Fanfic su artisti musicali > The Vamps
Ricorda la storia  |      
Autore: BlueWhatsername    25/09/2014    4 recensioni
" [...] Gli è piaciuto starla a guardare mentre prendeva appunti china sul suo block-notes, con quella ciocca troppo lunga di capelli scuri che le ricade sempre sul foglio, costringendola a portarsela indietro di riflesso, oltre la stecca degli occhiali dalla montatura verde che indossa sempre a lezione. Ha amato fare la stessa strada verso il cortile, osservandola da lontano mentre si sedeva sotto un albero ed apriva il suo pranzo e contemporaneamente un libro: la sicurezza che mostra in classe è stata replicata perfettamente da quel modo deciso di tenere la forchetta e sfogliare le pagine, senza staccare mai gli occhi dal foglio. Chissà quali erano le sue letture preferite, si era chiesto a quel tempo. "
****
Primo tentativo nel fandom! Spero riuscito :)
Genere: Fluff, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: James McVey, Nuovo personaggio
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
“ Although we’re many miles apart
but I still feel her
there never be another one like my Cecilia…
 
 

 
 
 
 
La palestra stava per chiudere. Altri pochi minuti e il solito custode avrebbe cominciato a fare il classico giretto per assicurarsi che nessuno avesse dimenticato niente negli spogliatoi o che qualcuno non si aggirasse ancora in mezzo agli attrezzi. Quella volta che aveva trovato due tredicenni addormentati sui tappetini era stato esilarante, ricordò mentre afferrava il borsone e spegneva la luce dello spogliatoio, visto che aveva lanciato un urlo da cavernicolo che era riuscito a sentire fin sotto la doccia, a dispetto del potente getto d’acqua bollente.
Percorse il corridoio, le suole delle scarpe da ginnastica che stridevano forzatamente contro il parquet immacolato e i capelli ancora mezzi bagnati spiaccicati sulla fronte che lasciavano scivolare qualche gocciolina sul suo viso. Ammiccò al ragazzo all’entrata che se ne stava dietro la solita scrivania a sistemare scartoffie e tirare i conti della giornata ed uscì, prendendo una generosa boccata di fresca arietta serale.
Quella palestra non era grandissima, né troppo affollata, e forse era per quello che lui l’aveva scelta così volentieri quando si era trovato di fronte al dilemma su che sport praticare – visto che sua madre era sembrata non voler demordere riguardo a quella questione spinosa. E quindi cosa c’era di meglio di qualche ora di palestra a settimana che lo avrebbe solo aiutato a rafforzare il suo già longilineo fisico?
James aveva vent’anni ed era abbastanza alto da poter tranquillamente essere scambiato per un ragazzo anche più grande; i mesi di palestra lo avevano aiutato a rafforzare la massa muscolare in crescita, permettendogli di metter su dei bicipiti evidenti ma non troppo marcati – ‘Saresti stucchevole’ aveva commentato sua cugina Mariah quando le aveva detto che si era iscritto in palestra. Mariah era la sua unica cugina e anche confidente, migliore amica e maggiore complice delle sue bravate, specie quando erano bambini e passavano i pomeriggi nella casetta sull’albero che il nonno Oliver aveva costruito loro.
E quando lui le aveva proposto di unirsi a lui in palestra, lei non aveva fatto altro che raccomandarsi affinché non diventasse un ‘bambolotto gonfiabile’, ammonendolo di non esagerare o il suo naturale fisico asciutto e longilineo si sarebbe perso appresso a chili e chili di inutili muscoli che sarebbero andati bene su un culturista, ma non sul suo adorato cugino Jamie.
Beh, per quello non c’era stato problema, visto i risultati ottenuti: tutti erano parsi soddisfatti dell’andamento degli esercizi, a partire da sua madre che aveva così insistentemente premuto perché facesse una qualche attività sportiva, fino alle ragazze che al college bisbigliavano concitate al suo passaggio nemmeno dovessero dirsi chissà cosa. Certo, finché Mariah – che lo aveva seguito fin lì, solo per approfondire la sua sfrenata passione per il teatro – non le metteva a tacere con qualche battutina che finiva solo con l’imbarazzarle e farle scappare spaventate.
James ridacchiò al ricordo dell’ultimo episodio analogo accaduto quella stessa mattina e salì in macchina, lanciando il borsone sui sedili posteriori e appoggiandosi a quello di guida con un sospiro stanco. Senza rendersene conto sollevò le braccia tra loro, stiracchiandosi ed emettendo un mugolio stanco che richiedeva solo una bella dormita. Gambe e braccia gli dolevano sempre un po’ dopo la doccia, era naturale, ma la sensazione che gli metteva addosso tutto quello gli piaceva ancora di più e rendeva sopportabile quei doloretti derivati dalla stanchezza: sentire i muscoli contratti ed in tensione, il sudore, il cuore pompare più velocemente ma con sempre più tenacia, il fiato corto che gli faceva arrivare l’adrenalina alle orecchie, la consapevolezza di starci mettendo ogni briciolo di forza lo stimolavano ad andare avanti senza interruzione alcuna. Gli piaceva praticare quel passatempo – per lui lo era senza dubbio, qualcosa che gli serviva a prendersi una pausa sia dalla scuola che dal resto dei problemi che lo assillavano, compresi suo padre e sua madre e le loro liti coniugali ormai sempre più accentuate – e col tempo si era reso conto che era particolarmente portato per certi esercizi, quale il sollevamento pesi e le flessioni.
E di certo notare quella piacevole linea netta lungo gli addominali non era poi male come soddisfazione personale, ragionò con se stesso, mettendosi seduto composto alla guida ed ingranando la prima verso l’uscita del parcheggio.
 
 
 
 
“Non si usa più bussare?” mormorò con un lieve risolino, frizionandosi i capelli bagnati con un asciugamano e gettandone un altro umidiccio sul letto.
Era appena uscito dalla seconda doccia nell’arco di poche ore, e come gli diceva sempre sua madre, prima o poi avrebbe finito con lo staccarsi la pelle.
Ed anche i capelli – i suoi meravigliosi capelli biondi, rasati lateralmente ma tenuti lunghi in un ciuffo che teneva costantemente sollevato sulla testa. Era una pettinatura che lo faceva assomigliare tantissimo a ‘Goku platinato’ – come lo chiamava sempre Mariah – ma non per questo i suoi lineamenti ne risentivano: le guance magre e lisce creavano una perfetta sintonia col naso dritto e le labbra carnose quasi sempre aperte in un sorriso.
James si sistemò l’asciugamano sulle spalle, allacciando distrattamente l’elastico dei pantaloncini che aveva indossato e sbattendo un poco i talloni dei piedi sul parquet della camera.
“E tu non usi più vestirti?” ribatté a tono sua cugina, chiudendo la porta della sua stanza – che divideva con un ragazzo che sembrava più fatto di fumo che non di altro, visto quanto poco rischiavano di incontrarsi nei pochi metri quadrati che condividevano – e sedendosi sul bordo del letto, accavallando le gambe con finto fare provocatorio.
Il ragazzo rise a quel suo modo di fare, specchio del suo carattere sbarazzino e schietto, e si portò di fronte allo specchio per sistemarsi i capelli ancora bagnati.
“Penso che al campus qualcuno osi dire che ce la facciamo insieme… “ mormorò, assorto, mentre decideva se una ciocca biondo grano particolarmente ribelle dovesse stare in un modo o nell’altro.
“Mh? Che fantasia… “ risuonò divertita la voce di sua cugina, prima che scoppiasse a ridere di gusto; si udì un tonfo sordo, poi un mugolio lento e James non dovette sforzarsi tanto per immaginarsi che si fosse buttata sul letto per accaparrarsi tutti i cuscini e sdraiarcisi comodamente sopra – come quando erano bambini, dopotutto.
Quando si volse la trovò in quella condizione, con un pigro sorriso ad incresparle le labbra carnose ed i lisci capelli biondi sconvolti per via della posa poco naturale della testa, inclinata verso destra. Mariah sollevò una gamba nella poco carina imitazione di una ginnasta, mentre simulava un’espressione tesa e concentrata, tale e quale a quella degli atleti nei momenti di massimo sforzo fisico.
“La pianti?” sbottò lui, lanciandole un peluche in faccia ed incrociando le braccia al petto nudo.
Si appoggiò contro la scrivania, mentre osservava sua cugina rotolarsi per qualche istante tra i cuscini e poi sollevarsi a sedere con i capelli completamente davanti alla faccia ed un ghigno divertito stampato in volto.
“Che c’è?” gli chiese lei lanciandogli un cuscino e legando la sua lunga chioma bionda in una coda lenta che gettò sulla spalla destra “Sai, una volta eri più divertente…” lo provocò, volutamente derisoria.
“Ah sì?”
“Sì, Jamie! Ora sei un musone inconsolabile che non ride più alle mie battute!”
“Ma non hai fatto battute!” rimarcò lui, avvicinandosi e sedendosi sul bordo del letto accanto a lei: la squadrò negli occhi, rivedendo nell’azzurro delle sue iridi lo stesso colore che osservava allo specchio ogni volta che si specchiava la mattina. Le sorrise, prendendole una mano e stringendola nella sua, molto più grande ma anche meno liscia di quella piccola della cugina.
“Come va con Matthew?” cambiò velocemente discorso lui, sentendosi all’improvviso a disagio e notando come lo sguardo di Mariah si stesse facendo a poco a poco più intenso e scuro, come ogni volta aveva capito che c’era qualcosa che non andava ed era suo compito intervenire.
Era sempre stato così dopotutto: quando si era trovato in difficoltà, c’era stata sempre lei a scoprire la radice del problema ed a estirparla velocemente, magari anche in modo indolore. Nonostante tutto, era lei la più forte dei due, la più combattiva e risoluta, era un po’ mente e braccio insieme, era la ragazza più intraprendente e coraggiosa che conoscesse e non poche volte si era sentito abbastanza inutile al suo fianco. Non che non avesse carattere, probabilmente era solo una questione di sicurezza, ma a volte non riusciva proprio ad imporsi, in generale. Gli pesava sentirsi così legato a lei, in quel senso, ma si rendeva conto che per certe questioni non era affatto pronto a cavarsela da solo.
Ed era da strano da dire a vent’anni, quando all’apparenza sembrava una persona così sicura e incrollabile che nessuno avrebbe messo in dubbio che fosse lui la roccia tra i due.
Mariah questo lo sapeva e non gli faceva pesare affatto questa continua situazione in cui era costretta a recuperare i suoi cocci e far sì che non si facesse troppo male, il che era molto probabile visto com’era fatto. Non che non sapesse dire la propria o semplicemente prendere decisioni, ma… Erano più le volte in cui la cosa si rivelava disastrosa che non vantaggiosa. Andava solo indirizzato, e lei lo faceva più che volentieri visto il bene che gli voleva.
“Non benissimo… “ confessò Mariah, stancamente; sospirò, sciogliendo la bionda coda che le ricadeva molle su una spalla e passandosi una mano tra i capelli: i suoi occhi azzurri tradirono un pizzico di amarezza in più rispetto al solito di quando parlava di quello che era stato il suo ragazzo per mesi “… Ci siamo visti l’altra sera, ma non mi pareva così concorde nel continuare… Dice che l’abbiamo tirata avanti un po’ troppo per le lunghe e che è meglio per entrambi se tronchiamo prima di farci un po’ troppo male – come se non ne fossero già fatto, constatò lui, passando una mano delicatamente tra i capelli biondi di sua cugina e scontrandosi coi suoi bellissimi occhi azzurri – e che vuole essere onesto con me e cazzate così…” Mariah sospirò, abbozzando un sorriso che celava malamente un’ombra di tristezza “… Le solite cose, no? Non sa dirmi chiaro e tondo che vuole scaricarmi e quindi deve fare la parte del fidanzato premuroso che non vuole farmi soffrire, vero?!” James annuì di riflesso a quella sua constatazione, rimanendo in silenzio e preferendo che lei si sfogasse un altro po’.
“Lo sai anche tu che… “ disse invece solo un secondo dopo, contraddicendo se stesso; Mariah lo fissò negli occhi, scuotendo il capo con rassegnazione.
“Faccia pure quel che crede, io non sarò qui ad aspettare in eterno i suoi continui capricci di bambino! Non sono un oggetto, dico bene? E se Matthew ritiene giusto il non proseguire questa cosa, beh… Io che posso fare? Dopotutto, non aveva stipulato alcun accordo, e se posso essere totalmente onesta non penso nemmeno dovessimo farlo, considerato che tipo si è rivelato!” la ragazza sbuffò, trasformando la momentanea smorfia di stizza in un sorriso finalmente sincero e sollevato, cosa che almeno un po’ gli sollevò l’umore: gli mollò una pacca sulla spalla, ammiccando “E tu che mi dici?” domandò poi, con uno sguardo esplicito che ben poco lasciava all’immaginazione.
James la fissò di rimando, senza sbattere ciglio.
Poi un sorriso, a cui le sue meravigliose labbra carnose si piegarono fin troppo volentieri.
 
 
 
 
Non si è mai sentito così leggero, che lui ricordi, almeno.
Si sente così forte e sicuro che potrebbe sollevare il mondo e farlo rotolare via con una semplice spintarella, potrebbe spegnere le stelle con un soffio e poi magari accarezzare il sole, tanto chi si scotterebbe?
Niente brucia più dello sguardo di Cecilia, dopotutto; niente brilla più del sorriso che fa ogni mattina quando entra nella classe di critica del cinema e si siede al solito posto – né troppo avanti né in fondo, tanto per essere sicura di stare tra le fauci del professore ma al contempo di non perdersi manco una parola – con un muffin ai mirtilli in una mano ed i libri per la giornata sotto l’altro braccio; niente è più vigoroso del modo che ha di rispondere alle domande ed intervenire nelle discussioni, con quel solito tono pacato ma sicuro che sa mettere in difficoltà anche il professore, ne è quasi certo.
Cecilia è così, nemmeno a starci tanto a pensare: spezza i cuori, scuote la sicurezza di chiunque giorno dopo giorno senza nemmeno impegnarsi tanto. Ed è quello che ha fatto a lui, mattina dopo mattina, quando osservarla da lontano gli era parsa la soluzione più vantaggiosa, dal momento che il suo cuore aveva ormai preso una via davvero poco praticabile, tra rimbalzi e scossoni che lo avevano fatto sospirare più del necessario.
Gli è piaciuto starla a guardare mentre prendeva appunti china sul suo block-notes, con quella ciocca troppo lunga di capelli scuri che le ricade sempre sul foglio, costringendola a portarsela indietro di riflesso, oltre la stecca degli occhiali dalla montatura verde che indossa sempre a lezione. Ha amato fare la stessa strada verso il cortile, osservandola da lontano mentre si sedeva sotto un albero ed apriva il suo pranzo e contemporaneamente un libro: la sicurezza che mostra in classe è stata replicata perfettamente da quel modo deciso di tenere la forchetta e sfogliare le pagine, senza staccare mai gli occhi dal foglio. Chissà quali erano le sue letture preferite, si era chiesto a quel tempo.
E quando aveva posto il quesito a sua cugina, la faccia di Mariah era stata magistrale, così come quel borbottare sconnesso che nascondeva poche semplici parole: sei innamorato cotto di lei.
Come un tredicenne, per la precisione.
Con il battito troppo accelerato ed il fiatone per aver percorso il corridoio di corsa nella speranza che lei non fosse già in classe, così da non fare la figura del ritardatario ai suoi occhi – che poi chissà se lei lo avesse mai notato, chiaramente.
È stato incapace di chiederle perfino un numero di telefono, nelle tante volte in cui si sono trovati vicini in classe, o anche in biblioteca – dove lei va ogni pomeriggio a ricopiare diligentemente i suoi appunti, o a studiare, con i soliti occhiali dalla montatura verde che le abbelliscono ancora di più quel visino sbarazzino che ha – fino a quando non ha davvero realizzato di starla baciando fin quando non ha sentito le mani di lei sul suo petto ed il suo sospiro lievemente ansimante per la loro troppa vicinanza.
James se lo ricorda così bene il loro primo bacio da avere ancora quel sapore sulle labbra nemmeno fossero passati due minuti: ricorda perfettamente quel procedere idiota in mezzo agli scaffali della biblioteca solo per poterla osservare, ed anche il modo che ha avuto lei di dire “Scusa” quando casualmente ha urtato un libro, facendogliene finire tre o quattro addosso per sbaglio. James ridacchia tra sé e sé, pensando a quanto si sia spaventato in quella frazione di secondo, temendo che lei potesse aver capito che in realtà la stava seguendo  e ricordando la facilità con cui ha mosso pochi passi avanti solo per poterla finalmente baciare.
Un bacio vero, quelli in cui le mani corrono – ai capelli, alla vita, alla schiena – ed i respiri si accorciano con così tanta facilità da parere irreali quasi; un bacio di quelli che tolgono l’aria anche al cervello, che spezzano i pensieri e troncano le sottili corde del mondo intorno; un bacio a cui ancora non sa dare un sapore particolare, ma che gli ha ricordato tutto quel tempo passato ad osservarla, in silenzio, mentre lei era sembrata troppo presa da chissà che altro per accorgersi di lui.
Ed ora che finalmente è riuscito a chiederle quel dannato numero e sta per portarla fuori per la prima volta, si sente bene davvero. Se essere cotti vuol dire stare così a lui va più che bene.
Spera di rimanerlo a lungo se proprio è costretto a sentirsi tanto… James. Ma anche un qualcuno lontano anni luce da lui che non pensava esistesse ma che batte insistentemente alle porte del suo cuore ogni qual volta pensa a lei.
Sembra una dimensione nuova, strana e contorta, ma lui sta imparando in fretta a muoversi in mezzo a quei sentieri fatti di sguardi furtivi e baci rubati, è tutto nuovo e meravigliosa, gli pare intrigante avere questa sensazione imperante di ignoto che lo mette quasi a disagio ma che lo elettrizza, perché… Cecilia è esattamente così.
Lo scombussola, togliendogli le parole di bocca ed anche qualche bacio in  più, spazzando via le sue convinzioni e la poca sicurezza che riesce a mostrare. Si sente in balia di qualcosa che non sa dire ma che lo trasporta così dolcemente da lasciarlo quasi ignaro degli spostamenti che fa, chissà dove andrà a finire a forza di queste spinte.
Al suo cuore, soprattutto, ormai totalmente fuori controllo.
Ridacchia ancora, controllandosi i capelli allo specchietto retrovisore e passandoci una mano nel mezzo, le ciocche bionde si tirano indietro, alcune rimangono di lato, il risultato gli piace. Quando scende dalla macchina rimpiange di non aver messo una giacca, visto che indossa una semplice polo verde scuro a maniche corte sopra a dei jeans skinny che lo fanno apparire ancora più alto e longilineo. Sospira, chiudendo la macchina con la chiusura automatica ed avviandosi lungo il viale di casa di Cecilia. Le finestre del piano terra sono accese, segno che lei lo sta aspettando.
Il solo pensiero lo fa sorridere e gli scombussola un po’ il cuore. Strano, eh?
Arriva alla porta di casa sospirando, i piedi non vogliono proprio stare fermi su quel tappeto all’entrata, le mani affondate nelle tasche dei jeans sudano un po’ troppo, a dire la verità. Si sente il respiro basso e irregolare, qualche goccia di sudore freddo gli è addirittura scesa lungo la schiena, sente qualche brivido di freddo ma probabilmente è solo colpa della frescura che emanano gli alberi lungo il viale.
Deglutisce, alzando la mano per bussare ma sobbalzando non appena questa si spalanca  di botto, facendogli quasi prendere un infarto: Cecilia lo fissa sul ciglio dell’entrata, un sorrisetto indecifrabile a curvarle le labbra a cuore quella sera tinte di rosso vivo, mentre i capelli che di solito tiene sciolti e ondulati, le ricadono lisci oltre le spalle, splendendo alla luce che rischiara l’interno della casa.
James si sofferma per pochi minuti sui jeans chiari e il maglioncino largo che indossa e che fascia alla perfezione le sue curve dolci e piene prima di sollevare gli occhi e rendersi conto che Cecilia lo sta fissando di rimando, incuriosita e serena, bella in modo disarmante e naturale.
E lo ha rifatto, pure senza volerlo.
Lo ha rifatto eccome, lo ha messo in difficoltà senza nemmeno parlare, quando lui avrebbe voluto dirle chissà quante cose ed ora l’unica che gli sembra intelligente fare è starsene zitto a fissarla.
“Ciao…” balbetta solo, drizzando la schiena e simulando una posa sicura.
Cecilia sbatte le ciglia, emettendo una risata leggera che gli intreccia ancora più le budella, poi apre un altro po’ la porta.
James muove un passo avanti, indeciso o meno su cosa dirle, ma si blocca quando qualcosa lo interrompe prepotentemente: uno scalpiccio intenso si avvicina sempre più, è quasi fastidioso e reale che il ragazzo teme per un attimo possa essere uno di quegli incidenti improvvisi che capotano solo nei film: la casa che si spacca, un’invasione aliena, cavallette giganti e ragni carnivori…
“Te l’avrei detto, ma…” perfino la voce di Cecilia gli giunge ovattata e distante quando tenta con tutto se stesso di non lasciar cadere a terra le palle degli occhi, assieme alla mandibola: chi è quel mostriciattolo insignificante che è attaccato alle gambe della sua… Della sua… Scuote il capo, per riordinare i pensieri, mentre quei due occhietti sconosciuti di un tenue color verde lo scrutano accigliati, ed anche un po’ incuriositi.
E fosse l’unico ad essere incuriosito, lì in mezzo.
James solleva lo sguardo su Cecilia, sentendosi sempre più un cretino ad ogni secondo che passa ed attendendo da lei un chiarimento che sembra voler arrivare a tardare.
“Chi sei?”
Quella voce sconosciuta lo costringe a riscuotersi, mentre una mano molto più piccola della sua gli afferra la destra e lo tira verso il basso, con forza: James si inginocchia, trovandosi faccia a faccia con un visino giovane e liscio, contornato da dei ricci biondi e illuminato da un bel paio di occhi verdi. Sorride di riflesso, mentre il bambino – che assomiglia tanto a uno dei puttini che ha visto nei quadri sui libri di arte della biblioteca – lo scruta attentamente e poi gli sorride di rimando.
“Mi chiamo James, e…” lancia un rapido sguardo a Cecilia, ancora in piedi, una sua mano sta stringendo dolcemente quella del bambino “… Sono…”
“Io mi chiamo Julian, cosa ci fai qui?” lo interrompe lui, inarcando un piccolo sopracciglio biondo in un posa stranamente infastidita.
“Oh beh, ero venuto a trovare Cecilia e… “ tenta il ragazzo, alzando i suoi occhi verso la ragazza e trovandola intenta a fissarlo: per un attimo si sente mancare il respiro, mentre realizza che proprio lei lo stava guardando, che magari stava studiando i suoi tratti o fantasticando su chissà cosa e…
“La mia Cecy?!” esclama il bambino, attaccando a lei con entrambe le braccia e squadrando James in modo davvero poco carino “E perché…”
“Andiamo a scuola insieme, Jul…” interviene la ragazza, accarezzandogli dolcemente i ricci biondi e sorridendogli, mentre il bambino alza il viso su di lei in un’espressione incuriosita, pure se apparentemente più pacata “Sai che a James piacciono gli aeroplanini come a te?” dice poi, mentre il bambino sembra rilassarsi di colpo, con gli occhi verdi che luccicano di una tonalità frizzantina e gioiosa.
Il ragazzo si solleva lentamente in piedi, abbozzando un sorriso rassicurante verso Julian, che ora lo fissa con un’intenzione totalmente diversa da quella con cui lo ha accolto: sembra avido, eccitato, il suo visino è contratto in una smorfia emozionata che lo rilassa, almeno in parte. Cecilia è stata furba a saper sfruttare quel particolare, pensa poi, non ricordava nemmeno di averglielo mai accennato, ma quella ragazza sa stupirlo, è evidente: capisce cosa che nemmeno dice e usa quel che sa in una maniera che risulta quasi inquietante.
“E possiamo farli?” domanda Julian dopo qualche secondo, con un largo sorriso che sembra toccargli le orecchie per quanto è aperto e luminoso.
Cecilia lo guarda teneramente, continuando ad accarezzargli la testa bionda; James si schiarisce la voce, attirando la sua attenzione e simulando un’espressione fintamente seria.
“Certamente! Assieme ai biscotti, direi…” risponde poi, fissando i suoi occhi in quelli della ragazza e vedendola schiudere le labbra per la sorpresa.
Le ammicca, divertito, mentre Julian gli si lancia addosso con forza: gli stringe le mani, tirando verso il basso per attirare la sua attenzione. “Al cioccolato?!” schiamazza, quando la ottiene.
“Al cioccolato.” Assicura James, annuendo con vigore.
Il bambino abbassa il capo, sembra assorto nei suoi ragionamenti, non nota il modo che hanno i due ragazzi di guardarsi e dirsi cose che solo loro comprendono. Perché “Mi sorprendi sempre” mormora in labiale James, leggendo quel “ti avrei spiegato” appena sussurrato di lei come il suono di campane: il cuore gli scoppia, la testa gli gira, vorrebbe tanto prenderla tra le braccia e respirare il suo profumo, annullarsi nella sua risata e avvertire quel ronzio dolce che gli tartassa lo stomaco ogni volta che sono vicini.
“E possiamo farli?” la voce di Julian interrompe quel colloquio muto, mentre il bambino passa avidamente lo sguardo dall’uno all’altra.
Cecilia sorride, muovendo il capo in assenso, scatenando le urla gioiose del bambino, che scappa lungo il corridoio urlando qualcosa di altamente insensato riguardo a dei biscotti a forma di aeroplanino. La ragazza scoppia a ridere, seguendolo brevemente con lo sguardo: quando si volta, trova gli occhi di James fissi su di lei, l’azzurro di quelle iridi e così brillante e denso che per un secondo si sente stordita, come non le è mai successo prima.
Avverte le guance scottare lievemente, e dubita che lui non lo abbia notato, visto il sorrisino che gli vede sulle meravigliose labbra piene, poco prima che si avvicini – finalmente – e la baci. Delicatamente, certo, ma pare quasi che ci metta tutto se stesso per farle oscillare le ginocchia, pure se lei preferisce non darlo così tanto a vedere, camuffando quel tremore con un gesto all’apparenza naturale quale quello di mettergli le braccia attorno al collo, per trattenerlo un altro po’.
Un attimo che vorrebbero entrambi fosse come l’infinito, e che dura invece sempre troppo poco.
James è il primo a discostarsi, abbozzando una mezza risata alla spintarella divertita che gli rifila lei; sorride, osservando come lei ispezioni il corridoio per paura che Julian possa averli visti. Stranamente, si sente sicuro… Sicuro e felice.
E quella sicurezza tanto strana che sente non sa davvero dove l’abbia trovata, visto quanto lei lo destabilizza e lo intontisce, è quasi una sofferenza ma è talmente piacevole sentirla in quel modo, lei, nessuna mai riuscirebbe ad eguagliarla.
In nulla.
“E quando me lo avresti detto?” la interpella James a bassa voce, prendendole dolcemente una mano.
Cecilia abbassa gli occhi, risollevandoli su di lui con un sospiro leggero ad accompagnare la sua bocca lievemente più rossa per il bacio che si sono appena scambiati.
“Si tratta di mio cugino, mio zia è piombata qui all’improvviso lasciandolo a me tra capo e collo e quindi non potevo certo rifiutarmi! E mi spiace perché questo sarebbe teoricamente il nostro…” si interrompe, lei, fissandolo dritto negli occhi nel vano tentativo di non lasciar trapelare alcuna agitazione, alcun battito scoordinato tra quelli che la stanno scombussolando al mondo, nessuno strano tremolio nella voce tale e quale e quelli che gli fanno fremere le budella “… Insomma, ti va una serata… Diversa?” si riprende subitamente, portandosi una ciocca di capelli scuri dietro l’orecchio ed incrociando le braccia al petto in una posa fintamente tranquilla; inarca un sopracciglio, sfidandolo con lo sguardo.
James si rilassa, vedendola mordersi il labbro con uno strano nervosismo che lo porta a fare lo stesso, per evitare di scoppiare a ridere.
“Solo se mi aiuti coi biscotti!” esclama poi, rubandole un bacio a tradimento e sorpassandola di corsa in risposta al forte richiamo di Julian, che sta urlando forte il suo nome da un posto che dovrebbe essere la cucina.
E chissà che non vengano davvero buoni, questi biscotti a forma di aeroplanino.
Sempre che non combini qualche guaio per distrazione.
Probabile, molto.
 
 
“Ciao James!” il bambino gli si lancia addosso, stritolandolo in un abbraccio che lo fa scoppiare a ridere di gusto.
Hanno passato la serata sul divano a mangiare i biscotti – rigorosamente al cioccolato e dalla strana forma che dovrebbe sembrare un aeroplanino ma che in realtà assomiglia ad un rombo storto – e vedere tutti i classici della Disney, mentre Julian commentava ogni singola scena e rideva di continuo. Non che non si sia divertito, James, anzi: ha avuto modo di osservare Cecilia sotto altri aspetti, di studiarne i movimenti, di leggere le espressioni più semplici che è riuscita a metter su in quella lunga ma intensa serata casalinga.
Certo, il primo appuntamento non doveva proprio essere in questo modo, ma alla fin fine potrà pur sempre dire di aver vissuto un qualcosa di alternativo: Julian è un bambino adorabile e gioioso, è curioso e attento, forse un po’ schiamazzante ma sembra lo abbia preso in simpatia. Da quel che ha capito, è molto affezionato a Cecilia e sembra particolarmente geloso di lei – almeno a giudicare da come abbia costantemente insistito per sedersi tra di loro ogniqualvolta James ha provato ad avvicinarsi un po’ di più.
Ridacchia sommessamente, ricambiando l’abbraccio del bambino; Julian si lancia poi da Cecilia – la sua Cecy, come la definisce ogni due per tre – mormorandole qualcosa all’orecchio che non riesce a cogliere, ma che lo incuriosisce abbastanza, specie per il modo che ha la ragazza di osservarlo di sottecchi, mordendosi il labbro.
“Sei pronto?!” urla la voce della madre di Julian da fuori – è arrivata una mezz’oretta prima, ma non è entrata, preferendo aspettare in macchina sul vialetto: quando Cecilia gli ha detto che sua zia è strana non ha sbagliato del tutto, constatando che nemmeno a ringraziare è entrata.
“Dai, vai…” mormora lei, accompagnando il bambino alla porta e spingendolo debolmente per le spalle piccole: Julian gli lancia un altro debole saluto prima di scomparire oltre la soglia e James non perde tempo ad osservare la ragazza lì, in piedi, col profilo serio ma le labbra soffici e morbide inclinate lievemente all’insù, gli occhi attenti nel seguire quel piccolo vandalo fin dentro alla macchina di sua madre, ne è più che certo.
Quando il rombo del motore si allontana lungo la strada, James tira un sospiro di sollievo, abbandonandosi sullo schienale del divano. Il silenzio totale lo circonda, con la mente riesce a disegnare la figura di lei che si avvicina piano, silenziosa sul pavimento per via dei piedi nudi, i capelli poco più disordinati del normale e le labbra meno rosse di come le ha trovate all’inizio della serata per via dei biscotti che ha mangiato.
Rimane a occhi chiusi, preferendo che sia invece il profumo intenso di lei a guidarlo e ammaliarlo, inebriandogli il cervello di quella stravagante fragranza di cui da un po’ non riesce più a fare a meno: è il profumo di lei, della sua pelle, di quella del suo collo in tutti i baci distratti che le ha lasciato, l’aroma denso dei suoi capelli e della sua bocca.
Riapre gli occhi, inspirando bruscamente dal naso – nemmeno si fosse risvegliato da chissà che incubo spaventoso – e allunga d’istinto una mano alla guancia di lei, così vicina da essere quasi sfocata alla sua vista. Le accarezza la pelle con la punta delle dita, la rotondità della sua guancia lo fa sorridere – c’è anche una piccola spruzzata di lentiggini, lì? E dire che non se n’era mai accorto.
“Che ti ha detto Julian?” domanda poi, preferendo non guardarla direttamente negli occhi, ma anzi, lasciandoli vagare in basso, lungo il profilo della sua figura seduta – nota che tiene le mani strette a pugno, che sia nervosa? Quel pensiero gli dà un po’ più ci coraggio, si trova stranamente ad alzare, trovandosela a qualche centimetro di distanza rispetto a prima.
“Mi ha detto che gli piaci…” confessa lei, nella solita posa sbarazzina e divertita, quella che ha usato per conquistarlo e che sembra proprio non abbandonarla mai, nemmeno quando è così palesemente in difficoltà come in quel momento.
Lei? Lei lo è… Davvero? Che strano, non l’avrebbe mai detto.
“Anche tu…” dice allora James, avvertendo i muscoli facciali muoversi da soli, la lingua ed i denti masticare parole che nemmeno per l’anticamera del cervello gli sarebbero mai passate, non in quel frangente almeno.
E non con quel battito cardiaco accelerato.
Cecilia aggrotta le sopracciglia, deglutendo un paio di volte.
“Anche io… Cosa?” domanda poi, fingendosi confusa.
James sospira, facendosi una manciata di centimetri più vicino a lei, i polsi gli tremano, il cuore sobbalza.
“Anche tu… Mi piaci.” quelle parole scoppiano come petardi tra le loro bocche ad una distanza relativamente sicura ma anche terribilmente attraente da colmare “Anche tu mi piaci, Cecilia. Da morire.” conferma poi, non riconoscendo nemmeno la propria voce, non riconoscendo se stesso, non riconoscendo quella situazione perfetta ma… Chi è che aveva detto che la vera perfezione deve essere imperfetta*? Perché in quel momento, quella stessa frase che ha sempre trovato strana si sta rivelando vera.
Senza riflettere si sporge in avanti, andando a toccare le labbra di Cecilia con le proprie. Uno schiocco veloce, poi uno più lento, consapevole, intenso. Uno schiocco profondo che va a risuonare fin dentro le loro anime, accendendo uno strano fuoco che James avverte immediatamente sottopelle come un bruciore mano a mano più intenso. È costretto ad aprire gli occhi, per rendersi finalmente conto che lei è lì, lo sta davvero fissando con le labbra socchiuse e gli occhi lievemente più lucidi di sempre. Si sta leccando le labbra e gli è davvero difficile non seguire quel movimento con gli occhi.
Chiude gli occhi per un millesimo di secondo che gli pare un’eternità, e quando li riapre Cecilia è ancora là, la sua bocca è lucida per i baci fugaci che si sono appena scambiati ma il sorriso che vi aleggia sopra ha un che di particolare e dolce, lo costringe a non riflettere proprio, specie quando si sporge del tutto, assalendola con un bacio che ha davvero poco a che vedere coi precedenti. James la sente sospirare bruscamente, mentre le mani strette a pugno si contraggono ancora di più, lo può notare dalla posizione in cui è, ad occhi socchiusi e timoroso, quasi temesse di essere respinto.
Ma Cecilia non lo fa, troppo presa com’è a stringergli le spalle spasmodicamente, intenta a ricambiare il suo bacio con tutta l’energia che ha, tutto il fiato che trova, fino all’ultima goccia di coinvolgimento che sa metterci, quasi a sentirsene sopraffatta del tutto. James la sente, la sua tenacia, ma allo stesso tempo il suo disorientamento, il modo che ha il suo corpo di attaccarsi al suo e di non volerlo mollare.
Le sue mani spingono sulla sua polo verde, sembrano volersi conficcare di riflesso nei muscoli tra le scapole e quando James li contrae d’istinto, Cecilia si lascia sfuggire un sospiro intenso che dice tutto e anche troppo di cosa stia provando in quel momento. I cuori sono in fiamme, le loro bocche non vogliono separarsi, troppo prese a strusciarsi e rincorrersi, troppo prese a mordersi l’un l’altra, mentre i respiri si accorciano sempre più, e i baci son diventati ansiti scoordinati che non fanno arrivare abbastanza ossigeno al cervello.
Ai loro cuori.
James la stringe a sé, lasciando scendere le mani lungo la sua vita, senza però azzardare ad oltrepassare il bordo di quel maglioncino che in ogni caso comincia a dargli ai nervi. Lentamente la lascia distendere, finendole delicatamente sopra, con un ginocchio tra le sue gambe a poggiare morbidamente – di quel morbido che manda in estasi e fa venire voglia di urlare nello stesso istante – contro il suo inguine, quasi senza toccarlo a dire la verità, ma Cecilia pare così frenetica in quel che fa che i loro fianchi finiscono vicini per forza di cose. Nessuno dei due ha parlato fino a quel momento, e non che ce ne sia bisogno dopotutto, preferiscono che siano le mani a parlare, i morsi delicati lungo il collo, i capelli accarezzati e i muscoli contratti a scandire quei momenti. Non servono le parole, sembrano davvero troppo superflue per loro, per quel momento.
Quando James sente le mani di Cecilia risalire ai suoi capelli e poi di nuovo giù, lisciandogli la schiena ed infilandosi poi sotto la polo per accarezzargli i muscoli contratti e sudati, si sente più sicuro, azzarda finalmente e solleva delicatamente il bordo del maglioncino di lei, sfilandoglielo e arruffandole un po’ i capelli. Sorride, quando la ragazza lo tira giù, per catturargli nuovamente le labbra e stringerlo a sé, così forte, con talmente tanta energia da mozzargli il respiro in gola più di quanto già non stia facendo il battito scoordinato del suo cuore. Avverte le dita di lei agganciare il colletto della sua polo e tirare verso l’alto, è costretto a sollevarsi di poco sui palmi per permetterle di sfilargli del tutto quell’indumento e lanciarlo chissà dove. Cecilia lo osserva, col fiato mozzo ed una vaga ombra di sorriso a incendiarle le guance e la gola, per seguire quel filo sottopelle che sembra volerla ustionare: è una miccia che tra poco esploderà, non importa in che modo e con che conseguenze, portandosi appresso le macerie chissà per quanto tempo.
Le sue dita possono finalmente percorrere le spalle nude di lui, avvertire i muscoli contrarsi sotto i polpastrelli o gonfiarsi quando piega le braccia per non pesarle addosso, quando si abbassa per starle più vicino, respirarle sul collo, baciarglielo e morderlo; esplora delicatamente la linea netta e poco marcata del suo addome, avvertendo come sotto i suoi palmi la pelle scotti ed il suo cuore vada troppo forte, quando risale lentamente al suo petto liscio.
Sta sudando, entrambi lo stanno facendo, e quella stanza assomiglia sempre più ad una fornace.
Non appena James scende con le mani, accarezzandole i fianchi, Cecilia si sente quasi svenire per l’intensità che le è arrivata in fondo e che è come una scarica elettrica, una scossa ad ogni sua terminazione nervosa, le fa quasi male. Mugola piano, aggrappandosi alle spalle di lui e inclinando il corpo verso il suo, con un ginocchio a trattenerlo per il fianco – non ricordo nemmeno come ci è finita in quella posizione – e l’eccitazione che pulsa a tal punto da stordirla.
“Mh…” le soffia lui sul collo, incidendoglielo con i denti, in maniera soffice e quasi impercettibile, inumidisce la pelle col suo fiato bollente, la riscalda dal tremore che se ne è impossessato da un po’.
Cecilia rimane in silenzio, sfregando il naso contro la sua clavicola e chiudendogli i fianchi con entrambe le ginocchia – quei jeans le stanno talmente tanto stretti da volerla far urlare, li odia e gradirebbe soltanto che lui glieli sfilasse in fretta.
Si conoscono ancora troppo poco per assaporare quel determinato argomento definito romanticismo, ma a parere suo sono sulla buona strada per intraprendere quella del coinvolgimento.
“James…” ansima infine, delicatamente, incidendogli la schiena con le unghie e gettando definitivamente la testa all’indietro, incapace di resistere a tutto quello.
A tutto quel suo toccare e baciare e accarezzare, a tutto quel suo sussurrare e farla sentire come in mille pezzi.
A tutto quel James.
 
 
 
 
“E bravo cugino!” si complimentò Mariah divertita, battendogli una mano sulla spalle e simulando i gesti di vittoria di un grande condottiero dopo la battaglia finale.
Il ragazzo rise, scuotendo il capo e lasciandola fare: era bello vederla ridere, ed era ancora meglio condividere quei momenti con lei.
“E dunque… Me la ritroverò fra i piedi, mh?”
James la squadrò con un esterrefatto sopracciglio all’insù, la bocca dischiusa come per dire qualcosa.
“Dai, scherzo! Ma dovrai presentarmela, no?”
Beh sì, quello era indubbio, dopotutto. Come poteva pensare di mandare avanti una relazione – era una relazione, la loro?! – senza far conoscere la sua… La sua… La sua ragazza a Mariah?
Impossibile, nasconderle qualcosa rasentava incredibilmente l’utopia.
James sospirò, annuendo di riflesso e sorridendo, sollevato di come la situazione si stesse evolvendo.
“Beh, ora è a miglia di distanza – una cosa di famiglia, non ho ben capito in realtà – ma sono certo che…”
“Ti ho capito, sai Jamie?” lo interruppe nuovamente Mariah con un sorrisetto furbo: i suoi formidabili occhi azzurri saettarono di una luce particolare, così bella e calda da lasciarla per qualche istante confuso.
James aggrottò le sopracciglia, grattandosi il naso con il dorso dell’indice e attendendo che sua cugina si decidesse a parlare.
“Che intendi?” chiese poi, impaziente, vedendo che lei non parlava.
Mariah proseguì a sorridere, scuotendo il capo e lasciandogli un soffice bacio sulla guancia quando si sollevò per poter uscire dalla stanza. James se ne rimase immobile, l’udito attento nemmeno pensasse di sentirla rientrare, ed il cuore in subbuglio, scoordinato.
Se avesse continuato così sarebbe impazzito, si disse in uno slancio di autoanalisi, ma dopotutto… Era per lei che si sentiva in quel modo, e nessuna era come lei.
Non ci sarebbe mai stata un’altra come la sua Cecilia.
E quel pensiero lo fece sorridere, finalmente.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Image and video hosting by TinyPic
FRANCESCA, IO TI AMO, LO SAI. *fiorellini ovunque*




SPAZIO AUTRICE.
Salve a voi tutti! :D
Sono nuova di questo fandom, e non so quanto spesso pubblicherò in questa sezione, deve essere sincera! Posso solo dire che sono finita in questo casino per colpa diQualcuno.
Qualcuno a cui dedico con tutto il cuore questa OS piccina piccina sperando intensamente che le sia piaciuta :3
Se vi andasse, fatemi pure sapere che ne pensate, ne sarò felice :3
Alla prossima, chissà quando!
Blue.
  
Leggi le 4 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > The Vamps / Vai alla pagina dell'autore: BlueWhatsername