Anime & Manga > I cinque samurai
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Autore: PerseoeAndromeda    21/09/2014    2 recensioni
Un pianto nella notte che Shu sente il bisogno di confortare. Un nakama bisognoso di condividere il suo peso con qualcuno.
"Dopotutto, l'acqua era anche questo: riflesso, liquido puro se circondato dalla bellezza, ma primo elemento a soffrire e morire se contaminato dal male.
Shu non riusciva neanche ad immaginare come si potesse sopportare una cosa del genere e non sapeva cosa dire."
[Fanfic partecipante alla challenge Prompt: A... sentimento, indetta da Lady Athena]
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Cye Mouri, Kento Rei Faun
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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CHALLENGE A... SENTIMENTO

PROMPT:

SAD - 2. PIANTO

 

- MIZU NO KOKORO -

(Il cuore dell'acqua)

 

Il gelo della notte si insinuò, subdolo, nel sonno di Shu .

Non si era addormentato tranquillo .

D'altronde, riuscire a mantenersi tranquilli, a dispetto della sua spavalderia, non era proprio possibile; si mostrava sbruffone, era incosciente, ma chissà se quei nakama che gli erano stati dati in sorte, si erano accorti che lui tremava, in battaglia?

Lui vedeva le loro paure... li vedeva tremare.

E non era così sempliciotto come, spesso, voleva mostrarsi. Anche lui doveva proteggere se stesso, in qualche modo, dalle proprie paure e vestire i panni del pagliaccio impavido era il mezzo migliore che avesse trovato, gli riusciva bene, in fondo.

Era tanta la tensione accumulata nei loro corpi e nei loro spiriti, che solo l'estrema stanchezza permetteva, quando scendeva la notte, di crollare in un sonno profondo, sotto le stelle, montando a turno la guardia, perché il rischio di venire attaccati da un momento all'altro era altissimo, soprattutto adesso che erano riusciti a riunirsi, mandando all'aria i primi piani di Arago.

Come si poteva dormire tranquilli, al pensiero che il momento decisivo era sempre più vicino?

Si sarebbero trovati a tu per tu con Arago molto presto e i loro momenti di riposo erano sempre più brevi; non era più sufficiente la stanchezza, i loro nervi saltavano ad ogni traccia di sogno che sembrasse troppo reale .

 

Quella notte, ad interrompere il riposo di Shu, fu il freddo.

L'estate non era lontana, e lui non era affatto freddoloso, ma un vento fin troppo fresco aveva oltrepassato il calore del sacco a pelo e anche quello dell'under gear, che nessuno di loro toglieva mai: dovevano essere pronti a tutto.

Perché, nonostante tutto questo, sentiva tanto freddo?

Sbattè le palpebre intorpidite e la tenebra, da cui si trovò circondato, lo fece sentire a disagio.

Provò a raggomitolarsi su se stesso, ma non servì a nulla; si tirò il sacco a pelo fin sopra le orecchie, nel vano tentativo di tenere fuori il fischio del vento. Era come un ululato di agonia e il suo intrecciarsi con le fronde degli alberi generava un chiacchiericcio spettrale alle orecchie del samurai di Kongo .

Si chiese perché tanta negatività, non era da lui. Lui amava le manifestazioni della natura, le sue voci. Lui scalava montagne, in condizioni ben più disagiate di quella.

"Possibile che abbia così tanta paura da percepire ogni cosa come una minaccia?" pensò, con un moto di nervosismo, adirato con se stesso.

Il suono del vento gli sembrò sempre più simile ad una voce umana e i suoi sensi si acutizzarono di colpo.

Un po' troppo umana.

Era come...

Un pianto.

Si sedette di scatto, spingendo la coperta via dal proprio corpo: improvvisamente, il freddo non sembrava più così importante.

Cercò di ascoltare con maggior attenzione e ne fu certo: il grido del vento portava con sé il lamento di un essere umano e qualcosa scattò nel cuore di Shu.

Forse, essere il fratello maggiore di una numerosa famiglia, aveva contribuito a sviluppare, in lui, un forte istinto di protezione, che lo portava a vegliare, con naturalezza, sulla sofferenza altrui.

Era un imperativo categorico, che si alzava acuto, dentro di lui, fin da quando era molto piccolo: non posso permettere che qualcuno soffra, in mia presenza. Se ci sono io, devo fare tutto ciò che è in mio potere, per impedirlo.

Subito pensò a Jun: forse era lui che piangeva, a causa di un incubo. Un bambino così piccolo era stato trascinato, insieme a loro, in quell'esperienza pazzesca, senza sapere se avrebbe ritrovato i suoi genitori ancora vivi.

Forzò i propri occhi nel buio; Jun e Nasty si erano addormentati a pochi passi da lui, nel medesimo sacco a pelo e fu abbastanza certo di riconoscere le loro sagome, delineate da un leggero raggio di luna.

Fece correre lo sguardo per il resto dell'accampamento improvvisato, sperando che la luna lo avrebbe aiutato anche in quell'esplorazione.

Tutto sembrava tranquillo, ma uno dei giacigli era vuoto: probabilmente, uno dei nakama che stava svolgendo il proprio turno di guardia.

Era troppo buio per riconoscere i ragazzi uno ad uno, così fece ricorso alla propria memoria, per ricordare come si erano disposti al momento di mettersi a dormire.

Touma e Seiji alla sua destra, Ryo e Shin di fronte a lui.

Ne dedusse che il sacco a pelo vuoto era quello di Shin.

Lo cercò, tra le ombre; si erano raccomandati di non allontanarsi gli uni dagli altri, durante i turni di guardia.

Non gli parve di scorgere alcuna traccia di essere umano seduta lì intorno.

"Quel testone incosciente" borbottò, scivolando fuori dal sacco a pelo.

Pensare che, di solito, erano lui e Ryo a venire apostrofati così, spesso proprio da Shin; eppure, Shu non accettava che uno dei suoi nakama si mettesse nei guai da solo... non senza di lui, quanto meno.

Soprattutto, non trovarlo lì, vicino a loro, generò, in lui, un senso di inquietudine profonda. Lui era un fratello maggiore in qualunque gruppo si trovasse, non importava che l'età anagrafica dicesse il contrario, lui doveva controllare che nessuno corresse rischi lontano da lui.

Poi, portato da un nuovo sbuffo di vento, riecco quel suono... quel pianto. Non avendolo più udito, si era covinto di averlo sognato.

Il cuore gli saltò in gola e l'urgenza di trovare Shin si fece pressante.

Si alzò. Non sapeva esattamente dove andare, la provenienza della voce era incerta, si smarriva nel vento.

Tuttavia, in qualche modo, le gambe cominciarono a condurlo in una direzione precisa e lui le assecondò.

Le gambe o ciò che, senza bisogno di consultarsi, avevano iniziato a chiamare il 'legame'?

C'era uno specchio d'acqua, poco distante e Shu sapeva che si stava avvicinando, sempre più, ad esso.

Scostò alcuni cespugli e lo vide.

La luna sembrò volerglielo mostrare, perché il suo raggio ne avvolgeva totalmente la figura e la modellava perfettamente, donandola agli occhi di chi volesse osservarla.

In realtà Shu, subito, pensò ad un miraggio, perché la particolare luce della notte di luna piena ammantava la visuale di irrealtà e la creatura che affiorava dall'acqua emanava un fascino che poco aveva di umano.

Cadde, per qualche istante, in una sorta di torpore, vittima di un incanto che non sapeva spiegarsi .

"Shin" riuscì infine a mormorare, in un soffio.

Il suo nakama, il samurai dell'acqua, era in piedi al centro del lago, ed era nudo.

Superato l'attimo di straniamento che la vista di tanta perfezione gli provocò, la vulnerabilità del possessore di Suiko lo fece arrabbiare.

"Pazzo incosciente" pensò, con una smorfia. "E se qualche Youja ti attaccasse, in un momento simile, mentre sei senza l'under gear?".

Senza l'under gear, né altro addosso...

Appariva davvero vulnerabile, senza difese come, forse, era la sua essenza: non era la prima volta che lo pensava, ma non aveva intenzione di sottovalutarlo, proprio no.

Era forte anzi, molto forte, perché, per compiere il destino che gli era stato imposto, combatteva contro la propria delicatezza, la metteva a tacere, anche se gli era impossibile nasconderla del tutto.

E, in momenti come quello, quando credeva di non essere visto, lasciava che la sua natura più autentica prendesse il sopravvento.

Shu deglutì.

Shin gli piaceva, gli piaceva proprio tanto e, anche se per lui era una sorpresa il modo in cui la propria sessualità, ancora acerba, si stava manifestando, non era il tipo che mentiva e se stesso.

Non l'avrebbe, tuttavia, mai confessato a Shin, né a nessun altro, non ancora per lo meno.

C'erano delle priorità e non poteva permettersi di distogliere se stesso, o uno dei nakama, dallo scopo primario.Non uno fragile come Shin, comunque; nulla doveva scombussolarlo, mettendo così ancora più a repentaglio la sua vita.

Shu non riusciva a distogliere il proprio sguardo da lui; Shin se la sarebbe presa, se si fosse accorto di lui? Si sarebbe sentito spiato?

Be, dopotutto, era quello che stava accadendo, non c'era ragione perché Shu non lo ammettesse a se stesso.

Ma cosa stava facendo Shin, immobile, in mezzo al lago?

Il suo viso era basso, i capelli mollemente appiccicati alle spalle e alla schiena: probabilmente aveva nuotato, ma, in quel punto, l'acqua era bassa e gli arrivava ai fianchi.

Dalla posizione in cui si trovava, Shu poteva osservare il suo profilo e si chiese da quanto tempo Shin fosse lì, immobile, a contemplare la superficie del lago.

Poi notò il tremito costante che attraversava tutte le membra e le spalle che sussultavano.

Dopo qualche istante, Shin sollevò le mani e, in esse, affondò il viso.

A quel punto, Shu si ricordò del pianto e si meravigliò di averlo dimenticato, fino a quel momento. Soprattutto si meravigliò di non aver tratto subito la conclusione più ovvia: il pianto l'aveva svegliato, Shin era l'unico essere umano presente nei dintorni che non stava dormendo.

Senza contare che, adesso, gli sembrava chiaro che la voce portata dal vento non potesse essere che la sua. Una voce particolare. Shu ne era rimasto colpito fin dal loro primo incontro. Era melodiosa e morbida, ma poteva diventare acuta. E poi era limpida, a tratti sembrava la voce di un bambino.

Ed era così simile al pianto di un bambino quel che, di nuovo, giungeva alle sue orecchie.

Le sue labbra si aprirono, senza tenere in conto la sua volontà:

"Oh... Shin".

Era troppo lontano perché un sussurro così flebile potesse essere udito, e poi c' era il vento, a coprire ogni rumore.

Eppure, il ragazzo in mezzo al lago ebbe un sussulto più violento di quelli generati dal pianto e sollevò il capo, per guardarsi intorno.

Shu si morse il labbro inferiore: possibile che il vento avesse portato a Shin il suo richiamo, proprio come a Shu aveva portato il pianto?

O aveva, grazie al legame, percepito la sua presenza?

Poco importava: dopo averlo sentito e visto piangere, d'altronde, gli sarebbe stato molto difficile rimanere indifferente.

Oltrepassò il cespuglio che lo nascondeva ed uscì allo scoperto, sguardo serio, camminando, lentamente, fino alla riva; solo lì si fermò.

Shin lo osservò, occhi grandi, le braccia che si intrecciarono sul petto, come a voler celare quella nudità svelata. O forse era solo freddo, pensò Shu; quella notte era davvero gelida a Shin era lì, senza riparo alcuno, bagnato fino alla punta estrema dei capelli.

"Questo ragazzo è strano" pensò Shu "davvero tanto, tanto strano".

Lo vide arrossire e distogliere lo sguardo.

E, di riflesso, anche Shu sentì un forte calore risalire lungo il suo corpo ed esplodere sulle guance. Che effetto assurdo gli faceva quel bizzarro bocchan del sud: Shu stava scoprendo parti di sè che non credeva esistessero.

Abbassò anche lui lo sguardo, ma poi lo udì.

"Shu...".

C'era ancora il pianto nella voce del nakama, anche se si sentiva che tentava di dominarlo.

Il viso di Kongo si risollevò immediatamente e la prima cosa che lo colpì furono i tremiti violenti che scuotevano l'altro ragazzo.

"Shin, stai congelando!".

Finalmente le sue corde vocali si erano sbloccate, ma il suo cuore ebbe un balzo strano quando, sulle labbra di Shin, si formò un sorriso.

Shu non aveva mai visto un sorriso simile, non avrebbe mai creduto che un sorriso fosse sufficiente a smuovergli tutto quello scombussolamento interiore: cuore in gola, sfarfallio nello stomaco, ginocchia molli, tanto che avrebbe desiderato piegarle.

"Aspettami qui!" esclamò e gli diede le spalle, per correre via velocemente.

Sapeva cosa voleva fare, ma, al tempo stesso, gli serviva una scusa per sfuggire alla confusione che si era impadronita di lui.

Ritornò al campo e, nel buio, a tentoni, rovistò nell'auto di Nasty, finché trovò quello che stava cercando.

Con l'asciugamano ripiegato sul braccio, ripercorse, all'inverso, la strada che l'avrebbe ricondotto al laghetto.

Si stupì di ritrovare Shin nella medesima posizione in cui lo aveva lasciato; guardava verso di lui, in attesa, con espressione curiosa.

Shu si senti di nuovo mancare e, questa volta, per commozione: era una piccola cosa, ma ebbe la sensazione che Shin gli avesse semplicemente obbedito, che avesse messo la propria fiducia nelle sue mani.

Forse si trattava di suggestione e quella di Shin era unicamente curiosità e sorpresa, eppure Kongo era sempre piuttosto certo quando aveva, dentro di sè, intuizioni così forti ed intense.

Fiducia...

In quell'istante, Shin gli apparve come la perfetta incarnazione della sua virtù, una virtù splendida, ma pericolosa, che poteva, facilmente, trasformarsi in un'arma a doppio taglio.

Shu fremette: improvvisamente ebbe paura per Shin e si fece insopportabile il bisogno di essere sempre al suo fianco.

Gli occhi di Suiko si posarono sull'asciugamano e si riempirono di luce, accendendo un nuovo sorriso:

"Sei andato a prenderlo per me? Grazie".

Qualcos'altro si accese sulla sua guancia: Shu riconobbe la scia furtiva di una lacrima.

Ingoiò un groppo nella gola e spiegò l'asciugamano davanti a sè.

"Vieni" lo invitò, serio, ma con dolcezza.

Shin mostrò la medesima arrendevolezza.

Si mosse e, un passo dopo l'altro, l'acqua che gli danzava intorno, svelò sempre più di sé, man mano che si avvicinava a riva.

Shu dovette inghiottire ancora, più e più volte e si sentì sollevato quando poté avvolgergli l'asciugamano intorno al corpo.

Shin prese i due lembi tra le dita e strinse a sé quella stoffa protettiva, lasciandosi sfuggire un sospiro di sollievo.

"Grazie, Shu".

"Ma non ti accorgevi che stavi morendo di freddo?".

Io sguardo di Shin si abbassò, era ancora rosso.

"Quando sono in acqua, non mi accorgo di nulla".

Shu avrebbe voluto ribattere, ma poi scosse la testa e sorrise:

"Asciugati e vieni a metterti al caldo sotto al sacco a pelo".

"Non ho ancora finito il mio turno di guardia".

"Ti sostituisco io, non ho più sonno".

"Neanche io ho sonno. Vorrei restare ancora un po' qui".

Quanta malinconia in quelle parole, lievemente sussurrate.

"Shin... dovremmo restare tutti vicini".

Gli rispose una risatina, a labbra chiuse, che non cancellò la malinconia.

"É strano sentire te che inviti qualcuno alla prudenza".

"È vero" rise a sua volta Shu. "Forse, le ultime esperienze mi hanno insegnato qualcosa”.

Shin sorrise, poi si voltò, volgendo il proprio sguardo al lago: di nuovo, Shu visualizzò solo il suo profilo e, così da vicino, la sua attenzione si focalizzò sulle stelle riflesse nell'occhio visibile, sulla delicata curva del naso, che finiva con una punta all'insù. C'era anche qualche pallida lentiggine sulla pelle dal colore delicato.

Allungò una mano, senza riflettere, e gli strofinò la schiena; Shin sussultò, ma non si ritrasse, né mutò la direzione del proprio sguardo. La sua sorpresa era tuttavia palpabile e Shu lo capiva: anche lui era sorpreso per ciò che stava facendo.

"Ti aiuto ad asciugarti" si senti dire, come da una dimensione lontana.

Anche l'altra sua mano salì ed entrambe presero a frizionare, gentilmente, ma con energia colma di calore, la pelle sotto l'asciugamano.

Suiko, per qualche istante, rimase fermo a guardare nel vuoto, poi, le sue mani ricaddero, lentamente, lungo i fianchi e, ancora una volta, nel suo inerme abbandono, Shu ebbe la sensazione di sentir vibrare, intorno a entrambi, l'aura della fiducia incondizionata.

Poi Shin sospirò e si accasciò, con naturalezza, contro il compagno, chiuse gli occhi e posò la testa sulla sua spalla .

Shu si irrigidì.

"Se fai così, come posso resisterti?" pensò.

Ma furono altre le parole che uscirono dalle sue labbra:

"Stai... stai bene?".

L'altro annui e, nel farlo, i suoi capelli solleticarono la spalla e il mento di Shu, generando in lui una sorta di ebbrezza, fin troppo simile a quella che lo prendeva quando, di nascosto dei familiari, provava a bere qualche alcoolico; anzi, a dirla tutta, era anche qualcosa di più di quello... più bello, più piacevole e appagante.

"Stai ancora tremando" sussurrò nel suo orecchio, ma la voce non risuonò affatto sicura.

"Anche tu, mi sembra".

Shu sgranò gli occhi, schiuse le labbra per rispondere, ma non fu in grado di formulare una risposta decente. Così, rassegnato, le richiuse: c'era poco da dire, Shin aveva ragione e, in quel momento, non aveva freddo. A dirla tutta, il suo organismo era anzi preda di un singolare incendio.

"Shu, senti".

A volte, quando Shin parlava, sembrava voler accarezzare.

"Dimmi".

Prima di rispondere, Suiko si nascose ancor più contro di lui, facendo battere, al cuore di Kongo, qualche colpetto doloroso... dolcemente doloroso.

"Ho bisogno di rimanere ancora un po' vicino all'acqua... ma tu... resteresti a farmi compagnia?".

E come negare qualcosa, quando ti veniva chiesta in quel modo?

"Ma.. ma certo".

Adesso si metteva pure a balbettare; non gli era mai capitato di intimidirsi così, con nessuno.

Forse perché nessuno, prima d'ora, l'aveva mai emozionato così.

Finalmente, con mosse leggere, Shin si staccò da lui, la qual cosa gli procurò uno strano guazzabuglio di sollievo e nostalgia; ma una mano del ragazzo continuò a sfiorare la sua spalla ed accompagnò il tocco con un'altra timida, delicata, richiesta:

"Ti siederesti con me, sulla riva del lago?".

Probabilmente, Shu, in quel momento, avrebbe esaudito qualunque preghiera di Shin: se il nakama gli avesse chiesto di tuffarsi e mettersi a nuotare nell'acqua gelida, lo avrebbe fatto. E Shu era tutt'altro che un buon nuotatore, soprattutto, poi, se l'acqua aveva la temperatura del ghiaccio.

"Sì che mi siedo con te. Non mi sentirei comunque tranquillo a lasciarti qui, da solo, è troppo lontano dal gruppo".

"Solo qualche minuto... poi ti prometto che torniamo indietro".

Non aggiunse altro e i suoi piedi nudi lo condussero a un passo dall'acqua; quando si sedette, tese in avanti le gambe, per immergersi fino alle caviglie.

All'inizio, Shu rimase fermo, in piedi, alle sue spalle e lo osservò: si vedeva che rabbrividiva ancora dal freddo, eppure non poteva rinunciare al contatto con l'acqua.

Quella simbiosi con il suo elemento lo colpì moltissimo: anche lui, ovviamente, si sentiva legato alla terra. Le rocce, la sabbia, le montagne, accendevano in lui un'energia palpabile, che lo faceva vibrare interiormente.

Tuttavia, tra Shin e l'acqua, c'era qualcosa che non riusciva a cogliere del tutto, ma che era certo di percepire: in qualche modo, Shin era l'acqua e, probabilmente, lo aveva capito, come l'acqua era mutevole e complesso e come l'acqua entrava in profondità, avvolgeva il corpo, ma anche il cuore e l'anima.

Quelle riflessioni furono sufficienti, a Shu, per capire che, di quelle catene liquide, lui era già caduto prigioniero e vittima: Shin gli era già scivolato dentro, con la facilità con la quale un assetato accoglie in sé il liquido puro e, anche di questo Shu si era quasi convinto, non sarebbe mai più riuscito, né avrebbe voluto, estirparlo dal proprio spirito.

Non si riconosceva nell'espressione seriosa con cui lo stava fissando, non era da lui.

Lui era giocoso, dispettoso, buffone.

Tuttavia, non era incapace di fare il serio quando gli accadeva qualcosa di importante. E quello che stava succedendo, in quel momento, dentro di lui, era sicuramente importante... forse quanto di più importante gli fosse mai accaduto.

Aveva ancora quell'espressione di gravità quando Shin sollevò il viso e si voltò a guardarlo. Lo reclinò su una spalla, visibilmente sorpreso e tornò ad arrossire.

''Shu... che cosa c'è? ''.

Shu si morse le labbra.

Quello sguardo...

Quell'innocenza...

Tutto quel Shin che veniva fuori, che si schiudeva così, per lui, in una notte di luna, per sconvolgerlo in maniera inattesa.

''Sei bello... e sei dolce, in un modo che mi fa andare in pezzi...''.

Quanto avrebbe voluto dirglielo, ma no... non poteva, non ora.

Forse...

Forse un giorno...

Dopo le battaglie.

Forse... allora sì... senza più preoccupazioni immediate.

Se fossero sopravvissuti.

A quel pensiero, il cuore gli si fermò.

Certo, rischiavano la vita. L'aveva sempre saputo, no?

Era possibile che, tra pochi giorni, anzi, tra poche ore, quel ragazzo bellissimo e dolce che aveva davanti, non sarebbe più appartenuto al mondo. Non avrebbe più guardato nessuno in quel modo, non si sarebbe più bagnato nella sua amata acqua, non avrebbe più sorriso... non avrebbe più pianto come faceva quando l'aveva udito, poco prima, nel vento.

E anche gli altri nakama, e lui stesso, forse, sarebbero stati uccisi, tutto finito...

Un legame come quello che avevano scoperto, tutti loro, come un miracolo, un fiore di ciliegio appena sbocciato...

Tutto destinato a finire, ancor prima di cominciare, di permettere loro di scoprire quanto avrebbe potuto essere splendida la loro amicizia.

Lo sapeva, certo, non era mai stato tanto sciocco da pensare che la loro missione li avrebbe lasciati illesi. Eppure, la consapevolezza lo colpì come una pugnalata, proprio quella notte, sotto quella luna che illuminava quel viso insopportabilmente bello.

Improvvisamente fu lui che ebbe voglia di piangere.

''Shu... non farlo... ti prego''.

Sobbalzò alla preghiera e alla mano di Shin, tesa verso di lui.

Era stato così trasparente?

Non se ne era reso conto.

''Vieni qui'' lo invitò gentilmente Shin, tendendo ancor più la propria mano.

A quel punto gli obbedì e, nel sedersi accanto a lui, accettò anche quella mano.

''Io sto bene, adesso''.

''Shin... ti ho sentito piangere. Il tuo pianto mi ha guidato qui''.

Il nakama abbassò lo sguardo, ma non parve contrariato.

"Lo avevo immaginato... mi dispiace...".

"No, non devi! Dispiace a me aver invaso, così, un tuo momento".

Lo sguardo ancora a terra, Shin sorrise e, l'amarezza di quel sorriso, non lo rese meno gradevole agli occhi di Kongo.

"Chissà, forse, un po' lo speravo che qualcuno mi sentisse".

"Sul... sul serio?".

Shin si strinse nelle spalle.

"Chissà... forse. A te non capita mai di desiderare qualcuno vicino?".

Che domande: lui era fatto per avere qualcuno vicino, lui amava la compagnia.

"Be', credo sia normale...".

"Intendevo... in momenti particolari; alcune volte, mi capita di sentirmi solo".

L'istinto di Shu fu quello di afferrarlo, stringerlo forte a sè e rassicurarlo, promettergli che, ora che si erano incontrati, non sarebbe mai più stato solo.

Invece rimase immobile, qualcosa lo bloccava. I pensieri malsani di poco prima, forse? La consapevolezza che il destino liavrebbe visti tutti soli, di fronte alla morte che li attendeva?

Rimasero qualche istante in silenzio, gli occhi di Shin rivolti al lago e quelli di Shu intensamente fissi sullo sguardo vago e perso del nakama.

La notte era silenziosa, se si escludevano gli innumerevoli, piccoli suoni che, insieme, costituivano il microuniverso del bosco; qualche guizzo fugace, sulla superficie dell'acqua, ricordava la presenza degli abitanti del lago.

"Vuoi sapere perché piangevo?".

Fu di nuovo Shin a spezzare il silenzio e Shu pensò che non l'aveva mai visto così loquace o, meglio, così propenso a parlare di sé.

Ma, in fondo, si conoscevano ancora così poco, anche se sembrava impossibile e per scambiarsi confidenze, di sicuro, non c'era stato molto tempo... e chissà se ce ne sarebbe mai più stato, dopo quella notte.

Shu strinse le labbra e i denti: lo infastidiva quella costante negatività che fiaccava il suo solito ottimismo.

"Io penso... sia intuibile. È normale, hai paura... é comprensibile".

Shin scosse due volte il capo e lo abbassò.

"Ho paura.. come tutti voi... né più, né meno... A volte perdo il controllo, ma... non è solo per quello...".

"Be'... io.. non...".

Cosa stava per dire Shu? Non lo sapeva nemmeno lui, aveva balbettato, a caso, le prime sillabe che gli erano salite alle labbra.

"Ho paura, ma voglio farlo, voglio essere qui e combattere, perché noi siamo la sola speranza che tutta questa bellezza che ci circonda ha per mantenersi integra, non pensi?" .

Così dicendo, Shin fece correre lo sguardo tutto intorno, come se, in una sola occhiata, volesse abbracciare l'intero universo.

Shu ingoiò la propria emozione. In quel momento, la convinzione di Shin si mostrava più salda della sua, ma cercò di lasciarsene contagiare, di assorbirla dentro di sé: per questo contemplò il suo viso con intensità ancora maggiore ed annui.

Shin annuì a propria volta, poi tornò a contemplare il lago e, sui suoi lineamenti, si ricompose una pacata malinconia.

"Alcune volte, però, le emozioni diventano troppe... e mi sento soffocare".

Shu credeva che si riferisse ad un'emotività troppo pronunciata, ma quando Shin proseguì, il discorso prese una piega più complessa.

"Prima ho visto che stavi per metterti a piangere; ti ho chiesto egoisticamente di non farlo perché, questa notte, il mio cuore è colmo fino all'orlo. Temevo sarebbe esploso".

Shu lo fissò a bocca aperta, senza capire cosa intendesse.

Il samurai dell'acqua raccolse le ginocchia al petto e se le abbracciò, posandovi sopra il mento.

"Io sento, sento molto. Mi succede da sempre. Quando ero piccolo, mi trovavo a ridere o a piangere, senza motivo. A volte, le emozioni erano troppe e troppo intense, impossibili da sopportare tutte insieme. Mi sembrava di impazzire e mi spaventavo a morte, ma siccome le mie reazioni facevano preoccupare la mia famiglia, cercavo di controllarmi, anche se non capivo cosa mi accadesse. Poi, man mano che crescevo, ho capito".

"Cosa... cosa hai capito?". Shu, invece, ancora non capiva.

"Che io sento... quello che c'è nel cuore degli altri".

Shu sbatté le palpebre.

"Intendi che sai leggere nel pensiero?".

Shin sorrise e scosse il capo, con dolcezza.

"No... solo a livello emotivo. Sento le emozioni, e le sento in maniera così forte da non saper più distinguere quali appartengano a me e quali agli altri. Non fa differenza, insomma. Diventano mie, a tutti gli effetti".

Siccome Shu continuava a guardarlo senza replicare, Shin ricambiò quello sguardo e allungò una mano, fino a posarla sul petto di Shu che sussultò, perplesso, credendo che anche lui sarebbe impazzito per l'emozione.

"Per esempio, in questo istante, io sento quello che provi. Non posso indovinare i tuoi esatti pensieri, ma so che sei confuso per quello che ti sto dicendo e mi dispiace. E sento chiaramente la tua paura, come quella degli altri, sono tutte dentro di me".

Fu improvvisamente chiaro: quella di Shin non era semplice empatia. Si trattava di qualcosa di più.

Lui non era semplicemente consapevole e coinvolto dalle emozioni altrui: le viveva, vibravano in lui, le assorbiva e diventavano parte di lui. Oltre alla propria paura, anche tutte le loro paure entravano in lui e gli appartenevano, senza distinzione.

Dopotutto, l'acqua era anche questo: riflesso, liquido puro se circondato dalla bellezza, ma primo elemento a soffrire e morire se contaminato dal male.

Shu non riusciva neanche ad immaginare come si potesse sopportare una cosa del genere e non sapeva cosa dire.

Era lusingato, perché Shin l'aveva messo a parte di un aspetto così importante di sé, certo, ma era anche in imbarazzo, perché non sapeva come reagire .

La mano sul suo cuore scivolò via e Shin si ritrasse di nuovo ad abbracciare se stesso. Shu si chiese se, quel modo di rannicchiarsi e rendersi piccolo, fosse un modo per autoproteggersi. Forse avrebbe preferito farsi piccolo nell'abbraccio di qualcuno, anzichè in se stesso.

Si sentì arrossire al pensiero che quel qualcuno avrebbe potuto essere lui e Shin gli rivolse una breve occhiata furtiva: un'altra emozione percepita?

Essere venuto a conoscenza di quella capacità innata di Shin, rischiava di metterlo ancora più a disagio.

Il guerriero dell'acqua si abbracciò con più forza e, d'un tratto, sembrò di nuovo triste.

"Mi dispiace, Shu. Sentivo il bisogno di dirlo a qualcuno, ma... non voglio che questo ti crei problemi".

Stava per negare, con decisione, ma Shin lo precedette ancora:

"Ci sono abituato, ho imparato a conviverci, anche se ci sono dei momenti in cui... diventa troppo e, allora, mi sento come... come se fossi sull'orlo della follia".

La sua voce dolce era bassa e sottile adesso e sembrava, di nuovo, prossimo al pianto. Era diventato così piccolo che Shu temette di vederlo scomparire da un momento all'altro: acqua che evapora, non più in grado di sostenere se stessa, creatura evanescente, incapace di resistere alla corruzione del mondo.

"Io sono felice che tu me ne abbia parlato!".

Lo disse di slancio, era il cuore che parlava, mosso dall'istinto di protezione che stava risalendo, tutto, in superficie. Non avrebbe potuto prendere su di sé quel dono che era, al contempo, una condanna per Shin, ma, almeno...

"Almeno potrò capire... ed essere insieme a te".

Fu Shin, questa volta, a sussultare, in preda al rossore.

Shu ora sapeva, era convinto di ciò che doveva fare; non avrebbe potuto proteggere Shin da tutto, non avrebbe potuto preservarlo dai pericoli, tuttavia, se Shin glielo avesse concesso, avrebbe potuto essere al suo fianco.

Si tese e, con le proprie, cercò le mani del nakama, per afferrarle.

"Forse... forse non avremo molto tempo, ma... se in questo poco tempo ti accadesse ancora, se ti sentissi male per questo, puoi venire da me, davvero, in qualunque momento!".

Shin sbatté le palpebre, poi il muto stupore si trasformò in un sorriso talmente intenso che le gambe di Shu ebbero uno strano fremito.

"Me lo prometti?" insisté, con enfasi, "Mi faresti felice se venissi da me; lo farai?".

Le mani di Shin, piccole e smarrite in quelle grandi di Shu, tremarono forte, ma il ragazzo annui, con una sorta di solennità.

Le dita di Shu si strinsero, più energiche, intorno a quelle del coetaneo e sorrise anche lui.

"Grazie" mormorò, tentando di trattenere le lacrime nei propri occhi.

Una piccola, delicata risata sfuggì alle labbra di Shin:

''Sei tu che ringrazi me?".

"Sì, perché mi permetti di starti vicino".

Il sorriso di Shin si fece ancor più umile, gli occhi si rivolsero a terra:

"Questa notte mi hai salvato".

Dentro l'animo e il cuore di Shu divampò un incendio.

Poco distante, un guizzo sulla superficie dell'acqua fece scintillare alcune gocce nel buio: forse uno degli amichetti acquatici di Shin era salito dal fondo, per curiosare cosa stava accadendo al suo protettore?

Quell'idea divertì Shu: si sentiva meglio. Anche Shin lo aveva salvato dalla cupezza che si era impadronita di lui.

"Io sono forte" pensò, "e c'è un motivo se lo sono: tutto ha uno scopo. Sono forte perché sono la giustizia, perché sono solido come la terra e la roccia, perché il mondo ha bisogno di giustizia e perché qualcuno ha bisogno della mia forza".

Quella persona speciale davanti a lui, in primo luogo, gli altri nakama, che dormivano in preda alla paura, ma che, fiduciosi, sapevano che avrebbero tutti vegliato gli uni sugli altri.

Erano tutti in grado di affrontare le proprie paure, perché erano samurai, ma, soprattutto, perché non le avrebbero affrontate da soli.

Mentre si alzavano restando, quasi inconsapevoli, con due dita allacciate, il cuore di Kongo venne sfiorato da un sussurro:

''Avremo tanto tempo, sai, Shu? Io lo so che ne avremo''.

Shu sorrise e anche lo specchio d'acqua, sotto la luna, sembrava ricambiare il sorriso e riflettere la voglia di vivere dell'universo.

 

   
 
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