Fanfic su artisti musicali > Justin Bieber
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Autore: ehikidrauhl    22/09/2014    0 recensioni
-Non ho una tattica sono davvero arrabbiata.- mi costava dirglielo. Mi morse la guancia e mi baciò per tante volte, quante? Non contai i baci, che sfaticata. -Mi devo arrabbiare più spesso.- lo punzecchiai per un pò. -Dai baciami.- accontentò la mia richiesta. Sembrava tutto così normale.
CONTINUO DI "what's gonna make you fall in love?".
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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-Sfortunatamente la tua intervista a Rita andrà sulla prossima edizione, ma non preoccuparti perché c'è comunque del lavoro per te. Devi scegliere le pubblicità più valide, e passare poi tutto a me, capito Aravis?- chiese Pat, mentre io sedevo davanti alla sua scrivania, cercando di far uscire quello stupidissimo starnuto, che mi premeva il cervello. Feci cenno di aspettare un attimo con la mano, lei fece una strana smorfia di approvazione, mi girai e riuscii a starnutire.
-Scusami.- lei sorrise -Comunque sì, ho capito. A chi devo chiedere? Liv? Sheila?-
-Solo, siediti vicino a Tammin e fatti dare la chiavetta, mettila nel tuo portatile e seleziona le migliori, poi le stampi e le mandi a me, oppure me le carichi su un'altra pen-drive.- niente di più facile. -Tutto apposto? Sei un po' pallida.- -Ancora un po' di jet lag, era da un paio di mesi che non viaggiavo, per due continenti diversi e sono stanca. In più ho il raffreddore quindi...meglio se vado a scegliere quelle foto. Scadenza?-
-Anche domani.-
-Ho tutto un pomeriggio, farò in modo di fartele avere prima.- lei annuì, io presi il mio MacBook Air e andai da Tammin, era una delle ragazze addette alla stampa, da lei c'era sempre una ciambella, o una tazza di cioccolata, anche se eravamo marzo e l'ambiente iniziava a riscaldarsi. La sua scrivania era ampia, e ci si poteva lavorare almeno in tre. Tutto era sempre perfettamente posizionato, posto per il suo computer poco più spostato a sinistra dal centro, il posto per una collega alla sua destra, davanti un recipiente con dei dolci (sempre diversi), un telefono fisso rosa cipria, con scritto sopra "You're H&M, I'm Chanel", le solite scartoffie accantonate sul lato destro, quasi al bordo, la tazza del caffé affianco al pc, e tante foto di famiglia intorno. -Ehi Tammin, Pat, mi ha detto delle pubblicità. Mi serve asilo politico.- senza distrarsi, spostò una sedia vicino a lei, misi il Mac sulla scrivania e presi la pen-drive. C'erano almeno duecento pubblicità. Dalla borsa presi gli occhiali e iniziai dividendo tutto per vestiti, profumi, scarpe, cosmetici. Ulteriormente per marche, creai un'altra cartella e misi le foto scartate. Mi risultarono alla fine trenta foto. Tre ore di duro lavoro, occhi stanchi e gonfi. -Tam, quante foto di pubblicità ci sono di solito sul giornale?-
-Esattamente quarantacinque.- dovevo solo aggiungerne quindici. Iniziai ancora e selezionai le ultime, un po' a caso, un po' secondo criterio. Portai tutto a Pat, che le guardò velocemente e approvò il duro lavoro. Erano ormai le otto. Non avevo la minima voglia di tornare a piedi nonostante non fosse lontanissimo, era buio e la mia macchina non esisteva ancora. 
-Sì, sto arrivando.- disse Justin al telefono. E nel giro di cinque minuti arrivò a salvarmi. -Ehi.- chiusi lo sportello e affondai nel sedile. -Che ci facevi qui tutta sola?-
-Sheila doveva darmi un passaggio, ma la figlia si è rotta la caviglia ed è andata via due ore prima, non ho una macchina, è buio, avevo paura a tornare a piedi, perché in America ci sono più stupratori che pellerossa.- sospirai mentre lui metteva in moto, la sua auto cromata.
-Aravis, potevi prendere la mia.-
-Io con una Ferrari?-
-Non sarebbe la prima volta.-
-L'ho guidata a diciotto anni solo perché mia sorella stava partorendo, senza di me.-
-Hai la patente, puoi guidarla.- avrei potuto, ma volevo la mia macchina, non la sua. E possibilmente una macchina per una donna, non una Ferrari. Magari una 500. O una Mini. Di certo non potevo andarmene in giro con una Ferrari bianca, o con un auto cromata fino ai finestrini. Ero talmente tanto distrutta che finii in pigiama dopo solo dieci minuti a casa, e subito dopo aver bevuto latte e guardato Adventure Time, iniziai a cercare il collirio. Quando lo trovai, chiesi a Justin di mettermelo. -Non sono sicuro esattamente di quello che sto per fare, se perdessi la vista, mi suiciderei.-
-Justin è collirio, devi mettere una goccia nell'occhio destro, una nel sinistro.- risposi aprendo la fialetta. -Vedi "uso esterno" questo non lo puoi bere in caso ti venga la diarrea. Ora prova a mettere due gocce nei miei piccoli e dolcissimi occhi.- l'ultima cosa che vidi prima del soffitto bianco fu, la mano di Justin, la fialetta e poi sentii il rumore di Justin che si grattava la testa. Quella folta capigliatura era rumorosissima avvolte.
-Penso di avercela fatta.- presi la maglietta e mi asciugai gli occhi, fortunatamente l'uso della vista, era ancora con me, e altrettanto fortunatamente Justin non bevette il collirio. Dopo due ore di uno stranissimo film, che ci fece venire voglia di sbatterci la testa al muro, tornammo in noi mangiando Yogurt e Coco-Pops. Era un giorno normale, uno dei soliti, ma il successivo fu leggermente differente. Con il nostro stipendio, e la nostra notorietà riuscimmo ad entrare a Hollywood per fare un giro, un po' turistico, un po' per non restare a casa a giocare a Just Dance. E dopo Hollywood, si passò alle macchine, per il secondo giorno ci ossessionammo con le macchine. -Devi dirmi quale vuoi.-
-Voglio una macchina piccola, non una Lamborghini, queste macchine costano un occhio della testa, non mi faccio comprare una Lamborghini!- risposi ridendo. Era pura verità, non volevo assolutamente una macchina così costosa, ne volevo una piccola, una per me al massimo me e le mie poche amiche. -Neanche un suv, mi va bene...- guardai dritta, ed in lontananza vidi una Land Rover, non mi sprecai neanche a leggere il modello, ma non era troppo grande, era media, era nera, somigliava ad un suv, ed era lucida, mi ci potevo riflettere sopra. Justin felice iniziò a correrci intorno dicendo "finalmente". Non capivo perché voleva comprarmi una macchina, o perché voleva a tutti i costi che io l'avessi. Aveva una guardia del corpo ogni dieci metri, gente che lo trasportava ovunque e io ero sempre con lui, dovevo avere una macchina solo per il lavoro? Forse sì, ma in caso per me era un piccolo spreco. Ma cosa non avrebbe fatto per me, quel piccolo uomo baffuto. Si sarebbe ostinato a comprarmela, e sicuramente l'avrebbe impacchettata, sarebbe riuscito a fare tutto quello che poteva per farla trovare familiare. Avrei dovuto combatterlo. Lui e Kiki nella mia macchina, proprio no, i cani nella Land Rover, non sarebbero entrati. Anche se Kiki era un optional a casa nostra. Però avere lui come ragazzo dalla parte superficiale del rapporto, era abbastanza conveniente. Di più quando ci metteva tutto se stesso, nel vederti sorridere con anche un bracciale di plastica. Quando tornammo a casa si dimostrò più felice del solito, e mi portò addirittura fuori a cena, da Mc Donald's ma eravamo fuori a cena. La nostra caratteristica nell'essere cresciuti insieme era, che i nostri "io" piccoli si trattenevano sempre in noi. Ricorderò per sempre, quando seduti sul divano di casa mia, ci dilettammo a guardare Doraemon, nel bel mezzo di una delle tante nevicate di Natale, solo dodicenni, ma ancora bambini. Mentre il cartone continuava, noi ci guardavamo teneramente e ci abbracciavamo come due piccoli fratellini, che fratellini non erano, e non volevano esserlo. Ci consideravamo migliori amici, ma eravamo di più. Se un migliore amico, cerca di baciarti giocando al gioco della bottiglia, sicuramente non vuole solo dei consigli, una spalla su cui piangere, vuole amore, e non in modo tanto amichevole. Nel mentre che gli mangiavo le patatine, lui mi fissava, aveva già finito tutto, io che mi accontentavo di poco, ero a metà del mio toast. Sì avevo preso l'happy meal, e c'era anche la sorpresa. Ero veramente una bambina dentro. Mi venne in mente una cosa stupida. Noi amanti dei tatuaggi. Non ne avevamo mai fatto uno insieme. Alzai lo sguardo, e lo vidi arricciandosi una ciocca di capelli, nell'indice, come faceva con i miei quando non erano al naturale, ma terribilmente piastrati, e come quando li lasciavo mossi, e lui cercava di creare il boccolo perfetto. -Justin...- tornò sulla terra, per un attimo, buttando il braccio sul tavolo. -Perché non facciamo un tatuaggio insieme?- i suoi occhi si illuminarono, più di quanto lo facessero mentre guardava la sua cabina armadio.
-E cosa vuoi tatuarti? Qualcosa come quel braccialetto di fiori?- lo avevo fatto, ed era la mia più grande conquista. Era molto hippie, ed era da spirito libero, come me. -Dobbiamo farlo abbinato.-
-Io mi faccio tatuare Lola Bunny, e tu Bugs.- mi guardò perplesso. Forse non si ricordava del grandissimo viaggio mentale, che avevamo fatto pochi giorni prima, guardando Bugs Bunny, e Lola, in un cartone. Lui la corteggiava tutto il tempo e lei ne era lusingata. Ma nella nostra versione, dove i personaggi eravamo noi, ovviamente con le loro sembianze, facevamo case di carote, e allestivamo i divani con marshmallows, guardavamo la tv ore e ore, e finivamo col sposarci in una chiesa fatta di carote. Era la cosa più stupida sulla quale avessimo mai fantasticato, ma fu talmente tanto divertente che quasi ci prendemmo gusto, ed iniziammo a farci viaggi su ogni cartone.
-Va bene.- disse ridendo -A patto che cambieremo la tappezzerie con tante carote.- a quel punto mi misi io a ridere, era la parte migliore del nostro viaggio mentale, la tappezzeria con le carote. -Vuoi andare ora?- chiese bevendo la mia Sprite. -Sono solo le otto e mezza, Dave, chiude alle undici.-
-Umh, se ha posto per noi, sì.- risposi.
-Ha sempre posto per noi.- dopo aver sistemato il tavolo dove avevamo mangiato, andammo da Dave, uno dei tanti tatuatori di Justin. -Ehi Dave.- disse Justin entrando.
-Ehii.- rispose lui, dandogli il cinque. -Ciao Aravis!- mi prese la mano e la baciò. Dave, il ragazzo che sembra sempre il duro della situazione, ma se si toglie il suo fantastico cappellino, torna ad essere il tenerone pelato, con il nome di sua figlia sul cuore. Feci un breve inchino. Le sue braccia erano ricoperte di tatuaggi, ne aveva ovunque, i suoi occhi azzurri come il mare, spuntavano tra il suo colorito olivastro, i suoi occhi, dello stesso colore degli occhi a forma di diamante, che aveva il teschio sul suo braccio. -Come posso aiutarvi?-
-La signorina vuole un tatuaggio d'effetto.- rispose Justin, lo guardai male. -Okay, ne vuole uno romantico. Cioè lei vuole Lola Bunny, e io Bugs.-
-Quelli dei cartoni?- da dietro il bancone spunto una testolina bionda.
-Papà, papà, ho finito il succo.- mi affacciai al bancone, c'era una bambina bellissima, si riconosceva lontano un miglio che era sua figlia, Denise, erano praticamente uguali.
-Ciao.- dissi.
-Tu chi sei?-
-Una cliente di tuo papà.- risposi. I suoi capelli biondi e lisci erano raccolti in due carinissime codette, i suoi occhi risplendevano ancora una volta, come quei diamanti, la sua pelle era esattamente come quella del padre, il nasino alla francese e l'aria da piccola artista, disegnava fiori e unicorni. -Che bei disegni, posso vederli?- lei annuì -Vuoi altro succo?- mi porse il bicchiere e io gliene versai un po'. Sfogliai i suoi disegni, forse un po' deformi, era solo una piccola bambina di quattro anni. -Ora piccola pittrice, devo andare, tu stai qui, okay?- annuì ancora una volta, mi diede un bacio sulla guancia. Io andai via, e lasciai la borsa lì, prendendo solo il telefono. Mi sedetti su una poltroncina, e scelsi la foto di Lola. Dave, proseguì con tutte quelle noiose procedure, poi iniziò a tatuarmi nel braccio, più su del polso. Stessa cosa fece per Justin. Forse era il tatuaggio più stupido mai fatto, ma aveva il suo significato. I piccoli Aravis e Justin che da soli si facevano maratone di Looney Tunes, e poi polizieschi, per sembrare grandi. Vent'anni non erano il limite d'età per vedere i cartoni. Anche se lo fossero stati, noi avremmo sicuramente infranto le regole. Bieber e Fletcher, erano una coppia cattiva, tanto da avere la collezione dei cartoni in garage.
  
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