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Autore: rainagain    21/09/2014    5 recensioni
« Forse sei il mio ennesimo errore. Magari il primo, magari l'ultimo, magari il quattrocentoquattresimo, ma rimani comunque l'errore più bello della mia vita. »
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: George Shelley, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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"Dopotutto, le anime gemelle prima o poi si ritrovano."
Cecelia Ahern, Scrivimi ancora. 

 
Secondo l'antica convinzione di Plutone, all'alba del mondo, gli uomini erano esseri perfetti. Zeus, invidioso della loro magnificenza, decise così di dividerli a metà, destinando ogni essere umano alla costante e straziante ricerca della sua parte mancante: l'anima gemella. Rain, che aveva sentito per la prima volta quella storia dalla maestra, in quarta elementare, decise che fossero tutte fesserie create dalla mente di un uomo che si ostinava a credere nell'amore. Pertanto, continuava a fissare incredula la maestra, con quei piccoli codini sulla testa e quei suoi occhi da bambina, convinti che l'unico amore possibile fosse quello tra i principi e le principesse delle fiabe. Nonostante tutto, quella storia, rimase nella mente di Rain per molti anni a venire. Lei cambiava, cresceva, ma quella storia rimaneva sempre la stessa, così come i suoi pensieri a riguardo. George, dal canto suo, amava credere in quella leggenda. Per quanto assurda e poco credibile fosse, sperava davvero che, oltre quella siepe di foglie che circondava il suo giardino, ci fosse qualcuno legato al suo cuore da quel filo rosso scarlatto. A differenza degli altri bambini, George non collezionava figurine o passava il tempo a giocare a pallone al campetto della scuola. C'erano pomeriggi in cui prendeva la sua seggiolina blu e aspettava, mentre il tempo passava e le lancette dell'orologio scandivano ritmicamente i secondi. Aspettava quel qualcuno dall'altra parte, mentre guardava le stelle e si chiedeva chi potesse riempire quella metà che gli mancava. Prima, aveva pensato a Melanie Allen, quella bambina che gli regalava sempre i pennarelli colorati e che gli toccava i ricci, ma poi si disse che era troppo bassa per lui. Poi credette che fosse Alice Burton, che lo guardava sempre durante le lezioni di matematica, ma aveva gli occhiali e, a George, le bambine con gli occhiali non piacevano. Durante un giorno grigio, si disse che poteva essere Clare Davey, ma rimaneva sempre sotto la pioggia senza ombrello e a lui la pioggia metteva tristezza. In quinta elementare, l'ultimo giorno di scuola, Emily Finch lo abbracciò per salutarlo e pensò a lei tutto il giorno seguente, mentre la sua piccola testolina gli diceva che, magari, poteva essere lei. Ma Emily amava troppo i libri e, al ricciolino, non piacevano. Così, a dodici anni, decise di smettere di credere a quella storia, che ormai suonava così falsa. Ma George non sapeva che, quel filo, si stava piano piano riavvolgendo. 
La prima volta che quei due bambini si incontrarono, fu nello stesso posto che li vide scontrasi senza guardarsi per anni, separati da uno scaffale riempito di pagine. Quel luogo che faceva sì che quel filo si riavvolgesse e che quella metà si riempisse, senza che nessuno dei due ci facesse caso. Rain, che all'epoca si portava sulle spalle dodici anni di vita, usava rifugiarsi in un piccolo negozietto di Notting Hill, in quei giorni in cui andava a casa della nonna e lei le lasciava sempre qualche sterlina da conservare nel suo piccolo salvadanaio a forma di orsetto. Quel giorno, la ragazzina dai lunghi capelli castani perfettamente legati in una treccia, correva sotto la battente pioggia londinese, stringendo al petto le sue preziose venti sterline. 
« Sbrigati, che ti ammali! » le aveva gridato la madre, che la aspettava poco più indietro. Ma, dopotutto, sapeva che Rain non ci avrebbe mai messo solamente qualche minuto, piuttosto ore e ormai ci aveva fatto l'abitudine. 
"Arthur's" era il piccolo negozio al centro di Notting Hill, specializzato in videogames, fumetti e quant'altro vi fosse legato. George, accompagnato dal cuginetto Brad, passava spesso i suoi pomeriggi a provare i nuovi videogiochi che il padrone del posto - Arthur, appunto - metteva a disposizione dei bambini. Gironzolava per gli scaffali, controllava i nuovi fumetti, accarezzava i pupazzi dei suoi cartoni animati preferiti e provava quei buffi cappelli nell'ultima mensola, quella vicino alla cassa, scompigliandosi i folti ricci castani. Quel famoso pomeriggio, esattamente alle 15 e 22 minuti, George girò la testa verso la porta del negozio, senza nemmeno rendersene conto, quasi fosse tutta una manovra del bizzarro destino. Una bambina zuppa di pioggia stringeva al petto una busta bianca, mentre scuoteva la testa e si puliva i piedi sullo zerbino all'entrata, marchiato dalla scritta Welcome. George non sapeva chi fosse, almeno allora. La seguì, spiandola dagli scaffali. Rimase lì per parecchio tempo, scegliendo accuratamente due fumetti di Iron Man. All'improvviso, la vide correre via, perdendola tra il vento e la pioggia, mentre il filo iniziava nuovamente a srotolarsi e quelle due metà a separarsi. 

La prima volta che quei due ragazzini si parlarono, fu attraverso uno scaffale, senza che i loro occhi potessero sfiorare i delicati lineamenti dell'altro. Rain, che ormai collezionava ben quattordici candeline sulla torta, aveva abbandonato l'ordinata treccia che le ricadeva sulla schiena e le t-shirt dai mille colori diversi, così come quelle scarpe che toccavano ogni possibile sfumatura di rosa e fucsia. Ora amava tenere i capelli sciolti. Amava la sensazione del vento e della pioggia battente che li impregnava nei giorni grigi, quell'odore di fiori di camomilla che il suo shampoo abbandonava nell'aria e il poterli accarezzare in ogni momento. Era cambiata, Rain, in quegli anni. Aveva iniziato a scrivere, a vivere. Aveva trovato nella scrittura ciò che le mancava. Aveva trovato il suo mondo, il suo universo personale, nel quale sentirsi libera di volare. Lo stringeva sempre, quel vecchio quaderno di scuola nel quale prendevano vita le sue storie. Certo, quella passione per i fumetti, i cartoni animati e quei videogiochi che nessuno si era preso la briga di insegnarle e ai quali non aveva mai giocato, c'era sempre. Infondo, era la stessa bambina che amava correre sotto la pioggia battente. Quel giorno, Rain stringeva a se la solita busta bianca e correva verso Arthur's, con i folti capelli persi nel vento. Si spinse contro la porta e salutò Arthur, che leggeva svogliatamente un quotidiano locale, risistemandosi di tanto in tanto i folti baffi biondi. Dall'altra parte del negozio, George, che teneva stretto i suoi sedici anni, muoveva velocemente i pollici su una delle console-tester - come amava chiamarle Arthur - da più di due ore. Lui, a differenza di Rain, non era cambiato di una virgola. Esclusi i pantaloni neri sempre più stretti e i capelli ricci sempre più folti, insisteva a trascorrere la sua vita tra i pixel di quel mondo digitale. Non che la sua vita reale fosse così straordinaria, comunque. In quella fredda giornata di pioggia, che batteva incessante sulla tettoia appena fuori dal negozio, George sentì una voce dall'altra parte dello scaffale dei fumetti orientali. 

« Dove sei, maledetto! » erano le parole di una ragazzina. 
George tese l'orecchio. « So che sei qui! Lo so! » 
« C-che stai cercando? » 
Ci fu un breve attimo di silenzio, prima che la voce riprendesse a parlare. « L-l'ultimo numero di Souru Ītā. » 
« Ti piace quel fumetto? Alle ragazze di solito non piace. » 
« Allora le ragazze di solito non hanno buoni gusti. »

Quello scaffale continuava a separarli, eppure, George sentì una stretta al cuore. 

« E' sullo scaffale precedente. Seconda fila. » il riccio si lasciò sfuggire un sorriso, prima che si rendesse conto che il filo stava tornando a tirare e quella seconda metà a mancare ancora. 

La prima volta che quei due ragazzi si incontrarono davvero, fu sempre in un ennesimo giorno di pioggia, quasi potessero sfiorarsi con gli occhi solo in quei momenti carichi di malinconia. Forse il destino voleva solo che ritrovassero il sole. L'Arthur's compariva dalla nebbia, vuoto e buio come sempre. Il legno che circondava la vetrina appariva più marcio del solito, l'insegna sempre più scolorita e logora e gli scaffali di lamiera sempre più segnati dagli anni, quasi stesse crescendo e cambiando insieme a Rain, che sentiva il peso di quei sedici anni di vita. I capelli più corti, una frangia calata sulla fronte, i pantaloni più stretti, le camice più larghe e gli occhiali neri sul naso. La sua folta chioma le gocciolava sulla schiena, provocandole centinaia di brividi ogni secondo. Teneva il suo portatile al sicuro dalle gocce, sotto la camicia. Aveva avuto un'ennesimo dei suoi crash improvvisi, quel maledetto portatile, convincendola a chiedere l'aiuto di Arthur e delle sue conoscenze informatiche. Si buttò letteralmente sulla porta, tentando di ripararsi dalla pioggia battente ed incessante e si precipitò sul bancone, che ospitava un Arthur parecchio annoiato. 

« E' crushato! » gridava lei. « Un'altra volta! » 
« Rain, se tu la smettessi di schiacciare i tasti di questo povero portatile come un'ossessa quando giochi ai videogames forse, e dico forse, non imploderebbe su se stesso ogni giovedì mattina. »
« Non posso giocare ad Outlast rimanendo tranquillamente seduta sulla sedia, premendo i tasti delicatamente quando un maniaco bisessuale ti insegue dicendo "Saremmo bellissimi insieme!" » rettificò Rain. « E comunque è internet a crushare ogni volta quindi, ti prego, sistemalo. » 
Arthur alzò le mani. « Non guardare me! Chiedi a quel commesso laggiù. » 
Rain fissò l'uomo dai baffi biondi con aria circospetta. « Da quando hai un commesso, Arthie? » 
« Da due settimane » rispose lui. « E ora muoviti. Chiudiamo tra un'ora. » 

La ragazza riprese tra le mani il suo portatile che, nonostante avesse cercato di evitarlo, era rimasto colpito da qualche goccia di pioggia. Seguì le indicazioni di Arthur, oltrepassando lo scaffale dei fumetti orientali, inglesi e infine americani, per poi raggiungere svogliatamente la fine del negozio. Seduto su una delle sedie per bambini - per la cronaca, quelle alte si e no venti centimetri e dipinte da colori alquanto sgarcianti - c'era un ragazzo che, più che svolgere il suo lavoro, si ostinava a terminare l'ultimo livello di un videogioco che Rain, a causa della sua enorme esperienza, conosceva bene. 

« Ti manca la pagina appesa all'albero e attento. Quello stronzo senza faccia sbuca dal nulla e rischi di perdere dieci anni della tua vita. » 

George rimase basito. Nonostante la sua scarsa esperienza in fatto di donne, era fermamente convinto che quella fosse la voce di una ragazza. Mise in pausa il videogame, premendo il pulsante stand-by e si voltò. Carnagione chiara, capelli lunghi, castani e bagnati, una frangetta calata sugli occhi. Un paio di occhiali si adagiavano delicatamente sul suo naso e due gambe magre e slanciate facevano capolino da una camicia decisamente troppo larga per lei. Quella ragazza incarnava l'esatto contrario di quello che era convinto di trovare attraente in una donna, eppure non riusciva a staccare il suo sguardo da quegli occhi castani che trasparivano da sotto le lenti, quasi fossero una letale calamita. 
Rain guardava George e le sembrava di sentire l'anima tremare. E questo non è per usare una stupida metafora, ma era come se il suo cuore fosse l'epicentro di un terremoto che si stava espandendo sotto le sue ossa. E lei lo sentiva, percepiva ogni scossa. Quei capelli ricci così persi nel nulla, le labbra di quel rosso scarlatto, il beanie bordeaux, le guance rosee e delicate quanto il petalo di una rosa in primavera. Sarebbe rimasta ore incantata da quegli occhi castani, che riflettevano così tanto i suoi, se non si fosse accorta che anche il ragazzo era intento a fissarla profondamente. 

« C-come posso a-aiutarti? » 
« E' p-per il mio computer » disse lei, balbettando quasi quanto lui. « Non è che io sia qui per chiederti un appuntamento. » 
« Cosa? » 
« NIENTE. » poi riprese a parlare. « D-dicevo, il mio computer. I-internet non funziona e c-compare sempre 'error 404' accompagnato da una pagina bianca. » 

All'improvviso, quelle parole erano state lasciate volare via. Erano diventate di troppo, perchè i battiti dei loro cuori riempivano la stanza fino all'orlo, senza lasciare spazio a nient'altro. E, magari, quello fu il loro ennesimo errore o, magari, solo il quattrocentoquattresimo. 

La prima volta in cui George e Rain capirono davvero di amarsi, fu in un ennesimo giorno di pioggia, perchè ormai ero destinati a loro. Giorni grigi da riempire con il rosso dell'amore, dell'altra metà e di quel filo che era finalmente riuscito a riavvolgersi. Le gocce picchiettavano, scandendo tutti quei momenti che avevano trovato il modo di scorrere in quei due ennesimi tre anni passati, veloci quanto un treno in corsa. E non aspettatevi una di quelle scene da film, epiche e quasi irrealizzabili, nelle quali lui corre sotto la pioggia e la prende per i fianchi, facendola girare per poi baciarla, perchè l'amore di George e Rain era ed è tutt'ora costituito da baci rubati, frasi sussurrate e parole mai dette, respiri uniti, mani intrecciate nelle notti di tempesta. Un film sul divano, al sabato sera, di quelli di paura, accompagnati da Rain stretta tra le braccia di George. E, quella, era una di queste sere, creata dall'unione delle cose più semplici. La pioggia scorreva, la luce della televisione illuminava la stanza buia e il loro film preferito andava avanti eppure, per quei due, non esisteva che il viso dell'altro. I loro sguardi incatenati, i sorrisi che illuminavano i loro volti. George prese il viso di Rain tra le dita delicatamente, quasi fosse una rarità da trattare con cura, portando le labbra sulle sue. Poi riprese a guardarla, come se fosse la cosa più bella del mondo o, almeno, del suo mondo. 
« Forse sei il mio ennesimo errore. Magari il primo, magari l'ultimo, magari il quattrocentoquattresimo, ma rimani comunque l'errore più bello della mia vita. »

 
Spazio Autrice:
Okay, non ho pubblicato Polaroids, lo so, ma la scuola mi ha destabilizzato e spero di farmi perdonare! Non so bene come sia uscito tutto questo, so solo che avevo bisogno di scriverlo da tempo. Avevo bisogno di immaginare per non scoppiare, quindi ho deciso di scrivere. Sì, quella sono io, ma non solo le descrizioni, piuttosto il mio carattere, i miei pensieri e i miei sentimenti. Rain sono io, Io sono Rain. E spero che la appreziate, che mi appreziate, perchè ci ho messo l'anima e il cuore, letteralmente. E ringrazio tutte quelle ragazze che mi sostengono e che shippano i Gele. Mi fate vivere momenti che non vivrò mai, ma rendete vero quell'amore che sogno. Perciò, grazie. ♥
-Rain. 

 
 
   
 
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