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Autore: _juliet    23/09/2014    11 recensioni
{Venezia, agosto 2006}
Quando Margaret accetta di supervisionare il restauro di Ca' Dario, non sa ancora che il palazzo ha un inquilino indesiderato. E non si tratta di un fantasma.
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Terza classificata al contest "Left behind - Storie di Ruggine e di Abbandono", indetto da Ino;chan e -Tsunade- sul forum di EFP.
Seconda classificata al contest "Lontano da casa", indetto da 9dolina0 sul forum di EFP.
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Storia di una professoressa e di un gattaccio di strada


Arrivata alle Gallerie dell'Accademia, Margaret si fermò e sedette all'ombra. Aprì la borsetta e ne estrasse un ventaglio, con cui sperava di trovare scampo dall'aria umida della laguna. Vivere a Venezia le piaceva perché la maggior parte delle distanze si percorreva necessariamente a piedi, ma non riusciva più a reggere il clima come quando era giovane.
La donna sorrise, ripercorrendo in silenzio le tappe che l'avevano portata fino a sedersi su quella panchina: dopo essersi laureata con il massimo dei voti a Dublino, aveva deciso di realizzare il suo sogno: trasferirsi a Venezia, la città più bella del mondo. Aveva comprato un minuscolo e pittoresco appartamento nel sestiere di San Polo e, per più di un trentennio, aveva insegnato letteratura all'Università Ca' Foscari.
L'istruzione era stata la sua più grande soddisfazione ma, all'età di settantadue anni, il rettore aveva ritenuto preferibile mandarla in pensione. Margaret ne era stata felice, perché avrebbe avuto la possibilità di dedicarsi completamente ai suoi nipoti, gli ultimi suoi parenti ancora in vita; ironicamente, loro avevano scelto di trasferirsi lontano.
A disagio all'idea di riscoprirsi sola, la donna non si era voluta rassegnare al suo status di pensionata e, in virtù della trentennale esperienza di vita veneziana, si era messa a disposizione dei molti turisti facoltosi in cerca di un soggiorno culturale ne La Serenissima.
Fu così che, organizzando itinerari artistici nella città, conobbe il suo nuovo datore di lavoro: un multimiliardario straniero che desiderava acquistare una casa per le vacanze[*].
Nonostante i locali avessero tentato di dissuaderlo, si era innamorato della facciata asimmetrica e malinconica di Ca' Dario e, senza lasciarsi scoraggiare dalla sua fama di palazzo maledetto, aveva deciso di comprarla.
Poiché non aveva tempo di farlo di persona, aveva pregato Margaret di visitare l'edificio ogni settimana, per verificare il progresso dei lavori di restauro. Lei, felice di sentirsi nuovamente utile, aveva accettato.
La donna osservò la folla dalla sua panchina, giocando a indovinare chi fra loro fosse del posto. Era piuttosto facile: i veneziani avevano quasi sempre l'aria scocciata e camminavano in fretta, a testa bassa; i turisti, al contrario, procedevano lenti, osservando attentamente ogni cosa.
Dopo un lasso di tempo che le parve ragionevole, decise che era giunto il momento di alzarsi e affrontare l'ultimo tratto di strada che l'avrebbe condotta al palazzo.
Con un rauco sospiro, imboccò calle S. Agnese e continuò ad avanzare, riepilogando la lista di questioni di cui doveva occuparsi. La prima era sicuramente l'inquilino indesiderato.
Ogni volta che si recava a Ca' Dario, Margaret s'imbatteva in un gatto randagio, che aveva adibito l'edificio a sua personale dimora. Era il felino più brutto che avesse mai visto: aveva un solo occhio e una delle orecchie era lacerata; una zampa era ferita e ricoperta di croste e, al posto della coda, non aveva che un tozzo moncone. Forse il suo pelo era chiaro, ma era impossibile identificarne il colore sotto gli strati di sporco. Nella zona tutti preferivano tenerlo a distanza e, per abitudine, lo chiamavano Gattaccio.
Margaret aveva spesso tentato di cacciarlo, ma lui aveva sempre trovato il modo di rientrare e sembrava ricavare una grande soddisfazione dall'infastidirla: marchiava le antiche colonne e sporcava i pavimenti di marmo, vomitava nei corridoi, abbandonava gli avanzi dei suoi pasti lì dove era più facile che lei li calpestasse.
La donna aveva un animo gentile ed era un'amante degli animali, ma quella bestia era maliziosa e cattiva.
Chissà che schifezze le avrebbe fatto trovare nella splendida fontana interna! E sicuramente, mentre lei sarebbe stata occupata a pulire, lui sarebbe saltato fuori da qualche angolo buio e sporco, pronto a farla spaventare.
Fu con riluttanza che Margaret si costrinse ad entrare in Ca' Dario, passando dal retro.
Non si era mai lasciata suggestionare dalla presunta maledizione, ma doveva ammettere che l'odore di muffa e gli spazi vuoti conferivano all'edificio un'atmosfera spettrale. In ogni caso, era un luogo splendido: era disabitato da molto tempo, ma gli interni erano ancora meravigliosi e il restauro proseguiva bene; presto sarebbe tornato ad avere l'attenzione che meritava.
La donna percorse tutti i piani del palazzo, in lungo e in largo, aprendo le grandi finestre e controllando che tutto fosse al proprio posto. Stava per andarsene, quando si rese conto che non solo Gattaccio non si era fatto vivo, ma nulla all'interno dell'edificio faceva pensare che fosse stato lì di recente.
Meglio così, si disse Margaret. Un problema in meno.
Ma ormai conosceva tanto bene quel gatto pestifero che le riusciva difficile credere che non avesse lasciato neanche una palla di pelo da pulire.
Per sicurezza, decise di tornare a controllare minuziosamente tutte le stanze accessibili del palazzo. Non che fosse preoccupata per quell'animale, certo, ma era meglio accertarsi che non si stesse nascondendo da qualche parte.
Dopo un'altra mezz'ora, Margaret si convinse che non c'era nessun felino. Con un sospiro di soddisfazione, uscì all'esterno nel piccolo giardino di Ca' Dario, per rilassarsi un po' prima di tornare a casa.
Lo notò solo per caso. Era acciambellato fra gli arbusti, piccolo e ricoperto di sporcizia. All'ombra delle foglie non era facile individuarlo; probabilmente si trovava lì anche quando lei era arrivata. Margaret si avvicinò, incuriosita, perché non le era mai capitato di vederlo dormire.
Non era un'esperta, ma non impiegò molto a rendersi conto che qualcosa non andava: il corpicino si muoveva appena e il respiro era rauco, simile ad un rantolo. Guardandolo più attentamente, si rese conto che una zampa era squarciata da una profonda ferita ed era gonfia.
No, si disse Margaret, non poteva essere. Un gattaccio randagio come lui, così avvezzo alla vita di strada, così furbo da riuscire a superare gli ostacoli con cui cercava di impedirgli l'accesso al palazzo... Cosa poteva essergli successo?
Le narici di Gattaccio fremettero captando il suo odore, e lui aprì appena il suo unico occhio giallo, respirando affannosamente.
Quasi senza rendersene conto, Margaret lo prese fra le braccia e uscì dal giardino.
Ben presto, si rese conto di sudare e faticare, ma imboccò calle S. Cristoforo e non si fermò, perché doveva fare qualcosa, anche se non aveva idea di dove trovare un veterinario, anche se Gattaccio non si muoveva, anche se ciò che stava accadendo era estremamente banale.
Tentò di domandare a qualcuno, ma in quel momento i trent'anni vissuti a Venezia sembravano non aver giovato in alcun modo al suo italiano; i Veneziani la scambiavano per una turista e continuavano per la loro strada, gli stranieri vedevano solo una vecchia che farneticava.
Disorientata dalla propria inettitudine, Margaret rallentò fino a fermarsi, lasciando che il fiume in piena di sconosciuti le scorresse intorno.
All'improvviso e con chiarezza inquietante, vide se stessa attraverso i loro occhi: una donna anziana, indesiderata, smarrita in quella città che era il centro del mondo ma non era da nessuna parte. Una donna anziana con un gatto brutto e agonizzante fra le braccia, tanto incompetente da non riuscire neanche a portarlo da un veterinario.
Sentendosi perduta e minuscola, strinse più forte il corpicino tremante, accarezzando il pelo ispido e sporco.
Dopo pochi attimi, Gattaccio le spinse il muso contro la mano, e Margaret udì l'inconfondibile suono delle sue fusa. E pianse, perché si era resa conto che anche quell'animale desiderava solo un po' di affetto e considerazione e perché non era più così sicura che fosse cattivo.
«Signora, si sente bene?» chiese un passante. Il suo viso era indefinito tra la folla e le lacrime. «Quella cosa» continuò. «Cos'è? Un gatto?»
Margaret scosse la testa. «È il mio gatto» rispose. «Dove posso trovare un veterinario?»
L'uomo non lo sapeva, ma promise che avrebbe fatto un paio di telefonate e l'avrebbe accompagnata.
La donna lo udì brontolare e domandare in veneziano, ma non ascoltò. Avvolse Gattaccio nel suo scialle e accarezzò il suo pelo ispido, sussurrando moine e parole gentili, giurando di salvare quell'anima affine che si era riscoperta ad amare.


[*] Nel 2006 Ca' Dario è stata effettivamente acquistata da un multimiliardario straniero.

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NdA: Dedico questa storia ai randagi che, troppo spesso, vengono maltrattati. Nessun animale è cattivo e tutti si meritano un po' d'amore e di considerazione. 
Ringrazio Ino;chan e -Tsunade- per aver indetto il contest, dandomi la possibilità di scrivere questa storia. Mi rendo conto che, forse, non sarà ciò che si aspettavano, ma mi sono presa la libertà di interpretare il tema: Ca' Dario è presente ed è disabitata, ma l'abbandono reale è  quello che vivono sia Margaret che Gattaccio, ognuno in modi e per motivi diversi. Spero che vi piaccia <3 

  
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