Storie originali > Introspettivo
Ricorda la storia  |      
Autore: throughtsun    28/09/2014    0 recensioni
Ascolto di tutto, io. Ascolto me stessa - meno di quanto dovrei - e ascolto la città, le persone, ascolto conversazioni mai pronunciate ma che vedo essere disegnate nell’aria dalle menti della gente che ha troppa paura per scriverle su carta. E allora lo faccio io.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Non molto da dire su quest'altro rantolo, se non che avendolo scritto tardi è pieno di errori (per lo più sono i tempi verbali..)
Sono sempre molto insicura sui tempi, per cui nel caso ci sia qualche errore vi prego di segnalarmelo!
Nient'altro da dire, buona lettura :)



Mezzanotte in punto. Sto violando le regole, non dovrei scrivere di notte. O meglio, non dovrei scrivere al computer, di notte. Va bene così per oggi, mamma è ancora sveglia, io ho tanti pensieri ma ne metto giù pochi, che tutti non si riesce mai a scriverli, sono troppi, troppo confusi, e quindi mi arrendo alla furia e alla rabbia perché la felicità non vuole essermi amica. Mi va bene così, credo, perché dopotutto questa è la mia vita, deve andare così, e mamma mi ha fatto malinconica. Quando si scrive si deve essere onesti, è la regola. Non si può scrivere una bugia, per me. Forse è per questo che non so scrivere una storia, perché per me la scrittura è verità, e quindi quando ne ho bisogno chiamo a raccolta i pensieri, li ordino in fila per uno e li faccio uscire con calma, che sennò è un mezzo disastro. Con calma.

Gli adulti dicono che l’adolescenza è la fase più bella della vita. Sono d’accordo, perché durante l’adolescenza (che, ahimè, mi ha travolto come un fiume in piena e io ero su una zattera e senza alcuna protezione) qualcosa dentro di te decide di ascoltare. Quando dico dentro di te intendo dentro di me, si intende. Non sto nel cervello degli adolescenti. Purtroppo/per fortuna. 

Ascolto di tutto, io. Ascolto me stessa - meno di quanto dovrei - e ascolto la città, le persone, ascolto conversazioni mai pronunciate ma che vedo essere disegnate nell’aria dalle menti della gente che ha troppa paura per scriverle su carta. E allora lo faccio io.

C’era una signora in una Station Wagon blu accostata al marciapiede, sotto a un lampione. Era bionda, tinta credo, e portava un paio di orecchini tempestati di piccoli brillantini. Sul naso si appoggiava un paio di occhiali.
La signora sedeva sola, col motore spento, mentre aspettava quella che ho immaginato essere la figlia, di ritorno dalla sua serata-del-sabato. La signora parlava tutta sola. Mormorava giudizi sui passanti che distrattamente le camminavano accanto senza rendersi conto di essere osservati - e giudicati. Ho immaginato che fossero giudizi, perché di tanto in tanto sussurrava “mamma mia”. Non so dire se emettesse suoni, le suo labbra si muovevano a piccoli scatti di parole rivolte a qualcuno che non poteva udirle. Mi chiedo ora se lei si senta spesso così - come se nessuno ascolti le sue parole. Devo averla fissata troppo a lungo perché dopo un po’ si è girata a guardarmi. Ho distolto subito lo sguardo e ad un tratto un lampione alla mia sinistra è diventato più importante di lei. Anche lei mi ha fissato per un po’, e con la coda dell’occhio l’ho vista sentenziare qualcosa anche su di me. Chi lo sa cosa ha pensato. Chi lo sa come mi ha visto.
Dei passi veloci si avvicinano alla Station Wagon blu, un paio di stivali di pelle marrone chiaro sbattono sull’asfalto e la signora trasalisce leggermente quando la maniglia della macchina viene strattonata con forza. I suoi occhi vispi si posano sul viso adulto della figlia. “Ma’, apri!”. La signora apre la serratura. Perché si era chiusa dentro?
Non si parlano. La figlia si siede al suo posto, abbassa lo specchietto e rivolge occhiate ammiccanti al suo riflesso. La madre accende il motore e io smetto di guardare.
Un’altra macchina prende il posto della Station Wagon. Non so dire questa che macchina sia, non ci capisco niente di macchine. E’ una specie di furgoncino, di quelle macchine per famiglie, sembra un po’ vecchiotta. Il ragazzo alla guida è un po’ lento, una macchina nera elegante fila via fluida e supera il furgoncino. Parcheggia sotto al lampione. Resta lì per meno tempo rispetto alla signora che parlava tutta sola. Una voce squillante dice “sono di fronte a te, girati”, e la ragazza accanto al giovane che guida si volta di scatto, mentre due ragazze si affrettano a salire a bordo. Il ragazzo gira le chiavi e accende il motore. E anche questa fila via.
La mia macchina non arriva.

Prima di andare ad aspettare la mia macchina sotto al lampione accanto al Duomo, io e Benedetta siamo state per un po’ all’Arco, sul muretto davanti al ristorante spagnolo. Faceva molto fresco, avevo i brividi. Benedetta mi faceva vedere che lei sapeva battere i denti per finta. Io non avevo bisogno di fingere.
E' accaduto tutto molto velocemente, Caterina è arrivata correndo, ma non troppo veloce, perché aveva la gonna. Indossa la gonna di jeans nera che le ha regalato la sorella. A me non piace, ma Benny diceva che le sarebbe piaciuta. Dev’essere stato così.
“BENNYY!!” - Caterina aveva il fiatone. “Ancora non si muove a baciare Mariolina. Questo cristiano non so cos’ha nella testa! Guardalo! Se ne sta lì seduto a non fare niente! Che cretino”. Caterina ha 13 anni, come Mariolina, e il ragazzino qualche metro più in là, suppongo. Non avevo gli occhiali, non sono riuscita a vedergli il viso, in quel momento. A un tratto una biondina che sembra non indossare i pantaloni è entrata in scena, camminava rapida, mi ricordava una pantera. Ha 13 anni.
“Allora?! Ci diamo una mossa?!” - si è rivolta infastidita al ragazzo seduto sul muretto più in là. Ho distolto lo sguardo perché mi disgustava la visione. Caterina è andata via a urlare da qualche parte e io e Benedetta abbiamo ricominciato a parlare. Le ho detto che sono molto sveglie, queste bambine. L’amica di Caterina, più in là, mi ha schioccato un’occhiata infastidita. Non si vedevano bambine, loro. E’ giusto così. Neanche io sapevo di esserlo.
Caterina è arrivata correndo, di nuovo. Sono passati 30 minuti al massimo. “Assafà!! Finalmente si sono baciati!!” - ha urlato. Neanche un minuto dopo Mariolina e il ragazzino di prima arrivano, non si toccano neanche con gli occhi, camminano uno accanto all’altro, non sta fatto bene mostrare emozioni, non è stato niente di che, solo un bacio così, chi se ne importa. Si sono salutati con un bacio. Non l’ho guardato, mi disgustava. Come mi disgusta la visione di un 13enne con una sigaretta stretta tra le dita. C’è una linea di confine tra una bambina che indossa i tacchi della mamma a 3 anni e una che a 13 fuma le Chesterfield rubate dalla borsetta di una 40enne. E’ un’azione strana, stona, Mariolina sembrava nuda, e lui sembrava voler sparire, sembrava non volerlo dare, quel bacio. Sembrava volersene stare per fatti suoi, ma Caterina mi ha detto che un suo amico gli ha detto di muoversi, o se ne sarebbe andato. Riesco a immaginarlo che si alza dal muretto come se fossero le sette di mattina di un lunedì uggioso. Proprio non ci voglio andare.
Quella scena mi ha lasciato l’amaro in bocca, e ci penso e ci ripenso. E sono contenta di non essere stata come Mariolina, e spero di non diventare come la figlia che ammicca al proprio riflesso.

Sì, ma quando tocca a me? La mia macchina quando arriva?
  
Leggi le 0 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Introspettivo / Vai alla pagina dell'autore: throughtsun