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Autore: Aru_chan98    24/09/2014    1 recensioni
Quale prezzo si è disposti a pagare per diventare padre? Arthur è solo un giovane universitario che sogna di diventare padre in una società distopica in cui anche una cosa bella come un figlio è negata a chi non possiede un particolare DNA. Ma un incontro cambierà la sua vita e il suo destino per sempre.
Tratto dal testo:
"Adoravo le storie che tuo nonno raccontava sulla sua infanzia. Tutte quelle storie sul correre nei prati, giocare con gli animali e gli altri bambini. Per non parlare poi del poter avere una famiglia come e quando si voleva. Sarebbe stato bellissimo se tutto questo fosse durato fino ad oggi..." disse Francis, passando da un tono sognante ad uno che non tradiva una nota di amarezza. Ormai, nella loro società bisognava avere una dote speciale a livello genetico per avere una prole.
Genere: Science-fiction, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: America/Alfred F. Jones, Francia/Francis Bonnefoy, Giappone/Kiku Honda, Inghilterra/Arthur Kirkland
Note: AU | Avvertimenti: Gender Bender
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Dei bambini che ridevano, uccellini che cinguettavano e coppiette che si tenevano per mano con l’amore riflesso negli occhi. Arthur era in mezzo a loro, mano nella mano con una persona che non riusciva a riconoscere. Ridevano e scherzavano, finché non si sedettero su una panchina, vicino ad un grande albero che offriva un gradito riparo dal calore estivo. I due continuavano a parlare finché un piccolo silenzio scese fra loro e Arthur non si ritrovò che a pochi centimetri dalle labbra dello sconosciuto, ma un uccello fin troppo rumoroso lo distrasse e in un attimo tutto fu buio. Arthur riaprì gli occhi e il suo sguardo incontrò il soffitto del suo appartamento grigio chiaro. Identificò subito il rumore molesto come l’allarme della sveglia che suo nonno gli aveva lasciato: segnava le 7.30 del mattino del 18 Giugno 21xx. La spense subito e ritornò a sdraiarsi sul letto e fissare il soffitto coi suoi occhi smeraldo. Aveva il cuore che gli batteva forte, le guance in fiamme e un senso di delusione nello stomaco. Faceva quel sogno quasi ogni notte da quando aveva compiuto 23 anni, quasi due mesi prima. Ogni volta veniva interrotto in quel momento e ogni volta si svegliava col cuore in gola. Provò a ripensarci attentamente, cercando di soffermarsi su ogni possibile particolare della persona misteriosa, ma, come ogni volta, il sogno era già quasi sparito, rendendo ogni possibile riconoscimento della persona impossibile. Non sapeva nemmeno se era una ragazza o un ragazzo… Era sicuramente una ragazza, pensò Arthur, scuotendo la testa. Si mise a sedere e il contatto dei piedi col pavimento freddo lo fece rabbrividire leggermente. Ormai era la dodicesima volta consecutiva che faceva lo stesso identico sogno, o almeno, che finiva in quel modo. Non era lui quello bravo a capire i sogni, quello era suo nonno: durante la sua infanzia gli leggeva tanti libri fatti di carta (ormai esistevano solo gli olo-libri ma Arthur li odiava davvero tanto), ma ne aveva tanti altri, che trattavano di tante cose. I suoi preferiti erano quelli che parlavano dei sogni, mentre il nipotino era più interessato ai libri di storia, geografia, teatro e romanzi. Il nonno sapeva interpretare perfettamente ogni sogno, così Arthur glieli raccontava molto volentieri. Arthur adorava suo nonno, che era stato il suo unico familiare ancora in vita che l’avesse riconosciuto e che l’aveva amato come un figlio fino alla sua morte, avvenuta quando Arthur aveva appena 21 anni. Gli aveva lasciato la sua casa e una lettera, che Arthur non aveva mai aperto, poiché bloccato dalle ultime parole dell’uomo: “Arthur, ragazzo mio” gli aveva detto, quasi sussurrando “Oltre alla casa in cui abbiamo passato tanto tempo insieme ti lascio questa lettera. Promettimi che non l’aprirai per nessun motivo, a meno che non sia strettamente necessario per la salvezza di qualcuno a cui tieni più che a te stesso”. Il ragazzo aveva preso la lettera dalle mani del vecchio, mettendola via, con mani tremanti, per paura di bagnarla a causa delle lacrime che gli scendevano. Dei libri però non c’era traccia. “Se tu fossi qui sapresti sicuramente che cosa significa tutto questo grande casino che ho nella mia testa, grandpa” disse piano Arthur, guardando la foto del nonno che teneva vicino alla vecchia sveglia. Si vestì con calma, facendo attenzione che la divisa fosse tutta in ordine e poi si diresse in cucina per fare colazione. Bruciò leggermente la colazione e si preparò una tazza di the nero. Finì la colazione e poi, con la tazza ancora in mano, si avvicinò alle tende che coprivano la finestra della sua camera. La scostò leggermente e guardò fuori: il panorama mostrava una città con molti grattacieli e condomini, con un’adeguata quantità di verde e giardini pensili, che faceva da sfondo ad un cielo di un azzurro bellissimo. Gli uccelli però erano assenti in quel panorama surreale, così come dalle strade si sentivano provenire rumori di auto e pendolari, ma non risate di bambini. Finì di bere il suo the, prese il suo zaino e si affrettò ad uscire di casa, diretto verso l’università. Frequentava l’università da tre anni, sempre la facoltà di lingue, storia e geografia passate. Voleva diventare uno storico come suo nonno e la storia lo attirava più di qualsiasi altra materia. L’università si trovava nel quartiere a nord-est rispetto al centro della città, ove si ergevano gli edifici più importanti, come il palazzo del governo, gli uffici adibiti a varie mansioni della vita cittadina e il centro di fecondazione e approvazione della prole. Quest’ultimo era il più odiato di tutti sin dalla sua creazione, avvenuta quasi un secolo prima. A causa della sovrappopolazione del pianeta, gli stati mondiali si erano accordati su uno stretto controllo delle nascite. Avevano persino costretto gli animali in enormi riserve lontano dalle città e provocato una guerra che aveva distrutto tre delle cinque metropoli in cui si erano radunati gli umani. Arthur prese il primo tram che partiva dalla fermata a pochi passi da casa sua. Si mise seduto vicino al finestrino e, con la musica nelle orecchie, si mise a fissare il paesaggio urbano che scorreva tra stazione e stazione, ancora assorto nei pensieri di quel nuvoloso mattino. Si accorse in tempo di essere arrivato e senza dire una parola scese dal tram.

L’università distava qualche metro dalla fermata e il biondo impiegò solo 10 minuti a raggiungerla. Entrò nell’aula con 5 minuti di anticipo rispetto agli altri, si sedette al solito posto e posò lo zaino sul banco. Poco dopo la classe si popolò di altre persone e accanto a lui si sedette il suo migliore amico Francis. I ragazzi seguirono le lezioni, chiacchierando ogni tanto, finché, finalmente, non suonò la campanella della fine delle lezioni: quel giorno non avevano lezioni pomeridiane. “Allora Arthur, oggi torni subito a casa o ti va di uscire con me, mio cugino e un nostro amico?” gli chiese l’amico. “Grazie, ma penso che andrò a casa. Ho anche il part-time questo pomeriggio” gli rispose Arthur, rimettendo i suoi libri nel suo zaino. “Ho capito. Cerca di fare attenzione, prima di ritrovarti sommerso dalla merce del negozio in cui lavori eh” scherzo Francis, beccandosi un’occhiataccia. “Oh, shut your hell up, you frog. E comunque mi piace lavorare lì: da una sensazione di stare nel passato” rispose l’inglese. “A chi lo dici. Adoravo le storie che tuo nonno raccontava sulla sua infanzia. Tutte quelle storie sul correre nei prati, giocare con gli animali o con gli altri bambini. Per non parlare poi del poter avere una famiglia come e quando si voleva. Sarebbe stato bellissimo se tutto questo  fosse durato fino ad oggi …” disse Francis, passando da un tono sognante ad uno che non tradiva una nota di amarezza. Ormai, nella loro società bisognava avere una dote speciale a livello genetico per avere una prole. Oppure una grande quantità di soldi. “Le invidio davvero tanto le donne. Non importa che abbiano o meno una dote in particolare, sono libere da ogni vincolo. E se si trovano un compagno speciale ancora meglio per loro e il governo” disse Francis mentre guardava con occhi invidiosi le ragazze che passavano in corridoio. “Ho saputo di Jeanne. Mi dispiace davvero così tanto, old chap” disse Arthur, facendo abbassare lo sguardo al francese. Era molto legato alla sua compagna, Jeanne. Progettavano da una vita di avere una famiglia. Nonostante avessero appena 24 anni, riuscirono ad ottenere il permesso di generare una prole, ma non senza qualche difficoltà. Arthur ricordava ancora quanto gioiosamente l’amico scherzava col nascituro che stava crescendo nella sua amata. I due avevano pure concordato di far chiamare Arthur con l’appellativo di “zio” dal bambino. Però, quando venne il momento di dar alla luce il bambino, Jeanne non ce la fece. “Oh beh, non c’era niente che si potesse fare. L’unico rimpianto che ho è non essere stato in grado di darle la famiglia che voleva” disse con le lacrime agli occhi “Il nostro piccolo Matthew è nato sano, ma non me lo lasciano vedere per non so quale legge del cavolo”. “Sono certo che te lo lasceranno vedere presto” cercò di consolarlo l’inglese. “Beh, perché nel frattempo non provi anche tu? Fammi vedere la tua leggendaria fortuna, papi” disse Francis con un sorriso forzato. Tendette ad Arthur un modulo compilato di tutto punto. Il biondo lo prese e quando lo lesse i suoi occhi si riempirono di sorpresa: era un modulo per una richiesta di prole compilata a nome suo. Arthur rimase senza parole per quanto era forte la gratitudine verso l’amico: a causa degli studi e del lavoro non aveva mai avuto un attimo di respiro per andare a compilare tutte le scartoffie per ricevere uno di quei moduli. “De rien, mon ami. C’était un plaisir. Non dicevi che era da un po’ che volevi un bambino? Meglio se ci vai adesso, anche salti una volta il lavoro non penso che verrai licenziato” gli disse l’amico. Gli occhi di Arthur s’illuminarono con una gioia incredibile, abbracciò l’amico, ringraziandolo di cuore e si diresse più veloce che poteva in centro città.

Arrivò al centro prima che potè e si mise in attesa di arrivare al bancone della reception. Una volta lì, si ritrovò a dover aspettare ancora in una stanza diversa però, per essere chiamato da una persona più competente. In seguito venne fatto accomodare in una stanza, dove poco dopo arrivò un’infermiera. “Lei è il signor Kirkland, giusto?” il ragazzo rispose affermativamente. L’infermiera gli fece alcune domande. “Lei ha già una compagna?” gli chiese infine l’infermiera. “No, non ancora” gli rispose il ragazzo, con una nota di paura nella voce: sperò con tutto il cuore che non l’avrebbero trovato non idoneo per quel dettaglio. “Hmm, allora dovrà scegliere una portatrice. Per trovare quella più adatta deve darci un campione del suo DNA, così potremmo anche capire se potrà essere approvato per una prole” concluse la ragazza. Il ragazzo si sottopose a tutti gli esami che gli vennero richiesti, per poi essere riportato nella saletta bianca di prima. Attese per svariati minuti, più inquieto ogni minuto che passava. Finalmente, dopo un’interminabile ora, l’infermiera uscì dal laboratorio coi risultati. “Signore, mi spiace davvero tanto, ma lei non è idoneo per generare una prole di un qualsiasi tipo” Gli disse, porgendogli una cartella, probabilmente contenente i suoi esami. Arthur sentì il suo cuore finire in pezzi: non idoneo per generare una prole… Si sentì incredibilmente triste, prese la cartella, ringraziò l’infermiera per il tempo che gli aveva concesso e s’incamminò fuori dall’edificio. Fece pochi passi, incamminandosi per vie che passavano inosservate ai suoi occhi, tanto era stato forte lo shock. Ad un trattò sentì le gambe rischiare di non reggerlo più, così decise di sedersi su una piccola scalinata.  Aprì la cartella e ne lesse il contenuto: sotto una marea di dati più o meno complessi ne spiccava uno, ovvero l’analisi del suo quadro genetico. Era stato classificato come “normale cittadino senza attitudini o talenti/doti” e alla fine del documento un “Non idoneo per una prole” era scritto a lettere rosse”. Il ragazzo cominciò a piangere e quasi in contemporanea cominciò a piovere. Non gli importava di bagnarsi, tutte le sue speranze di non essere più solo o amato di nuovo erano sparite per sempre: non sarebbe mai potuto diventare padre.

Continuò a piangere per minuti interi, sotto la pioggia, che man mano diventava sempre più fitta. Arthur sentì un rumore di passi, ma non si mosse: non gli importava più nulla, voleva solo essere lasciato in pace per quel doloroso momento. Tutt'un tratto non sentì più la pioggia battere sulla sua testa: un ombrello celeste lo riparava dalla fredda pioggia scrosciante. Alzò gli occhi per vedere a chi apparteneva quell’ombrello e i suoi occhi smeraldo incontrarono quelli zaffiro di una giovane e bella donna. “Come mai stai piangendo?” gli chiese senza troppi complimenti. “Non… non sono affari tuoi” le rispose l’inglese. Non voleva essere assillato in generale, figurarsi in quell’occasione. Si accorse troppo tardi che la ragazza era riuscita a leggere la sua cartella, che aveva lasciato aperta. Lo sguardo della ragazza si fece più gentile e, tendendogli una mano per aiutarlo a rialzarsi, gli fece un sorriso che per un attimo alleviò il suo dolore, anche se di poco. Arthur afferrò la mano della ragazza, che aveva una presa inaspettatamente salda, e si rimise in piedi. “Comunque, come hai detto di chiamarti?” chiese la ragazza, con fare curioso. “Non l’ho detto infatti” si affrettò a dire il ragazzo “Sono Arthur Kirkland”. “Io sono Amelia Jones” ripose con vitalità la ragazza “Piacere di conoscerti. Dimmi Arthur, dove abiti? Posso accompagnarti a casa se vuoi” “Ah, no, non preoccuparti, posso farcela anche da solo” le rispose l’inglese, ma la ragazza non sembrava voler accettare delle lamentele. “Non fare complimenti, ho appena finito di lavorare e tu non hai un ombrello: se vai da qualche parte con questa pioggia ti prenderai un brutto raffreddore” replicò la bionda. Dopo qualche insistenza, Arthur si lasciò convincere da Amelia a farsi accompagnare a casa, senza sapersi decidere se considerare quella giornata come finita in una completa tragedia o se trovarvi un qualche lato positivo.

Piccolo Angolo dell'autrice:
Salve a tutti. Spero vivamente che questa Fanfiction sia ben fatta, anche perchè è la prima che pubblico. Ho tratto spunto da un sogno che ho fatto qualche giorno fa, quindi se alcuni punti non sono chiari questo ne è il motivo... Se qualcosa non va bene o qualcosa di simile non esitate a farmi sapere e spero vi sia piaciuta :)
   
 
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