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Autore: hapworth    22/09/2014    1 recensioni
C’è chi pensa siano racconti per bambini, per non farli avvicinare all’acqua durante la notte, ma altri, coloro che hanno scelto la via della purificazione, sanno che i mostri sono reali, che le sirene esistono e uccidono.
[Makoto/Haruka] ~ Quarta classificata al Let's sport [a sport anime/manga contest] indetto da Mad_Fool_Hatter
Genere: Mistero, Sovrannaturale, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Haruka Nanase, Makoto Tachibana
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Scritta per il Let’s sport [a sport anime/manga contest] indetto da Mad_Fool_Hatter.
E niente, mi andava di scrivere altra roba non troppo canonica sulla MakoHaru e visto che proprio il loro prompt faceva al caso mio, ho deciso molto carinamente di usarlo *^*
Mi sono divertita, anche se non vengono mai esattamente come me le immagino queste cose.
I personaggi non mi appartengono, ma li uso solo per fini poco tranquilli, maltrattandoli in modo allucinante.
Buona lettura!

By athenachan
Il pianto della sirena
 
Quando l’acqua è nera scappa. Il vento grida, portando con sé le urla di coloro che sono morti.
Esseri a metà, che rubano le anime.
     Se la vedi, non voltarti indietro: probabilmente non riusciresti neppure a vederla una seconda 
volta, prima di morire.
E la fine di tutto arriva, così come il suo inizio.

Sono le grida, quelle che nessuno ascolta, la verità che porta il mare.
La notte mente, con le sue stelle e la sua luna: non si riflette sull’acqua dell’oceano, eppure esiste. È quello, il primo segnale che dà la possibilità ai cacciatori di sentire la presenza di una sirena.
C’è chi pensa siano racconti per bambini, per non farli avvicinare all’acqua durante la notte, ma altri, coloro che hanno scelto la via della purificazione, sanno che i mostri sono reali, che le sirene esistono e uccidono. Ne sentono l’odore e il canto, che coprono quasi le grida di chi viene preso e portato via.

Makoto non era come gli altri cacciatori: lui non voleva uccidere le sirene; lui voleva capire che cosa vi fosse, dietro quel loro canto, che a lui sembrava tanto un grido di aiuto, piuttosto che un suono ammaliatore. Sapeva che avrebbe dovuto odiarle: gli avevano portato via suo nonno e poi suo padre – cacciatori anche loro – ma non riusciva a farlo. Era troppo buono, Tachibana, per odiare qualcosa o qualcuno, specie se non lo conosceva.
Nessuno aveva mai visto una sirena da vicino: si limitavano a lanciare arpioni, lance e oggetti lunghi e affilati per ucciderle, quando queste, alla notte, cercavano di richiamarli al mare.
Era la sua prima esperienza, la sua prima notte. Sapevano che, forse, neppure sarebbe tornato a casa… Eppure non voleva che tutto ciò risultasse inutile.
Così era andato sul ponte, quella notte, consapevole di ciò che avrebbe significato: era ancora troppo inesperto, per restare sottocoperta: gli uomini allerta, di certo non si sarebbero curati di lui, che vagava silenzioso, lungo il perimetro della nave fino ad arrivare vicino alla catena dell’ancora issata. E poi guardava giù, il mare scuro, nero come pece, dove non vi erano riflessi: arrivano, sembrava dire l’aria di immobilità.
Fu portato via, bastò un istante e un tonfo venne udito. Urla, di chi non si era accorto di niente, di chi cercava di capire chi fosse stato preso quella notte. Vittime al macello, qualcuno di perso, come ogni calar del sole e delle stelle.

Quando rinvenne, la prima cosa che vide fu il blu. Un intenso blu elettrico, che si spandeva di fronte ai suoi occhi, come se vi fosse l’intero mondo, al suo interno.
Si avvide solo qualche attimo più tardi, che erano occhi. Due occhi blu che lo fissavano, con le pupille dilatate e capelli neri ad incorniciare un viso; lo guardavano intensamente, come se non avessero mai visto ciò che gli si trovava di fronte. E a Makoto, per qualche istante, parve di essere immerso in un sogno.
Glielo suggeriva la spossatezza che provava, la testa pesante, il corpo atrofizzato e quella sensazione di soffocamento, lì, contro lo sterno, come se non avesse più fiato, nonostante sapesse che stava respirando. Provò a parlare, ma non emise alcun suono e, quando provò ad aprire la bocca di nuovo, il viso che gli stava di fronte arretrò di scatto.
Fu allora, che la vide: una lunga coda celeste, scaglie brillanti che rilucevano in quella semi-oscurità; un gioco di colori bellissimo, sembrava quasi di vedere l’arcobaleno risplendere sulle pareti di roccia.
Non riuscì ad emettere alcun suono, eppure, dai suoi occhi apparve solo meraviglia e interesse; sembrava essersi quasi dimenticato, di ciò che essa significasse, ma non era così. Pensò che, se stava per morire, allora andava bene: aveva visto una cosa bellissima, nonostante tutto.
La creatura si riavvicinò qualche attimo dopo, allungando le dita affusolate verso il suo viso, sfiorandolo delicatamente: ne vedeva il colore bluastro delle unghie, ma i polpastrelli non erano ruvidi, come aveva pensato in un primo momento, anzi, erano morbidi, tutt’altro che secchi sulla sua pelle infreddolita e bagnata.
Lo toccò su una guancia, scorrendone il profilo fino al mento e poi risalendo verso il naso, quasi volesse accertarsi della sua forma e poi, mentre sfiorava la camicia fradicia, abbassò lo sguardo, emettendo qualcosa di molto simile ad un sospiro, prima di tornare a fissarlo.
E fu allora, che Makoto ne vide gli occhi diventare specchi di vetro, due occhi di ghiaccio che cominciavano a lacrimare e quel canto, richiamo per gli uomini, rivelarsi per ciò che era davvero.
Piangeva, la sirena, piangeva e lo guardava con gli occhi ristretti, quasi come quelli di una belva pronta ad attaccare.
Poi fu solo sangue e morsi e pianti simili a canzoni.

 
Sul fondo del mare giacciono i cadaveri di coloro che sono morti, sono mezzi pesci e mezzi   
uomini, abomini condannati a uccidere ciò che amano.
  E le sirene piangono cantando, perché uccidono solo quando trovano la preda che li farà
morire.

 
Fine
   
 
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