Libri > Shadowhunters
Segui la storia  |       
Autore: AbsynthFairy    26/09/2014    3 recensioni
quando Jace aveva otto anni, lui, Isabelle e Alec erano un trio inseparabile; ora, che di anni ne ha 19, non potrebbero essere più distanti di così. E quando Alec fugge dal regno di Idris, lasciandosi alle spalle una scia di ghiaccio e devastazione, Jace è costretto a mettere da parte l'orgoglio e lanciarsi al suo inseguimento, in compagnia di personaggi decisamente particolari.
[The Mortal Instruments / Frozen crossover]
Genere: Angst, Avventura, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Alec Lightwood, Clarissa, Jace Lightwood, Magnus Bane, Simon Lewis
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
02 | Forza

Note: ringrazio per le risposte positive. Sinceramente non me lo aspettavo, pensavo che fosse un'idea un po' malsanotta. XD Sono contenta che sia piaciuta.
Questo è ancora un capitolo introduttivo, e inizierò a distaccarmi un po' dalla storia originale. La trama rimarrà sempre più o meno quella, ma ho voluto modificare qualcosa qua e là in modo da farci entrare tutti i personaggi che mi interessavano. Nel prossimo ci sarà un po' più di azione, spero (!)

Mi scuso in anticipo per la mia pessima, pessima Isabelle. Sto cercando di rimanere il più possibile fedele alla caratterizzazione originale, tuttavia, per quanto ami Izzy con tutta me stessa, non riesco a scrivere dal suo punto di vista. Perdonatemi. T__T

2 Forza

I never see you anymore
Come out the door
It's like you've gone away


Jace si coprì come meglio riuscì, buttando all'aria il suo armadio fino a quando non trovò qualcosa di sufficientemente caldo e coprente. Il lungo mantello viola, per quanto fosse dannatamente brutto, era comodo e confortevole, e i pantaloni blu erano dello stesso modello che utilizzavano gli operai che estraevano il ghiaccio d'inverno, quindi (si sperava) assolutamente affidabili sotto ogni aspetto.

A ragion veduta, forse il viola non gli stava troppo male come colore, ma non era quello il momento di pensare ad assurdi abbinamenti cromatici. Una volta che ebbe controllato di aver preso tutte le provviste che potesse portare, calzò i pesanti stivali scuri da neve e issò lo zaino in spalla. La parte moralmente più difficile fu indossare il cappellino di lana e i guanti: era da anni che non vedeva nessuno di questi accessori, ma per quanto ne sapeva la ricerca si sarebbe potuta prolungare anche per settimane. Non poteva rischiare di morire di ipotermia... non prima di aver trovato Alec, per lo meno.

Il pensiero del fratello lo riempì ancora una volta d'angoscia, perciò cercò di scacciarlo come meglio potè. Dopo aver controllato per la terza volta di aver preso tutto – era una persona metodica, dopotutto – uscì dalla propria stanza e corse lungo l'ampio corridoio, giù fino al piano terra, più velocemente che poteva.

Il castello era diventato dimora temporanea di tutti quegli invitati che erano giunti all'incoronazione via lago, e che non potevano ritornare a casa a causa delle acque ghiacciate; sapeva che in quanto principe avrebbe dovuto rispondere alle loro domande e ascoltare le loro proteste, ma in quel momento la sua mente era focalizzata solo su Alexander. Così li superò uno ad uno senza degnarli di uno sguardo, diretto verso le stalle. Con quella tormenta era impensabile andare a cavallo, ma a piedi era decisamente peggio, e Alec avrebbe potuto essere veramente chissà dove... avrebbe preso uno dei più giovani, sperando che avrebbe resistito alle intemperie, e pregato.

Troppo perso nei suoi pensieri per prestare attenzione a dove stesse andando, giunto al piano terra si scontrò contro qualcuno, facendo cadere entrambi rovinosamente a terra. Jace fu il primo a rialzarsi, borbottando scuse neanche troppo convincenti.

La persona che aveva travolto si esibì in qualche esclamazione risentita, per poi saltare (letteralmente!) in piedi.

Non aveva sentito bene le sue imprecazioni, ma quella figura, i capelli appuntiti e, soprattutto, tutti quei brillantini, non lasciavano presagire nulla di buono. Quello era Magnus Bane, l'apprendista stregone di corte. Chiamarlo 'stregone' era una parola grossa: il ragazzo, poco più grande di Alec qualche anno, non sapeva fare che semplici incantesimi di guarigione. Studiare la magia richiedeva anni e anni di sacrifici, e Magnus aveva iniziato relativamente da una decina d'anni; nonostante ancora non sapesse trasformare persone in rospi, le sue conoscenze mediche ed erboristiche erano di tutto rispetto. La sua famiglia, come quella di Jace, serviva da generazioni i Lightwood.

Levati, Bane,” gli intimò Jace. Seppur fosse un figlio adottivo dei vecchi sovrani, rimaneva un suo diritto rispondere alla servitù come meglio gli aggradava. Solitamente non era così acido, visto che lui stesso non aveva origini regali, ma in quel momento non aveva proprio voglia di perdere tempo in chiacchiere.

Magnus incrociò le braccia al petto. La sua tunica verde fluo scintillava sotto la luce delle candele, ora di nuovo accese. “Dove state andando, se posso chidere?” Era una domanda retorica, perché quando Alec era scappato c'era anche lui nel salone. Nonostante la velata ostilità che correva fra loro, si conoscevano entrambi abbastanza bene.

A riportare il re a casa.” Rispose il ragazzo biondo spiccio. Raccolse da terra il cappellino di lana e, con una smorfia contrariata, se lo sistemò in testa alla ben'e meglio.

Fece poi per sorpassare lo stregone, ma questi lo afferrò per il braccio. Nonostante la corporatura decisamente più esile della sua, la sua presa era solida. “Lasciatemi venire con voi.” Disse semplicemente.

Non se ne parla nemmeno.” Ribatté Jace, esterrefatto “Da solo lavoro meglio.”

Se vi prenderete un raffreddore – e ve lo prenderete, perché non v'importa tanto degli altri ma nulla di voi stesso – non sopravviverete neanche per ventiquattr'ore là fuori.” Constatò lo Magnus con semplicità disarmante. Quando lasciò la presa sul suo braccio, Jace alzò lo sguardo sul suo viso. C'era una determinazione incrollabile dietro quegli occhi felini, quasi come se in gioco ci fosse la sua stessa vita. Il che apparentemente sembrava abbastanza stupido in effetti, ma ad un'attenta riflessione neanche troppo: era suo dovere proteggere i membri della famiglia reale, dopotutto. “Non sarò un bravo combattente, ma sono un guaritore decente. E...” esitò. Nel suo sguardo Jace intravide... cosa intravide? Era forse ansia, quella? “avrete bisogno di tutto l'aiuto possibile. Sono originario di un paesino al di là delle montagne, conosco la vallata abbastanza bene.”

A differenza vostra, avrebbe sicuramente voluto aggiungere, ma non ce n'era stato bisogno: sapevano entrambi che era vero, senza bisogno che Magnus specificasse l'ovvio. Né lui, né Isabelle o Alec, erano mai usciti dal castello, e Jace era sicuro che sarebbe stato capace di perdersi perfino nel centro di Idris.

A malincuore, fu costretto ad accettare il suo aiuto. Anche se fosse stato il cartografo ufficiale di Alicante, dubitò che sarebbe riuscito a dissuadere Bane, e, in ogni caso, avere uno stregone al proprio fianco avrebbe potuto rivelarsi utile. “Hai quindici minuti per cambiarti. Ci vediamo dalle stalle quando sarai pronto. Prendi provviste dalla cucina già che ci sei.” Ordinò semplicemente, e Magnus, senza aggiungere altro, sparì rapidamente in un corridoio.


*


Alec sentiva i fiocchi di neve sulle mani, sul viso, ma, con sua enorme sorpresa, non sentiva la morsa del gelo sulla pelle. In realtà, era proprio il contrario: la neve scivolava sul suo volto, sul collo, dentro il collo della giacca, e quella sensazione di bagnaticcio era riuscita, in qualche modo, a calmarlo. Percepiva il freddo, ma era piacevole, quasi rilassante.

Non avrebbe dovuto reagire così, durante il ballo. Dopotutto, si era allenato per controllare quei... quella forza misteriosa. Avrebbe voluto chiamarli 'poteri', ma fin da bambino aveva associato quella parola alle fate, e a tutti i tipi di magia bianca di cui aveva sentito parlare: sempre incantesimi a fin di bene, ovviamente.

La forza che possedeva era spaventosa e distruttiva al tempo stesso, e lui si sentiva più mostruoso delle sue abilità, perché non era in grado di controllarle. Fin da bambino suo padre aveva provato a insegnargli come reprimere le sue capacità, col timore che avrebbe potuto ferire inavvertitamente qualcuno.

Oh, se aveva avuto ragione.

Solo quando Magnus gli portava i pasti si sentiva un po' meno anormale. Lo stregone si materializzava con uno schiocco di dita in camera sua, si aggirava nella sua stanza come se fosse la propria, ignorando il ghiaccio per terra e alla finestra, e gli parlava a lungo di qualsiasi cosa gli passasse per la mente. Il principe pensava che lo facesse per distrarlo, e non gli dispiaceva affatto. Certi giorni, quando Alec era tranquillo, leggevano assieme e discutevano di filosofia, materia che aveva sempre affascinato il più giovane dei Lightwood, di arte e della natura. In sua compagnia, riusciva perfino a dimenticarsi della sua segregazione forzata: si sentiva un ragazzo normale, in compagnia di una persona decisamente più straordinaria di lui.

Poi, c'erano gli altri giorni, quelli in cui non riusciva a controllarsi, in cui rischiava di essere un pericolo per chiunque, e più cresceva più questi aumentavano di frequenza. Aveva pensato che maturando avrebbe imparato, invece era sempre peggio; era come provare a contenere un fiume in piena durante un temporale. Nonostante i suoi sforzi, il ghiaccio arginava dalla sua mente, usciva dalle sue mani, e Alec si faceva prendere dalla morsa del panico. Voleva che smettesse, ma più si agitava e più usciva, e da solo semplicemente non sapeva come fermarsi. La sua stanza diventava di ghiaccio, e Magnus, tremante per il freddo (ma non per la paura, mai per la paura), doveva farlo addormentare con infusi particolari per calmarlo.

Era da quando erano morti i suoi genitori, quattro anni prima, che quell'amicizia insolita andava avanti fra loro, e se non fosse stato per la compagnia dello stregone, avrebbe sicuramente posto fine alla propria vita. Per quanto fosse sempre stato amante della solitudine, vivere in quella maniera era decisamente troppo anche per lui. Quando era piccolo, ogni volta che i suoi fratelli gli chiedevano di giocare con loro, piangeva in silenzio, cercando di non farsi sentire, con la schiena appoggiata contro la porta e un sottile strato di ghiaccio laddove era seduto.

Col tempo, Isabelle aveva smesso di venire, ma Jace no. Erano entrambi testardi, ma il fratello adottivo aveva sempre avuto un'indole che sfiorava il masochismo puro. Ogni giorno tornava alla sua porta, a volte piangendo, a volte insultandolo, e Alec ingoiava il rospo ogni volta, accampando scuse sempre più deboli e allontanandolo con ogni mezzo possibile.

Era una fatica immane, ma necessaria: non poteva permettersi di fare del male ancora una volta a qualcuno. I suoi fratelli non avrebbero dovuto conoscere (o meglio, ricordare) la sua vera natura.

Fino a quando, un giorno, con suo sgomento e sollievo, perfino Jace aveva smesso di cercarlo. E sarebbe stato meglio così per tutti, se non che il destino, beffardo come al solito, aveva avuto altri piani per loro.

Poche ore prima, era stato sul punto di uccidere Jace, il suo amato fratellino. Era stato così felice di averlo rivisto dopo tanti anni: era diventato alto, e bello, incredibilmente bello. Era così sicuro di sé, così splendente e luminoso, che per un attimo era stato come se non fosse passato che un minuto dall'ultima volta che si erano rivisti. Avevano parlottato, Alec sempre in imbarazzo, e avevano perfino scherzato assieme, come quando erano bambini.

A differenza di Isabelle, testarda e orgogliosa e incredibilmente irritante quando voleva, l'intenzione di Jace era solo quella di aiutarlo, e lui, di rimando, avrebbe soltanto voluto evocare una scheggia di ghiaccio e trafiggerlo con essa, trapassargli il cuore parte a parte solo per farlo tacere, per togliergli quell'espressione di pietà dal viso.

Si sentiva disgustoso, e sporco, terribilmente sporco.

Si guardò le mani. Se Jace non gli avesse sfilato il guanto durante il loro litigio, sarebbe riuscito a controllarsi? Forse sì, ma non ne era del tutto sicuro. I guanti, gli aveva spiegato suo padre quando era bambino, erano un mezzo per facilitare il controllo, ma un'abilità potente come la sua non avrebbe mai potuto essere soggiogata da un pezzo di stoffa.

Si tolse anche l'altro guanto, gettandoselo alle spalle, senza smettere di camminare. Non sapeva ancora di preciso dove andare; voleva solo nascondersi, fuggire da tutti e tutto, liberarsi da quello spiacevole peso sulle spalle.

Tuttavia, per la prima volta nella sua vita, nonostante il senso di colpa, iniziava a sentirsi in pace con se stesso. Aveva corso per ore sotto la neve, fuggendo da quegli sguardi inorriditi e spaventati (non riuscivano a capire che lui era più spaventato di tutti loro messi assieme?), scappando dall'amore stupido e incondizionato di suo fratello e dalla disperazione di sua sorella. Dopotutto, era quello che sapeva fare meglio, no? Fuggire e nascondersi. A differenza di Jace e Izzy, non era mai stato particolarmente sicuro di sé o coraggioso.

Sentiva gli stivali sprofondare nella neve alta. Decisamente non erano adatti a quel tipo di clima, ma quella sensazione lo faceva sentire veramente in pace. Si sentiva tutt'uno con la natura, col ghiaccio e con le montagne: per la prima volta, poteva immergersi nel suo elemento, da solo, senza avere il timore di fare del male a qualcuno.

Volse il palmo della mano verso il cielo, e provò a evocare un fiocco di neve, giusto per vedere, dopo così tanti anni di repressione, cosa si provava utilizzando le sue capacità per un suo capriccio personale.

Ed eccolo lì, che si stava materializzando timidamente, baciato dai fiocchi di neve più piccoli e decisamente più naturali di lui: poco più piccolo del suo pugno, stilizzato ma precisissimo nella forma, proprio come lo aveva figurato nella sua mente.

Scoppiò a ridere. Dopo tanto tempo, Alec scoppiò a ridere per un motivo che non fosse legato a Magnus.

Era egoistico da pensare, ma si sentiva bene, incredibilmente bene.

Libero.

Fece svanire il fiocco con un gesto spiccio della mano, e continuò a camminare verso nord, dove le montagne erano più alte e ripide.


*


Nonostante tutto, Isabelle era parecchio fiera di se stessa. Alle due del mattino, riusciva a essere straordinariamente impeccabile nel suo lungo abito verde acqua, e a rispondere a tutte le domande e lamentele degli ospiti.

Meliorn – bravo, buono e bellissimo Meliorn – li aveva fatti radunare tutti nell'entrata principale immediatamente dopo la partenza di Jace e Magnus. Da un lato era grata per quel bel gesto (poteva solo immaginare quanto fosse stata dura mantenere un tono tranquillo e contemporaneamente convincere quella massa di deficienti ad ascoltarlo), dall'altro l'idea di spiegare tutto, o solo in parte, quello che era successo le faceva saltare i nervi.

Signori! La nostra priorità al momento è il popolo di Alicante,” esclamò per l'ennesima volta Isabelle, cercando di rimanere seria e composta. La sua voce, con sua enorme gioia, uscì dalle sue labbra severa e imperiosa. Dentro di sé, tuttavia, si sentiva logorata dalla rabbia: rabbia verso Jace che l'aveva lasciata a casa, prendendosi l'unico guaritore decente del palazzo, rabbia verso Alec che non solo aveva reso la sua vita un inferno completo senza neanche farsi vedere (il che era decisamente notevole, doveva ammetterlo), ma aveva anche rovinato quella che avrebbe potuto essere la serata più bella della sua vita. “Dobbiamo procurarci bevande calde, legna e coperte per tutti loro. Se ci aiuterete, potrete usufruire fino a tempo debito della nostra cordiale ospitalità.”

Il se non ci aiutate, potete andarvene da qui immediatamente era stato così chiaramente sottointeso, da non essere apparentemente sfuggito a nessuno: la decina di nobili di fronte a lei e Meliorn iniziò a confabulare fra loro circa chi si sarebbe occupato di cosa.

Al suo fianco, Meliorn le sorrise, avvolgendole la vita con un braccio.

Sei fantastica. Sei così giovane, eppure sei riuscita a farti rispettare da alcuni degli uomini più temuti del continente.” Isabelle sorrise, compiaciuta. Era sempre bello sentire qualche complimento, specialmente quando si è così soli e tristi da dimenticare quasi come suonino alle orecchie, “E' per questo che ti amo.”

La ragazza gli sorrise, e lo baciò. Non avrebbe permesso a nessuno di rovinarle quella piccola parvenza di felicità. Neanche ad Alec.

  
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Shadowhunters / Vai alla pagina dell'autore: AbsynthFairy