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Autore: Palmipedon_92    24/09/2014    0 recensioni
Perché oggi non durerà in eterno. Esattamente come la tua morte.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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L'idea di tenere un diario non è stata poi così brillante come credevo od immaginavo. Scrivere su un taccuino bianco, in un anonimo bar di questa metropoli, non fa altro che mettere in risalto i miei difetti ed il mio animo malinconico. Non so mai come iniziare un discorso per un'intervista programmata da tempo, figuriamoci se riesco ad inventare su due piedi una frase ad effetto per dare il via ad una vuota riflessione sul tempo che passa. L'essere vuoto come lo scorrere del tempo, è il mio più grande limite e la mia più grande condanna. Forse, però, a pensarci meglio, questo mio personale percorso intrapreso per scoprire, o meglio riscoprire i miei limiti, è un bene. Mi riporta alla mia vera dimensione umana; l'essere un po' più "Yoshiki" ed un po' meno "Sama".
Calcando le scene per tutti questi anni, sono caduto, o decaduto, nella distinzione pirandelliana tra "Persona" e "Personaggio". Ciò che è forma e ciò che ha forma.
A questa riflessione un dubbio mi assale: cosa sono, io? Il vuoto involucro o la spenta anima?
Non so più neanche io a quale delle due categorie appartengo.
Yoshiki, perché stai facendo della bassa filosofia di pessima qualità? Goditi il caffè. E' lì, tra le sue note calde, che si nasconde il profumo della vita.
 
"Bugiardo! E' nel Bourbon!".
 
E' una strana giornata, qui, nella baia di Tokyo. La sera sta scendendo rapidamente, ed il cielo bianco amplifica ogni sensazione, qualunque essa sia. Il caffè è buono come sempre, ricco e carico di profumi lontani ed esotici; per qualche strana ragione sa di dolorosa spensieratezza. Seguo con lo sguardo la linea dell'orizzonte, cercando la pentola d'ora che si trova alla fine di quella sottile linea inesistente, così tenue da sembrare utopica. Lo so: la pentola d'oro, in teoria, si trova alla fine dell'arcobaleno, ma qui piove da troppo tempo ormai, e di quei colori pallidi e vivi non ce n'è traccia. Per questo motivo ho modificato la collocazione della pentola: per quanto possa essere distante, un giorno, forse, anche io riuscirò a raggiungerla. Una nota buona, però, così delicata e leggiadra come un arpeggio eseguito alla perfezione, c'è: la pioggia non si è diradata del tutto, ma ormai la sua intensità si è ridotta. Non è più un violento acquazzone monsonico, ma una leggera e costante pioggerellina autunnale. Quella che ti bagna sia che cammini che corri, e la sua umidità s'infiltra nella pelle, ti penetra la carne, corrodendoti le ossa e l'anima.
La gente passeggia come quel giorno di Natale e, nello stesso modo, anche la neve non c'è. Se chiudo gli occhi rivedo la tua espressione imbronciata di quando ti feci notare che quelli non erano i tanto sognati fiocchi bianchi.
 
"Usa l'immaginazione, per una volta! Sei noioso!".
 
Già, avevi proprio ragione: sono noioso. Sono così tedioso che non riesco a sentire questa condivisa gioia per i primi fiocchi di neve che iniziano a scendere, leggiadri. I ricordi coprono tutto, anche questa soffice coltre bianca. Non fanno più così male, ma lasciano una sensazione d'angoscia e paura così grande da togliere il fiato. Non riesco più a vedere il tuo volto. I tuoi occhi nocciola, però, mi scaldano ancora.
Mi abbandono e mi aggrappo ad un tempo passato, prima che tutto vada in fumo, anche questo mio fasullo autocontrollo.
 
Era un Natale freddo, ma il giorno si era presentato sereno. Il sole era luminoso come una singola candela nell'oscurità, come una tua risata spensierata in un giorno nero. Riscaldava tutti con i suoi pallidi raggi, in quel modo democratico che solo un astro celeste può applicare. Illuminava anche i tuoi occhi nocciola coperti e protetti da quelle ridicole lenti gialle che tanto odiavo.
 E' davvero buffo come la parola "ridicolo" ricorra spesso nei miei pensieri quando mi abbandono al passato. Quando mi abbandono a te.
Già, perché tu eri ridicolo ed esagerato.
Eri ridicolo anche quando alzavi la voce; con quei capelli fluo nessuno ti prendeva mai sul serio. Tranne me. Io l'ho sempre fatto. A volte anche troppo. Ti ho preso sul serio anche quella volta che mi sussurrasti che saresti rimasto al mio fianco, che non mi avresti abbandonato, che tenevi a noi. Che ingenuo.
 
"Sei troppo serio, Yoshi. Prova con il Bourbon: magari ti aiuta a distenderti un po'".
 
Neanche quello funzionò. Funziona e funzionerà.
Te l'avevo detto, ma tu non mi ascoltavi.
Eri circondato da troppe voci silenziose, urlanti nell'oscurità.
O forse, a pensarci meglio, facevi finta di non sentirmi? Di ascoltarmi?
Desidero davvero tanto saperlo.
Perché non tutti sanno, ma esiste una netta e precisa differenza tra "ascoltare" e "sentire". Gli inglesi lo sanno bene: Feel e Listen.
Sentire dentro, in fondo al cuore, una persona.
Ascoltare le sue parole, con le orecchie, una persona.
Io ti sentivo e ti sento... Giù, nel profondo, in un luogo ancora più intimo e nascosto del cuore: nell'anima. Ed anche questo è ridicolo.
Vedi come ricorre questa parola? Ridicolo, come me, come i miei sentimenti, come questa distruzione. Come questa Autodistruzione.
Tu non mi hai mai sentito. Tu mi hai sempre ascoltato. Ed a volte, neanche quello.
Come quella strana mattina di un Natale freddo, dove il giorno si era presentato sereno ed il sole era luminoso come una tua risata spensierata in un giorno nero. Il tuo sguardo era distratto, lontano: dal caffè che stavi sorseggiando pigramente; da me; dal mondo. Ma non dal tuo, di mondo. Io ti guardavo e restavo in silenzio, quel silenzio attento e vigile degno di Arpocrate, il dio bambino egizio, pronto a cogliere ed accogliere ogni tuo più piccolo cambiamento. Fissavi quell'acqua scura, profonda ed inaccessibile come la tua anima, mentre pensavi a chissà che cosa.
"Yoshi e se me ne andassi?".
Mi dissi, così all'improvviso, con quella leggerezza che ti apparteneva, come se fossi stato una piccolissima piuma trasportata dal vento del nord. Il caffè mi andò di traverso. Alzai lo sguardo, perplesso e spaventato.
"E dove vuoi andare?".
 "Via, consacrandomi alla Memoria".
 Mi sentì gelare il sangue nelle vene, ed insieme alla mia linfa vitale si congelarono anche le parole. Mi guardasti e scoppiasti in una risata, quella famosa risata lumino e spensierata che riscaldava i giorni più bui. Presi coraggio e mi sciolsi anche io in una risata tirata e ti diedi una leggera spinta. Non so neanche io perché lo feci, perché ti toccai in quel modo così dolce ed infantile; forse, lo feci, per assicurarmi che tu fossi ancora lì, con me. Che non dovevo prenderti sul serio. Perché avrei dovuto farlo? Eri così ridicolo con quei capelli fluo. Peccato, però, che il mio cuore aveva già annotato quelle parole, imprimendole a fuoco nella mia memoria, come serie, infischiandosi del colore dei tuoi capelli.
"Vedi di non sparare idiozie! Io cosa racconto ai fans?".
Ti chiesi. Ridesti ancora.
"Che razza di Leader sei se non riesci a tenere a bada quattro ragazzini urlanti?".
Il tuo era un ghigno divertito ed ironico. Continuasti.
"Comunque, mio caro Yoshiki, è semplice! Dirai che quando la neve sarà fuxia, io tornerò. Come quella!".
Indicasti un punto preciso. Ti guardai serio, anche se il mio sorriso non voleva che io fossi in quel modo.
"Prima di tutto, dove la trovo la neve fuxia? E seconda cosa, quella è grandine, non neve!".
Ti feci notare, ma tu, in quel momento non stavi ridendo. Eri di nuovo lontano dal mondo, lontano da me, ma non lontano da quelle silenziose voci urlanti nell'oscurità. Il tuo sguardo tornò poi su di me, la tua mano si posò sulla mia spalla, ed in quel momento capii che avevo sbagliato, come sempre, a credere alle tue promesse. In realtà no, non avevo sbagliato; le avevo solo invertite.
"Se la trovi, tornerò"
. "Ma è impossibile"
. La mia voce si spezzò.
"Tutto è possibile in questo strano e pazzo mondo, esattamente come tutto non è eterno, neanche la morte. Ora andiamo: ho fame!".
 
 Ed io, quel giorno, come ho fatto per interi anni, ti ho ascoltato oltre che sentirti.
 
La neve è caduta.
Io ti sento, nel profondo del mio cuore.
Il Rainbow Bridge riflette i suoi colori sulla coltre candida.
Io ti sento, nel profondo della mia anima.
Ora la neve è finalmente fuxia.
Io ti sento, nel profondo del mio spirito.
Sentivo che quel giorno eri serio, ed ho capito che non avevo sbagliato a crederti, mai.
Torna, amore mio.
 Ti sto aspettando.
 Perché oggi la neve è fuxia.
Perché oggi non durerà in eterno. Esattamente come la tua morte. 
   
 
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