...salve,
gente! Ehm, sono un peletto (okay tanto) in ritardo, ma...ma...eh,
sigh, non posso dare giustificazioni valide mi sa, e se vi
dico che il capitolo era già pronto ma mi sono venute manie ipercorrettive e tre milioni di dubbi mi uccidereste. Con
questo aggiornamento torniamo alle tinte scure che caratterizzano
questa strana raccolta, Vi avviso già, torniamo ai mattoni
insomma! Ringraziate l'umore della sera in cui scrissi questa cosa
qui, e all'idea di un mio amico. Spero che Vi possa piacere e possa
farmi così perdonare per il ritardo. ♥
ci sentiamo nelle recensioni, ci conto! Oh, prima di lasciarvi alla
lettura, ci tengo a ringraziare tutti coloro che seguono – anche
silenziosamente – la storia, siete inaspettatamente non pochi.
Abbraccio. ♥
11 - Sabati notte in cui facevo il coglione.
La
risata roca di Sakura, la mia collega carina, mi risuonava ancora
nelle orecchie e il mio sorriso doveva ancora essere ben stampato
sulle mie labbra quando scesi dalla macchina che avevo parcheggiato
davanti al cancelletto di casa.
Avevamo cenato assieme dopo il
lavoro e ci eravamo divertiti parecchio, complici anche dei bicchieri
di troppo per entrambi e l'alchimia che avevamo a pelle, quella che
tre quarti delle volte ci faceva litigare e per il restante quarto ci
faceva stare assieme come due amici d'infanzia.
Finalmente avevo
saputo del suo amore impossibile per qualcuno di cui non aveva voluto
dirmi le credenziali, della sua storia di infatuazione infantile fin
dai teneri tempi dell'infanzia per
uno che non l'aveva mai degnata di attenzione, del suo non riuscire a
vivere che amori ideali. Insomma: Sakura non concretizzava quasi mai
con un uomo, se lo faceva la relazione poi durava pochissimo; non
concretizzava mai con chi amava – almeno platonicamente
-.
Non ci somigliavamo se non per il fatto che io concretizzavo
solo con chi amavo come lei. Però lei viveva al condizionale e
attraverso questo sognava e si disilludeva, io vivevo al presente e
avevo il passato e potevo - seppur con sofferenza visto
tutto - propormi un futuro
sempre di concretezza.
Avevamo
parlato di sesso, lo avrete capito. Senza alcun imbarazzo, come due
amici maschi o due amiche femmine, dipende
dal punto di vista con cui un individuo ci può guardare.
Per quanto mi riguarda,
pensandoci ora mi sentivo così a mio agio perchè forse era come
starsene a chiacchierare con un lei e un lui in una stessa persona.
Qualcosa che non avevo mai provato.
Sasuke era un uomo: al cento
per cento. Okay alcune sfumature più femminili ce le aveva, ma come
tutti. Non una propensione verso un genere più che un altro. Non
c'entrava un cazzo con il fatto che gli piacessero gli uomini. Era
forse uno dei pochi ad essere davvero facilmente catalogabile in una
qualche categoria, almeno di genere.
Apparentemente.
In
realtà tutta la sua matassa di pensieri mentali non era solo propria
del maschio, anzi. Interiormente Sasuke era una ragazza a volte
isterica, umorale, capricciosa, viziata, che riusciva a pensare
tremila cose in contemporanea, sensuale, fatale.
«
Porca puttana se non la smettono quei cani li ammazzo. Dio li ammazzo
giuro. »
Sasuke.
Mi immobilizzai con una mano sul cancelletto
mezzo aperto.
Sasuke era seduto al centro del minuscolo giardino,
accanto al vialetto in ghiaia che ci aveva assestato la vecchia che
come manualità dava cento a zero ad ogni pseudo maschio, le
ginocchia rannicchiate fino al mento.
...Sasuke.
Mi
sentii gelare il sangue nelle vene perchè quel sabato notte non me
lo aspettavo lì. Quel giorno avevo lavorato tutto il pomeriggio a
causa degli straordinari per prendere qualcosa in più a fine mese ed
ero partito in quarta quando Sakura mi aveva invitato a cena fuori.
Sakura non dava mai preavvisi, non era una da cerimonie, per nulla.
Non mi ero fatto alcun problema a dire di sì, sebbene l'immagine di
Sasuke mi fosse arrivata a galla insieme a mille pensieri, ma non mi
ci ero focalizzato.
L'avevo visto la notte della discoteca e poi
era sparito per tre settimane, neanche un messaggio, niente di niente
mi era stato mandato, detto. Non ci avevo dormito le notti alla
ricerca del perchè tardasse tanto, sapevo essere andato nel suo
paese di nascita col fratello per il quindicesimo anniversario della
morte dei suoi genitori e per “il tour delle tombe”, ma non avrei
mai detto potesse occupare tutti quei giorni. Di certo c'era
qualcos'altro sotto e con chissà quale scusa Itachi l'aveva tenuto o
mollato lì nei soffocanti posti di origine, ma, anche se ero giunto
a ipotizzare ciò, mi ero detto che era inutile continuare a
ragionare inutilmente e dopo alcuni disperanti giorni ero tornato a
vivere respirando
per bene l'aria a pieni polmoni, curandomi di più del mio aspetto
fisico, ritardando di più il rientro a casa per stare in compagnia
della mia squadra. Ed ecco che quel sabato sera avevo accettato in
bomba l'invito della mia collega carina.
Ci misi quella che mi
parve un'eternità ad entrare dal cancelletto; mi tremarono le gambe
mentre avanzavo verso Sasuke. Quando gli andai di fronte non alzò la
testa.
« Cane di merda. » disse.
Me la meritavo tutta tale
frase, mi meritavo anche peggio. Ricordo che pensai ad una macchina
del tempo e immaginai ossessivamente quanto sarebbe stato bello poter
tornare indietro solamente di qualche ora, per declinare l'invito di
Sakura – sono troppo stanco
oggi – e avere salva la
pelle. Anzi, la coscienza.
Mi sentii tremendamente in colpa.
Rimasi senza parole se non uno “scusa” detto tra i denti,
vergognandomi proprio come un cane.
Era la prima volta in un anno
e mezzo che non
volevo un sabato notte,
che mi rendevo conto di essere letteralmente scappato da Sasuke.
Poi
invece pensai al fatto che era terribilmente ingiusto che io non
potessi prendermi le mie libertà, mai una serata fuori, che io non
potessi non volere, ma mi
sentii subito uno sciocco ed uno stronzo: Sasuke si sentiva così
sempre a causa di Itachi.
Probabilmente, ma questo lo dico oggi
con l'occhio della lontananza,
stavo ereditando qualche suo modo di fare e vedere, qualche
comportamento distorto e pensiero malato; ma mi fermai subito.
Presi
un profondo respiro e cercai di fare piazza pulita nella mia mente,
di visualizzare un foglio bianco, come anni prima mi aveva insegnato
la mia amica Hinata, la ragazza che gestiva il bar a pochi metri da
dove abitavo.
Coraggio,
Naruto.
«
Andiamo.»
Afferrai
Sasuke per un braccio, non incontrai alcuna resistenza. Ma neanche
alcun segno di vita.
Ormai avevo fatto la cazzata. Mi domandai per
quanto a lungo mi avrebbe considerato pari al nulla. Quando si
offendeva davvero con me di solito Sasuke mi guardava senza alcun
broncio ma con fare di sufficienza, si vedeva lontano un miglio che
non voleva darmi soddisfazioni. Era la mossa giusta con me, perchè
io ci morivo e rodevo dentro da paura. Fino a implorarlo tacitamente
di smetterla.
Aveva bevuto, lo notai dal fatto che le sue gambe
non lo ressero dritto in piedi che qualche secondo, per poi
ondeggiare pericolosamente. Sarebbe caduto a terra non lo avessi
tirato a me forte forte.
Fui lì lì per approfittare del momento
ed abbracciarlo, ma desistetti considerando quanto poco avrebbe
sentito
il mio abbraccio. Lo condussi in casa passetto dopo passetto come una
badante con la sua vecchia, portandolo direttamente in camera,
esaudendo in questo una sua richiesta non espressa.
Si raggomitolò
subito sul letto, senza neanche degnarmi di un'occhiata.
Non entrò
sotto alle lenzuola, rimase a lungo immobile su di un fianco ad occhi
spalancati. Probabilmente gli girava la testa, sicuramente non stava
focalizzando alcunchè della mia camera infantile, con la
gigantografia di alcune delle foto più belle di me e il nonno appese
alle pareti.
Una foto in cui sorridevo all'obiettivo con tutta
l'allegria di cui ero capace, sotto ad un'ascella del nonno, era
proprio davanti a Sasuke. Sembrava che il me appena adolescente gli
stesso sorridendo dolce. Ora che ci penso: almeno lui, visto che io
non riuscivo neanche a sorridere un poco quella sera.
« Scusami.
» ripetei prima di coricarmi sull'altra parte del letto, distante
quanto possibile da lui. Sapevo che non voleva che nemmeno lo
sfiorassi.
Non seppi mai cosa aveva fatto e che era successo
durante le ore precedenti al suo arrivo da me, ma dedussi che doveva
aver litigato di brutto con suo fratello per tutto il giorno.
Talmente tanto che dopo aver fatto tappa in quel bar infernale e non
avermi trovato a casa, si era sedut0 sul prato umido e mi aveva
aspettato. In trance, forse. Forse con la sete matta di bere ancora,
con la voglia matta di farmi del male.
Pianse nel sonno quel
sabato notte.
Non fu la prima volta che lo vidi piangere mentre
dormiva, ma comunque fu un ascolto doloroso. Non riuscii a
svegliarlo.
L'indomani mattina tardi lo accompagnai a casa nel più
rigido silenzio. Come volevasi dimostrare non se ne era andato prima
che mi svegliassi (alla fine ero rimasto sveglio tutto il resto della
notte ma feci finta di dormire), voleva vedermi,
beccarmi, farmi capire che che
non aveva problemi. Però fu un pezzo di ghiaccio, mi mise uno
sconforto addosso enorme.
Così si comportava Itachi.
Quella
domenica mattina mi resi conto che forse era troppo tardi.
Il seme
malato si era naturalmente instaurato anche in Sasuke.
Se solo
avesse voluto andare da uno psicologo senza fare storie per i soldi,
quante volte gli avevo detto che lo pagavo io intanto!
Ma alla
fine mi rendo conto bene ora che lo psicologo non c'entrava un cazzo
in quei momenti. Era un appigliarsi a qualcuno di esterno che
risolvesse la sua, la nostra situazione, quando né io né lui
avremmo mosso un dito.
Sasuke non avrebbe mosso un dito,
quantunque ci avrebbe provato con tutto se stesso ad uscire da quella
vita di merda.
Avrebbe anche seguito tutti i consigli del mondo,
da lucido.
Fa' quello, di'
questo e vedrai, piano piano andrà meglio.
Ma
la merda sarebbe rimasta: di questo ero sicuro all'epoca; ma ero a un
passo da realizzare
dell'altro: la merda sarebbe rimasta continuando a rimanere
lì.
Sasuke, in quell'appartamento col fratello, in quella città
col fratello, avrebbe potuto andare dal migliore psicologo di tutto
il mondo, seguire i migliori consigli, ma sarebbe durata poco la
vita normale.
Dopotutto
viveva lì.
Nella merda.
Mi ci sarebbe voluta proprio l'aiuto
della mia collega carina per fare questa importantissima
constatazione, così apparentemente banale,
a pensarci adesso.
Ci parlammo in un'altra delle nostre uscite,
questa volta a casa mia. E arrivammo dritti al punto di svolta, dopo
che io le avevo parlato senza remore e a lungo di
un mio amico.
“Deve andare via.”
Vi
avevo detto, no, che Sakura sarebbe stata la chiave di svolta?
Mi
ci vollero parecchi giorni per definire il mio pensiero, ma ben
presto mi convinsi fortemente di quel fatto.
“E
come, Sakura? Come?”
Sakura
aveva sorriso mentre si voltava piano a fissare gli occhi nei miei:
“Lo puoi portare via tu.”
aveva detto col tono più
calmo del mondo. Più definitivo, eppure.
Avrei dovuto portarlo
via da lì.