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Autore: Il Saggio Trentstiel    26/09/2014    1 recensioni
Era strano ritrovarsi lì dopo aver giurato e spergiurato che non ci avrebbe mai rimesso piede: strano e terribile, un inquietante carosello di emozioni troppo dolorose per poter essere contenute ma impeccabilmente celate dietro un sorriso timido.
Ansia, dubbio, finanche paura. Senso di colpa. Quello non la abbandonava ormai da settimane, si era quasi abituata a conviverci, a considerarlo una inamovibile parte di sé, qualcosa che forse aveva sempre tenuto nascosta tra un cervello di prim'ordine e, di nuovo, sorrisi troppo delicati per essere veri.
Temeva, fra gli altri, il momento in cui avrebbe dovuto parlare. Temeva il tremito che avrebbe scosso la sua voce, temeva le parole difficili da scegliere. Temeva le menzogne che avrebbe dovuto sciorinare.

SPOILER puntata 2x01!
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Jemma Simmons, Leo Fitz, Skye
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Titolo: Everything will be alright
Personaggi: Jemma, Leo, Skye
Genere: Angst, Introspettivo
Avvertimenti: SPOILER
Note: Come si suol dire “tutta accademia”. I motivi che hanno spinto Jemma ad andarsene e le modalità con cui ritornerà (perché lei ritornerà, mi rifiuto di credere il contrario ò.ò) sono frutto esclusivamente della mia capoccia.
Rating: Verde
Conteggio parole: 1845


















Era strano ritrovarsi lì dopo aver giurato e spergiurato che non ci avrebbe mai rimesso piede: strano e terribile, un inquietante carosello di emozioni troppo dolorose per poter essere contenute ma impeccabilmente celate dietro un sorriso timido.
Ansia, dubbio, finanche paura. Senso di colpa. Quello non la abbandonava ormai da settimane, si era quasi abituata a conviverci, a considerarlo una inamovibile parte di sé, qualcosa che forse aveva sempre tenuto nascosta tra un cervello di prim'ordine e, di nuovo, sorrisi troppo delicati per essere veri.
Temeva, fra gli altri, il momento in cui avrebbe dovuto parlare. Temeva il tremito che avrebbe scosso la sua voce, temeva le parole difficili da scegliere. Temeva le menzogne che avrebbe dovuto sciorinare.


















Aveva agito quasi d'impulso. Quasi perché le ci erano voluti giorni e giorni di ragionamenti, monologhi interiori che rasentavano la follia e paura, maledetta paura, per decidere.
Il telefono dal numero criptato era sempre stato lì, sulla scrivania, ma lei evitava di guardarlo il più possibile. Era stata lei stessa a criptarlo e a renderlo sicuro, ma non da sola. Non era mai stata sola.
«Dottoressa Simmons».
Phil Coulson non sembrava sorpreso – cosa, d'altronde, avrebbe mai potuto sorprendere quell'uomo? –: sembrava più che altro che stesse rispondendo a una informale telefonata da parte di una vecchia amica.
Jemma annaspò e le implicazioni del suo gesto sciocco e poco ponderato le parvero più che mai chiare. Senso di colpa.
«Si-signore, io...».
Tacque. Due parole, due parole soltanto e già avrebbe voluto riagganciare: e stava parlando con Coulson! Cosa sarebbe accaduto quando avesse – buon Dio – incontrato gli altri?
Deglutì e strinse il telefono fino a farsi sbiancare le nocche. Doveva solo aprire la bocca, scusarsi e dire che aveva bisogno di altro tempo. Che doveva riordinare le idee, riflettere ancora.
Checché se ne dicesse in giro, mentire non era così facile. Jemma sentiva parole venate di menzogna graffiarle la gola come mille aghi ma nessuna poté abbandonare le sue labbra in un soffio.
«Certo, Simmons» e Jemma avvertì una fitta di nostalgia quando Coulson eliminò quell'ingombrante “dottoressa” prima del suo cognome «Lei è la benvenuta. O la bentornata, se vuole rimanere».
Cosa voleva, Jemma Simmons? Affrontare di petto la questione o continuare a recitare la parte dello struzzo, la testa affondata in un pianoro di timori e scuse meschine?
«Grazie».
Non aveva intenzione di ringraziarlo davvero. Lui l'aveva capita e, in un certo qual modo, aiutata a compiere un primo passo senza esporsi troppo. Gli era grato per questo, ma allo stesso tempo avrebbe preferito un comprensivo silenzio dall'altra parte del ricevitore. Non era pronta, non lo sarebbe stata neanche se ci avesse pensato altri mille anni.
Coulson non diede segno di averla sentita, limitandosi a spiegarle passo per passo come e quando sarebbe avvenuto il suo trasferimento.
Jemma Simmons soffocò un singhiozzo e appuntò mentalmente ogni dettaglio. Per le lacrime ci sarebbe stato tempo dopo.


















L'accoglienza era stata l'esatto opposto di quello che si era aspettata.
L'abbraccio irruento di Skye, il sorriso paterno di Coulson e quello gentile di Trip. Perfino la May aveva appena incurvato le labbra e le aveva stretto una spalla.
Poco lontano vide tre sconosciuti, due uomini e una donna, confabulare tra loro e lanciarle un paio di occhiate poco interessate: la sua curiosità innata emerse anche in quel momento ma non ebbe tempo di fare alcuna domanda. Skye l'aveva afferrata per un braccio e stava trascinandola via, diretta al suo alloggio.
Le due ragazze camminarono in silenzio per diversi minuti e Jemma osservò con attenzione la sua accompagnatrice: era più magra e asciutta di come la ricordava, i capelli erano più lunghi e le labbra strettamente serrate lasciavano appena intravedere un accenno del sorriso beffardo che l'aveva sempre contraddistinta. Era – realizzò con un involontario sussulto – meno Skye e più May.
Giunte dinanzi una porta metallica Skye si fermò e si voltò verso di lei: la scrutò con attenzione clinica per qualche istante e Jemma poté giurare di aver visto una scintilla di rimprovero in fondo a quegli occhi scuri. La cosa le fece male e abbassò lo sguardo in tutta fretta.
«Non voglio indorarti la pillola,» esordì all'improvviso Skye, costringendola a sollevare il volto con quelle poche parole «la situazione è tutto meno che rosea».
Annuì meccanicamente, non capendo granché di quella frase o forse non volendo capire.
Era la situazione del rinato S.H.I.E.L.D. a essere difficile? L'assenza di Ward? La campagna denigratoria da parte dei media?
Pensò rapidamente a svariati scenari, uno meno incoraggiante dell'altro, ma la sua mente evitò con cura di soffermarsi su uno che, beffa del destino, le pareva il più probabile.
La mano di Skye, che le aveva lasciato il braccio diversi minuti prima, le venne posata su una spalla – un gesto così “alla May” che Jemma ne avrebbe sorriso in condizioni normali – e la ragazza la fissò con intensità.
«Sai di cosa sto parlando, di chi sto parlando, vero?».
Di nuovo Jemma annuì. Lo aveva capito – e ignorato – non appena Skye aveva parlato. Deglutì e si rese conto con sorpresa di avere qualcosa da dire.
«Lo so,» mormorò «sono stata con lui tutto il tempo».
No, non tutto la contraddisse una voce maligna nella sua mente. Scosse lievemente il capo e si passò una mano sulle gote umide: quando aveva cominciato a piangere?
«Ti prego...» supplicò venendo stretta subito in un immeritato abbraccio consolatorio «Portami da lui».
Skye si irrigidì ma si rese conto che vedere era meglio che nascondere. O mentire.
Si separò da lei e, presala per mano, la condusse nuovamente lungo asettici corridoi nei quali i loro passi riecheggiavano. Non abbastanza forte per coprire i battiti del cuore di Jemma, comunque.
La scienziata respirava affannosamente come se stessero percorrendo un disagevole sentiero in salita e, metaforicamente, era quanto stava avvenendo.
Aveva mentito anche a Skye, anche a se stessa. Non era stata con lui tutto il tempo.
Lo aveva consolato quando si trovavano sul fondo dell'oceano, convinti di morire e feriti dalla ferocia di chi, fino a poco tempo prima, si professava loro alleato.
Lo aveva ammirato mentre ragionava, sfornava piani sempre più assurdi e infine, terrorizzandola, si sacrificava.
Lo aveva stretto come il suo bene più prezioso, lottando contro la forza delle acque dell'oceano e contro la mancanza di ossigeno, scalciando e dibattendosi fino a tornare alla luce e alla vita.
Lo aveva seguito in elicottero, lungo i corridoi della struttura di accoglienza, durante l'operazione.
Poi, con una codardia di cui non sapeva di essere capace, era fuggita. Prima che lui si destasse, prima che in quegli occhi chiari e velati dal dolore potesse scorgere... Cosa?
Un'accusa? Un segno di cedimento? Il nulla?
Dunque Jemma era fuggita, fuggita senza dare spiegazioni a nessuno, salutata dallo sguardo triste di Coulson e da una serie infinita di rimorsi e rimpianti che l'avrebbe tormentata fino a quel momento.
Si bloccarono e uscì a fatica da quel marasma di pensieri: seguì lo sguardo di Skye fino a un monitor sul quale – il suo cuore ebbe un balzo – Leo sembrava intento a lavorare. Era così simile al Leo che ricordava, così solerte e concentrato, che per un istante pensò scioccamente che non fosse cambiato nulla.
Skye strinse con più forza la sua mano e Jemma seppe che stava illudendosi come una stupida: sullo schermo Leo stava parlando da solo. Non era un borbottare tra sé, altro segno tipico del ragazzo, era una vera e propria conversazione. Con il nulla più assoluto.
Jemma si coprì la bocca con una mano e inspirò di botto: sapeva che Leo aveva subito dei danni ma non ne conosceva la reale entità. Fino a quel doloroso istante.
Sentì vagamente Skye parlare di lesioni al lobo prefrontale, di allucinazioni e di chissà cos'altro ma i suoi occhi e la sua mente erano fissi su quella terribile, pietosa rivelazione.
Prima di poterselo impedire, prima di riflettere, Jemma si allontanò da Skye e corse alla cieca verso il laboratorio. Skye non la seguì, limitandosi a sospirare e ad allontanarsi da lì.
La giovane scienziata correva senza una meta lungo corridoi deserti, oltrepassando porte sigillate e ignorando le telecamere che occhieggiavano nella sua direzione.
A ogni svolta sperava – e temeva – di trovarsi davanti il laboratorio di Fitz, a ogni svolta continuava a correre come se ne andasse della propria vita. Infine, con l'unica compagnia del tambureggiare del suo cuore e dei suoi respiri secchi e affannati, lo vide.
Indossava una camicia a quadri, aveva la chioma arruffata come se si fosse appena alzato dal letto e stava febbrilmente digitando qualcosa su un computer. Le dava le spalle e una porta trasparente li separava.
Jemma avanzò lentamente e prima ancora che il suo respiro potesse appannare il vetro, la porta scorse da un lato e le strappò un basso singulto. Leo non parve accorgersi di nulla, troppo preso a controllare qualcosa sul computer e a intrattenere una conversazione con il vuoto.
Varcò la soglia apertasi come per magia – fu attraversata dal sospetto che Skye ci avesse messo lo zampino – e rimase immobile, dritta come un fuso e altrettanto rigida. La voce di Leo le giungeva ovattata alle orecchie come se, invece di pochi metri, tra loro vi fosse una distanza più ampia.
«... Non credo che possa permettermi di perdere altro tempo, stanno ancora tutti aspettando il...».
Il ragazzo si interruppe e schioccò le dita un paio di volte, cercando con difficoltà di recuperare una parola che pareva troppo ardua da rammentare: ci furono alcuni secondi di silenzio, poi le sue spalle tese si rilassarono e lui annuì.
«Il rivestimento» affermò finalmente, voltandosi appena alla sua sinistra «Grazie, Simmons» mormorò con voce sommessa.
Jemma non seppe come fosse riuscita a non cadere a terra. Le parole sussurrate da Fitz le avevano fatto tremare le gambe e il cuore e, senza alcun preavviso, le lacrime ripresero a sgorgare dai suoi occhi.
Fece qualche passo esitante verso il ragazzo, ancora di spalle e ancora intento a conversare con lei.
«Ci sono quasi, ci sono quasi, così presto avremo una completa...».
Si bloccò di nuovo e batté un pugno sul tavolo metallico, frustrato. Jemma parlò prima di poterselo impedire.
«Copertura?».
Leo sospirò e annuì.
«Copertura,» confermò «esattamente».
Non si voltò né diede segno di averla vista realmente: si limitò a portare una mano sulla sua spalla, esattamente dove – lo realizzò all'istante – Jemma lo aveva stretto per salvarlo dall'esplosione e dalle gelide acque oceaniche, ripetendo tra sé e sé “Lo so, lo so”.
La ragazza si era inconsciamente avvicinata a lui tanto da poterlo toccare, ma nella mente di Leo lo stava già facendo.
Fitz non si era reso conto del suo abbandono. Aveva avuto fiducia in lei, si era convinto che lei fosse rimasta sempre al suo fianco.
Odiava mentire, Jemma Simmons, ma quella volta le risultò facile. Posò una mano su quella di Fitz e la strinse appena.
«Andrà tutto bene» borbottò lui: Jemma strizzò gli occhi e trattenne le lacrime brucianti che premevano per uscire.
«Andrà tutto bene».
   
 
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