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Autore: TangerGin    26/09/2014    2 recensioni
Sono i ma a rendere difficili i rapporti. Sono quelle due lettere che capovolgono il mondo e strappano via quel miele di illusioni che ha cariato ormai il piccolo cuore di Trix.
Genere: Angst, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Ma.
 
 
Non è una novità.
E non è la prima persona a provarlo sulla propria pelle.
Ma c’è questo ammasso informe e pesante di brividi che le fa montare una nausea costante, e pensa alla notte, e pensa a lui, e pensa a quel Ho capito.
In realtà lui non ha capito proprio un cazzo.
Ma la storia non inizia da questa mattina estiva, non inizia dai piedi di Trix appoggiati contro il muretto del terrazzo, né dall’orizzonte dolce delle colline che sono di un verde talmente forte che gli occhi le fanno un male cane.
 
Inizia otto anni prima.
Inizia quando Trix ed Harry hanno quattordici anni, e hanno appena iniziato il liceo, ed entrambi si riempiono la testa di mantra pseudo-anarchici, punk commerciale ripetuto a macchinetta come un Ave Maria imposto dal parroco ai timorati di Dio. Si ricoprono il corpo con stracci che urlano ai quattro venti quanto sono ribelli, e quanto non si piegheranno mai a questa società malata e consumista.
Harry e Trix si incontrano per la prima volta al concerto dei Rancid, entrambi accompagnati dai fratelli maggiori, e si squadrano bene, da capo a piedi. È il loro primo concerto, Beatrix vorrebbe quasi tenere per mano suo fratello Spencer, ché un po’ di paura sotto sotto ce l’ha; ed Harry si nasconde dietro la schiena di Gemma, perché ancora le sue ossa sono piccole ed i suoi muscoli celati.
Trix ha trovato del tutto fuori contesto i riccioli esagerati di Harry, ma un po’ le piacciono i suoi occhi – e la sua t-shirt dei Sex Pistols è effettivamente un figata. Peccato che lei lo superi di cinque centimetri buoni, nonostante lui stia indossando quegli anfibi datati.
Poi continuano a vedersi, a quei concerti.
Passano gli anni e quegli ideali da pre-adolescenti incazzati decidono di accantonarli in un angolo dell’armadio assieme ai pantaloni in tartan e le catene portate al collo, ma ogni volta che i NOFX, i Social Distorsion, gli Anti-Flag o chi per loro suona nelle vicinanze, Trix ed Harry indossano i loro jeans più strappati, e le loro giacche di pelle più consumate e sanno di ritrovarsi in mezzo al pogo, tra l’acre odore del sudore mescolato alle birre rovesciate e a quelle sigarette fumate in quei locali troppo piccoli. Perché sì, magari hanno smesso di credere nell’anarchia insurrezionale, ma adorano ancora perdere la voce saltando, e quella musica dura e frenetica nelle orecchie è qualcosa che è davvero difficile da smettere di amare. A volte ridono assieme, mentre aspettano in coda fuori, e “Sapevo di trovarti qui!” si esclamano a vicenda.
Hanno diciassette anni ed Harry nel frattempo è cresciuto, le sue spalle si sono irrobustite, e non deve più guardare Trix dal basso verso l’alto. Lei svetta comunque sulla folla femminile, perché quelle gambe non hanno smesso di allungarsi con la pubertà, e le sue forme si sono addolcite, ma Harry non può nemmeno notarlo perché Trix le tiene nascoste sotto la felpa oversize dei Bad Religion, e poi a lui nemmeno interessa più di tanto. Dopotutto Trix è quell’amica che compare di tanto in tanto nella sua vita: quella da chiamare la domenica pomeriggio quando ti annoi, o quando sei stato a quella serata di ska-punk di nicchia e vuoi aggiornarla sulle novità. È quella ragazza che non è nemmeno una ragazza, alla fine dei conti. Perché poi Harry, a scuola, i jeans rotti li sostituisce con pantaloni ben stirati da sua madre Anne, e le t-shirt dei Sex Pistols le baratta con camicie cifrate, cucite su misura dal sarto. E questa sua doppia vita a lui piace, si sente un po’ come Superman quando toglie gli occhiali e indossa la tuta rossa e blu – solo che il mantello di Harry è il suo chiodo pesante.
Trix ogni tanto lo incrocia sulla strada verso il liceo, stenta quasi a riconoscerlo e sotto i baffi se la ride, quando vede quei riccioli costretti in una strana forma dal gel, e si domanda perché lui lo faccia. Ma alza comunque la mano e lo saluta con un sorriso, quando lui è appoggiato al muro con le braccia strette attorno ai fianchi di Sally. Harry strizza gli occhi in quello che forse dovrebbe essere un occhiolino, ma mica gli riesce, allora abbassa la testa in un cenno di riverenza e si fanno bastare quello. A loro basta quello, un'amicizia che nemmeno amicizia puoi chiamarla veramente. Ma hanno le loro vite, le loro cerchie, i loro interessi diametralmente opposti, e sì, a loro va davvero bene così e non cercano nient'altro l'uno nell'altra.
 
Nel frattempo il liceo finisce, Trix inforca un treno per Londra con due valigie enormi contenenti tutti quei primi diciotto anni passati ad Holmes Chapel, e la vita nella capitale le piace davvero un sacco: non riconoscere i volti della gente che incontra ogni mattina sulla via per l’università, il suono della Oyster-card quando viene passata distrattamente sul tornello della metro, le biro blu con i tappi smangiucchiati durante le ore di lezione, tornare a casa e dover cenare, ma chi è che ha voglia di cucinare? E allora butta una manciata di cereali nella tazza più grande che ha e sgranocchia il tutto facendo zapping disinteressato davanti a quella tv che probabilmente è più vecchia di lei. Poi c’è la sua coinquilina Zelda che le passa un tiro di quella paglia corretta o che ogni tanto prepara quei muffin magici, e allora Trix si lascia andare contro il divano, come se stesse per essene inglobata, e ci sono sue cellule che iniziano a lavorare per conto loro, e quei pensieri che iniziano a frullare ad una velocità troppo frenetica perché lei riesca a stargli dietro, e allora partono le risate e c’è Trix che pensa a sua madre e a quanto disapproverebbe la sua vita londinese, e le risate aumentano e poi se ne va a letto sorridendo, perché si sente a posto. Nel suo giusto posto.
Harry a vent’anni invece bazzica di città in città. E se ha passato un anno cercando di sbarcare il lunario come barista a Manchester, poi ci sono stati quei sei mesi passati in Spagna “per studiare”, ma forse l’unico bagaglio culturale che gli è rimasto sono quell'accozzaglia di frasi in spagnolo che servono solo in quelle determinate occasioni in cui la lucidità è l’ultimo dei tuoi problemi. Poi c’è stata quella storia con Francine, e per qualche giorno ha pure pensato di trasferirsi a Parigi ma veramente voglio andare a vivere in mezzo ai mangia formaggio? e una scusa per troncare con Francine l'ha trovata in spicciole motivazioni da inglese francofobo (e non ne va nemmeno così fiero). Quindi, infine, c'è Londra, che è una meta un po’ obbligata per ogni studentello in crisi di identità che si rispetti. E allora c’è Harry che dorme sul divano di Louis, ma forse sarebbe meglio se ti trovassi una casa, gli dice ogni tanto l’amico. O magari un lavoro. Ma lui infila quelle dita dinoccolate nei riccioli, si infila una camicia sgualcita e nemmeno troppo profumata, e decide che è meglio andare a vedere se hanno ancora i biglietti per la partita Arsenal-Manchester United di sabato. Tira avanti mettendo su musica nel locale di Zayn, perché se c'è una cosa che ha saputo conservare è quell'indubbio gusto musicale - ma non può campare così, e alla fine un lavoro come commesso da Urban Outfitters lo ha anche trovato. La paga è decente, i clienti un po' meno, ma almeno può permettersi le partite di calcio senza farsi fare l'elemosina dai suoi amici.
Harry e Trix adesso di anni ne hanno ventuno e sì, camminano su questi marciapiedi grigi, con le teste infilate in quell’atmosfera londinese apparentemente ancor più grigia ma è talmente vibrante che ti sembra che abbia un colore tutto suo. Alla fine Londra non puoi definirla con un colore. Londra è Londra, dovrebbero brevettare una sfumatura tutta per lei.
 
C’è che un sabato Tim Armstrong fa un concerto in città.
L’ultima volta che Harry e Trix hanno sentito la voce ruvida e mezza stonata di Tim è stato a quel loro primo concerto dei Rancid a quattordici anni, e quando vedono il cartellone (Trix è in metro e lo nota mentre il treno sta sfrecciando verso l’università; Harry invece sta camminando ingobbito con le mani infilate in quel giaccone nero e ha gli occhi puntati nei piedi ma, per fortuna sua, decide di alzare lo sguardo prima di andare a sbattere contro quel lampione, e c’è quel volantino rosso sangue che gli si pianta davanti) entrambi si lasciano scappare un mezzo sorriso, che se qualcuno li stesse vedendo nello stesso momento noterebbe che è una smorfia identica. Ed è identica perché dietro ci sono gli stessi ricordi di quell’adolescenza che se n’è andata, di quei cd consumati sui tragitti verso la scuola, di quelle compilation condivise, di quell’abbozzo di amicizia mal coltivato. Entrambi, in mezzo a quel sorriso, ripensano all’altro. E “Se avessi il suo numero magari gli scriverei, ma” pensa Trix, e “Magari se avessi Facebook potrei cercarla, ma” pensa Harry.
Ma alla fine a quel concerto ci vanno.
Sono in coda, fa un freddo del diavolo perché è febbraio.
Trix alla fine è da sola perché Zelda si è rifiutata di spendere trenta sterline per sentire “un vecchio caprone cantare” e mentre glielo diceva c’era Trix che sbuffava e “ma che ne capirai tu di punk-rock” borbottava.
Harry pure è da solo, perché Louis doveva lavorare a teatro quella sera e Zayn era al club, e di altri amici veri, a Londra, non è che ne abbia. E quindi sono là, in fila, distanziati da una manciata di persone e ancora non si sono visti.
Harry si dondola da un piede all’altro, si appoggia contro il muro in mattoni, e rigira tra il dito indice ed il medio l’accendino verde che nasconde nella tasca del cappotto. Ha gli occhi velati dalla stanchezza e nascosti dai riccioli, e in realtà ne è quasi sollevato perché voglia di fare conversazione, prima di entrare, non ne ha manco mezza.
Trix è a sedere con le spalle contro quello stesso muro a cui è appoggiato Harry qualche metro più indietro, le ginocchia compresse per bene contro il petto perché le sue gambe sono talmente lunghe che potrebbero intralciare persino stando seduta. Indossa una di quelle felpe extra-large di Spencer, ‘ché voglia di mettersi in tiro per un concerto di Tim Armstrong non ne aveva – ma in realtà lei, di voglia di mettersi in tiro, non ne ha mai troppa. Invece avrebbe veramente voglia di uno di quei muffin magici di Zelda, ma si accontenterebbe persino di due tiri di una canna qualsiasi, prima di entrare. E forse non è così una cattiva idea, si dice, mentre si issa in piedi cercando tra il pubblico in attesa fuori dal locale qualcuno già intento nella produzione, oppure che potrebbe sponsorizzarle quel sollazzo che sì, ci starebbe davvero bene. Davvero bene.

Non è che poi ci rimane così secca, quando lo rivede.
Certo, non pensava proprio di ritrovare quella matassa di capelli, però è veramente contenta di riconoscerla in quella occasione. Allora spintona un po’ di spalle e un po’ di schiene e “Dai, mi prendi in giro?” gli dice, dandogli uno di quei pugni che l’hanno sempre caratterizzata (Sono gesti di affetto, gli diceva, ma fanno male! si lamentava lui).
Harry scoppia a ridere, e sotto sotto sapeva di trovarla là perché lei non poteva che essere a Londra, e un concerto di Tim mica se lo perdeva. Allora glielo dice pure, e lei ridacchia, e quando ride in quel modo le vengono delle fossette ai lati degli occhi. Sono divertenti, la sua intera faccia è divertente, ed Harry se ne era totalmente dimenticato. O forse non si ricordava che fosse così tanto divertente stare con lei, così spontaneo, così semplice.
Il tempo di mettersi in pari l’uno con la vita dell’altra e sono già dentro al piccolo locale, con la solita cappa di fumo, il solito odore di birra e sudore, il solito pogo, le solite corde vocali strigliate fino all’ultimo.
“Dobbiamo rivederci!” propone lei quando ormai sono fuori e stanno congelando per il sudore che si è ghiacciato contro la loro pelle ancora accaldata dal concerto. Harry annuisce, e ne ha davvero voglia. Di rivederla, di stare con lei, di riprovare a vivere la spensieratezza di quegli anni che avevano spiluccato assieme.
Quando torna a casa quella notte, Harry capisce che è solo. E Louis e Zayn non gli bastano, perché sì sono i suoi migliori amici, ma Harry ha bisogno di uno sguardo diverso, di opinioni diverse. Gli occhi e le opinioni di Trix, si dice, fanno proprio al caso suo, perché sono piacevoli, a tratti addirittura spassosi. Si ripromette di cercarla, la settimana a venire.
Quando torna a casa quella notte, Trix un po’ trema. Perché non si ricordava che gli occhi di Harry fossero così verdi, non si ricordava che le sue parole fossero così giuste e composte, e non ricordava affatto come fosse genuino e naturale passare del tempo con Harry. Trema perché si riscopre a voler davvero sapere cosa ne pensa dell’ultimo album di Brody Dalle, e vuole sapere che nuova musica ascolta, che film gli piacciono, che interessi ha, e cosa nasconde dietro ai riccioli e dietro a quelle mani sempre nascoste nel cappotto.
 
Ma qui è meglio farla breve, e quindi i mesi passano.
Harry e Trix si avvicinano, Trix inizia a foderarsi la testa con sogni, illusioni, un sentimento che cresce piano nella cassa toracica e lei ha pure paura a guardarci dentro, ed ha ancora più paura a tirarlo fuori. Perché c’è una cosa che lei è sempre riuscita a fare, ed è saper leggere le persone e nel tempo che Harry e Trix iniziano a passare assieme – e sono uscite di gruppo con Louis, e ogni tanto si aggiunge Zelda, a volte Zayn, e poi oscillano da compagnia a compagnia ma si divertono sempre come dei matti – Trix ci vede solo piccoli mattoncini di amicizia che si cementificano piano, però non vuole crederci. Vuole avere fiducia anche nel suo cuore, ‘ché non l’ha mai ascoltato per bene. Vuole aver fiducia in Zelda che le dice “Ma dai! Non è normale che passiate le notti assieme a parlare! Buttati!”, vuole credere che per una volta – una sacrosantissima volta – possa andare bene anche a lei.
E quindi ci ritoviamo in questa nottata estiva.
Harry ha bevuto una cosa come tre birre e due gin tonic, Trix si è limitata ma poi ci sono state quelle canne rollate dalle mani esperte di Mark che sono passate di bocca in bocca e alla fine lei non ci sta tanto quanto non ci sta Harry.
Tornano a casa, assieme, a piedi, e per essere giugno non è nemmeno così caldo, le fa notare lui. Lei si mangia un’unghia della mano, perché ha una cazzo di paura immensa a stare da sola con lui, c’è quel sentimento che le pulsa in mezzo al petto che fa male e soprattutto potrebbe scoppiare da un momento all’altro, e allora sì, fa paura stare sola con lui.
“Piantala” le dice Harry, dandole un piccolo schiaffo sulla mano, e lei alza gli occhi al cielo.
“Lasciami stare, potrò mangiarmi tutte le parti del mio corpo che vorrò senza sentirmi giudicata?” e forse ci infila troppa difensiva, perché di unghie mangiate non sta più parlando, ed Harry lo sa bene.
Harry non è scemo. Lo sa che in quei mesi ci sono state volte in cui forse ha esagerato, e forse quelle telefonate notturne erano ambigue. Harry lo sa che dietro alle pellicine frastagliate del pollice di Trix c’è tutta quell’ansia dovuta al fatto che cosa sono loro due? E soprattutto sa cosa Trix vorrebbe che fossero.
Il problema è che non sono. Non per lui.
Non c’è quella cosa là, quella tanto blaterata "scintilla", ma a chiamarla così Harry si sente quasi scemo.
Perché se si mette a tavolino a pensarci, a riflettere su cosa cerca in una donna non riesce a capire perché lei non dovrebbe andar bene. Non è mai stato tanto bene con una ragazza. Non ha mai voluto passare del tempo con qualcuno come ha voglia di passarlo con Trix, e gli piace discuterci dell’ultimo film di Nolan, gli piace litigare sul perché la musica ambient non è così tremenda come lei pensa. Harry non è mai stato il tipo da scendere a contentini per far star bene gli altri e se una cosa non gli va di farla, lui non la fa. Ma le parole di Trix le cerca, se le gusta. Insomma, ad Harry piace davvero Trix. 
Ma al contempo non gli piace, e questa cosa lo fa pure incazzare. Perché poi la vede che sta male, la sente tremare mentre camminano verso casa, la vede quella tensione. E forse è meglio che venga tutto fuori?
“Ascolta, io non ti giudico, lo sai che io…”
“Tu non sei il mio migliore amico”.
Trix si ferma, è arrivata a casa, prende le chiavi e vorrebbe infilarsi velocemente nell’androne buio. Perché quella manciata di parole preferirebbe non averla detta, ma ormai è andata.
Harry si ferma, tira fuori una cicca da quel pacchetto morbido di Marlboro Gold ormai finito.
“Non sei il mio migliore amico, quindi non comportarti come tale - respira, o almeno tenta di farlo - Hai capito, insomma”.
Ed Harry ha capito ma non è che ci sta proprio bene.
“Ho capito, o almeno credo di. E ammetto di aver tirato un po’ la corda ma
Trix non vuole altro. C’è quel ma che parla da solo, il suo petto inzia a riempirsi di massi aguzzi che le bloccano il fiato, vorrebbe non piangere ma quel rospo in gola sta risalendo su, e gli occhi sono talmente lucidi che potrebbero sembrare uno specchio.
 
Sono i ma a rendere difficili i rapporti. Sono quelle due lettere che capovolgono il mondo e strappano via quel miele di illusioni che ha cariato ormai il piccolo cuore di Trix. Quella notte diventa una mattina e Trix ed Harry non riescono a dormire, continuano a parlare e continuano a grattare su quelle ferite che si stanno infliggendo a vicenda, ma era necessario farlo. Grattano via le croste, poi leccheranno via il sangue e alla fine resterà solo una cicatrice.
E sì, alla fine non è una novità. E Trix non può farci davvero nulla se per Harry tutte quelle parole condivise, quelle ansie, quei problemi, quelle gioie, quegli interessi, quelle risate, quei ricordi si fermano là e non riesce farle andare oltre. E non lo odia per questo, ma non odia nemmeno se stessa. Sono solo entrambi un po’ incazzati perché allora, alla fine, non è mica vero che basta stare bene per essere felici.
E sì Trix non è la prima persona a provarlo sulla propria pelle, ma fa male lo stesso. Continuano a vedersi, e quella loro amicizia sta pure scavando sempre di più, e mettendo radici sempre più solide, il problema è che non ci sarà mai parità tra loro. Perché c’è Trix che quando lo vede arrivare si immagina i suoi occhi verdi incornciati da piccole rughe, e dentro si dispera sempre un po’ perché lo sa che sarà difficile trovare qualcuno da amare con un sentimento simile a quello che lei prova per Harry. Allora si conforta nel "vivi l'attimo, Trix, non pensare a cosa sarà", ma sotto sotto un po' di fifa ce l'ha.
Il fatto è che questi sono loro due, adesso. E adesso, lei deve accettarlo.  
E questo forse non è un lieto fine. È un finale ammaccato, con un retrogusto di sciroppo amaro per la tosse.


 
   
 
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