.
Margaret annuì, sforzandosi di sorridere ancora una volta.
“Allora ciao”, salutò dopo istanti di silenzio, alzando la mano destra a mezz’aria.
Margaret doveva farsi forza, Margaret doveva farcela.
Charlotte fremeva, con il piede continuava a ticchettare nervosamente sull’asfalto. Non avrebbe potuto lasciarla andar via così. Ed in un attimo avvolse le sue braccia attorno a quelle della ragazza, stringendola forte a sé.
“Qualsiasi cosa accada, noi siamo qui”, le sussurrò ad un orecchio. “Qualsiasi cosa ti serva, non siamo qui”, aggiunse, con la testa nascosta nell’incavo del collo dell’amica.
“Grazie”, Margaret balbettò, tra i singhiozzi soffocati.
“Grazie a tutti”, ripeté quando Charlie la liberò dall’abbraccio.
Sorrise un’ultima volta, prima di voltarsi in direzione del taxi che ancora la attendeva. Doveva resistere, doveva farlo solo per altri pochi metri, poi si sarebbe lasciata andare ad un pianto liberatorio.
Louis la vedeva allontanarsi di spalle, con passo certo. Non sapeva neppure quando l’avrebbe rivista. In tutta sincerità, Louis non sapeva neppure se l’avrebbe rivista. Ed ancor prima di metabolizzare i suoi pensieri, si ritrovò ad aver già deciso.
“Oh, ‘fanculo”, borbottò, prima che con uno scatto raggiungesse Margaret e l’afferrasse per un polso, costringendola a voltarsi.
La bionda riconobbe istintivamente gli occhi color cielo di Louis, ma non ebbe il tempo neppure di comprendere cosa stesse succedendo, che sentì le labbra del ragazzo sulle sue. Sorrise, mentre lasciava che Louis approfondisse quel bacio, assaporando ogni più piccola parte della sua bocca. Non doveva essere così il loro primo bacio, non doveva avere il retrogusto amaro dell’addio.
Louis la osservò, cercando di carpire ogni dettaglio del viso della ragazza. Avrebbe voluto ricordarla così in eterno.
“Fai buon viaggio”, mormorò, sforzandosi per evitare che le parole gli morissero in gola.
Margaret sorrise appena, poi si voltò e questa volta per sempre.
In silenzio, senza concedersi neppure un ultimo sguardo di saluto, salì nell’auto e lasciò che l’uomo caricasse i bagagli nel cofano.
Il rombo del motore che veniva acceso fece sussultare Bree, costringendola a stringersi meglio al braccio di Liam.
Harry rafforzò la stretta della mano attorno a quella di Audrey, mentre Millie si aggrappò impulsivamente alla spalla di Zayn.
Niall circondò la vita della sua ragazza con un braccio, avvicinandola a lui, ma gli occhi di Charlie erano fissi sul volto perso e vuoto di Louis.
L’auto gialla correva lungo la strada, tanto che in pochi attimi fu al di là della loro visuale, ma loro erano ancora lì, fermi, immobili, quasi attendessero qualcosa, un segno. Quasi quel silenzio potesse colmare quel vuoto che Margaret aveva lasciato alle sue spalle, ma tutto ciò che fece fu scavare delle voragini ancora più profonde in quegli animi feriti, deboli e stanchi.
Margaret era partita e Charlie non poté fare a meno di chiedersi quale parte di Louis avesse portato via con sé.

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Angolo Autrice
Salve a tutti! Insomma, per questo penultimo capitolo ci è voluto un po'.
Era già pronto da giorni, ma non ho davvero avuto un attimo libero per pubbliaarlo.
Comunque, per il prossimo, che sarà l'ultimo, spero di non farvi aspettare molto... al massimo sabato prossimo!;)
Anyway, nel capitolo succedono parecchie cosette: Bree e Liam, Audrey ed Harry, Jamal e Zayn finalmente parlano!
E Margaret, purtroppo, va via, ma senza passare inosservata!!
Bene, volevo brevemente ringraziare chi segue, ricroda, preferisce e legge!
Allla prossima!:*
                                                          A strea_


  
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