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Autore: Elissa_Bane    28/09/2014    2 recensioni
"Sebastian Moran era figlio di un uomo potente.
Sebastian Moran era stato un uomo potente, in Afghanistan.
Sebastian Moran era un assassino.
Il migliore in circolazione, naturalmente.
Non mi sarei accontentato di meno."
*******************************
Storia scritta a quattro mani con seeyouthen.
[SebastianMoran/JamesMoriarty]
Genere: Angst, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Jim, Moriarty, John, Watson, Sebastian, Moran, Sebastian, Moran, Sherlock, Holmes
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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ECHO.

Epilogo.

Ghosts that we knew.


 


 

Tre anni dopo


 

Mi spingo un'ultima volta dentro il corpo caldo di Peter, fremendo ad occhi chiusi. Dietro le mie palpebre, in maniera del tutto autonoma, appare, come sempre, il volto di James sconvolto dal piacere.

Ma James è un ricordo.

Una cicatrice talmente profonda dentro me da essere certo che nemmeno la guerra sia mai stata tanto crudele nei miei confronti quanto il Destino, il Fato o Dio come cazzo vogliate chiamarlo. Perchè questa entità mi ha portato via James. L'uomo che amavo. L'uomo che amo.

Dopo tre anni lo aspetto ancora. Vivo ancora nel suo appartamento, preparo il caffè per due e mi occupo dei suoi casi.

Sono diventato io il ragno. Temporaneamente, come mi ripeto in continuazione.

Osservando Peter nel letto, come sempre ho voglia di spaccare qualcosa. Non è lui che dovrei avere al mio fianco. È tornato nella mia vita per caso, approfittando di una notte di bevute, e non se ne vuole più andare.

Ma io non lo voglio. Come quando sono tornato dall'Afghanistan, come quando James si è fatto catturare da Holmes, Peter è solo un corpo caldo.

Un ammasso di ossa, muscoli, tendini e sangue tenuti insieme da un po' di pelle olivastra.

Niente altro.

Mi alzo velocemente, rinfilandomi i jeans e la felpa grigia.

Quella che James mi rubava sempre.

«Potresti...» si schiarisce la voce «Potresti restare, una volta, sai?»

Tutte le volte me lo dice. E tutte le volte gli rispondo che ho un impegno.

Ma non questa volta. Sono stanco di lui. Voglio vederlo morire, sanguinare tra le mie mani. Voglio che l'ultima cosa che vedano i suoi occhi sia il mio volto mentre gli dico che per me è solo una puttana, un modo per svuotarmi le palle. Che non lo amo. Che progetto questo momento da anni.

«Tu non sei lui.» mormoro sadicamente, un lieve sorriso che si apre la strada sul mio volto «Ecco perché non mi fermo mai. Tu non sei lui.» lo vedo incassare il colpo, ferito.

Potrei avergli detto che non è come lui, ma omettendo quella miniscola parola la frase ha un altro significato.

Gli sto negando la speranza.

Perché per quanto si impegni, per quanto si tinga i capelli e si metta le lenti a contatto, Peter non sarà mai James.

E glielo dico. Gli dico tutto, con sadica gioia nel vedere le lacrime colmare gli occhi spalancati in una muta richiesta di pietà.

Ma io non ho pietà, perché nessuno ne ha avuta per me.

Mi inginocchio sul letto ed esaudisco il mio desiderio, estraendo il pugnale da caccia dalla tasca interna della felpa e facendolo scivolare tra le sue costole in un movimento sinuoso.

Muore lentamente Peter, negli occhi ancora la fiducia nei miei confronti. Non ci ha creduto, fino alla fine ha preferito pensare che non mi sarei spinto fino in fondo. Ma si fidava della persona sbagliata.

Me ne vado assaporando la sensazione di libertà e aprendo la porta di casa mi sento quasi felice, prima che il profumo di violetta di James mi solletichi il naso.

La casa profuma di lui, persino la doccia sotto la quale mi getto.

Ogni cosa sa di James, ma solo a metà. Ogni cosa mi restituisce parte della sua ombra, ma di lui non trovo traccia né tra i completi firmati, né tra i libri dalle copertine ordinate, né tra i cd di Bach.

James mi sfugge, nonostante io continui a vederlo ovunque.


 

Quando entro in cucina afferro un bicchiere di whisky e mi sposto nel soggiorno. Non mi stupisco di vederlo seduto sulla sua poltrona. È sempre lì, nei miei sogni.

«Ciao Sebastian.» incomincia, e la voce è talmente simile a quella del vero James che fatico a non piangere.

«Ciao James.» rispondo, sedendomi sulla poltrona gemella e voltandomi a fissare il caminetto. Le fiamme sembrano quasi vere, quasi calde. Ma sono irreali, la mia ennesima allucinazione.

«E' reale» mi dice James. Ma non è questo che credo ogni volta, prima di restare a mani vuote? «Sono tornato a casa Sebastian.»

Sorrido amaramente, senza guardarlo. Fa solo più male, se lo faccio.

«Certo. Naturalmente, tu sei tornato.» annuisco scuotendo la testa e bevendo ancora.

Sento passi leggeri avvicinarsi. Dio, è tutto così patetico.

Posa una mano sulla mia spalla.

«Guardami.»

Mi alzo, andando in cucina a versarmi ancora da bere. Devo comprare una nuova lampadina, questa si è fulminata.

Due mani bianche si posano sui miei fianchi, facendomi voltare.

Slaccia lentamente la camicia, la cicatrice bianca del mio nome che scintilla candida sulla pelle nivea. Mi prende la mano e ce la posa sopra, facendomi sentire la pelle leggermente in rilievo della ferita.

Poi mi bacia.

E qual bacio, non saprei descriverlo. È il primo respiro dopo aver temuto d'annegare, il riaprire gli occhi e vedere ancora i colori.

Quel bacio è un inatteso ritorno a casa.

«Sono io, sono qui» mormora nell'attimo in cui ci separiamo per respirare.

È allora che la verità mi colpisce come un macigno.

James mi ha mentito.

Mi ha lasciato da solo per tre lunghissimi, eterni anni, facendomi credere di essere morto.

Ha mentito.

Da quando? Dal primo momento, o solo quando ha capito che gli avrei fatto comodo?

La realtà è maledettissimamente dolorosa. Più del vederlo morto.

Perché ora vedo la finzione, scopro di essermi disperato per qualcosa di falso, e non ce la faccio a rallegrarmi del fatto che lui sia qui, vivo e vegeto. Che sia tornato da me.

«Mi hai abbandonato.» non riesco quasi a credere alle mie stesse parole. Inizio ad alzare la voce, riversando fuori tutta la rabbia e il dolore. «Pensavo che non sarei riuscito a vivere un giorno senza sorriderti, senza sentire la tua voce. Poi quel giorno è arrivato, ed è stato fottutamente difficile. Ma il successivo è stato ancora peggio. E ho capito che sarebbe diventato sempre più difficile sopravvivere, e che non sarei stato bene per molto tempo. Perché non ti ho perso solo quel giorno, sul tetto. Cazzo, James, io ti perdevo ancora e ancora. Ogni volta che prendevo la tua tazza, ogni volta che alla radio sentivo Arrival of the Birds, o ogni volta che trovavo una tua maglietta sepolta sotto i miei vestiti. Dio santo James, hai la benchè minima idea di quante volte ti abbia perso? Ogni volta che pensavo che tornando a casa non ti avrei trovato, non avrei potuto baciarti e stringerti. Ogni fottutissima notte, quando il mio unico desiderio era quello di raccontarti la mia giornata. Ogni dannata mattina che Dio ha mandato su questa cazzo di Terra, quando mi rigiravo nel letto e, pur sentendo il tuo profumo, dall'altra parte del materasso le lenzuola erano fredde io ti perdevo ancora e ancora.»

Non si aspettava un discorso del genere, lo leggo nella cupa ombra che è appena calata sui suoi occhi. Probabilmente fino ad un attimo fa pensava che fossi pronto ad accoglierlo a braaccia aperte, fingendo che questi anni senza di lui non siano mai esistiti. Quando mi risponde il suo tono è duro.

«Non ho avuto altra celta. Cosa volevi, Sebastian, un bigliettino rassicurante?»

«Avresti almeno potuto lasciarmi un messaggio, sono certo che Watson ha avuto il suo» sono altrettanto duro, ma mi viene spontaneo corazzarmi nella rabbia, piuttosto che ammettere la delusione.

«Cosa averi dovuto dirti? Vado a fingere la mia morte, ti amo, compra il caffè?» Sorride «E no, non l'ha avuto. È per questo che si è sposato.»

Ti amo? Nonostante tutto sorrido anche io. James è tornato. La bestia nel mio stomaco, da lungo tempo assopita, si risveglia e si stiracchia felice, facendo le fusa. «Ti amo?»

Pare essere lievemente imbarazzato, e abbassa lo sguardo «Non sono mai stato capace a dirtelo, ma credo di avertelo dimostrato...» si avvicina piano, come se avesse timore che io lo possa colpire. Poi, ad un soffio dalle mie labbra, sussurra «Did you miss me?*».

Un soffio, a volte, è un'eternità, che colmo con un bacio su quelle labbra morbide e leggermente screpolate, una mano sul suo fianco, a stringerlo.

Per non lasciare che se ne vada via ancora.

«Come fai a sapere che nemmeno io abbia trovato un compagno?» domando, ancora sospeso sulla sue labbra, ricordando il sangue caldo di Peter scorrermi tra le dita. Lui non è mai stato un compagno. Era solo un corpo morto come tanti altri.

«Credi davvero che io abbia mai smesso di osservarti?» risponde sussurrando, e sentendogli la voce lievemente arrochita lo osservo. James, il mio James, ha gli occhi lucidi. Capisco che questi tre anni non devono essere stati facili nemmeno per lui, e mi chiedo quante nuove cicatrici, quanti nuovi ricordi, quante nuove vite abbia avuto. E in tutto questo tempo ha continuato a guardarmi, a seguirmi.

Quelle lacrime, che non lascerà mai andare, sono le sue scuse. Perché lui ha visto e sentito ogni singolo attimo del mio dolore come se fosse il suo.

Gli sorrido ironicamente «Questo suona vagamente come un comportamento da psicopatico.»

«Io sono uno psicopatico» dice, appoggiando il viso alla mia spalla. Dio, quanto mi è mancato il calore del suo corpo. Dio, quanto mi è mancato lui! «Esattamente come tu sei un killer. Suppongo sia per questo che ti amo così tanto.»

Mi si blocca il respiro in gola. Lo ha ridetto. E senza esitazioni, senza mentire. Sospiro, stringendomelo addosso.

«Devo ancora abituarmi a sentirtelo dire...»

«Non devi farci l'abitudine. Forse te lo dirò una volta ogni tre anni.» lo sento sorridere contro il mio collo.

Rido, senza rispondere. Mi limito a respirare il suo profumo ancora per un po', prima di trovare la forza di parlare.

«Mi sei mancato, James»

«Anche tu Sebastian, anche tu.» dice. La sua mano affusolata è sulla mia nuca e sfiora i capelli, delicata.

«Vattene così un'altra volta, e ti giuro che di te non resterà nemmeno una goccia di sangue sul pavimento.» lo ammonisco, la voce nuovamente dura.

James ride, baciandomi ancora.

Il sole entra impetuoso dalla finestra, sorgendo. Ci illumina, soli in una pozza di luce, lontani dal resto del mondo.

E, in quel preciso istante, nel bacio di James, io inizio ad esistere.**


 

You saw my pain, washed out in the rain
Broken glass, saw the blood run from my veins
But you saw no fault no crack in my heart
And you kneel beside my hope torn apart
But the ghosts that we knew will flicker from you
And we'll live a long life
So give me hope in the darkness that I will see the light
Cause oh that gave me such a fright
But I will hold as long as you like
Just promise me we'll be alright.


 


 


 


 


 


 


 

Noticine piccoline piccoline:

*Per i non anglofoni, o coloro che seguono la serie in italiano: “Ti sono mancato?”

** Qui Seb fa riferimento al primo capitolo, dove afferma di non aver mai iniziato ad esistere (scusate la nota abbastanza inutile, ma ci tenevo a farvelo notare) -Danae


 

Qui trovate tutte le canzoni anche solo citate nella storia, in ordine di apparizione (amate tanto Danae, che ci ha perso novant'anni per ricontrollare la storia dall'inizio e trovarle):

Arrival of the birds – The Cinematic Orchestra

Downtown Train – Tom Waits

Staying alive – Bee Gees

Ol' '55 – Tom Waits

I hope I don't fall in love with you – Tom Waits

Goodbye my lover – James Blunt

Shattered – Trading Yesterday

Ghosts that we knew – Mumford and sons


 


 


 

NDA: Ed eccoci qui! Siamo ad un punto, non è così? La storia è finita.

Beh speriamo che vi sia piaciuta tanto quanto a noi è piaciuto scriverla!

*Dan e seeyouthen fanno ciao con la manina*

Solo un'ultima cosa. Credo sia giusto ringraziare chi ci ha seguito, ricordato, e soprattutto chi ha commentato, quindi grazie!


 


 


 

  
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