Anime & Manga > Kuroko no Basket
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Autore: Ortensia_    27/09/2014    3 recensioni
«Ricordi sbiaditi, luci soffuse, amori spezzati e ombre evanescenti. Il tempo si porta via tutto: anche le nostre storie.» — Dal Capitolo IV
Sono passati alcuni mesi dalla fine delle scuole superiori, e ogni membro dell'ex Generazione dei Miracoli ha ormai intrapreso una strada diversa.
Kuroko è rimasto solo, non fa altro che pensare ai chilometri di distanza fra lui e Kagami, tornato negli Stati Uniti.
Tuttavia, incontrato uno dei suoi vecchi compagni di squadra della Teiko, Kuroko comincia una crociata per poter ripristinare la vecchia Gerazione dei Miracoli, con l'aggiunta di nuovi membri, scoprendo, attraverso un lungo e tortuoso percorso, realtà diverse e impensabili.
«La Zone era uno spazio riservato solo ai giocatori più portentosi e agli amanti più sinceri del basket, era, in poche parole, la Hall of Fame dei Miracoli.» — Dal Capitolo VII
[Coppie: KagaKuro; AoKise; MuraHimu; MidoTaka; NijiAka; MomoRiko; forse se ne aggiungeranno altre nel corso della fanfiction.
Accenni: AkaKuro; KiseKuro; MiyaTaka; KiMomo; KuroMomo; KagaHimu.
Il rating potrebbe salire.]
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi, Yuri | Personaggi: Altri, Ryouta Kise, Satsuki Momoi, Taiga Kagami, Tetsuya Kuroko
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Hall of Fame'
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Capitolo XXIII





E nel buio un soffio, la fiammella trema e singhiozza in uno scintillio fioco: si sta per spegnere.

Da almeno dieci minuti, Tetsuya si ripeteva mentalmente di stare calmo e di respirare.
Gli riusciva davvero difficile, in quel momento, ricordare come si facesse ad incamerare aria e a risputarla fuori: una porta chiusa e il silenzio al di là di essa gli avevano fatto dimenticare una cosa banale e naturale come respirare.
Scrutando i volti e le movenze degli altri di sottecchi, Tetsuya si rese conto che buona parte di loro era agitata quanto lui: non gli sfuggì neppure la tensione di Midorima, assente nel volto e nell'espressione ma presente in quel continuo guardarsi intorno, in quel continuo aggiustarsi gli occhiali - dopotutto era un buon osservatore e ormai aveva imparato a leggere anche i caratteri più difficili e a carpire ed interpretare gesti all'apparenza insignificanti -.
Quando la serratura scattò, Tetsuya sussultò appena e si staccò immediatamente dalla parete, rivolgendo il proprio sguardo a Nijimura che, con cautela, si apprestava a richiudere la porta dietro di sé.
«Potete entrare.»
Alle parole di Nijimura, Momoi, Murasakibara e Kise si precipitarono alla porta, mentre Kuroko, che aveva notato un velo di rassegnazione nel tono di voce del primo, non si mosse.
Nijimura, dal canto suo, non si scansò dalla porta e li bloccò con un cenno della mano.
«Uno per volta.»
«Come uno per volta?» Kise aggrottò la fronte e si lagnò sommessamente, mentre Kuroko inspirò profondamente e tornò con la schiena aderente alla parete.
«Vuole vedervi uno per uno, non posso farci niente.» Shuuzou sfiatò, innervosito da tutta quella pressione, e si fece da parte.
«Momoi, tu sei la prima.»
Momoi sobbalzò appena e gli rivolse un'occhiata sorpresa, poi scorse velocemente i volti degli altri e si avvicinò con cautela alla porta, afferrando la maniglia con le dita tremanti: non sapeva cosa aspettarsi, non sapeva cosa fare e cosa dire. Aveva paura che Akashi fosse cambiato fino ad essere irriconoscibile - un'altra volta -.
Kise le accarezzò la spalla, quasi avesse voluto farle coraggio, e finalmente la serratura scattò una seconda volta e Momoi varcò timidamente la soglia di quella stanza.


Non appena lo vide si sentì profondamente stupida: aveva immaginato di trovarlo in una condizione molto peggiore, tenuto in vita da mille macchinari strani e più morto che vivo, ma per fortuna non era così.
Era più pallido e magro di come lo ricordava, aveva i segni della stanchezza sul viso, ma era palesemente vivo, cosciente, e le stava sorridendo, invitandola a prendere posto accanto al letto con la sola forza dello sguardo.
«Ciao, Akashi-kun.» Satsuki indugiò ancora un po' prima di compiere i primi passi verso di lui, mentre Seijuurou sembrò essere completamente a suo agio e non le staccò gli occhi di dosso neppure per un secondo.
«Ti trovo bene.»
A Momoi non piacevano quelle frasi di rito, perché un: “Ti trovo bene” esigeva un: “Anche io”, ma lei non poteva dire lo stesso di lui, sarebbe sembrata una presa in giro bella e buona.
«Ti ringrazio.» prese posto sulla sedia accanto al letto e ricambiò il sorriso «oggi … oggi come stai?»
Akashi la scrutò per qualche istante, senza che la sua espressione mutasse, confermandosi impossibile da leggere come al solito.
«In questi giorni sto molto meglio.»
«Ah!» quasi avesse avuto paura che la conversazione appena cominciata si stesse già per spegnere, Momoi sussultò e cominciò a frugare nella borsa «ti ho portato un regalo, Akashi-kun!»
«Un regalo?»
Satsuki riuscì finalmente a trovare il pacchettino e tornò a rivolgere il proprio sguardo all'altro, sorridendogli.
«Per Natale, anche se è già passato.»
Seijuurou ricambiò il sorriso e afferrò il pacchettino colorato che gli porse.
«Ti ringrazio, sei stata davvero gentile.» fece una piccola pausa, soffermandosi sulla carta sottile e liscia al tatto, sul colore brillante, quasi come se non ricevesse un regalo da anni e ne fosse affascinato.
«Il motivo per cui ho chiesto di vedervi uno ad uno è perché voglio parlare con calma con tutti voi.» poi parve abbandonare la contemplazione del pacchettino e tornò a rivolgersi a Momoi.
Akashi voleva sapere cosa le aveva riservato il futuro, voleva sapere come stessero gli altri, e sapeva benissimo che da Momoi avrebbe potuto ricavare molte informazioni, visto che si era sempre presa cura di tutti loro. Almeno per quel giorno voleva scappare dalla Svizzera e tornare in Giappone, ai vecchi tempi.
«Stai frequentando l'università o lavori?»
«Oh no, l'unico che frequenta l'università è Midorin!» Satsuki si morse il labbro inferiore, ma era già troppo tardi, ed Akashi sorrise soddisfatto: era riuscito a ricavare un'informazione interessante senza neppure volerlo.
«Per ora lavoro in un negozio di intimo come commessa.»
«Avevi in mente qualcos'altro?»
«Beh ...» Momoi indugiò appena e si strinse nelle spalle «vorrei puntare più in alto, lavorare in un negozio di biancheria intima non è certo quello che volevo.»
«Giusto.» Akashi sembrò compiacersi delle sue parole e dopo qualche istante decise di continuare «gli altri come stanno?»
Satsuki parve sorpresa da quella domanda: dopotutto lo avrebbe scoperto da solo di lì a poco.
«Beh, stanno … abbastanza bene, sì.» non era sicura che raccontare del progetto di Kuroko e dei problemi di Midorima fosse una buona idea, quindi preferì rispondere in modo vago.
«Lo scoprirò da solo.» e Akashi parve non averla sentita e averle letto nel pensiero: quel: ”Abbastanza bene”, dopotutto, non lo aveva convinto affatto, ma allo stesso tempo sapeva che non poteva pretendere che Momoi gli dicesse tutto. Piano piano, avrebbe messo a nudo ogni cosa e scoperto il motivo della loro riunificazione.
«Momoi-san, tienili d'occhio fino al mio ritorno.»
Momoi sorrise appena e annuì, alzandosi con estrema calma.
«Chi vuoi che chiami, Akashi-kun?»
Akashi le rivolse un'occhiata silenziosa e rifletté per qualche istante.
«Sono indeciso fra Daiki e Ryouta.» oltretutto, l'espressione di Momoi nel momento in cui pronunciò quei due nomi lo incuriosì ancora di più.
«Ryouta. Prima Ryouta.»
«Allora te lo chiamo. Ci vediamo, Akashi-kun.»
Akashi rispose con un cenno della mano e sorrise compiaciuto: aveva l'impressione che di cose da scoprire ce ne fossero davvero tante, e il solo sospettarlo lo mandava in estasi.


Aveva deciso di tastare il terreno con Ryouta, per poi torturare Daiki.
Akashi aveva un sospetto, ma per agire liberamente doveva prima trovare una conferma che gli desse una sicurezza sufficiente.
Aveva avuto quel sospetto alle medie, e l'sms che Nijimura gli aveva inviato la sera prima, per descrivergli le sue impressioni riguardo agli ex membri della Generazione dei Miracoli, aveva contribuito a farlo tornare a galla, aveva risvegliato in Akashi una curiosità troppo ingorda, che si poteva saziare con la sola verità.
La porta si riaprì all'improvviso e Kise varcò la soglia con estrema lentezza, richiudendosela con cautela alle spalle, quasi avesse avuto paura di fare rumore.
Per quell'istante di silenzio che li circondò, Seijuurou si soffermò sul suo volto e lo scoprì, con sua grande sorpresa, molto simile a quello del Kise di una volta, ma non identico: era il viso di un modello, i lineamenti fini, gli zigomi alti, la pelle bianca, senza imperfezioni, le labbra costantemente increspate nel solito sorriso affabile, ma negli occhi c'era una luce diversa, come se dopo tanto tempo, dopo un'affannosa ricerca, i tormenti di Ryouta fossero svaniti e al loro posto fosse rimasto soltanto il riflesso di qualcosa di dolce, di bello.
Kise sorrideva non per falsità, ma perché era gentile di natura, aveva una predisposizione a dispensare calore ovunque andasse e forse era così tanto preso dalle sue labbra felici che non si era mai reso conto di quanta tristezza albergasse nei suoi occhi. Eppure, ora, c'era un sorriso anche nei suoi occhi, e ciò significava che doveva essere successo qualcosa di bello.
«Akashicchi!» Kise, come Momoi, non sapeva né cosa dire né cosa fare, ma era davvero contento di vederlo e non riuscì a mettere a freno la propria lingua «Nijimuracchi ha detto che stai meglio, quindi stai guarendo, vero?»
Nel constatare che non era cambiato affatto - rumoroso, agitato e ingenuo come al solito -, le labbra di Akashi si incresparono in un sorriso impercettibile.
«Non proprio, Ryouta.»
«Però stai facendo progressi, non è così?» Kise ampliò il sorriso e prese posto sulla sedia, avvicinandola un poco di più al letto.
«Forse.» Akashi mormorò, osservando in silenzio il pacchettino di cartone che l'altro stringeva fra le mani: possibile che fosse sempre così irrimediabilmente e ingenuamente ottimista?
«Ah!» Kise notò lo sguardo di Akashi e fece ondeggiare appena il pacchettino, per poi porgerglielo «Momoicchi-chan mi ha dato un'idea, e quindi anch'io ti ho portato un regalo.» Ryouta fece una piccola pausa e poi riprese con un lieve fremito della voce « un regalo di Natale. Ti devo ancora il regalo di compleanno!»
«Ti ringrazio, ma non è necessario.» Akashi afferrò il pacchettino e lo sistemò accanto a quello che gli aveva dato Momoi, tornando a rivolgersi all'altro.
«Piuttosto, sei ancora un modello, vero?»
«Sì, però gioco anche a basket!» Kise rispose velocemente, quasi negandosi il respiro, come fosse stato un bambino interpellato dalla maestra «per fortuna Kurokocchi ha pensat–»
«Questo me lo dirà Tetsuya.»
Kise sobbalzò appena e restò in silenzio, questa volta ricordando più che altro un bambino in castigo.
«Piuttosto ...» Akashi riprese, assottigliando appena il proprio sguardo senza staccare gli occhi dal suo visitatore «come va fra te e gli altri?»
Ryouta si sorprese a quella domanda e indugiò per qualche istante, infine tornò a rivolgere i propri occhi ad Akashi e rispose alla domanda.
«Credo che rispetto a tanto tempo fa le cose stiano andando molto meglio.» dopotutto perfino Midorima sembrava stesse - finalmente - cominciando ad uscire dalla sua corazza; era inutile negarlo: la vicenda di Takao e Miyaji, seppur indirettamente, aveva rafforzato un'amicizia che fino ad allora era stata troppo debole per chiamarsi tale.
«E fra te e Daiki?»
Kise si sentì gelare il sangue e per pochi istanti ebbe la sensazione che delle mani invisibili gli stessero stringendo con forza il collo, impedendogli di respirare.
«Fra … fra me e Aominecchi?» perché gli aveva fatto una domanda simile? Non gli bastava parlare in generale?
«Va tutto bene, perché?» Ryouta si trattenne dal deglutire.
Akashi lo scrutò in silenzio, poi socchiuse gli occhi e inspirò soddisfatto: era insolito che Kise cadesse vittima dell'imbarazzo, ma quello era proprio uno di quei rari momenti.
«Francamente non avrei mai scommesso su di voi, per questo te l'ho chiesto.»
«Sco-» Kise aggrottò la fronte e borbottò sommessamente «scommesso? Scommesso su cosa, Akashicchi?»
«Sulla vostra amicizia, Ryouta. Avete due caratteri così diversi, e Daiki è così cocciuto che non credevo davvero che le cose fra voi potessero aggiustarsi.» pronunciò serafico e, dopo appena qualche secondo, riprese «altrimenti su cosa avrei dovuto scommettere, Ryouta?»
Kise si sentì avvampare e quasi non fu preso dalla tentazione di alzarsi e scappare a gambe levate dalla stanza, in modo da poter fuggire a quell'interrogatorio prima che Akashi lo soffocasse con tutte le sue domande.
«Su niente, su niente, Akashicchi!» rise nervoso e Akashi, dal canto suo, lo osservò compiaciuto.
«Ryouta?»
«S-sì?»
«Mi basta osservarti per capire che sei cresciuto ancora.»
Quando gli sentì pronunciare quelle parole, Kise trasse un sospiro di sollievo.
«Hai molto potenziale e parte di esso deve ancora sbocciare, quindi, se fossi in te, mi dedicherei al basket.»
«Lo sto facendo ...»
«Solo al basket.»
Kise non seppe cosa rispondere e rimase imbambolato, con le labbra schiuse in un sospiro e gli occhi fissi in un punto impreciso davanti a lui: era un'eventualità che aveva preso in considerazione più volte, ma che aveva abbandonato definitivamente in seconda superiore, quando l'infortunio alla gamba aveva cominciato a pesare sulla sua carriera sportiva.
«Chiama Daiki.»
Le parole di Akashi parvero squillare contro le sue orecchie e lo ridestarono immediatamente, e Kise si sentì, per la seconda volta, gelare il sangue.
«Aominecchi?»
«Sì.»
Kise forzò un sorriso e si alzò dalla sedia, dirigendosi lentamente verso la porta: lo aveva stordito, prima con quella domanda su Aomine, poi con il basket e la possibilità di lasciare per sempre il mondo della moda.
«Ryouta, pensa a quello che ti ho detto.»
Le dita di Kise si strinsero attorno al pomello, ma gli occhi restarono fissi sull'esile figura di Akashi.
«Lo farò.» un impercettibile sussurro che in un attimo spazzò via tutte le sue certezze e lo fece sentire perso, al contrario di Akashi che, invece, sembrò trarne un certo beneficio e un certo compiacimento.


Al contrario di Momoi e Kise, Aomine non indugiò sulla porta e, anzi, si diresse immediatamente verso di lui.
«Ohi, mi spiace, ma io non ti ho portato niente.»
Seijuurou lo scrutò e sorrise compiaciuto nel vedere che, in piedi a fianco al letto, con le mani nelle tasche dei pantaloni e l'espressione annoiata, Aomine era rimasto quello di un tempo e che, quindi, non si sarebbe neppure dovuto sforzare per metterlo alle strette.
«Francamente non credo che siate venuti fin qui per i regali.» si pronunciò con estrema calma: dopotutto non era stato lui a pregarli di venire fino in Svizzera, ma piuttosto aveva il sospetto che fosse stato Kuroko, che avesse qualcosa di ben preciso in mente - e la quasi confessione di Kise aveva alimentato il suo sospetto -. I loro regali erano un'aggiunta a qualcosa di più importante: la loro presenza.
Akashi inspirò e si raddrizzò appena, osservandolo con aria di sufficienza.
«Allora, Daiki, che stai facendo?»
Aomine rimase in silenzio per qualche istante e aggrottò la fronte confuso.
«Mhn?»
«Lavori? Studi?»
Gli occhi di Aomine guizzarono via dalla figura di Akashi e si soffermarono su due grossi libri poggiati sul comodino: a quanto pareva lui stava studiando, si stava preparando per andare all'università nonostante si trovasse ancora confinato in clinica e non sapesse se e quando la malattia sarebbe scomparsa.
«Nessuna delle due cose.»
«Daiki, lo sai che non esiste solo il basket, vero? A meno che tu non decida di intraprendere una carriera agonistica, ti conviene cercare un lavoro.» Akashi non si stupì della sua risposta e parlò con calma imperturbabile.
In tutta risposta, Daiki brontolò appena e fece guizzare gli occhi perfino oltre i libri, alla parete bianca e poi alla finestra e alle nuvole scure al di là del vetro.
«Dovresti tenere d'occhio Ryouta.»
Le parole di Akashi sibilarono, gli ferirono le orecchie - prima che entrasse, Kise aveva fatto appena in tempo a dirgli di stare attento, e cominciava a comprenderne il perché -.
«E perché io?» finalmente tornò a rivolgere il proprio sguardo all'altro, borbottando contrariato.
«Perché gli vuoi bene.»
Aomine si irrigidì e i suoi occhi fuggirono immediatamente da quelli del suo malefico interlocutore: Akashi sapeva qualcosa, e questo non gli piaceva affatto, era maledettamente imbarazzante.
«Sai, Ryouta ha dei pensieri che preferisce tenere per sé, per cui ha bisogno che qualcuno gli stia vicino.»
Aomine avrebbe voluto insistere, domandargli perché stava chiedendo una cosa simile proprio a lui, ma sapeva che ogni tentativo sarebbe stato vano: Akashi aveva già capito tutto.
In quel momento lo detestò profondamente e fu incapace di parlare: anche lui - a maggior ragione, visto che era il suo fidanzato - voleva scoprire i pensieri più intimi di Kise e non trovava giusto che Akashi li conoscesse.
«Mi sbaglio?» quel silenzio improvviso non piacque ad Akashi, che decise di incalzarlo e rinchiuderlo nuovamente nella solida gabbia dell'imbarazzo.
«Beh ...» Daiki esitò e continuò a fissare un punto lontano dagli occhi di Akashi «è un amico, gli voglio bene come a tutti gli altri.»
Provò imbarazzo a confessare una cosa del genere e pensò che ne avrebbe sperimentato almeno il doppio una volta dettogli che lui e Kise stavano insieme - e non che fosse sua intenzione sputare il rospo, ma sapeva perfettamente che l'altro, prima o poi, sarebbe riuscito a cavargli le parole di bocca -.
«Lo paragoni agli altri?» Akashi sorrise in modo eloquente.
«Eh? Ma no, no-» Aomine brontolò e continuò senza neppure rendersene conto «non paragonerei mai Kise agli–»
Le parole gli morirono in gola non appena notò l'espressione compiaciuta di Akashi: a quanto pareva era riuscito ad ottenere ciò che voleva.
«Altri.» Aomine finì la frase in un brontolio ed arretrò di qualche passo, sfiatando spazientito e imbarazzato.
«Posso andare, adesso?»
«Va pure Daiki, non è mia intenzione trattenerti oltre.» in verità, nonostante avesse ottenuto già molte informazioni e fosse quasi dell'idea di confermare il suo sospetto, Akashi avrebbe continuato volentieri a scavare nella coscienza di Aomine e a metterlo in imbarazzo, ma era consapevole che altre tre persone stavano aspettando il loro turno e lui, d'altro canto, non vedeva l'ora di vederle - due in particolare -.
«Chiama Atsushi.»
Aomine non reagì in nessun modo a quelle parole e si limitò ad aprire la porta e voltarsi un'ultima volta verso di lui.
«Beh, ci vediamo.» brontolò, forse ancora imbarazzato, forse offeso.
«Ci vediamo.» Akashi gli fece eco, e poi sentì la porta cigolare appena e la guardò chiudersi lentamente.


Era da almeno trenta secondi che si era richiuso la porta alle spalle e se n'era rimasto a guardarsi intorno con aria confusa, una leggera malinconia nello sguardo e le labbra serrate in una smorfia di perplessità.
«Vieni pure avanti, Atsushi.» ma anche il richiamo di Akashi non risultò essere molto efficace, - non all'inizio, almeno -: Murasakibara aveva bisogno di abituarsi a quell'ambiente, forse necessitava ancora di accettare l'idea che Seijuurou fosse costretto in quel letto bianco e triste, rinchiuso in una clinica dal nome sconosciuto, in una terra troppo lontana dal Giappone - perché ventidue ore per arrivarci erano tante, troppe -.
Murasakibara titubò e fece un primo passo, poi un secondo, e a poco a poco prese più sicurezza e avanzò in direzione del letto di Akashi.
Proprio come un bambino ebbe paura di quell'ambiente sconosciuto, ma, una volta appurato che si trattava di un ambiente innocuo, prese eccessiva confidenza, tanto che finì per ignorare la sedia e si sistemò ai piedi del letto.
Akashi lo guardò in silenzio, poi sollevò una mano e indicò la sedia.
«Atsushi, c'è la sedia.»
Murasakibara sembrò quasi arricciare il naso e dondolò sul posto.
«Qui è più comodo, Aka-chin.» poi, finalmente, lo guardò, ma aveva gli occhi tristi e la bocca corrugata, ancora digrignata in quella smorfia di perplessità.
Akashi decise di lasciarlo lì dov'era e lo osservò mentre gli adagiava una caramella nella piccola conca di lenzuola formata dalle cosce, dove già si trovavano i regali di Kise e Momoi.
«Aka-chin, Niji-chin ha tentato di spiegarmelo tre volte, ma io non ho capito perché sei qui.»
«Perché sono malato, Atsushi.» in cuor suo, Seijuurou aveva il sospetto che l'altro avesse capito benissimo, ma che, più semplicemente, facesse fatica ad elaborare e ad accettare una situazione simile.
«È una malattia brutta, Aka-chin?»
Giustamente, Murasakibara non si sarebbe mai accontentato delle parole di Nijimura: voleva interpellare anche il diretto interessato.
Akashi sfiatò impercettibilmente e rimase in silenzio per qualche istante: non gli piaceva che gli venissero fatte quelle domande, lo costringevano a rispondere in un certo modo e ad ammettere verità che era importante continuare a negare, in modo che l'illusione potesse rafforzare lo spirito e il corpo.
«Sì, è brutta.»
«Aka-chin ...» Murasakibara si fermò a contemplarlo per qualche istante: la malattia era brutta, eppure Akashi sembrava lo stesso di sempre, imperturbabile, calmo, determinato.
«Hai paura, Atsushi?»
Murasakibara si guardò i piedi e si morse il labbro inferiore, pensandoci su solo per qualche istante.
«Sì.»
Akashi accennò un debole sorriso.
«Non devi averne, tornerò prima di quanto immagini.» parlò con estrema calma e riprese qualche istante dopo «cosa fai adesso?»
Atsushi sembrò sorprendersi per quella domanda e tornò a fissarlo.
«Io e Muro-chin stiamo per aprire un negozio. Una specie di bar-pasticceria.»
E anche Akashi, dal canto suo, si sorprese delle parole dell'altro: mai avrebbe immaginato che un tipo pigro e indolente come Murasakibara potesse addirittura decidere di aprire un negozio.
«Aka-chin.» ma Atsushi sembrava intenzionato a parlare di qualcos'altro e lo chiamò di nuovo, tendendogli il mignolo «me lo prometti?»
«Che cosa?»
«Che tornerai.»
Seijuurou tacque per qualche istante e fissò in silenzio il mignolo dell'altro, ancora teso verso di lui, in attesa.
«Te lo prometto.» e così anche Akashi tese il mignolo verso l'alto e lo andò ad intrecciare a quello di Murasakibara, che quasi sembrò sollevato da quel gesto, parve trarre beneficio da quel rito piuttosto infantile.
«Fai il bravo fino al mio ritorno, d'accordo?»
«D'accordo, Aka-chin.»
«Chiama Shintarou.»


Akashi era rimasto in silenzio, non aveva sorriso e si era limitato a seguire ogni suo movimento con lo sguardo.
«Ciao.» lo salutò soltanto quando gli si sedette accanto.
«Ciao.» Midorima fece eco, gli occhi distanti e le labbra incrinate in una smorfia amareggiata.
Akashi, dal canto suo, continuò ad osservarlo in silenzio ed inspirò appena.
«Sei arrabbiato con me, Shintarou?»
Midorima sospirò spazientito ed inforcò gli occhiali con un gesto nervoso.
«Perché non ce lo hai detto prima?»
Akashi rivolse lo sguardo di fronte a sé e arricciò appena il naso, come se un insetto fastidioso avesse appena interrotto la sua quiete sfiorandogli il viso.
«Tu lo avresti fatto, Shintarou?» Seijuurou lo punzecchiò e, non ricevendo risposta, continuò «ti saresti lasciato vedere in certe condizioni?»
«Pensi sia umiliante?» la voce di Midorima risultò leggermente alterata e Akashi, a giudicare dalla sua espressione, sembrò quasi trarne beneficio.
«Non ho voglia di farmi compatire.»
«Qui nessuno ti compatisce, Akashi, piuttosto siamo tutti preoccupati per te.»
«Mi hanno detto che stai frequentando l'università.»
«Non cambiare discorso.» Midorima borbottò spazientito.
«Cosa fai? Medicina?» ma Akashi non lo ascoltò e continuò a parlare.
Shintarou si sistemò ancora una volta gli occhiali e sospirò spazientito.
«Sì. Come lo hai saputo?»
«Momoi-san.»
Midorima trattenne a fatica un secondo sospiro e alzò gli occhi al cielo: doveva aspettarselo, lo svantaggio di essere chiamato fra gli ultimi stava più che altro nel fatto che prima di lui vi fossero Kise e Momoi, ed era scontato che almeno ad uno dei due scappasse qualche informazione. Si augurò, per lo meno, che nessuno avesse menzionato il loro progetto, visto che la cosa spettava a Kuroko.
«Anche io frequenterò l'università.» gli occhi di Akashi guizzarono e si soffermarono sui due grossi libri poggiati sul comodino, e quelli di Midorima fecero lo stesso.
«Lo immaginavo.» sussurrò appena e tornò a rivolgere il proprio sguardo all'altro «lettere?» e finì per maledirsi mentalmente: aveva attraversato la soglia di quella camera con le idee chiare, ripetendosi costantemente che avrebbe dovuto prestare la massima attenzione e non si sarebbe dovuto lasciar manovrare da Akashi, ed ora si ritrovava a parlare di università, lasciando da parte tutti i propositi e le domande che gli avrebbe voluto porre.
«Sì. Non mi piace l'idea di aver perso un anno, ma non voglio rinunciare all'università.» Akashi era perfettamente consapevole che erano rimasti pochi soldi sul suo conto e che avrebbe dovuto stringere la cinghia, contare su Nijimura e magari trovarsi un lavoro per pagare l'università, ma puntava anche sulla possibilità di una borsa di studio che, per le sue doti e le sue capacità, non era poi così lontana.
«Come mi hai trovato?»
Midorima si sentì improvvisamente più leggero: la conversazione aveva cominciato ad assumere una piega personale, la voce di Akashi si era fatta vagamente più dolce e confidenziale, come se avesse deciso di voltare le spalle a quel clima di tensione e diffidenza che aveva pesato su di loro dal momento in cui si erano guardati negli occhi.
«Il tuo dottore aveva il tuo nuovo numero.»
Akashi restò in silenzio per qualche istante e poi accennò un sorriso vagamente divertito.
«Non pensavo aspirassi alla carriera investigativa, Shintarou.»
«Infatti. Ero solo preoccupato.» Midorima sfiatò appena e distolse lo sguardo leggermente imbarazzato.
«Spero che ti sia passata.»
Le parole di Akashi graffiarono il silenzio e risuonarono improvvisamente stridule, a Midorima parvero tante spade pronte a trafiggergli il petto, tanto che sobbalzò e osservò l'altro con espressione trafelata, trattenendo il respiro.
«Non fare quella faccia, Shintarou: sai di cosa parlo.»
Midorima restò in silenzio e cercò di comunicargli con la forza del pensiero ciò che non sarebbe mai riuscito a dirgli a voce: si era preoccupato e lo aveva cercato perché gli voleva bene, ma non lo amava più, non provava più quella strana sensazione di amore riluttante e odio attrattivo che aveva avvertito alle medie e che a poco a poco lo aveva soffocato nelle sue spire. Lui non lo amava, c'era un'altra persona nel suo cuore, una persona speciale che da anni, ormai, aveva spodestato Akashi dal suo trono.
Avrebbe voluto dirgli che si preoccupava per lui come si sarebbe preoccupato per Kise, Aomine, Murasakibara, Momoi o Kuroko: sostanzialmente, Akashi non valeva né più né meno degli altri, c'era solo una persona che contava di più, la stessa persona che Shintarou aveva fatto così tanta fatica a lasciare in Giappone e con la quale cercava di mettersi in contatto ogni volta che poteva.
«Sì.» Akashi parlò senza che lui avesse detto nulla e Midorima tornò a guardarlo in silenzio.
«Ti è passata.»
Shintarou si sentì percuotere da un brivido: lo aveva letto nel pensiero per davvero?
«Lo vedo dai tuoi occhi. A dire il vero l'ho visto anche alle superiori, ma adesso che ti rivedo dopo tanti mesi posso dirlo con certezza.»
Midorima si alzò placidamente, senza staccargli gli occhi di dosso «non abbiamo più niente da dirci per ora, non è vero?»
«Già.»
«Rimettiti presto, Akashi.»
«Lo farò.»
La mano di Midorima scivolò nella tasca dei pantaloni e ne uscì poco dopo, porgendo un piccolo portachiavi a forma di coccinella ad Akashi, e non servirono parole: Seijuurou lo accettò anche più volentieri di tutti gli altri regali e sorrise nel constatare che l'altro dava ancora peso all'oroscopo, illudendosi per un attimo che quello fosse il solito Shintarou, quello che lo guardava con gli occhi pieni di ammirazione, e non una persona ormai libera e svincolata dal potere irresistibile del suo fascino.


Il cuore di Tetsuya saltò un battito quando Midorima uscì dalla stanza e gli rivolse una rapida occhiata silenziosa.
«Manchi solo tu, Kuroko.» Nijimura gli si affiancò e lo incitò con la voce, ma Tetsuya non riuscì a staccarsi dalla parete e rimase a fissare la porta chiusa in silenzio.
«Tetsu-kun, ti senti bene?»
Kuroko schiuse le labbra, ma le parole rimasero incastrate in gola e quindi si limitò ad annuire; a staccarlo dal muro ci pensò la presa pesante di Nijimura su una spalla.
Un piccolo passo, poi un altro: la porta chiusa si fece a poco a poco più vicina e la paura sembrò divorargli le viscere. Anzi no, non era paura, ma una sensazione sconosciuta, varia e violenta, persistente e inarrestabile.
Tetsuya scorse rapidamente i visi dei suoi compagni e si sentì rincuorato dalla loro presenza, ma fu una sensazione illusoria e fugace, spazzata via dal freddo della manipola contro il palmo caldo della mano.
«Avanti.» Nijimura lo incitò e gli diede una piccola pacca sulla spalla, per poi raggiungere gli altri, e a Tetsuya sembrò di restare completamente solo, in uno spazio vuoto e bianco dove esistevano soltanto lui e quella porta.
Dietro quella porta si nascondeva un altro spazio vuoto e bianco? No, probabilmente no: dietro quella porta esisteva un mondo rosso e caldo che lui conosceva bene e che per un breve periodo, tanto tempo prima, era stato anche suo.


In un primo istante si guardarono come se stessero osservando le loro stesse anime, come se entrambi, con la sola forza dello sguardo, si fossero spogliati dell'aspetto esteriore, del pesante strato composto dagli accadimenti del passato e dal contesto presente e avessero messo a nudo i loro sentimenti e ciò che di più intimo possedevano.
Tetsuya indugiò appena, ma la vista di Akashi lo guidò fino al letto dove l'altro riposava e lo osservava senza dire una parola.
In quel momento, nessuno dei due si sentì in grado di parlare, come se avessero avuto paura di pronunciare il loro nome e di osservare l'effetto che avrebbe sortito sull'altro.
Kuroko scostò con cautela la sedia e rimase in piedi di fianco al letto, e per l'ennesima volta schiuse le labbra in uno spasmo di inquietudine, ma finalmente la voce uscì.
«Akashi-kun ...»
«Ciao, Tetsuya.»
«Ciao.» gli rispose immediatamente, ostentando una sicurezza inesistente, con la voce leggermente tremante e le dita allacciate in un intreccio saldo, come congelate: a Tetsuya sembrò di essere sospeso nel tempo e nello spazio, in una dimensione lontana anni luce dal loro passato e dal loro presente, un universo abitato dalle loro due anime e da nessun altro.
Ogni volta si sentiva spiazzare dalla velocità con cui il solo sguardo di Akashi riusciva a trasportarlo lontano, in un mondo nuovo: si immergevano istantaneamente l'uno nell'altro, e gli altri non esistevano più.
«Non ti siedi, Tetsuya?»
Kuroko negò con un piccolo cenno del capo e si soffermò sul volto pallido e smunto dell'altro, cercando di aggrapparsi alle parole che troppo veloci e confuse si accavallavano nella testa e in fondo alla gola, svanendo ancor prima che avesse modo di formulare una frase.
«Sono contento di vederti, Tetsuya.» Akashi accennò un sorriso e si lasciò sprofondare ulteriormente contro il cuscino «ti trovo bene.»
Tetsuya non disse nulla: di certo non poteva dire lo stesso di Seijuurou e si era già arreso all'idea che sarebbe stato lui a tenere le redini della conversazione.
«Immagino che qualcosa vi abbia condotti qui da me.»
Kuroko trattenne il respiro e lo guardò in silenzio: era vero che il suo progetto lo aveva condotto ad Akashi, che grazie a quell'idea avevano scoperto una terribile verità che altrimenti sarebbe rimasta sconosciuta.
«Che cos'hai in mente, Tetsuya?»
«Vorrei che tornassimo a giocare a basket ...» Kuroko esitò e la voce si affievolì «tutti insieme.»
Akashi scrutò Kuroko in silenzio: si era preparato ad una risposta del genere, ma nonostante tutto si era sentito improvvisamente privato del respiro, afflitto da un dolore troppo profondo e antico per essere estinto o anche solo respinto.
Seijuurou non aveva nulla in contrario all'idea di Tetsuya, anzi lo aveva pensato anche lui, era pienamente d'accordo, ma nelle sue condizioni come poteva giocare a basket? E anche se fosse guarito gli ci sarebbe voluta un'eternità per recuperare quei mesi di inattività, sarebbe rimasto indietro rispetto a tutti gli altri e ciò lo avrebbe proiettato verso l'Akashi del passato, verso l'imperatore vittorioso che mai e poi mai sarebbe dovuto ritornare.
«Per questo, Akashi-kun, tu devi guarire.»
Gli occhi di Akashi brillarono di curiosità, parvero braci ardenti.
«E gli altri? Sei già riuscito a convincere gli altri, Tetsuya?»
«Sì.»
Akashi lo osservò in silenzio, senza riuscire a trattenere un sorriso: Tetsuya era come sempre terribilmente forte e determinato, e il fatto che fosse già riuscito a trascinare Midorima, Aomine, Kise e Murasakibara nel suo progetto lo dimostrava.
«Dovremo fare un passo alla volta, Tetsuya.»
Kuroko gli rivolse un'occhiata interrogativa e Akashi riprese a parlare.
«Prima guarirò, poi tornerò a Tokyo e a poco a poco riprenderò col basket.» ma non voleva promettergli nulla e, a dirla tutta, non sapeva se il suo talento fosse destinato a crescere come aveva fatto quello di Ryouta o se si era già fermato per sempre.
«Sarà graduale.»
«Sì, lo so.»
I pochi istanti di silenzio che pesarono su di loro furono interrotti dalla voce imperturbabile di Akashi.
«In questo momento cosa fai? Momoi-san mi ha detto che l'unico che va all'università è Shintarou, quindi tu hai rinunciato all'idea?»
Tetsuya si trattenne dal mordersi il labbro inferiore: l'ultima volta che avevano parlato dell'università era stato tanto tempo prima, alle medie, e si trattava di un'idea condivisa, una congettura che per lui si era trasformata in utopia a causa della precaria situazione economica che aveva cominciato a gravare sulle spalle dei suoi genitori.
«Già, lavoro.» a malincuore aveva abbandonato l'idea dell'università e aveva cercato un lavoro in modo che potesse smettere di dipendere dai guadagni dei suoi genitori, ma ovviamente fare il fattorino non aveva cambiato molto la sua condizione di vita.
«Che tipo di lavoro?»
Tetsuya non avrebbe mai voluto sentirgli pronunciare una domanda simile: chissà cosa avrebbe pensato una volta venuto a conoscenza del suo impiego attuale.
«Io sono un ...» Tetsuya indugiò appena e si schiarì leggermente la voce «ecco, io porto le pizze-»
«Un fattorino?»
«Sì.»
Akashi, contrariamente da quanto si era aspettato l'altro, non lasciò trasparire alcuna emozione e non fu deluso da quella notizia: Tetsuya era forte, sapeva cosa voleva e avrebbe trovato molto presto il suo posto - ne era certo -.
«Non sapevo guidassi la moto.»
Kuroko fu sorpreso da quelle parole e non riuscì a trattenere un sorriso.
«Infatti ho dovuto fare un corso accelerato e prendere subito la patente.»
Akashi fu sul punto di dire qualcosa quando la porta venne spalancata e la voce di Nijimura li interruppe.
«L'orario delle visite è finito, sta per arrivare l'infermiera.»
«Ancora un paio di minuti.» ma Akashi protestò e gli fece cenno di chiudere la porta, e Nijimura non si oppose.
«Pare che sia ora dei saluti, Tetsuya.» Seijuurou riprese a parlare non appena la porta fu richiusa.
«Domani tornerò, Akashi-kun.»
«Non ti devi disturbare.»
«No, mi fa piacere vederti.»
Akashi restò in silenzio e lo scrutò attentamente: c'era qualcosa negli occhi di Kuroko, un'ombra vaga e silenziosa, come se avesse la tentazione di fare qualcosa ma si stesse trattenendo, come se stesse cercando a tutti i costi di restare immobile.
«C'è qualcosa che non va, Tetsuya?» ma Kuroko non rispose e Akashi si sorprese di non essere riuscito a leggerlo per l'ennesima volta.
Quando le braccia calde di Tetsuya lo avvolsero, il corpo di Seijuurou si irrigidì appena, diffidente ed estraneo a dimostrazioni di affetto che riceveva soltanto da Nijimura e molto raramente, ma chiudere gli occhi ed inspirare un profumo che conosceva fin troppo bene gli fu utile per rilassarsi, per abbandonarsi completamente a quella stretta affettuosa, a quell'abbraccio mancato.
«Guarisci presto: voglio tornare a giocare a basket con te.»
Le mani di Akashi scivolarono sulle spalle dell'altro, la stretta si fece un poco più salda.
«Contaci.» e si scambiarono quelle poche parole sorridendo, l'uno stretto all'altro, abbandonati, come vittime di quell'abbraccio che tanto avevano desiderato e che, paradossalmente, li aveva legati e uniti in un momento infinitamente triste.

Il buio divora il vento, la fiammella crepita silenziosa e felice: è una luce che carezza gli animi, una luce che rende dolci anche i ricordi più tristi, una luce che non si vuole spegnere.




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L'angolino invisibile dell'autrice:

Fra le mie crisi esistenziali, gli esami e la conseguente voglia, dopo averli finiti, di svagarsi un po', ci ho messo una vita a scrivere questo capitolo (e spero che sia valsa la pena aspettare così tanto).
Questo capitolo lo avevo riassunto e diviso in sette tracce, e questa è sola la prima: ho dovuto dividerlo, altrimenti sarebbe venuto fuori un capitolo lunghissimo e ci avrei messo altre due settimane per finirlo, e siccome non mi piace farvi attendere ho preferito isolare l'incontro fra Akashi e la GoM e dedicargli un capitolo intero (francamente lo preferisco).
Riguardo alla mia visione di Akashi, un piccolo appunto: il mio Akashi si trova fra l'Akashi buono e l'Akashi cattivo, perché non esordisce con frasi da re (?), ma continua ad essere perfettamente consapevole che lui può ottenere tutto ciò che vuole quando vuole, eee … ok, continua a chiamarli per nome perché mi piace così (Momoi è l'unica che non chiama per nome semplicemente perché lo vedo molto rispettoso verso il genere femminile, un po' come Kuroko - non a caso anche lui usa il “-san” -).
Parlare di ogni incontro e cercare di trasmettere le sensazioni differenti di tutti i personaggi è stato abbastanza complicato, in particolare mi hanno dato molto da fare le ultime due parti.
A proposito delle ultime due parti: chi non è d'accordo con la MidoAka/AkaMido voglia perdonarmi questa cosa/mi sono dimenticata di aggiungerli negli accenni, ehm/e chi non è d'accordo con l'AkaKuro voglia perdonarmi l'altra (volevo quell'abbraccio da quando ho iniziato la fanfiction, sì).
Beeene, il prossimo capitolo mi darà molto da fare, ma forse potrei decidere di dividerlo ancora. L'unica cosa che posso dirvi è che sto per attentare a due coppie e ai vostri feels 8''D
Alla prossima!
   
 
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