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Autore: WarHamster    25/09/2014    10 recensioni
Il quartiermastro si tolse il cappello prima di gridare «Maelstrom!» e la ciurma lo fissò come se fosse impazzito mentre il Capitano Bell rideva sguaiatamente dando gioco al timone.
«Siamo in una laguna, signore» la confusione della ciurma era palpabile e condivisibile, la paura anche. La laguna di cui fino a qualche istante prima avevano evitato le secche sembrava ora fonda come il centro del pacifico.
Il gorgo cominciava ad aprirsi sotto di loro come una bocca orrenda, le vele imbrigliavano il vento e si tendevano fin quasi a lacerarsi; Linden si stringeva all’albero con i capelli che gli sbattevano sul viso e un’euforia incontenibile gli montava nel petto.
Fu soltanto quando la Linnorm già cavalcava l’orlo del maelstrom che Reamon uscì dalla sua cabina e tutti si ricordarono perché avevano scelto di seguire un capitano che per metà del tempo riusciva a malapena a reggersi in piedi.
Genere: Angst, Avventura, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Darling, do you feel, there’s a storm coming our way.
The burning light between us is already starting to fade.

[Killing me killing you Sentenced]

 

Il vecchio ponte di New Providence non veniva sollevato da anni: non c’era più nessuno che si mettesse alla fonda nel Cantiere, si rischiava di non uscirne più.
Appena sotto l’arco annerito dalle piogge stava la locanda di Rob il guercio, un omone che ci vedeva benissimo.
Tyrone Bell strinse le labbra in un’espressione severa «Quando vi strapperanno il cuore allora mi crederete. Io le ho viste». Il brusio si fece ilare «Perché, le sirene cantano anche per i finocchi?» gridò qualcuno.
Le risate vennero interrotte dal sibilo di una lama che lasciava il fodero. Il vecchio Burke sgranò gli occhi e non fece in tempo a rimangiarsi quel che aveva detto che il pugnale si piantò nella parete di legno mozzandogli di netto l’orecchio.
Fu solo allora che Reamon, le guance già rubizze nonostante fossero appena le dieci, si alzò e con un gesto pacato fermò l’ira di Bell.
Che quei due fossero una spina nel fianco Rob il guercio lo sapeva da tempo, ma sapeva anche che sarebbe stato ben più problematico tenerli fuori dal locale. Quindi tanto valeva sopportare le loro stronzate e sperare che non calcassero troppo la mano.

Tyrone Bell era nato e cresciuto a New Providence, figlio di una rispettabilissima battona e di una canaglia con qualche grado militare. Era stato un problema sin da subito.
Qualcuno aveva cominciato a dire che sua madre aveva tentato di affogarlo quando aveva sei anni, e per questo era un po’ tocco; ma Tyrone l’aveva zittito, per sempre.
A sedici anni era finito dentro per furto e una volta uscito non aveva fatto che collezionare reati di ogni sorta; a vent’anni era uno degli uomini più ricercati dei caraibi. Era stato allora che aveva conosciuto Reamon, il Vichingo ‒ lo chiamavano così perché veniva dalla Scandinavia .
Di Reamon si sapevano ben poche cose, ma ciò che era noto aveva abbastanza peso da non richiedere ulteriori informazioni.
Per prima cosa il Vichingo aveva una solida relazione con la bottiglia, fatto che ci porta di filato alla seconda affermazione: Reamon aveva una genuina passione per le risse, e da sbronzo dava il meglio di sé.
Tutto ciò che di altro si sapeva era che il suo intero corpo era una mappa di cicatrici e non se l’era procurate in nessuna delle sopracitate risse o delle sue rocambolesche avventure. Correvano voci che le avesse già quando era sbarcato da un vascello olandese
 la ciurma si era rifiutata di proferir parola, dicono che li abbia terrorizzati a morte.
Ad ogni modo il Vichingo sembrava un agnellino se preso a confronto con il suo compare. C’era molta gente che doveva ringraziarlo se non si era presa il pugnale di Bell fra le costole, ma il vecchio Bill Burke non era fra questi.

«Ti ho mai raccontato di quella notte? Te l’ho mai detto?» Tyrone smozzicava qualche sillaba per la frenesia e Reamon avrebbe voluto potergli dire che, sì, l’aveva già sentita un centinaio di volte quella maledetta storia, il fatto era che ormai aveva gli occhi a mezz’asta e si sentiva vagamente rintronato e per quel che lo riguardava Ty poteva anche raccontagli della sottana di quella gran cagna di sua madre.
«Eravamo al largo di Curaçao, giù nel Messico, vicino a un’isola con le coste rosa come le guance di una fanciulla. Eravamo in mare da una settimana, due al massimo, e da tre giorni sopportavamo la bonaccia; non una bava di vento, lo giuro, non una. All’improvviso l’acqua si è fatta nera, come se si fosse in piena tempesta, e ha preso a girare e girare e girare… un maelstrom! Sissignore, un maelstrom! E poi‒ mi stai ascoltando?» il Vichingo annuì distrattamente. Sembrava che Bell avesse sempre la pressante necessità di raccontargli quel che era successo, come se lui non lo sapesse già. Anche tra i fumi dell’alcol riusciva a ricordare il resto del racconto.

Quando il maelstrom si era aperto sotto di loro la ciurma di Tyrone era già fiaccata dalla penuria di acqua e provviste, i loro riflessi erano annebbiati, la stanchezza sempre più insopportabile… fu allora che il mare prese a cantare.
Le prime note immobilizzarono tutti, un’intera ciurma che se ne stava perfettamente ferma nel mezzo di una tempesta, roba mai vista. Bell aveva continuato a sbraitare ordini, ma nulla, erano come stregati, e dal mare uscirono le sirene. Donne statuarie, tornite nella madreperla, con delle voci da far venire i brividi; uno dopo l’altro avevano raggiunto la balaustra, uno dopo l’altro si erano lanciati in mare.
Tyrone lo ricordava con terrore, come si era sentito prendere e cullare dal loro canto, come aveva desiderato sprofondare negli abissi per mai più riemergervi, però aveva esitato.
Forse voleva rivedere il ponte mobile di New Providence, e Rob il guercio, e magari anche la faccia sfregiata di Reamon, o forse non era abbastanza uomo da crepare così, non era abbastanza pirata da andare a fondo con le dee del mare. In ogni caso si era fermato prima di saltare, e aveva visto la spuma rossa di sangue sciabordare sui fianchi della Coquette.
Non aveva più rivisto nessuno dei suoi uomini.
Quando era tornato in porto la sua nave era un disastro, la sua ciurma scomparsa e il suo senno pure. La gente aveva cominciato a parlare, dicevano che avesse dato di matto e ammazzato i suoi, e Tyrone li faceva tacere nell’unico modo che conoscesse.

Reamon gli poggiò una mano sulla spalla interrompendo il suo racconto «Senti, perché non vai al Cantiere, stai un po’ dietro alla tua nave? Ti tieni occupato e magari ti si snebbia la mente». Gli occhi di Bell si fecero due fessure «Non mi credi?» il Vichingo tacque, gli avevano insegnato a non mentire.
«Non mi credi! Se nemmeno tu mi credi, chi lo farà?» lo attribuì al principio di sbronza, ma era quasi certo di aver visto gli occhi di Tyrone farsi lucidi, sfarfallava le mani a quella sua maniera un po’ francese e la sua voce si era fatta stridula.
Girò i tacchi un istante dopo «Non starò qui a farmi guardare come se fossi un bugiardo» disse soltanto.
Il Vichingo sapeva che doveva soltanto lasciarlo sbollire, che tempo qualche giorno sarebbe tornato da lui con l’aria di chi non aveva alcuna intenzione di chiedere scusa, ma sapeva di essersi comportato da stronzo; eppure aprì lo stesso la bocca.
«E allora andiamo a cercarle, le tue maledette sirene». Sentiva quell’insopportabile prurito alle mani che gli veniva quando era ubriaco e l’indistinto reboare del sangue nelle orecchie, flebile come la risacca delle onde. «Una ciurma e la mia Linnorm, cerchi quello che hai da cercare. Torniamo a casa e ti metti il cuore in pace, non sei il primo capitano a perdere dei compagni, devi solo fartene una ragione».
Bell gli si parò a un palmo dal naso «Ho visto l’acqua rossa del sangue di tanti brav’uomini, ma potrai riempirti gli occhi di quell’incubo anche tu, San Tommaso», in un altro momento Reamon si sarebbe fermato a pensare, non era mai stato un uomo che rischiasse senza il prospetto di un profitto, eppure tutto ciò che riusciva a dirsi era quanto avrebbe voluto fare un passo di più e baciarlo, lì sotto il ponte di New Providence.
Diamine, doveva davvero essere sbronzo.
Si voltò a guardare il porto, quelle costruzioni all’inglese che una volta dovevano sembrare case di lord, ma che il tempo e la salsedine avevano annerito fino a dar loro un aspetto spettrale. Era nato come un porto per la Compagnia delle Indie ed era finito per diventare un ricettacolo di bucanieri; c’erano uomini grami, con la pelle di cuoio, fra quelle calle silenziose. Nessuno sfoggio di perversioni come a Tortuga, nessun fiorente commercio alla maniera di Nassau, solo il silenzio surreale avvolto dalla nebbia che sembrava aver seguito i fondatori del porto dalla patria Inghilterra.
Giusto le banchine marcescenti osavano cigolare nell’abbracciare la laguna artificiale del cantiere navale; il Cantiere, dimora dei peggiori ladroni e tagliagole, un luogo che tanti pirati avevano chiamato casa. Reamon sapeva che, ovunque si fosse spinto, il Cantiere l’avrebbe ripreso come una madre paziente, e avrebbe avuto birra per la sua gola e catrame per il suo scafo.
Per quanto fosse feroce la sua sete d’avventura, avrebbe sempre sentito una stretta al cuore nel vedere le luci di New Providence forare la nebbia e guidarlo verso casa.

 ♦•

Rob il guercio lanciò un ultimo sguardo alla Linnorm che scivolava verso l’orizzonte; ne aveva viste fare di cose a quei ragazzi, ma mai partire alla ricerca di una fiaba per spaventare i bambini. Sapeva però che Reamon non avrebbe resistito a lungo, non quando il suo compagno dava chiari segni di quell’instabilità che tutti pensavano si fosse lasciato alle spalle; era comprensibile che il Vichingo avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di portare un po’ di pace al suo matelot, anche mettersi alle calcagna di una leggenda.

Fu così che quella mattina di settembre la Linnorm con i suoi due capitani fece rotta verso Curaçao.
Il vento spirava a favore e Reamon si godeva la brezza tiepida sul castello di poppa. Non aveva mai dato molti ordini lì sulla nave, aveva un buon timoniere e un quartiermastro altrettanto sveglio, passava il tempo a sbronzarsi sotto il sole cocente; alla ciurma stava bene purché fosse in testa quando c’era da sbarcare.
Tyrone restava impettito a prua, non gli aveva ancora rivolto la parola da quando erano partiti. Qualche mozzo si era fatto scappare una battuta, ma i più adulti l’avevano raddrizzato subito: non ci si guadagnava mai niente di buono a farsi beffe di Bell.
All’ombra dell’albero, seduto cavalcioni su uno dei pennoni, Linden faceva la sua guardia silenziosa. Nessuno aveva ancora capito perché Reamon l’avesse messo lassù, cosa c’era da farsene di una vedetta che non può gridare era un bel mistero; Linden si teneva una campanella nel taschino, quando c’era terra suonava una volta, quando c’erano nuvole suonava due e quando vedeva una bandiera suonava abbastanza da mandare tutti ai matti.
Reamon se lo teneva in ciurma perché aveva l’occhio fino ma non spiccicava parola ‒ vai a sapere cosa avrebbe potuto vedere uno come lui, il fatto che non potesse raccontarlo era un toccasana ­‒ l’unica cosa che faceva era collezionare i suoi inutili ninnoli, robaccia che raccattava in luoghi fortemente immorali e in maniera francamente discutibile, ma chi erano loro per giudicare? Non provavano nemmeno a rubarglieli: quello alla cintura era un vetro colorato, non un rubino, e quello che teneva al collo una patacca smaltata che nemmeno ci assomigliava a uno smeraldo; forse la spilla era in argento e valeva qualcosa, ma nessuno si era preso la briga di controllare, e per quel che importava a Linden avrebbe potuto benissimo essere di peltro.
Il Capitano Bell spese qualche secondo a guardare il ragazzo; che fosse carino, con le sue fattezze da damerino e quel corpo acerbo, se n’erano accorti tutti ‒ alcuni avevano fatto un po’ di più che accorgersene e avevano ben pensato che non sarebbe stata un’idea grama assaggiare un po’ di ben di Dio… il Capitano Reamon non l’aveva presa bene ‒ Tyrone non faceva eccezione, aveva un che di affascinante il fatto che se ne stesse costantemente appollaiato sui pennoni come un giovane falco.
«Quanto tempo era che non navigavamo insieme?» il tono biascicante del Vichingo lo colse alle spalle «Ne sarebbe passato di più se solo tu mi avessi creduto». C’era sempre una sorta di tensione latente legata alla presenza di due capitani sulla stessa nave, e si incrementava straordinariamente se i due uomini in questione erano Bell e Reamon. «Avrò l’onore di averti con me per cena?» Tyrone lo liquidò con un gesto distratto della mano, fissava dritto l’orizzonte, come se potesse già cogliere il profilo di Curaçao.

 ♦•

La porta della cabina si aprì cigolando e facendo sobbalzare Reamon, erano passati tre giorni dal suo invito e la meta era ormai in vista ‒ Linden aveva suonato la campana qualche ora prima.
«Sei in perfetto orario» Tyrone tacque, aveva smesso di contare le volte in cui Reamon non gli aveva fatto pagare quel che si sarebbe meritato, si sedette rigido e composto, con quell’aria da nobile mancato per cui l’avevano schernito tante volte.
«Cosa faremo una volta in porto?» il Vichingo scrollò le spalle, era un uomo d’azione, non di pensiero «Ci riforniremo d’acqua e di viveri, ripartiremo entro sera, non voglio che si sappia che siamo qui».
Gli servì distrattamente un piatto di stufato, poi riprese a parlare «Ti metterai al timone e ci indicherai la rotta, se dove dici c’è quel che dici allora faremo valere i nostri arpioni e cantare i nostri moschetti, altrimenti torneremo a casa e non parleremo mai più di questa storia».
Bell riprese a tacere. Aveva quell’intima sicurezza di star andando incontro a un’immensa tempesta, eppure non voleva rinunciarvi: non aveva a cuore le conseguenze, tutto ciò che gli sembrava importante era provare di non essere pazzo.
La mano di Reamon sulla sua spalla lo riscosse dai suoi pensieri, doveva essere sobrio da non più di qualche ora, a giudicare dal tremore delle sue dita, e non doveva aver dormito molto, le cicatrici sembravano quasi sparire nel pallore emaciato del suo volto.
«Non essere così distante» c’era una nota di disperazione nella sua voce. «Come posso restarti accanto sapendo che mi credi folle?». Lasciò che gli accarezzasse i capelli, rossi come i vini della Borgogna, e che glieli scostasse dietro quelle orecchie da folletto irlandese per cui si era preso più volte del satanasso, ma continuò a fissarlo con quella sua furia inestinguibile.
Reamon gli baciò la fronte «Verrà il giorno in cui non vorrai vedermi morto?». Ma lui non rispose.

 ♦•

Ne era passato di tempo dall’ultima volta che il Vichingo aveva messo piede a Curaçao, era come tornare fra le braccia di una vecchia amante.
Il quartiermastro li attendeva a babordo «Bacan, la vostra scialuppa è pronta». Bell si irrigidì «Sono il Capitano Bell, e non accetto di esser chiamato in altra maniera». Non era difficile credere che la ciurma di Reamon lo odiasse, il Vichingo scrollò le spalle «Suvvia, Ty, a bordo comandano solo il Vento e il Padre Nostro, non sei capitano di nulla». Bell non rispose, non lo faceva mai quando era lui a contraddirlo, ma le sue labbra erano strette in una linea severa. Montò impettito sulla scialuppa, ignorando totalmente l’ombra che passò fugace sul volto statuario del Vichingo; c’erano cose in quel porto che l’avevano fatto restare lontano per mesi, nemici di cui era legittimo aver paura. Reamon era sempre stato bravo a raccogliere antagonisti, un vero e proprio artista. Tyrone però non sapeva nulla di tutto questo, il suo compagno si era guardato bene dal menzionarlo, per lui Curaçao era un porto come tanti altri.
Forse, con il senno di poi, Reamon avrebbe fatto meglio a raccontargli tutto, molte cose sarebbero state diverse, ma la lista di ciò di cui il Vichingo si sarebbe poi pentito era già cominciata da un pezzo.

 ♦•

Il porto di Curaçao era ben distante dal centro, quasi una città a sé, con le sue strade ampie e caotiche così diverse da quelle di New Providence. C’era sempre qualcuno pronto a venderti qualsiasi cosa e puttane con i denti marci ubriache fino al midollo che si strizzavano i seni di fronte a potenziali clienti già alticci. Tutto era governato dal dio denaro, un mondo che Reamon trovava poco attraente ma che faceva illuminare Tyrone, era pane per il suo animo rissoso, vino per la sua crudeltà folle; il Vichingo sapeva di per certo che avrebbero versato del sangue, ma aveva anche la sensazione che avrebbe finito per essere lui quello ferito.

Vi erano pochi luoghi in cui ci si potesse rifornire così in fretta e bene come in quel porto, ma era necessario tenere le orecchie tese e gli occhi ben aperti, Linden lo sapeva. C’erano infiniti pericoli per uno come lui fra quelle strade, ma questo non gli aveva mai impedito di andarsene a zonzo come gli pareva. Cercava altra bigiotteria da acquistare o rubare e mangiava tutta la frutta di cui i lunghi viaggi lo privavano, un ragazzo normale insomma.
Ma per uno con il suo aspetto quelle vie presentavano un pericolo in più dei comuni borseggiatori o assassini, e forse Linden già lo premoniva mentre svoltava in quel vicolo afoso.

Reamon sapeva che anche solo un istante di distrazione avrebbe potuto essergli fatale, eppure aveva lasciato Tyrone solo per un momento, il tempo necessario a pagare i barili di acqua, ad affare concluso il capitano Bell si era volatilizzato.
Lo faceva sempre, per questo avevano smesso di viaggiare insieme, Tyrone era totalmente incapace di seguire un programma senza causare problemi. Il Vichingo puntò con una certa sicurezza verso la prima bettola sul suo cammino e trovò Bell proprio a fianco dell’entrata, intento a discutere con due gentiluomini che, ahimè, Reamon conosceva bene.
Aveva avuto di che ridire più volte con il Commodoro Vega, quel borioso spagnolo sapeva sempre come farlo uscire dai gangheri, ma aveva tre navi al suo comando e aveva finito per mettere il Vichingo alle strette. Il patto era semplice, Reamon non sarebbe entrato a Curaçao e Vega avrebbe evitato di distruggere la Linnorm, tutto sommato un accordo onesto.
Si dà il caso che Tyrone fosse andato a pungolare proprio il luogotenente di Vega e che quest’ultimo si fosse immancabilmente accorto della faccia sfregiata di Reamon. Forse avrebbe potuto convincerli a lasciarli andare in pace con la promessa che non avrebbero mai più fatto ritorno a Curaçao – e questa volta per davvero – ma ciò non era nello stile di Bell.
«Mastica un paio dei loro insulti e ce ne andiamo con calma» gli sussurrò il Vichingo all’orecchio «Se reagiamo sono morto». Tyrone scosse la testa, i lunghi capelli rossi tagliati a fil di spada gli caddero davanti al volto dandogli un che di diabolico, e in una frazione di secondo sguainò il suo fido pugnale.

Quando una mano gli si strinse attorno al polso e una lama gli premette sulla gola, Linden non si spaventò, aveva visto cose peggiori di un poveraccio che credeva di poter avere così un po’ di sollievo carnale. Lasciò che snocciolasse le minacce di rito e gli permise persino di strattonarlo un poco, poi fece scivolare lo stiletto fuori dalla manica e glielo piantò dritto in gola senza dar alcun peso all’arma puntata al suo collo. Nessuno si aspettava mai che un ragazzino si rivoltasse come una vipera.
Si voltò a guardare l’uomo agonizzante e dovette incutergli ancor più terrore della morte stessa; sapeva bene quale fosse il suo volto, aveva lo sguardo di chi aveva visto Davy Jones strisciare sull’albero maestro e gli era stata rubata la voce per raccontarlo.

Il Vichingo si premeva la camicia arrotolata su un fianco, sorpassò il quartiermastro che dirigeva il carico della Linnorm e montò sulla sua scialuppa senza dire una parola.
Tyrone non era con lui, aveva preso un’altra strada dopo aver sistemato gli uomini di Vega.
Reamon sapeva bene che non se la sarebbe cavata con un fianco aperto. Il Commodoro gli avrebbe dato la caccia, e quando l’avrebbe trovato si sarebbe assicurato che non rimanesse nulla né di lui né della sua nave.

Quando Linden scorse il Capitano Bell all’imbocco del vicolo, l’uomo a terra era scosso dagli ultimi spasmi. Tyrone lo fissò divertito «Allora il Gatto Muto di Reamon sa difendersi anche da solo» si sfilò un fazzoletto dalla tasca interna del cappotto e glielo porse affinché si ripulisse del sangue che gli era colato sulla mano. Linden lo prese e ringraziò con un cenno del capo, da un lato lo sollevava il non dover più nascondere la sua brutalità istintiva, dall’altro temeva che anche il Capitano Bell avrebbe abbandonato la sua consueta formalità. Era un uomo che chiunque con un minimo di intelligenza avrebbe temuto, eppure era innegabilmente dotato di un certo fascino, sarà stata quella sua più che nota irruenza, o il fatto che fosse riuscito a domare Reamon il Vichingo, ma Linden non riusciva a nascondere una certa curiosità guardandolo.
Quel giorno il Gatto comprò una fibbia lavorata, robaccia di alpacca con tutta probabilità, e Bell gli offrì il braccio nel tornare alla nave, come se fossero vecchi amici o stessero complottando qualcosa.

Dal ponte della Linnorm Reamon li vide arrivare, serrò il cannocchiale e si diresse con passo pesante nella sua cabina. Prima che fosse salpata l’ancora sarebbe già stato abbastanza ubriaco da non sentire il dolore al fianco.
Mentre le palpebre diventavano troppo pesanti perché le tenesse sollevate, sentì Tyrone scivolare accanto a lui sulla branda, gli accarezzò il fianco ferito, bofonchiò quelle che sicuramente erano scuse patetiche e lo baciò come avrebbe fatto una moglie infedele. E in cuor suo Reamon sapeva che avrebbe finito per perdonarlo ancora una volta, ma non disse nulla, nemmeno quando lui uscì dalla cabina con quel suo passo affrettato.

 ♦•

Quando entrarono nella baia dell’Isla de Alves la ciurma vogava già da un pezzo, le vele pendevano dai pennoni come foglie marcie, completamente scevre di vento. Tyrone lasciò il timone e quasi corse verso di lui «Bonaccia. Ti avevo avvertito, Reamon, sai cosa viene dopo la bonaccia. Vedrai quanta ragione avevo. Dobbiamo accettare che questa volta potrebbe non esserci un lieto fine» gli disse a denti stretti, stringendo gli occhi in due fessure. Il Vichingo non rispose e si limitò a dirigersi verso la sua cabina a smaltire la sbornia, non riusciva a liberarsi del risentimento, non del tutto, d’un tratto era arrabbiato con se stesso, per aver imprudentemente cominciato quel viaggio, e con Tyrone, che invece di fermarlo l’aveva aizzato in quella caccia alle streghe del mare.
Si voltò a guardarlo tornare impettito al timone, fiero, giulivo e folle come non mai, scrutava nell’acqua limpida increspata dai remi con quel sorriso vittorioso e il Vichingo si disse che quello era l’uomo che aveva preso come compagno, e poteva biasimare solo se stesso se non si era reso conto di chi avesse di fronte.

Linden, dall’alto della vedetta, stringeva la sua campanella. Aveva creduto sin da subito al Capitano Bell ed era pronto a suonare come se fosse Pasqua.
Si ricordava bene come avevano riso i suoi vecchi compagni la volta che aveva visto Davy Jones, chissà se ridevano ancora sul fondo del mare.
Come poteva dimenticarsi di aver visto il demonio sul suo pennone, con quegli occhi tondi e bianchi e il fumo che gli fuggiva di bocca, si era portato via la sua voce e la sua coscienza. Linden credeva eccome alle sirene di Bell, e scrutava il mare alla ricerca del primo bagliore di pinna, della prima increspatura d’onda.

Era curioso come la stessa ciurma che nel partire da Curaçao scherniva Bell e la sua pazzia fosse improvvisamente ammutolita e trattenesse il fiato.
La sabbia rosa della spiaggia dell’Isla de Alves li attendeva a est come un presagio di morte, come se fosse pronta a prendere un colore ben più feroce di quello dell’alba.
Fu solo quando il sole si staccò del tutto dal mare che il vento riprese a spirare.

Il quartiermastro se ne accorse appena prima che Linden cominciasse a suonare la campana, il mare fino ad allora cristallino si era fatto nero come l’oceano aperto e il cielo invaso dai colori tenui dell’albeggiare era diventato scuro e carico di nubi minacciose. Le onde impattavano con forza crescente sulla prua e sulla poppa facendo beccheggiare la nave, era chiaro anche all’occhio meno esperto cosa stessa accadendo.
Il quartiermastro si tolse il cappello prima di gridare «Maelstrom!» e la ciurma lo fissò come se fosse impazzito mentre il Capitano Bell rideva sguaiatamente dando gioco al timone.
«Siamo in una laguna, signore» la confusione della ciurma era palpabile e condivisibile, la paura anche. La laguna di cui fino a qualche istante prima avevano evitato le secche sembrava ora fonda come il centro del pacifico.
Il gorgo cominciava ad aprirsi sotto di loro come una bocca orrenda, le vele imbrigliavano il vento e si tendevano fin quasi a lacerarsi; Linden si stringeva all’albero con i capelli che gli sbattevano sul viso e un’euforia incontenibile gli montava nel petto.
Fu soltanto quando la Linnorm già cavalcava l’orlo del maelstrom che Reamon uscì dalla sua cabina e tutti si ricordarono perché avevano scelto di seguire un capitano che per metà del tempo riusciva a malapena a reggersi in piedi.
Si muoveva come un dio guerriero fra il fragore del vento e gli schizzi delle onde, era come se avesse un centro di gravità proprio e l’intera nave prestò attenzione a lui soltanto, il caos si placò, i marinai riuscirono a tendere le gomene, persino Bell si scansò istintivamente. Quando il Vichingo mise mano al timone fu come se la Linnorm avesse riguadagnato vigore, Reamon la portò verso il centro del gorgo mentre il vento gli ululava in faccia impregnandogli di sale i capelli biondi e stopposi; la nave volava sull’acqua con le vele cariche di vento e il legno che uggiolava e scricchiolava per la forza delle onde. Scesero ancora, verso la bocca del maelstrom, verso il letale punto fermo di quel gorgo infernale calando l’ancora, e allora si levò il canto, misto al grido degli alisei imbizzarriti salì fino alle orecchie dei marinai, fino ai loro cuori.
Come Tyrone aveva raccontato, i mozzi saltarono per primi, quando ancora le sirene non si vedevano, e l’acqua cominciò a tingersi di rosso.
Era come se il tempo si fosse fermato, nessuno più muoveva un dito, Reamon stesso saggiava il mare alla ricerca della prima di quelle creature. Quando emersero l’acqua grondava dai loro capelli di seta, scivolava sui seni eburnei e tornava al mare tintinnando come cristalli di Boemia, le dee del mare ripresero a cantare il loro inno ammaliatore e quelle che non cantavano snudavano i denti aguzzi e spalancavano le enormi bocche nello sbranare i marinai infatuati.

Reamon aveva perso ogni calma, afferrava i suoi uomini tentando di fermarli, ma come ne bloccava uno altri tre si gettavano in pasto ai mostri. Era accecato dal sale e dalla disperazione, quando vide anche Tyrone saltare, ma il suo sguardo non era annebbiato, teneva una fune legata alla mano e nell’altra stringeva il suo pugnale, la stessa aria diabolica sul suo viso che gli aveva visto a Curaçao. Il Vichingo gridò, gridò incessantemente mentre lo guardava andare al macello, le sirene guizzavano fuori dall’acqua come proiettili, afferravano a mezz’aria chi si accorgeva troppo tardi di essere andato incontro alla morte; nubi rosse si spandevano sotto il pelo dell’acqua, lì dove le sirene si immergevano con la loro preda. Tyrone si scagliò contro una di quelle donne statuarie, il pugnale sguainato e una folle risata in gola, e lei lo afferrò con le sue mani artigliate, gli lacerò la camicia e graffiò il volto mentre lui, come se non provasse dolore, menava fendenti ancora stretto alla corda. Il mostro allora lo morse, gli affondò i suoi denti da squalo nel polso e tirò lacerando finché il grido di Bell non si unì a quello degli altri caduti, lacerò e tirò finché il pugnale non cadde e la mano di Tyrone con lui.
Reamon già lo dava per morto, ma si sarebbe gettato nell’inferno piuttosto che lasciare a una di quelle belve anche solo un boccone del suo cadavere, si legò alla vita una delle cime che schioccavano nel vento imbizzarrito e si lanciò verso il suo compagno.
Linden scivolò lungo la sartia avvolta all’albero e si sporse a guardare i due capitani.
Reamon sguainò la spada e la sirena sibilò mostrandogli le zanne gocciolanti di sangue. La paura gli era scivolata via di dosso, il dolore al fianco anche e a tutto si era sostituito l’impellente bisogno di riportare Tyrone alla nave; menò qualche fendente alla cieca fra gli schizzi rossastri e poi vide il corpo inerme di Bell penzolare dalla fune e sbatacchiare sul fianco della nave.
Linden afferrò con prontezza la gomena del Bacan e lo guidò verso il suo matelot, il Vichingo gli lanciò uno sguardo di profonda gratitudine prima di raggiungere Tyrone.
La Linnorm barriva per la forza con cui il vento testava il suo legno, e le vele erano quasi tutte brandelli che si agitavano impazziti, con un ultimo lamento seguito da un forte schiocco l’ancora cedette e l’albero maestro cadde a dritta sfasciando il parapetto e buona parte del fianco.
Reamon si issò con fatica sul ponte, Tyrone era pallido e immobile e non avrebbe saputo dire se fosse ancora vivo o meno. Linden si avvicinò a loro, sembrava un bambino spaurito, fradicio come un pulcino e con gli occhi pieni di un nuovo orrore per cui versare sangue.

Così come era arrivato, il maelstrom si placò, il vento divenne una brezza leggera e il Capitano Bell riaprì gli occhi seppur solo per guardare Reamon e dirgli silenziosamente non sono pazzo.

 ♦•

Riportare la nave a New Providence fu faticoso e pericoloso. Tyrone delirava quasi tutto il tempo e il Vichingo temeva che la mano amputata fosse infetta, Linden si occupava di lui come poteva mentre Reamon restava al timone.
Avevano issato l’unica vela che fosse rimasta e la Linnorm si trascinava fra scricchiolii e cigolii sinistri, avevano imbarcato acqua e buona parte delle provviste se n’era andata, Reamon sorrise amaramente nel constatare che ad ogni modo non c’era più una ciurma da sfamare.

Erano passati dieci giorni quando finalmente poté vedere di nuovo le luci del Cantiere e la tiepida nebbia del porto, Bell era di nuovo in piedi, pallido, emaciato e coperto di cicatrici, ma vivo.
Il ponte venne alzato per loro mentre Reamon portava la Linnorm da chi avrebbe potuto curarla. Rob il Guercio li guardava dalla soglia della sua locanda, non disse nulla, ma sapeva che due bravi pirati erano partiti e ne era tornato solo mezzo di ciascuno.

Tyrone si guadagnò un moncherino e una nomea di folle bastardo, Reamon non smise di bere e Linden aveva un nuovo ninnolo, quando entrarono da Rob. L’intero locale fece silenzio al loro ingresso, si aspettavano tutti una delle storie di Bell, ma vi fu solo silenzio, bevvero senza proferir parola e uscirono senza crear scompiglio.
Linden si lasciò inghiottire dai vicoli nebbiosi che erano la sua casa e solo allora Tyrone ebbe il coraggio di guardare Reamon.
Il Vichingo pareva costantemente assente, perso nella rabbia sorda che lo riempiva, Bell guardò a lungo i suoi occhi azzurri alla ricerca di qualcosa da fare o da dire, ma finì per voltargli soltanto le spalle e andare verso il vicolo in cui Linden era sparito.
«Se ora vai, Ty, sarà come se non fossi mai esistito. Se ora lasci questo cantiere, sarà come se non ti avessi mai amato».

Tyrone si voltò a guardarlo ed entrambi seppero che era un bugia, ma il vento portava battaglie che il Vichingo non aveva più voglia di combattere e dolori che non aveva più la forza di sopportare.
Reamon sorrise benevolo «Non ho mai capito se volessi uccidermi o amarmi, mi chiedo se ci sia davvero una differenza».
Era tempo di lasciarlo andare.

 

What am I darlin'?
A whisper in your ear?
A piece of your cake?
What am I, darlin?
The boy you can fear?

Or your biggest mistake?
[Cheers darlin’ – Damian Rice]

 


Alcune note che spero servano a qualcosa:
#1. Reboare esiste, è solo arcaico, ma a me piace perché credo dia esattamente l’idea di che rumore fa il sangue quando va alla testa.
#2. Linnorm significa drago in norvegese, è alla base della parola lindworm, che si riferisce ai serpenti di mare della mitologia norrena su cui primeggia Jormungandr o Midgardsormr, figlio di Loki.
#3. Quando scrivo compagno è come se intendessi marito, fra i pirati vi era la possibilità per le coppie omosessuali di unirsi civilmente tramite il matelotage (che in francese è la parola con cui si indicano i nodi nautici), dal momento che si tratta di un vocabolo intradotto ogni tanto Reamon e Tyrone vengono descritti come matelot.
#4. Ho scoperto che “mandare ai matti” non è dialettale, voglio dire, se l’hanno usato nella traduzione di un telefilm inglese (Black Mirror) allora posso usarlo anch’io, no?
#5. Bacan è un termine affettuoso per riferirsi al capitano, proprio perché la tradizione vuole che sulla nave comandino solo il Vento e il Padre Nostro.
#6. Consiglio di leggere la pagina wikipedia di Davy Jones perché in pirati dei caraibi hanno fatto un po’ un casino.
#7. L’Isla de Alves ha una spiaggia rosa, non è una cosa poi così strana, ma si sa che i pirati erano gente superstiziosa.
#8. Ho lasciato la d in "ad ogni modo" perché trovo che suoni molto meglio così e perché anche l'Accademia della Crusca lo accetta.

   
 
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