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Autore: sof_chan    24/09/2014    2 recensioni
tratto dalla storia “Chissà come sarebbero stupiti i cinesi se sapessero che ciò che esportavano nel 2009 era l'invidia e la solitudine...”
Fanfiction partecipante al contest "Guerra, sesso, invidia e peccato" indetto da 9dolina0.
Pacchetto scelto: Invidia
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Sanji
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Quando si cucina bisogna usare gli ingredienti in ogni loro parte.

È come amare tutto in una donna.”


(Sanji riferendosi ai cuochi di Navarone)



La tristezza del Ramen


Il 2009 fu l'anno del Ramen.

Cucinavo ramen per vivere e vivevo per cucinare ramen.

Il vapore che, lesto, si alzava dalla pentola di alluminio era il mio orgoglio, la zuppa di carne e alghe che gorgogliava nella padella la mia speranza.


In un vecchio negozietto mi ero procurato una casseruola talmente grande da farci il bagno ad un koala e un timer da cucina, poi avevo fatto un giro dei supermercati specializzati in spezie e condimenti dai nomi più strani, riempiendo le mie dispense.

Avevo sperperato buona parte dei miei risparmi in qualsiasi tipo di ramen, e preparato ogni possibile tipo di salsa.

Particelle finissime di cipolla, miso, curry e altro ancora turbinavano nell'aria, e combinandosi in un tutto armonioso si insinuavano in ogni angolo e in ogni fessura del monolocale dove abitavo.

Permeavano il soffitto, il pavimento, le pareti, le care cravatte, i pacchetti mezzi vuoti di sigarette, i libri e le vecchie foto.

L'odore era quello di un antico villaggio rurale.


Questa è la storia della tristezza del Ramen, anno 2009 d.C.


Fondamentalmente, li cucinavo da solo, e da solo li mangiavo. Poteva capitare che qualcuno mi facesse compagnia, magari un collega di lavoro, ma io preferivo di gran lunga di no.

All'epoca pensavo che il ramen fosse un piatto nato per essere mangiato da soli. Non riesco tutt'ora a comprendere cosa c'era dietro questa mia idea.

Con il ramen bevevo del tè. Mi preparavo anche un'insalata, generalmente si trattava di una semplice ma abbondante insalata di cetrioli e radicchio. Dopodiché apparecchiavo con maestria e cura la tavola e mangiavo senza fretta, leggendo il giornale posato accanto a me o guardando le immagini mute sul mio piccolo televisore.

I giorni del ramen si susseguivano dalla domenica al sabato, e quando la settimana era finita, dalla domenica successiva iniziava un'altra interminabile e sospirata serie di giorni del ramen.

Ed ogni volta, davanti a quella ciotola fumante, avevo l'impressione che da un momento all'altro qualcuno avrebbe bussato alla porta e sarebbe entrato.

Forse questa sensazione nostalgica era inscindibile dal fatto che il ramen era uno dei piatti che lei adorava...

E che, beffardo il destino, anche lui amava!


Le persone che immaginavo stessero per arrivare erano ogni volta diverse. A volte si trattava di perfetti sconosciuti, altre volte di gente amica. Poteva essere quella ragazza dai capelli rossi, alta e snella, che avevo conosciuto al liceo, o quel buzzurro dormiglione che non dispensava mai complimenti ma che divorava i miei piatti con la stessa cupidigia di quell'ingordo del mio amico Rufy.

In realtà non si presentò mai nessuno.

Tutte quelle persone si limitavano ad aggirarsi al di là della soglia, puri e semplici frammenti della mia memoria, ma in conclusione non bussavano alla porta e finivano per andare via, chissà dove.

Estate, autunno, inverno, primavera.

Continuavo a cucinare ramen. Quasi come se la mia fosse una qualche forma di rivincita. Giorno dopo giorno, avvolto nel silenzio, lo facevo bollire come una donna abbandonata dal fidanzato che getta nella spazzatura l'anello di fidanzamento, simbolo di una promessa infranta.


Fumavo, lavoravo come cuoco nel rinomato ristorante All Blue di Tokyo, fumavo, cucinavo il ramen.

Davo all'ombra calpestata del tempo la forma di un grosso koala, la buttavo nell'acqua che bolliva nella pentola e ci aggiungevo il sale. Poi, in piedi davanti ai fornelli con lunghi bastoncini in mano, aspettavo senza allontanarmi di un passo che il timer facesse sentire il suo triste tintinnio.


Il ramen era estremamente furbo. Non mi potevo permettere di perderlo di vista un solo istante. Da un momento all'altro era capace di scivolare oltre il brodo della pentola e sparire nel buio della notte. Come la giungla tropicale aspetta in silenzio di inghiottire nell'eternità del tempo le farfalle colorate, così le notte attendeva col fiato sospeso l'arrivo del ramen.


Shoyu Ramen

Miso Ramen

Shio Ramen

Tonkotsu Ramen

Chashumen

Wonton Ramen


E poi c'era il triste ramen avanzato, senza nome. Tagliatelle infilate come capita nel frigorifero.

Nato in mezzo al vapore, il ramen scendeva come la corrente di un fiume lungo il pendio del 2009, finché non scomparve.

Ne piango la perdita.

Il ramen del 2009.



Quando squillò il telefono, alle sedici e quarantaquattro ero sdraiato sul tatami e guardavo il soffitto. I raggi del sole invernale formavano una pozza luminosa esattamente nel punto dove mi trovavo io.

Ero fermo in quella posizione da chissà quanto tempo, disteso come una falena morta, la mente vuota, nella luce di quel gennaio del 2009.

Inizialmente non capii che era il telefono. Sembrava piuttosto il frammento di un ricordo rimosso che si fosse intrufolato esitante tra le pieghe del tempo. Dopo molti squilli finalmente cominciai a riconoscerlo, finché non assunse le sembianze del suono del telefono al cento per cento.

Il suono del telefono al cento per cento in una dimensione reale al cento per cento.


Sempre sdraiato, protesi la mano e sollevai la cornetta.

Dall'altra parte del filo c'era una ragazza, una ragazza che mi faceva un'impressione talmente vivida ma effimera, così strana e surreale da poter evaporare da un momento all'altro, anche in piena giornata.

Era proprio lei...

La ragazza che avevo sempre amato.


I ricordi bussarono prepotentemente. Erano caldi come il vapore sprigionato dalle salse che ogni giorno preparavo per il mio ramen.



Il mio era stato amore, un amore profondo e viscerale da far male...


Lei era la mia vicina di casa, una piccola e graziosa bambina con le codine, talmente timida e indifesa da far sorridere.

Ed io, geneticamente programmato “Don Giovanni”, mi ero subito cucito addosso i panni di principe coraggioso e impavido, salvatore e difensore della mia principessa.

La mia “favola” non ebbe vita lunga, suo padre venne trasferito e lei dovette cambiare casa, cambiare città.

La rividi dopo tredici anni.

All'epoca mi ero iscritto all'università e fu proprio lì che il mio cuore ricominciò a battere come non mai.

In realtà, sono sempre stato un super donnaiolo, e all'epoca perdevo la testa circa tre volte al giorno.

Andavano bene tutte: bionde, more, alte, grasse, magre, brufolose o meno.

La donna andava celebrata, sempre e nonostante tutto!

Ma... Lei era semplicemente lei, il mio primo vero amore.

Passavamo gran tempo insieme, come una coppia fissa inconsapevole del legame profondo che l'unisce.

Non ha mai compreso appieno i miei sentimenti, ho pagato amaramente il mio atteggiamento tutto cuori e moine che generalizzava qualsiasi mio rapporto con l'altro sesso.

Ed io...Beh, non mi ero ancora dichiarato.


Quei due si erano incontrati grazie a me -benché non l'avessi fatto intenzionalmente.

Ho lasciato che il tempo e lo spazio prosciugassero avidamente tutti i miei progetti, e proprio quando ero fermamente convinto di prendere ciò che volevo, che in un certo senso mi “spettava”, mi ritrovai, sconfitto, con una manciata di mosche nelle mani.


Aprile 2007, 9.30 p.m.

Dovevo dichiararmi.

Dovevo dichiararmi davanti ad un bel piatto fumante di ramen.

Il ramen che lei adorava.

Perfetto, unico, emozionante se solo non ci fosse stato quel maledetto campanello e quella porta che, una volta aperta, aveva rivelato il mio caro migliore amico.

Bello, seducente, artista e genio ribelle con un unico vizio: il ramen cucinato da me!


Colpo di fulmine, colpa del ramen, non lo so...

L'unica cosa certa in quella triste e malinconica cena erano loro due che, mano nella mano, si allontanavano da me percorrendo una strada fatta di vapore squisito e onde calde formato tagliatella.

Era lì, vivida e concreta, proprio dentro la mia zuppa di gamberetti e sedano l'immagino di loro due che camminavano, lasciandomi irrimediabilmente indietro.


Cosa provai?

Rabbia, disperazione e una profonda invidia, destabilizzante direi.

Invidioso di lui, che mi stava strappando, proprio davanti al ramen, il mio unico amore.

Invidiosa di lei, che con un solo sguardo era riuscita a catturare l'amico fraterno portandomelo via.

Non riesco tutt'ora a decifrare l'invidia incommisurata che mi entrava dentro, scalfendo la mia anima, ad ogni nuovo boccone amaro di ramen.



-Scusa se ti disturbo, -mi disse, -finalmente sono riuscita ad entrare in contatto con te... Sono molto contenta, Sanji.

Seguii con gli occhi il filo del telefono. Era collegato, non c'era dubbio. Detti una risposta molto vaga, cercando di celare il senso di sorpresa non gradita. Nella voce di lei sentivo una certa angoscia, ma io volevo evitare qualsiasi contatto.

- Sanji... Non so perché o come sia stato possibile allontanarsi così tanto. Sai... Io e soprattutto Lui ti pensiamo ogni giorno. Non riusciamo proprio a capire perché tu sia andato via così, senza motivo, dalle nostre vite!

-Ma dai, su... È successo, non saprei darti un motivo, davvero! Mi sono semplicemente trasferito e nulla più! È passato semplicemente il tempo. - Dissi, con una voce che non mi sembrava neppure la mia.

Era vero che non li vedevo da anni, nonostante sapessi il loro indirizzo e il numero di telefono.

Non chiesi nemmeno come fossero riusciti loro ad avere il mio, sicuramente era colpa di quel nasone di Usop, ma non mi importava poi più di tanto. Volevo solo richiudere quella crepa che si era nuovamente aperta dentro me con quella semplice chiamata.

Lei stette zitta.

La cornetta del telefono era diventata fredda come il ghiaccio.

Poi ogni cosa intorno a me si trasformò in ghiaccio.

-Mi spiace, ma...

-Ascolta Sanji, lo so che è doloroso, che forse non mi puoi sopportare, - disse la ragazza di punto in bianco.

Cosa potevo risponderle?

-Mi spiace, -ripetei, -ma adesso ho il ramen sul fuoco.

-Cosa?

-Ho messo a bollire del ramen, - inventai. Chissà perché mi venne in mente questo pretesto. Però era una bugia che si adattava perfettamente al mio stato d'animo. In quel momento non mentivo del tutto.

Riempii d'acqua immaginaria le pentola, vi gettai dentro una manciata di ramen immaginari e regolai il timer a dieci minuti.

-Allora non posso lasciarli sul fuoco,se no scuociono.

La ragazza non rispose.

-Scusami, ma la cottura della pasta è una cosa delicata.

Ancora silenzio dall'altra parte del filo. Nella mia mano la temperatura della cornetta tornò sotto zero.

-Però puoi richiamarmi più tardi, se vuoi, -mentì spudoratamente.

-Perché hai il ramen sul fuoco? - chiese lei.

-Sì. Appunto.

-E li stai preparando per qualcuno, o hai intenzione di mangiarli da solo?

-Li mangio da solo.

La ragazza trattenne il fiato per lunghi secondi, poi fece un profondo respiro.

-Probabilmente ti risulterò insistente ma... Io e lui ci sposiamo il mese prossimo. Vorremmo tanto che tu venissi... Ci manchi molto.

Rimasi zitto un momento a pensare al mio piatto di ramen e a loro due mano nella mano, sempre più lontani.

-Sono desolato, ma...

-C'è anche un'altra cosa importantissima: la nostra bambina, Naoko, vorrebbe tanto conoscere lo zio Sanji!

-Ah! Una figlia... Congratulazioni ad entrami, per Naoko e per il matrimonio – risposi senza pensarci.

D'altronde, congratularsi vuol dire esprimere con garbo la propria invidia.

Ma invidia di cosa? Di lui, che aveva avuto tutto ciò che poteva essere mio, o di lei, che aveva rubato il mio amico?

-Scusami, ma...

-Ma devi occuparti del tuo ramen, vero?

-Già.

Lei fece una debole risata.

-Arrivederci, disse.- Spero di rivederti tra un mese. Salutami il tuo ottimo ramen. E buon appetito.

-Arrivederci, - risposi.

Quando riattaccai, la pozza di luce sul pavimento si era spostata di qualche centimetro. Di nuovo mi ci sdraiai sopra, e mi misi a guardare il soffitto.



Pensare al ramen che bolle in eterno, ma non è mai cotto, è molto triste.

Forse quella volta avrei dovuto dirle tutta la verità, adesso me ne pento un po'.

Ogni tanto mi chiedo che fine abbia fatto quella ragazza, di solito questo pensiero mi viene quando mangio del ramen.

Ma ho capito una cosa.

All'epoca non avevo voglia di riallacciare i vecchi rapporti.

Per questo continuavo a prepararmi il ramen da solo. In quella pentola che avrebbe potuto contenere un koala.


Tagliatelle di frumento cresciuto in Cina, servito con brodo di carne e/o pesce, spesso insaporito con salsa di soia o miso o con guarnizioni in cima come maiale affettato, alghe marine secche, cipolla verde e, a volte, mais

Chissà come sarebbero stupiti i cinesi se sapessero che ciò che esportavano nel 2009 era l'invidia e la solitudine...




Note dell autrice: Oddio, non può essere vero! Ho scritto una fanfiction su Sanji?!

Sembrerebbe proprio di si! ^^

È il mio primo esperimento, generalmente sono una Zo/Nami ma, grazie al contest “Guerra, sesso, invidia e peccato” di 9dolina0 (al quale partecipo proprio col suddetto lavoro) ho provato il brivido di mettermi nella testa di monociglio!

Spero sia uscita una storia carina, mi piace troppo il suo stato d'animo espresso chiaramente nel suo modo di cucinare il Ramen!

Ho volutamente evitato di dare nomi e sembianze alla sua Lei e al suo caro amico, lascio tutto alla vostra fantasia!

Solo un appunto: il Ramen è si un piatto tipico giapponese ma ha origini prettamente cinesi, ecco il motivo della parte conclusiva.

Fatemi sapere, eh!

Grazie a chi leggerà :)

Baci da sof_chan

   
 
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