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Autore: Non ti scordar di me    27/09/2014    6 recensioni
Può un amore fraterno trasformarsi in altro? In passione? In un’ossessione? In amore?
Damon dopo vent’anni d’assenza ritorna a casa dal padre, dal fratello Stefan e dalla piccola Elena che ormai non è più tanto piccola.
Elena lo odia, lo odia per i suoi modi di fare, lo odia per essere il fratello peggiore al mondo e lo odia perché prova per lui un’attrazione illecita.
E se Damon si stesse spacciando per qualcun altro? Elena è invaghita di un misterioso ragazzo di cui non sa neanche com’è il volto e s’incontra con lui ogni giorno alla biblioteca del college. E se i due, in realtà, fossero la stessa persona?
I due sono veramente fratelli? O sotto si cela un segreto più grande?
Dalla storia:
Le sue labbra erano troppo soffici. Era sbagliato. Noi eravamo sbagliati, quella situazione era sbagliata. I loro sentimenti erano sbagliati.
Si era innamorata di suo fratello. Può una vittima innamorarsi del suo aguzzino? Può una persona innamorarsi di un ricordo? Può una sorella innamorarsi di suo fratello?
“Siamo sbagliati…” Sussurrai.
“Siamo le persone sbagliate al momento sbagliato, eppure non mi sono mai sentito meglio con un’altra persona e in un altro momento.”
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti | Coppie: Damon/Elena
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo dodici.
Oh my god, isn’t possible!
 
Il mio collo era indolenzito, la schiena mi doleva e avevo un grosso cerchio alla testa. Il mio cuore batteva ancora forte ricordando cos’era successo.
La macchina di Matt completamente frantumata con me e lui dentro, i vetri rotti e le ruote che slittavano sul terriccio avevano occupato i miei sogni in quei giorni.

Non riuscivo più a dormire, i sogni – o almeno quelli che lo sembravano – finivano tutti allo stesso modo: io e Matt in quella stramaledetta macchina.
Avevo un nodo alla gola e gli occhi arrossati reduci dal brutto sogno. Guardai l’orologio sul comodino: erano le 10.43.
Damon aveva chiamato un’ambulanza per me e Matt, solo che a differenza mia – me l’ero cavata con qualche punto alla testa – il biondino non se l’era cavata così bene come me. Non avevo sue notizie, nessuno mi voleva dire niente, facevano finta di non sapere niente…E i dubbi mi assalivano completamente.

Nella mia mente tutto aveva un risvolto negativo. E i ‘se’ e i ‘forse’ mi stavano ammazzando lentamente. Se non avessi chiesto a Matt di accompagnarmi a casa, ora non sarebbe successo nulla. Se non avessi urlato contro Matt per fargli notare il cervo, forse se ne sarebbe accorto lui?

Troppe domande, poche risposte.
Ero in camera di Damon. Le coperte nere mi avvolgevano completamente e la debole luce della stanza era scaturita dal piccolo lume sul comò. Cosa sarebbe successo se Damon non ci avesse aiutato? Saremo rimasti lì su quella strada per quanto tempo? Per tutta la notte? O solo per poche ore?

Sbattei più volte le palpebre e mi misi a sedere. Sentivo la pioggia picchiettare, era una pessima giornata sia per il mio umore che per il brutto tempo.
Papà mi aveva tassativamente proibito di uscire da un paio di giorni e le mie giornate le passavo con Damon e Stefan. Care mi mandava alcuni messaggi in cui si scusava ripetutamente per avermi lasciato andare via con Matt – la rassicuravo sempre dicendole che la colpa non era assolutamente sua – così come gli altri miei amici. Tuttavia sentivo che c’era qualcosa che mi stavano nascondendo.

Non ce la facevo più a rimanere chiusa nella stanza di Damon.
Già…Damon. La prima serata l’avevo passata in pronto soccorso, lui non mi avevo lasciato un momento. Sorrisi, ricordando la scenata che aveva fatto.

«Non me ne può fregar di meno se dovete metterle dei punti. Io non mi muovo da qui.» Tuonò arrabbiato, tenendomi la mano. Il mio cuore batteva all’impazzata…Non avevo la più pallida idea di cosa dire. Non volevo che mi lasciasse, volevo che mi dicesse che sarebbe andato tutto bene…Che mi rassicurasse che tutto quello che stava succedendo non fosse stata colpa mia. Volevo che mi mentisse, che mi aiutasse con una bugia, che riuscisse a far scomparire il senso di colpa che in me era troppo opprimente.

Matt era stato trasportato via, prima di me. Non avevo capito molto della sua situazione, so solo che era grave…Almeno lo pensavo, visto le facce preoccupate dei medici.

«Damon…» Lo chiamai debolmente. Lui si girò immediatamente, guardandomi negli occhi. Dai suoi occhi limpidi e trasparenti traspariva la paura…Aveva avuto paura di perdermi. Lui non aveva idea della paura che io avevo avuto, solo pensando che quell’incidente fosse stato diverso. Se non avessi avuto i riflessi pronti per coprirmi il volto dai vetri? A quest’ora probabilmente non ero fuori pericolo.

«Dimmi, principessa.» Rispose, avvicinandosi alla barella. Le nostre mani erano intrecciate, i miei capelli erano pieni di vetri e i miei occhi arrossati. Strinsi forte le sue mani e me le portai all’altezza del cuore.

«Sarai nel mio cuore anche lì, mentre mi metteranno i punti…Okay?» Gli dissi, guardandolo dritto negli occhi. Annuì leggermente indispettito.
«Andatevene ora, o giuro non la lascio più andare.» Disse sospirando pesantemente. La mascella tesa, i muscoli delle braccia rigidi e la bocca chiusa in una linea.

«Possiamo procedere.» Sbuffò il medico, spingendo la barella. Damon mi teneva le mani e io non volevo lasciarlo lì, con la preoccupazione. La porta della sala operatoria aspettava solo noi.

«Damon…Vai tranquillo…Non mi succederà niente…» Dissi, tirando un po’ su col naso. Il corvino ammorbidì la presa sulle mie mani e alzò la testa. Guardò i due infermieri che lo fissavano uno con impazienza e uno con comprensione.

«La tua ragazza starà bene. Fidati.» Gli sorrise quello che sembrava più anziano. Aveva gli occhiali sul naso e un sorriso tirato in volto.
«Mi fido. La lascio nelle tue mani.» Disse soltanto, con i muscoli rigidi e gli occhi assottigliati in due fessure. Mi lasciò la mano, mi accarezzò l’ultima volta i capelli e a passo serrato si allontanò.

Rimase lì fermo per non so quanto tempo, l’unica cosa che sapevo era che una volta uscita da lì Damon era ancora lì e mi stava aspettando.

Girai  la testa verso destra e lo vidi. I capelli spettinati, gli occhi socchiusi e il respiro regolare. La camicia aveva i bottoni aperti lasciando intravedere il suo petto ed era stravaccato sulla poltrona in velluto rosso carminio in una posizione piuttosto innaturale. Chissà se aveva bevuto ancora...Avevo notato che Damon aveva una passione per l’alcool in particolare per il Bourbon, ma MAI e poi MAI l’avevo visto quasi ubriaco.

Dimessa dall’ospedale, papà mi aveva – letteralmente – segregato in stanza di Damon fino a quando la mia non sarebbe ritornata agibile.
«Damon, non andare da lei!» Dalla camera sentii la chiara voce di Stefan che urlava contro il corvino. Un groppo in gola mi bloccò il
respiro. Perché non poteva venire da me? Cosa sapeva Stefan?


«Io posso andare dove voglio. E voglio andare da Elena, chiaro?» La voce di Damon era strana, più sbilenca e meno ironica del previsto. Deglutii. Mi volevo alzare e controllare quello che stava succedendo ma i punti potevano saltare da un momento all’altro.

«Vuoi farti vedere da lei in queste condizioni? Pensaci, sei suo fratello più grande cosa penserebbe se ti vedesse in queste condizioni?!» Continuò imperterrito Stefan. Stanca di quei due che litigavano fuori dalla porta – e anche curiosa di sapere cosa Damon avesse – mi
alzai dal letto.


La testa mi girava, ma non troppo vorticosamente. Appoggiandomi al muro come sostegno, mi avvicinai alla porta e la aprii leggermente.

Stefan era davanti alla porta e Damon di fronte a lui. Mi venne quasi un colpo a vederlo in uno stato del genere.
Capelli spettinati, occhi rossi e sguardo vacuo. In mano una bottiglia di chissà quale liquore. Non si reggeva in piedi, camminava a tentoni e rideva senza motivo.

«Io voglio vederla, devo consolarla! Quando saprà…» Cosa dovevo sapere? Cosa non voleva dirmi? Anzi, cosa la mia famiglia non voleva dirmi?

«Damon!» Lo riprese Stefan. Il corvino si portò una mano alla testa e il mio cuore perse un battito. Ridurre così una persona era…era qualcosa di…di orribile! Vedere una persona che amavi in quello stato, ti faceva stringere il cuore.
Amavi? Lo amavo?

Damon fece ancora qualche passo avanti, ma il suo equilibrio era più precario del solito. Uscii dalla porta e gli andai incontro a braccia aperte.

«Elena?» Mi chiese. Era più una domanda. Lo abbracciai e cercai di sorreggerlo anche se era pesante. Stefan strabuzzò gli occhi.
«Elena, penso io a Damon. Papà ritornerà tra pochi istanti, prenderà un colpo se ti vedrà in piedi con i punti che hai messo meno di ventiquattro ore fa.» Mi mise in guardia.

«Penso io a lui. Fammi…Fammi solamente parlare con lui.» Gli dissi con un sorriso forzato. Damon gli rivolse un sorriso divertito – tipico di lui – e io gli rivolsi il mio sguardo più dolce.
«Elena, il tempo che vado a prendere del tè per fargli smaltire la sbornia.» Disse, scendendo più velocemente possibile le scale. Annuii
leggermente e presi il volto di Damon tra le mani.


«Cos’hai fatto?» Chiesi deglutendo. Lui sospirò pesantemente e mi sorrise, iniziando a giocare con i miei capelli. Oh, bene…Era completamente andato di testa.

«Ho bevuto qualcosa al Grill.» Rispose alzando le spalle. I suoi occhi celesti erano completamente appannati dall’alcool.
«Cosa intendi per qualcosa?» Gli chiesi, sorridendogli dolcemente.
«Tanti…Forse troppi…bicchieri…» Ridacchiò prendendomi le mani. Gli accarezzai il volto.

«Damon promettimi una sola cosa: non fare cazzate. Solo questo.» Dissi, guardandolo dritto negli occhi. Sbatté più volte le palpebre e prese un po’ d’aria.

«Ci proverò.»
Non avevo mai visto in una situazione così strana. Così debole, preoccupato, strano…Mi guardava persino con occhi diversi. Non aveva più gli occhi di un ragazzo che prova un sentimento tanto sbagliato quanto passionale con la sorella, no…Sembrava che lui stesse rivivendo qualcos’altro, qualcosa che io non sapevo con occhi diversi, forse con occhi più consapevoli.

Accanto alla poltrona c’era il suo immancabile tavolino di liquori con un bicchierino vuoto da cui s’intravedevano solamente qualche goccia di chissà quale liquore.

Dalla bocca di Damon uscì un flebile lamento e si stiracchiò. Non sapevo dormisse sulla poltrona…Pensavo dormisse con mio padre, o sul divano…Ma MAI avevo pensato che passasse le nottate ad osservarmi.

Papà si era mostrato quasi più contento dalla reazione di Damon, molto protettiva nei miei confronti forse anche troppo per un fratello. Stefan…Stefan sembrava invece aver un occhio di riguardo sia per me che per lui.
Aveva capito qualcosa? Anche se fosse a me non importava. Damon e io eravamo legati da un sentimento strano, perverso e forte…Troppo forte.

«Ben svegliato.» Lo salutai sorridendogli. Il corvino mi sorrise e si alzò dalla poltrona. Si sistemò malamente i capelli e si avvicinò al letto.
«Buongiorno.» Rispose penetrante come al solito. «Dormito comoda?» Chiese con un pizzico d’ironia indicando il suo letto.
«Certo…» Mentii deglutendo. Non avevo intenzione di parlare dei miei giornalieri incubi, piuttosto in questo momento volevo sapere cosa stavano cercando di nascondermi sia lui che papà che Stefan.

«Io vorrei andare all’ospedale…Sai, vorrei visitare Matt…» Gli spiegai sorridendogli. Se prima Damon aveva un tenue sorriso in volto, ora era sparito in pochi secondi. Lo guardai interrogativa…Perché aveva cambiato repentinamente umore?
«Riposa ancora…Ricordi cosa ti ha detto il medico?» Cercò di dissuadermi. Questa scusa stava diventando davvero una cantilena. Ogni giorno, ogni giorno in cui volevo o uscire o andare a trovare Matt mi rifilavano sempre la stessa scusa che mi stava dando al cervello.

«Andrò domani allora...» Dissi lentamente, seguendo attentamente tutti i suoi movimenti. I suoi occhi non erano più appannati dall’alcool, anzi era lucidi. Lucidi e misteriosi, forse più del solito.

«Scendo giù, dico a papà che sei sveglia, mi faccio un caffè forte e poi…continuiamo i nostri discorsi.» Ammiccò, lasciandomi un bacio sulla fronte poco distante dai punti. Il suo tono enigmatico e misterioso mi confondeva ulteriormente.

«Chi hai perso?» Chiesi spontanea. Damon era sull’uscio della porta, ma si congelò sul posto. Si girò e nei suoi occhi color mare finalmente vidi un’altra emozione: la confusione. Era confuso. Allora c’era qualcuno, c’era qualcuno che aveva perso e di cui io non sapevo l’esistenza.

«Quando mi hai salvato…hai detto ‘ho avuto paura di perdere anche te’. Chi hai perso, Damon?» Gli spiegai, citando le sue parole. Era un bravo attore, ma si era tradito. Avevo visto lo sgomento iniziale, anche se solo per pochi secondi…Avevo visto la sorpresa. Pensava che non avessi sentito quelle parole?

«E’ stata una frase detta di getto. Ho avuto paura di perderti e basta.» Mi rispose con un’alzata di spalle. Non ci credevo, non riuscivo ancora a crederci. Damon non diceva mai nulla a sproposito. Gli era scappato quell’ ‘anche te’ che aveva di sicuro un significato.
«Se lo dici tu…» Feci un sorriso sforzato e lo osservai sparire dal mio raggio visivo. Notai che la sua fotografia con quella ragazza non c’era più. Dove poteva averla mai messa?
Mi alzai lentamente dal letto e iniziai a curiosare nel comodino. Sapevo che non avrei dovuto farlo, conoscendo com’era fatto il corvino ma volevo andare in fondo a queste faccende.

Dovevo prima capire chi aveva perso e perché io gli ricordavo quella persona e poi capire perché tutta la famiglia era così misteriosa nei miei confronti.
Nel comodino c’erano solamente delle chiavi, diverse cartacce…Ma niente di veramente importante. La mia attenzione ricadde su un fogliettino, un piccolo post it, conservato nell’angolino più remoto del cassetto. Era tutto stropicciato. Al tatto era ruvido, sembrava che
sopra ci fosse caduta dell’acqua.

Più che acqua sembrava fosse caduta qualche goccia…Delle lacrime. Forse erano delle lacrime.
Forgive me if you can.Era scritto in modo chiaro ed elegante. La scrittura non era quella di Damon. La scritta era stata fatta con cura e con calma. Quel biglietto era stato recapitato a Damon da qualcuno, probabilmente una ragazza.

Ridussi quel bigliettino ad una pallina di carta – così come l’avevo trovato – e lo rimisi apposto.
In questo momento volevo solamente capire perché tutti quanti mi nascondessero qualcosa. Volevo urlare, volevo sapere cosa non mi volevano dire e soprattutto perché mi stavano nascondendo qualcosa!

Dovevo sfogarmi, volevo rompere tutto quello che c’era intorno a me, piangere e togliermi di dosso quel senso di inquietudine che mi perseguitava.
Tre giorni passati a letto, leggendo e perdendo tempo. Non ce la facevo più.

Mi diressi verso l’armadio di Damon. Iniziai a frugarci dentro alla ricerca di qualcosa che magari potesse andarmi bene. Trovai solamente un pantalone della tuta e un felpone rosso. Non era il massimo, ma volevo solamente uscire da casa.
Mi tolsi il mio caldo pigiama e m’infilai velocemente la tuta. Strinsi il pantalone in vita e sciolsi i capelli legati in una coda malfatta. Li scossi leggermente per dargli un’aria più presentabile e mi guardai allo specchio.

Si vedeva che non riuscivo a dormire più la notte. Sotto gli occhi avevo due profonde occhiaie, le mie labbra erano screpolate a furia di mangiucchiarla e la felpa di due taglie in più maschile mi rendeva quasi scheletrica.
Presi un post it e una penna dal comò di Damon e abbozzai un bigliettino in cui dicevo che ero uscita per fare un giro, nel caso in cui il mio piano funzionasse.

Mi calai il cappuccio e infilai dentro i capelli. Cercando di fare meno rumore possibile, scesi le scale e mi guardai attorno.
Papà e Damon erano in cucina, si sentivano le due voci che litigavano animatamente. Non mi avrebbero sentito. A piccoli passi mi avviai verso la porta, ma origliai uno spezzettone della loro conversazione.

«Dille la verità!» Urlò Damon, sbattendo a terra qualcosa. Le voci iniziarono a sovrapporsi e iniziai a capirci sempre meno.
«Non ne ho intenzione per ora! Ne uscirebbe distrutta!» Continuò. Quelle parole mi fecero preoccupare. Da cosa sarei uscita distrutta? Cosa non sapevo?

La mia frustrazione si quadruplicò se possibile, aprii la porta, presi un sospirone e me la chiusi alle spalle.
Mystic Falls era completamente deserta. Era una mattinata piovosa, la pioggia era incessante ed era diventata quasi una cantilena alle mie orecchie.

Con il cappuccio calato, la testa bassa e le mani in tasca camminavo silenziosamente osservando le macchine passare e le persone muoversi velocemente verso i loro posti di lavoro.
Il posto più vicino per ripararmi, dove possibilmente non mi costringessero a ritornare a casa.
Un solo nome mi venne in mente.

MaxField. La seduta di gruppo è tra pochi giorni, non credo mi farà molti problemi se vado da lui prima no? Pensai, accelerando il passo. Lo studio di MaxField non era molto lontano da casa, dovevo solamente oltrepassare la Via dei Fondatori continuare il percorso verso la tenuta dei LockWood e alla sinistra c’è il suo posto di lavoro.

Camminavo in silenzio con tanti punti interrogativi per la testa.
La pioggia mi bagnava silenziosamente. Ero quasi fradicia, quando potevo mi riparavo sotto i cornicioni dei pochi negozi che costeggiavano la via.

Il tempo rispecchiava il mio umore. Pessimo, quasi sotto i piedi. Non capivo cosa papà non voleva dirmi e cosa Damon cercasse di occultarmi.
Sospirai profondamente. Chissà la faccia di Damon, quando non mi vedrà a letto. Sia a lui che a papà sarebbe venuto un colpo.
Infreddolita alzai lo sguardo. Era lo studio di MaxField. Entrai dentro e sospirai non appena sentii l’aria calda circondarmi. Aveva acceso il riscaldamento, per fortuna.

Era una giornata piuttosto morta, visto che nella sala d’attesa non c’era nessuno. Mi avvicinai alla porta dove riceveva i pazienti.
«Signore è già occupato, il dottor MaxField. La seduta dovrebbe finire tra pochi minuti.» Intervenne una vocina squillante alle mie spalle. Sobbalzai e mi girai. Incontrai due occhi verdi foglia. La ragazza indossava un pantalone nero e una magliettina bianca da cui s’intravedeva il reggiseno nero.

I capelli rossi raccolti in una treccia di lato ordinata e un sorriso accogliente in volto. Dove l’avevo già vista?
«Mi chiamo Mandy.» Chiarì. Potei giurare a me stessa che nei suoi occhi c’era un pizzico di acidità così come nel tono di voce. Aggrottai le sopraciglia e mi chiesi il perché di quella specificazione.

Quel piccolo flash mi fece ricordare dove l’avevo già vista. A casa mia. Con Damon. Mi girai e calai il cappuccio. Era sorpresa, mi aveva scambiato per un maschio…Assottigliai gli occhi.
«Grazie…» Sussurrai flebile per poi accomodarmi. Quella ragazza era il mio perfetto opposto, sembrava composta, educata e gentile. Anche se quella sera non mi aveva dato l’impressione di così brava ragazza.

Sospirai pesantemente, massaggiandomi le tempie. Mandy iniziò a scartavetrare dei documenti. Per quanto fosse stata gentile con me oggi, non riuscivo a non guardarla con leggera stizza.
Pensare lei con Damon mi faceva venire la pelle d’oca.

«Arrivederci.» Una ragazza dai capelli scuri salutò timidamente sia me che Mandy per poi sgusciare via. Mi alzai e a testa bassa mi avviai verso la porta.

«Ora posso entrare?» Chiesi con tono acido. La ragazza non rispose in modo scontroso o con superiorità come immaginavo, anzi fu fin troppo gentile. Annuì con un sorriso un po’ tirato in volto. Non me l’aspettavo così matura e con un po’ di sale in zucca.
Entrai dentro. MaxField era seduto su una sedia. Osservai l’ambiente. Non c’erano più le sedie disposte in cerchio. Ora c’erano solamente una scrivania con diverse scartoffie e una poltrona in blu scuro di pelle.

«Non mi ricordo di voi…Vi ho già avuto come paziente?» Chiese il dottore, guardandomi perplesso. Deglutii e abbassai il cappuccio, accennando un sorriso. MaxField mi guardò dapprima sconvolto, per poi sorridere gentilmente.

«Oh, Elena…Sapevo che saresti venuta prima.» Disse, come a congratularsi con sé stesso per la sua brillante supposizione. «Mi spiace per l’incidente.» Continuò. Arricciai il naso e aggrottai le sopraciglia. Cosa ne sapeva lui dell’incidente?
Le voci a Mystic Falls si spargevano così velocemente?
«Non ci è successo niente di grave.» Lo rassicurai. Parlai anche per Matt, avevo dato per scontato che stesse bene.
Il dottore mi guardò ancora più sconvolto di prima e mi fece cenno di sedermi sulla poltrona. Mi sedetti e presi un sospirone.

«Se sei venuta qui ci sarà un motivo, no? Parlami. Da qui non esce niente.» Mi chiesi se quel ‘Da qui non esce niente’ sia il suo motto. Ero stata qui solo una volta – con questa due – ma aveva ripetuto come minimo dieci volte quelle parole.
«So per certo che qualcuno mi sta nascondendo qualcosa.» Dissi, evitando il suo sguardo indagatore. Iniziò a prendere appunti, facendomi segno di continuare.

Per evitare di passare tutta la seduta ad evitare i suoi sguardi, iniziai a fissare il soffitto – più precisamente su una crepa.
«Mettiamo caso che una persona X, mi abbia detto di aver avuto paura di perdermi. Quella persona mi ha fatto capire che ne aveva persa un’altra molto importante.» Gli spiegai. La voce mi tremava leggermente e il mio respiro si fece pesante.
Non volevo fargli nomi, preferivo che sapesse solamente il minimo indispensabile per aiutarmi.

«Quando questa X mi guarda, non mi guarda più come faceva prima. Sembra che stia guardando un film, come se sapesse quasi la fine e che la voglia cambiare.» Continuai. Spostai velocemente lo sguardo dalla crepa al medico. Il suo viso non era affatto cambiato. Era sempre lo stesso, prendeva appunti e nel suo volto non c’era una traccia di sgomento, sembrava mi stesse capendo.

«So che può sembrare strano, ma questa situazione è raccapricciante. Sembra che lui mi guardi con la paura che prima o poi le sue paure si avverino. Sono stata chiara?» Chiesi, mordendomi il labbro.

«Ho capito. Hai l’impressione che questa persona abbia già vissuto questo momento. Come se una persona in passato, abbia fatto una brutta fine e ti senti come se fossi il suo doppelganger.» Annuii e riflettei sulle sue parole.

«Cos’è un doppelganger?» Chiesi, cercando di trattenere le risate. Era una parola strana, mai sentita. MaxField smise di scrivere e si tolse gli occhiali da vista per poggiarli sulla scrivania.
«Deriva dal tedesco. Il doppelganger secondo le credenze è un gemello maligno, in relazione con la bilocazione.» Aprii leggermente la bocca. Questo pazzo credeva che avessi un doppel…dopper…Insomma quello che aveva detto!

«La bilocazione è l’obliquità, Elena.» Strabuzzai gli occhi. Stare contemporaneamente in due posti? Era una presa in giro, vero?
«So cos’è l’obliquità. Solo non capisco…cosa c’entra l’obliquità con il mio problema?» Gli chiesi guardandolo negli occhi. Aspettavo qualche segno di cedimento o almeno di incertezza, invece non fece una piega. Rimase composto, si aggiustò il camice e mi sorrise divertito.

«Dici che questo ragazzo X ti guarda con aria nostalgica, giusto?» Mi chiese. Aggrottai lo sguardo. Damon mi guardava come se stesse vivendo in un film, mi guardava con nostalgia…con tristezza.
Annuii e gli feci cenno di continuare.

«Ora, questo ragazzo X secondo te ha mai avuto la possibilità di incontrare un tuo doppelganger?» Mi chiese. Questo tizio…mi stava veramente chiedendo se Damon avesse mai avuto la possibilità di incontrare un mio sosia?
«Ehm…diciamo che ha vissuto tutta la sua vita altrove ed è ritornato qui da poco.» Dissi, cercando di nascondere il rossore che mi colse all’improvviso parlando di Damon.

«Magari nel posto in cui ha vissuto fin ora ha conosciuto il tuo doppelganger e tu gliela ricordi semplicemente.» Alzò le spalle. Aveva sganciato una bomba nucleare. Stava insinuando che un mio doppione gironzolava allegramente per Londra e che Damon se ne sia innamorato? Ciò significava che io gli ricordavo questo “sosia” e che in realtà…io non significavo nulla per lui?
Il mio cuore prese quasi un tuffo e smise di pompare per qualche secondo. Scacciai quel pensiero dalla mente, Damon non era così meschino e approfittatore.

Ehm…Ti dimentichi di un particolare: non esistono sosia di persone in giro per il mondo! Mi mise in guardia la mia coscienza.
«Sentiamo, MaxField, per inventarti queste idiozie…vi siete specializzate in qualcosa? Avete veramente la laurea in psicologia?» Ironizzai, cercando di trattenere le risate.

«Sono laureato in psicoanalisi, nel paranormale e anche psicologia.» Mi trattenevo a stento dal ridere. C’era qualcuno – ad eccezione di MaxField – che si laureava veramente in quella branca?
«Ehm…Sono venuta qui solo per un consiglio, non per farmi credere di avere un doppione nel mondo che gironzola a piede libero!» Gli feci notare, sospirando pesantemente e massaggiandomi le tempie.

«Elena, se questa persona ti osserva come se stesse rivivendo qualcosa di già vissuto – o almeno questa è la tua sensazione – significa che magari un tempo era innamorato di una ragazza che gli ricordi.» Disse semplicemente. Ci pensai su e mi venne quasi la pelle d’oca…Damon mi aveva sostituito con un’altra delle sue conquiste?
No. Non poteva essere così…Quello che vedevo negli occhi di Damon era reale. Venire qui da MaxField non mi aveva fatto bene, mi avevo solamente fatto venire più dubbi.

«Grazie per la seduta.» Dissi alzarmi con stizza. «Quanto le devo?» Chiesi pensando che la seduta di gruppo era stato una specie di regalo di Caroline, visto che poteva portare un’amica. Ma ora? Questa era una seduta a tu per tu.
«Oh, Elena vai tranquilla. Considera questa seduta come un regalo da parte mia, okay?» Strizzò un occhio in modo buffo e mi calai su il cappuccio.

La pioggia continuava a picchiettare sempre più forte. Con le mani dentro le tasche e la testa bassa uscii dallo studio del dottore e mi avviai verso casa.
Quella seduta potevo risparmiarmela. Mi ero immaginata tutto? O forse, Damon aveva veramente la testa altrove? Forse, gli ricordavo quella ragazza della foto…ma eravamo completamente diverse. Lei bionda, io mora. Lei occhi color lapislazzulo, io occhi color cioccolato. Lei quasi piatta ma con un bel seno proporzionato, io con delle forme più accentuate.

Non poteva essere lei il mio “doppione”. La testa mi scoppiava e stavo morendo di freddo. Starnutii e accelerai il passo. Probabilmente mi sarei presa una di quelle influenze epiche da lì a poco.
Mystic Falls era diventata più attiva da quando ero uscita: alcuni vecchietti camminavano sotto gli ombrelli, i negozi erano aperti e le macchine gironzolavano per la cittadina.

Svoltai verso la via dei Fondatori e vidi da lontano casa. La polizia non c’era, ciò significava che papà non aveva dato di matto. I vetri di casa erano integri, quindi niente zuffe tra fratelli…Quindi forse papà e Damon avevano capito che non ce la facevo più a passare un’altra giornata in quella casa!

Ero vicino il porticato e alzai lo sguardo. Una scritta mi colpì dritto al cuore. Sentii gli occhi pizzicarmi, il cuore cessare di battere anche
solamente per pochi secondi.

Tutti i dubbi che avevo si erano dissolsi e trasformati in sicurezza. Non era possibile, io non potevo…Non volevo crederci.
Le mie lacrime si mischiarono alla pioggia, il mio viso era tutto rosso e il respiro irregolare. Non poteva essere vero. Avevo visto male.
La paura si era trasformata in altro, in sentimenti diversi che si mischiavano tra loro facendomi sentire la persona peggiore del mondo.
Il mio corpo era immobilizzato. Non riuscivo a fare un passo. Provai a muovere la gamba, ma caddi sulle ginocchia completamente
incredula.

Mi avevano mentito. Ora tutto ritornava. Ritornavano le litigate tra Damon e Stefan, ritornava il litigio sentito oggi tra Damon e papà, ritornava il motivo per cui mi avevano convinto a rimanere in casa.

Ma prima o poi sarei venuta a sapere della notizia, avrei solamente preferito…preferito che mi fosse stato detto e non che lo scoprissi così.
Ero fradicia, ma non m’importava. I sensi di colpa mi stavano completamente mangiando viva.
La porta di casa si aprì, Damon teneva in mano un sacco della spazzatura e aveva lo sguardo inizialmente perso per poi trasformarsi in preoccupato.

«Cosa fai sotto la pioggia?» Tuonò potente. La sua voce mi arrivò solamente come un lontano eco. Non riuscivo più a vedere quello che mi succedeva. Casa mia era sparita, il quartiere si era dissolto…C’eravamo solo io e i miei sensi di colpa.

«Elena!» Mi chiamò ancora, scendendo e bagnandosi completamente. Indossava una maglietta nera e dei jeans qualsiasi. La maglietta era appiccicata ai suoi addominali, i capelli sottili erano fradici e lo sguardo era fermo.
Mi scosse per le spalle, ma non riuscivo a dire niente. Non riuscivo a capacitarmi di quello che avevo appreso da pochi minuti.

«Parlami. Perché stai piangendo?» Mi urlò ancora, sedendosi di fronte a me. Tutto di lui trasudava paura, preoccupazione e anche nervosismo. Voleva sapere cosa mi stava succedendo, aprii la bocca ma non ne uscì alcun suolo.

«Okay…Non riesci a parlare, ma almeno fammi capire.» Mi supplicò prendendomi le mani. Io riuscivo a parlare, semplicemente non sapevo cosa dire. Non avevo parole per descrivere come mi sentii in quel momento.
«Damon…» Singhiozzai, aggrappandomi alla sua maglietta bagnata. Il mio petto si alzava e abbassava ai battiti impazziti del mio cuore.

«Dimmi, Elena.» Continuò, guardandomi con i suoi occhi color ghiaccio. Tirai un po’ su col naso e gli indicai quella carta.
V’invitiamo ad unirvi alla famiglia Donovan in questo tragico lutto che vede coinvolto il suo primogenito, Matt Donovan. ‘Vola più lontano che puoi’.
Il mio naso era arrossato e non riuscivo più a controllare le lacrime.

«Damon, dimmi che non è vero!» Urlai, nascondendomi con la testa nel suo petto. Mi strinse a sé, senza dirmi una parola. Quel silenzio uccideva. Mi uccideva lentamente, facendomi sentire sempre peggio.
«E’ morto. Non può essere morto! E’ stato un incidente banale! BANALE, hai capito?» Urlai ancora più forte stringendomi a lui, pregando che non mi lasci. Era morto. Matt era morto.

Il mio amico d’infanzia, la persona con cui avevo condiviso la mia adolescenza mi aveva lasciato. E la colpa era mia, solamente mia. Colpa mia e dei miei soliti capricci, se solo non avessi sterzato io e avessi lasciato a lui il controllo dell’auto.
Se solo non fossi stata così stupida, da accettare il suo passaggio.

«NON PUO’ ESSERE.» Gridai, lasciando andare tutta la mia frustrazione in un urlo strozzato.
«Lo supereremo. Non è colpa tua.» Mi rincuorò. Sentivo dal suo tono di voce che non lo diceva solo per dire, lo diceva perché ci credeva. Ero io, io non potevo crederci.
«Perché lui, e NON IO? Perché, Damon?!» La gente intorno a noi ci guardava preoccupata. Gli automobilisti continuava il loro percorso, ad eccezione di un paio che si fermavano per accertarsi che tutto vada bene.

«E’ stato deciso così dal destino. Doveva accadere, tu non potevi farci niente.» Continuò. Non potevo farci niente? Non era possibile. Oh mio Dio, era morto.
«Mio Dio, non è possibile!» Sibilai coprendomi la bocca con le mani in prendi a dei profondi singhiozzi. «E’ morto. Ed è solamente colpa mia.» Continuai.

«Non è colpa tua. Doveva succedere…Matt non vorrebbe vederti in queste condizioni.» Mi disse. Se Matt fosse stato qui, io non sarei in questo condizioni.
Per quanto mi dessero fastidio i suoi modi di fare, per quanto mi infastidisse, per quanto volevo che sparisse dalla mia vista…MAI e poi MAI avrei voluto che ci lasciasse in questo modo così banale…Per un incidente stupido.

«Non puoi capirmi. Ora, non puoi capirmi.» Dissi asciugandomi le lacrime. «Se è morto, se ora lui non è qui è colpa mia. Solo MIA!» Urlai più forte.
Era morto un mio amico, una delle persone che avevano segnato la mia infanzia.
Era veramente morto…E la colpa era solo mia
 
 
 
 
 
Un ringraziamento a Smolderina78, Adelaide24, NikkiSomerhalder, NadyDelenaLove, Bea_01, Horse_, PrincessOfDarkness90 e Darla19 per aver recensito e per incoraggiarmi sempre.
Un ringraziamento alle 32 persone che hanno inserito la storia tra le preferite, alle 50 che l’hanno inserita nelle seguite e all’uno che l’ha inserita nelle ricordate.
Un Ringraziamento speciale va a tutti i lettori silenziosi.
 




Angolo dell’autrice:
Finiti i ringraziamenti, si passa a questo capitolo.
Sono sicura che molti di voi abbiano pensato che il grande segreto sia una possibile adozione di Elena e invece vi tocca la morte di Matt!
Quante di voi hanno capito da subito che Matt era morto?
Allora, premetto due cose:
La prima – Anche se Elena non sopportava Matt, io ho provato ad immedesimarmi in lei. Se almeno io, perdessi un ragazzo che conosco da quand’ero piccola e con cui avevo passato la mia adolescenza, questo avrebbe inciso molto su di me.
Pensando che l’incidente in un certo senso è avvenuto anche per merito suo, io mi sentirei in colpa…Anche se ingiustamente.
E’ una questione psicologica, non so se riuscirò a gestire bene la situazione. Se volete darmi dei consigli o delle dritte le accetterò tutte senza problemi.
La seconda – La questione del doppelganger. Nel telefilm è una copia esistente di qualcun’altra, ma facendo alcune ricerche il termine doppelganger esiste veramente ed è per l’appunto un gemello maligno in relazione con l’obliquità.
Perciò MaxField – studioso del paranormale, come Alaric nel libro – crede che esista un doppelganger di Elena e che Damon l’abbia conosciuto.
Questo non è frutto della mia fantasia, potrebbe realmente esistere – quando la scienza si evolverà, magari scopriremo che è realmente possibile sdoppiarsi.
Spero di essere stata più esaustiva possibile.
Vi chiedo solamente un favore: se non vi è chiaro qualcosa, chiedete. :)
Tralasciamo.
Ora, il capitolo forse è un po’ malinconico però mi piace. Strano, visto che di solito li trovo molto obbrobriosi.
Damon è irresistibile, per voi? Il mistero Katherine s’infittisce. Ian sembra eclissarsi per ora. Giuseppe sembra essere sempre più nervoso.
E i flashback? Vi sono piaciuti? Ve lo vedete Damon ubriaco? O un Damon preoccupato? Ci vediamo tra cinque giorni,
vi adoro a tutte/i.
Ci sentiamo alle recensioni.
Bacioni, belle!
Cucciolapuffosa
  
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