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Autore: Luna Malfoy    21/01/2005    30 recensioni
Il cuore di una donna è un oceano di segreti.
Genere: Drammatico, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Draco/Ginny
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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RITRATTO AD OLIO

 

Ragazza d'acciaio non amavo nessuno al mondo
Non amavo nessuno eccetto colui che amavo
Il mio innamorato il mio amante colui che mi attraeva
Ora tutto é cambiato è lui che ha cessato di amarmi
Il mio innamorato che ha cessato di attirarmi sono io?
Non lo so e poi cosa cambìa?
Sono ora stesa sulla paglia umida dell'amore
Tutta sola con tutti gli altri tutta sola disperata
Ragazza di latta ragazza arrugginita
O amore amore mio morto o vivo
Voglio che tu ti ricordi del passato
Amore che mi amavi da me ricambiato.

- Jacques Prévert –

 

Un vecchio film babbano, diceva che il cuore delle donne è un oceano di segreti.

 

Ricordo ancora che al tempo, quando udii questa frase, mi misi a ridacchiare certa che non fosse assolutamente possibile. Ero abituata a scaricare ogni mia angoscia, dubbio o perplessità, nel mio diario o sulle spalle di Hermione che, all’epoca, era quanto di più vicino alla figura della ‘migliore amica’ potessi vantare. Niente del rapporto di allora è rimasto. Con nessuno, non solo con lei. E non possiedo neanche più un diario segreto. Non ne ho bisogno. Ogni ricordo, bello o brutto che sia, è stampato a fuoco nella mia mente e non credo che nessuno, mai, potrà impedirmi di rivivere il più piccolo istante.

…ma la storia di come sono finita qui, in questo appartamento interamente arredato da me, con Penelope, la mia adorata gatta e i mobili di legno intarsiato, a cui cambio continuamente posto, è lunga e tortuosa. Il perché ho deciso di abbandonare famiglia e amici e di andare ad abitare alla periferia di Hogsmeade non è così semplice come sembra. Non è un banale bisogno di libertà e indipendenza.

Ho venticinque anni e non mi considero una persona ‘adulta’. Forse matura, perché ho sempre pensato che la maturità non si acquisisce con l’età, ma con l’esperienza e col dolore. La tristezza non ha sempre fatto parte della mia vita, per fortuna. Ma c’è stato un periodo, tanto tempo fa, in cui l’angoscia e la disperazione bussarono alla mia porta, trascinandomi in un vortice di depressione.

Come dicevo… la storia di come è accaduto tutto ciò, è molto triste e confusa.

 

Quando terminai il mio ciclo di studi ad Hogwarts, la seconda guerra contro Voldemort era incominciata da ben due anni e la situazione non accennava a migliorare. Caramell si era finalmente deciso a riconoscere il ritorno del Mago Oscuro e, in evidente ritardo, aveva fatto scattare il piano d’emergenza, coinvolgendo Auror e Agenti Speciali di ogni parte d’Europa.

Durante le feste, estive o invernali, quando rientravo a casa da scuola e la famiglia era riunita, i discorsi inerenti ai campi di battaglia si sprecavano. Ben tre dei miei fratelli, erano coinvolti nell’esercito dell’Ordine e se a loro aggiungiamo Harry ed Hermione, che in quel periodo risiedevano in pianta stabile a casa nostra, le voci da cui si ascoltavano storie di disfatta e tristezza, erano ben cinque. Harry aveva smesso già da un anno di vivere con i suoi zii, ritenuti sì sicuri per via dell’ormai noto incantesimo di protezione che Lily Evans aveva posto su di lui e mantenuto in vita grazie alla sorella Petunia, ma non abbastanza da garantirgli copertura in eterno. Sarebbe bastata una maledizione senza perdono su ogni singolo abitante di quella villetta in Privet Drive ed Harry sarebbe rimasto scoperto. Hermione, invece, aveva abbandonato da tempo la casa paterna, conscia di esporre i suoi ad un pericolo troppo grande per dei semplici babbani. Ad ogni modo, per precauzione, i genitori dei soldati mezzosangue, erano stati fatti trasferire in un luogo protetto, tra pianti e abbracci preoccupati. Il dolore della separazione però, era reso più sopportabile dall’idea che in quel modo, i propri cari erano al sicuro da qualsiasi tentativo di attacco dei Mangiamorte e ciò dava la forza ai soldati di andare avanti e lottare per le proprie famiglie.

 

Io, al contrario, non sapevo ancora cosa fare della mia vita. Non sapevo ancora cosa volevo realmente. Per la verità, mai nessuno si era interessato di ciò che avevo deciso per me, per il mio futuro, se non la professoressa McGranitt nel periodo di orientamento pre esami. Suppongo che nell’inconscio di tutti, aleggiasse la convinzione che nessuno di noi avesse in realtà un futuro davanti. L’ho pensato anche io, qualche volta, devo ammetterlo. Così quell’anno, quando rincasai in maniera definitiva, lasciandomi alle spalle la mia classe e tutti i miei compagni, lì sulla banchina del binario nove e tre quarti, immersa in una schiera di Auror così folta da impedirmi di salutare i miei amici, mi accorsi per la prima volta che ero entrata a tutti gli effetti nel cosiddetto mondo degli adulti.

Era scontato che, con la famiglia e gli amici che mi ritrovavo, l’idea di accedere al servizio di leva come soldato dell’Ordine non fosse neppure contemplata nelle mie possibili scelte. Ragion per cui, una volta a casa, mi misi a tavolino con Hermione, cercando di vagliare qualche ipotesi durante un suo turno di riposo. Avevo avuto dei buoni voti, a discapito di ogni aspettativa, per cui non avrei avuto alcun problema a scegliere un qualsiasi mestiere. L’unico ostacolo reale, era proprio la guerra.

 

Se in tempo di pace, in famiglia, c’erano problemi di soldi, durante quel periodo la situazione era notevolmente peggiorata. Erano molti i giorni in cui papà neppure rientrava da lavoro, sottoponendosi a turni che sfioravano le quarantotto ore consecutive. Bill e Charlie, non erano da meno. Eppure, nonostante i numerosi straordinari, il guadagno era sempre lo stesso. Ugualmente scarso e insufficiente a sfamare la bellezza di otto persone. Fred e George, erano indipendenti economicamente, per fortuna. Di Percy, non avevamo più avuto notizie, se non fugaci e poco confortanti.

Volevo contribuire anche io. Non potevo permettermi il lusso di studiare e basta o non sarei riuscita a concludere nulla. Così quando decisi quale era la mia strada e il mio sogno, mi rimboccai le maniche e mi cercai un impiego che mi permettesse di pagare libri e corsi. Scelsi pittura. Una scuola babbana nel centro di Londra, molto vicina al Paiolo Magico, dal quale entravo e uscivo ogni giorno per dividermi tra lezioni e lavoro. Mamma mi aveva trovato un posto in un negozietto poco impegnativo, nei sobborghi di Diagon Alley. Un vecchio dispaccio di tempere, colori e quant’altro potesse essere necessario ad un pittore. L’ideale, per ciò che avevo scelto di fare.

 

Da quel posto, era incominciata la mia rinascita.

 

Passare dall’odore forte e pungente dei colori ad olio della sala di pittura della mia università, allo stesso profumo, ancor più penetrante e secco del negozio in cui lavoravo, aveva il potere di tranquillizzarmi. Durante le pause, mi nascondevo nel retro bottega e dipingevo sulle tele incrostate, riciclando quei pezzi di tessuto che, altrimenti, sarebbero stati gettati via. Il padrone del locale, in effetti, si era talmente affezionato a me, da permettermi di pitturare e spesso studiare, anche nei momenti in cui la clientela era più scarsa. Tante volte, nascosta nello studio sul retro, udivo i rumori delle battaglie che imperversavano nel mondo magico, lontani, eppure così orrendamente vicini e minacciosi. Tante volte, dietro alla mia tela acquerellata, sognavo di vivere in un mondo diverso, senza lotte e speravo che tutto quel tumulto cessasse da un momento all’altro.

 

Non avevo vita sociale e francamente, neppure la cercavo. I miei soli amici erano i compagni di università che, ovviamente, ignoravano la mia condizione di maga e la situazione che stava sconvolgendo il mio mondo. Hermione si era allontanata da un pezzo, pressata dagli oneri del lavoro di Agente Speciale degli Auror e di conseguenza, incapace di tener testa ad una amicizia. Riusciva a malapena a badare a mio fratello.

 

Fu durante una sera di pioggia, mentre mamma e papà erano impegnati al quartier generale dell’Ordine della Fenice, con Bill e Charlie, che qualcosa di inatteso scosse la mia vita. Ron ed Hermione, ormai coppia fissa da un paio di anni, erano al primo piano della Tana, cercando di sfruttare al meglio quei pochi istanti che venivano loro concessi tra un addestramento e un richiamo per gli scontri più diretti. Harry, invece, sonnecchiava tranquillo sul divano, ritemprandosi dall’ennesimo turno di ronda troppo pesante.

Ero sola, se così si può dire. E neppure mi dispiaceva. Avevo un buon libro e la mia tazza di tea e niente e nessuno, mi avrebbe mai convinta a mettere il naso fuori casa, in mezzo alla pioggia torrenziale che quel giorno sembrava non volerci dar pace. Era una domenica, una sera buia e tempestosa, potrei dire… se stessi scrivendo un libro.

Di tutto, ciò che ricordo bene fu l’insistente bussare alla piccola e scardinata porta della mia casa. Il mio sbuffo di disapprovazione per quell’imprevisto e il mio placido, ma forse anche innervosito “un secondo, sto arrivando!” per cercare di placare l’animo di chi voleva, forse, riparo. Di tutto, quel che vorrei dimenticare, fu ciò che mi trovai davanti quando abbassai la maniglia della porta, incrociando uno sguardo che credevo non avrei mai più rivisto.

Rammento di averlo fissato più del dovuto e di aver tentato di riprendere aria per i miei polmoni, aprendo e chiudendo la bocca più volte, inutilmente. I suoi occhi, un tempo gelidi e freddi, erano stanchi e segnati, solcati da occhiaie profonde e bluastre.

“Mi fai entrare, Weasley? O pensi di lasciarmi qui a morire di polmonite?!” Mi disse scocciato e solo allora, lo giuro, solo in quel momento, mi resi conto che tremava, bagnato fino al midollo e avvolto in un pesante mantello nero ormai fradicio.

Mi spostai un po’ titubante, per nulla certa di stare facendo la cosa giusta. Chi era diventato? Nessuno, mai, nella mia famiglia, durante le numerose chiacchierate su arresti e ricercati, aveva nominato Draco Malfoy. Sembrava scomparso nel nulla. In fondo però, tutti sospettavamo che come gran parte dei Serpeverde, fosse giustamente finito nelle schiere del male.

Lo guardai scrollare il corpo intirizzito e gettare a terra il mantello, rivelando pantaloni e maglione scuri. La bacchetta saldamente ancorata alla cintura. La tentazione più forte fu di bloccarlo lì, sulla soglia del salottino, e di controllargli le braccia, ma non lo feci.

“Chiamo Harry… o mio fratello. Aspetta qua.” Fu quello che risposi, invece. E lo sguardo che mi lanciò non appena pronunciai quelle parole, fugò ogni mio dubbio. Lo cercavano, ne ero certa. Potei distinguere un lampo di timore nell’argento spento dei suoi occhi e ne ebbi compassione.

Alla luce del camino, che riscaldava il misero salotto, mi resi conto di ciò di cui non mi ero ancora accorta. Era ferito. Seriamente ferito, in verità. Tralasciando una cicatrice strana e distorta sul collo, entrambe le mani erano imbrattate di sangue. Sangue che non avevo idea da dove provenisse. E tutto ciò mi spaventava. Era suo quel sangue, o apparteneva ad una delle sue vittime?

Come a voler rispondere alle mie mute perplessità, distolse lo sguardo dal mio e si alzò la manica sinistra, rivelando ciò che fino ad allora avevo solo immaginato.

“…sei… sei uno di loro.” Ricordo perfettamente quelle parole. Mi scivolarono via dalle labbra senza che potessi contenerle o perfezionarle. La cruda freddezza della mia osservazione, risvegliò in lui quel carattere puntiglioso e cattivo.

“Ma che brava, piccola Weasley! Un bel 10 e lode per la tua perspicacia… puoi chiamarmi la Granger, ora, se non ti è di troppo disturbo?!”

Non gli chiesi come mai, tra tutti, volesse proprio lei. Hermione aveva seguito un corso come Medimago, nell’eventualità che una volta finita la guerra, non avesse più intenzione di mettere mano alle armi. La capivo, ognuno di noi ha bisogno di una seconda possibilità, al cessare della tempesta.

Harry fu il primo a comparire nel piccolo ingresso. Era ancora per metà nel mondo dei sogni, forse anche per quello non reagì prontamente. Fu solo dopo un primo momento di smarrimento, che estrasse la bacchetta e la puntò contro il ‘pericoloso Malfoy’.

“Buonasera anche a te, Sfregiato.”

Rabbrividii. Se pochi minuti prima, il vederlo ridotto in quelle condizioni mi aveva mosso pietà, sentirlo pronunciare quel soprannome, col suo solito tono pungente, mi riportò alla mente vecchi rancori.

“Che diamine ci fai qui, Malfoy!?” Domandò Harry, mantenendo il contatto visivo con il suo bersaglio, per nulla infastidito dall’aria di superiorità che Draco aveva sfoderato nel mentre. A me non aveva fatto lo stesso effetto. Vedere quelle labbra piegate in un sorrisetto furbo, il suo sguardo selvatico ridotto a fessura, del tutto compiaciuto di ciò che stava scatenando in Harry, mi innervosì.

“…prima di fare qualsiasi cosa, Potter… ti avviso che sono qui per essere curato…” Non gli diede il tempo di rispondere e proseguì nel suo monologo. “E per parlare con Silente. So che solo tu, sai come contattarlo per le emergenze.”

Harry annuì titubante. Lo capivo. Non capitava tutti i giorni che un Mangiamorte bussasse alla porta della Tana, ormai nota per il numero di fedeli a Silente che l’abitavano, richiedendo cure. Ancor meno di parlare con il Generale in persona.

Ci furono pochi istanti di silenzio. La porta d’ingresso sbatteva per il vento e una sferzata gelida mi colpì, facendomi tremare. Strinsi le braccia contro il maglione di lana bianco, a trecce larghe e mi voltai per chiudere l’uscio. Udii un bisbiglio sommesso e quando mi voltai, mi accorsi che Harry stava parlando a breve distanza dal camino. Era riuscito a contattare Silente.

Un lieve gemito, mi risvegliò dal momentaneo stato di trance in cui ero caduta, persa ad osservare ciò che si intravedeva nelle fiamme alte del focolare. Abbassai lo sguardo e mi accorsi delle piccole macchie di sangue che avevano preso ad imbrattare il parquet. Qualsiasi ferita avesse Draco Malfoy, stava ricominciando a sanguinare in maniera a dir poco preoccupante.

Corsi lungo le scale e raggiunsi la camera da letto di Ron. Bussai come un’ossessa, finché la figura alta e muscolosa di mio fratello, non spuntò sulla soglia della stanza. “Che succede?!”

Spostai il peso del corpo da un piede all’altro e agitai confusamente le mani. “…Harry è giù, con… Malfoy.” Spalancò di botto la porta e fui certa, che sarebbe sceso di sotto e avrebbe combinato un macello. “Aspetta! Ha bisogno di essere curato… vuole parlare con Silente. La situazione è sotto controllo, sta’ calmo.” Hermione sbucò da dietro mio fratello, strattonandogli la porta di mano, avvolta in un paio di jeans chiari e una camicia felpata sicuramente non sua. Aveva in mano il necessario per i medicamenti. “Dov’è?!”

Non ebbe bisogno di parole. Le bastò un mio cenno del capo e mi seguì di sotto, mentre Ron spariva in camera, quasi certamente per cambiarsi e prepararsi a scendere al piano inferiore. Quando entrammo nel salottino, Harry aveva terminato di parlare e stava in piedi, dritto con la bacchetta tra le mani, nella zona tra il divano e la porta d’ingresso. Malfoy, al contrario, era seduto a terra, vicino al sofà. Mi costa dirlo, ma fino a quando Hermione non si dedicò a prestargli le cure adeguate, temetti seriamente per la sua vita. Era un nemico, ma pur sempre un essere umano e non ero mai riuscita ad odiare una persona al punto di augurargli la morte, in maniera così gratuita.

Aveva i capelli completamente fradici, per gran parte attaccati al volto e strano, ma vero, l’incarnato del viso era molto più pallido di quanto già non lo fosse. Vidi Hermione che si sbarazzava velocemente del maglione nero, zuppo d’acqua e ciò che mi si parò dinanzi agli occhi, mi provocò l’urto del vomito. Il torace bianco e robusto era ricoperto di lividi ed escoriazioni piuttosto profonde e come se non bastasse, sulla spalla destra si apriva un taglio netto e slabbrato. La pelle, così candida da sembrare marmorea, era sporca di sangue. “Weasley, Weasley… i tuoi occhi innocenti non sopportano un tale scempio… vai fuori di qui.” Mi disse serio e irritato, alzando lo sguardo plumbeo su di me, ferma a pochi passi da lui, rannicchiata nel mio stesso abbraccio e scossa da brividi di disgusto e sconcerto. I jeans di Hermione si tinsero di un rosso cupo, così come le sue mani e le bende che stava utilizzando. Tutto, in quegli istanti, mi parve assumere quella tonalità sanguigna.

“Ce la faccio… ce la faccio.” Risposi più a me stessa, che a lui, ma un altro attacco di nausea mi atterrò del tutto, costringendomi a correre veloce verso il bagno. Svenni lì, accanto alla tazza del water, dopo aver vomitato non so quante volte.

 

Quando mi risvegliai, da sola, nel mio letto, non rammentai subito tutto l’accaduto. Mi ci volle un po’, dopo essermi ripresa da un lieve capogiro, dovuto probabilmente alla debolezza e all’eccessiva foga con cui avevo sollevato la schiena dal cuscino. E quando scesi, veloce, infagottata nella vestaglia di pile che mi era stata regalata a Natale dell’anno precedente, la prima persona che incontrai fu mia madre. Sembrava stanca, spossata e molto inquieta. Non le domandai dove fossero Harry, Hermione e Ron… e neppure le chiesi dove fosse finito Malfoy. Lanciai uno sguardo veloce all’orologio di tipo babbano, appeso alle pareti della cucina e mi accorsi che la mezzanotte era passata da un pezzo.

“Ti ho preparato un tea caldo. Ti rimetterà in sesto.”

Sedetti al tavolo di legno tarmato che occupava metà dello spazio della stanza, in silenzio. E sempre in silenzio sorseggiai il tea, con calma. Ero nervosa e agitata. Volevo domandare che fine avessero fatto gli altri, eppure temevo di dar fastidio a mia madre.

“Mamma…” Provai, ma lei neppure si voltò. Sospirai e tacqui di nuovo.

“Papà, Harry e Ron sono andati al quartier generale. Devono discutere col Consiglio. Hermione è di sopra che riposa… ha vegliato su Malfoy fino ad un’ora fa.” Mi disse improvvisamente, continuando a spostare pentole e padelle e a mettere ordine in quel perenne caos che era la cucina. Mi dava ancora le spalle.

Mi alzai, abbandonando la tazza in ceramica nel lavandino. “E lui?!”

“…lo abbiamo sistemato nella camera di Percy. Papà e Ron hanno provato a convincere Hermione, per trasportarlo a Grimmauld Place, ma pare abbia bisogno di assoluto riposo. Sai… la ferita.” Non era convinta, per niente. Anzi forse era addirittura spaventata. Supponevo che fosse stato disarmato, magari in un attimo di distrazione, ma restava pur sempre un Mangiamorte, quindi la capivo. La capivo perfettamente.

“Cerco di dormire un altro po’, mamma. Vai a riposare anche tu.”

Salii le scale scricchiolanti, decisa a tornarmene al caldo sotto le coperte e ad ignorare tutta la faccenda. Papà e i miei fratelli non erano tanto stolti da lasciare due donne, secondo loro indifese, alla mercé di un simile individuo. Uno spiffero gelido, penetrato attraverso la finestra rotta del primo piano, mi sferzò il viso accaldato e come mossa da una forza a me sconosciuta, mi voltai verso quella che un tempo, era la camera di Percy Prefetto Perfetto. Oltre quella porta, c’era il nemico. C’era una di quelle persone che stavano portando il mondo magico alla rovina.

E sempre mossa dalla stessa forza involontaria, la mia mano si chiuse sulla maniglia ed entrai nella stanza, immersa nella penombra e rischiarata da una misera candela quasi consunta.

Sotto le lenzuola di cotone logoro, con una grossa fasciatura sulla spalla, era disteso Malfoy. Era stato ripulito di tutto il sangue, eppure i lividi e i tagli erano ancora ben visibili. Sembrava sereno, mi accorsi, osservandolo come rapita. Aveva i tratti del viso rilassati, nel sonno. E quell’espressione, così angelica, così maledettamente discordante con l’anima nera che si portava dentro, mi colpì.

Uscii velocemente dalla camera, intenzionata a non rimetterci piede. Perlomeno fino a quando non se ne fosse andato da casa mia.

 

…ma il tempo passava e la guerra imperversava. Continuavo a lavorare e studiare, con maggior impegno, con crescente volontà. Così come continuavo a vivere sotto lo stesso tetto di Draco Malfoy.

Silente aveva ritenuto la Tana un posto sufficientemente sicuro, per quello che era ormai diventato un collaboratore dell’Ordine. Non un Auror, no… quello mai. Malfoy era ancora un Mangiamorte a tutti gli effetti, con tanto di Marchio Nero stampato sul braccio, in bella mostra. Semplicemente uno dei tanti fedeli del Signore Oscuro, andati dispersi durante le numerose battaglie.

 

Furono tempi duri in casa.

 

Ron non sopportava l’idea di dover dividere la stessa aria con quello che lui amava chiamare “essere immondo”. Harry, come era prevedibile data la sua natura un po’ più paciera, rispetto a quella impulsiva di mio fratello, se ne era fatto una ragione. Dormiva con un occhio aperto, questo sì, ma dormiva. Hermione si preoccupava che le condizioni di salute del ‘collaboratore’ non peggiorassero. Charlie e Bill, così come papà, erano stati spediti su fronti di guerra ben peggiori di Londra. Mamma, ovviamente, ne soffriva in assoluto silenzio, impedendo a noi figli rimasti nel focolare domestico di accorgerci del suo stato d’animo.

Io… osservavo. Osservavo ciò che accadeva e aiutavo, cercando di sgravare mia madre o chi ne aveva bisogno, dai compiti superflui o eccessivi. Una specie di supporto per il resto della famiglia. Ciò che mancava realmente in quel momento, insieme ad una buona dose di serenità.

Non passava notte che non mi chiedessi quando sarebbe finito quell’incubo. Quando avrei potuto, finalmente, poggiare la testa sul cuscino e lasciarmi cullare dal sonno, senza i rumori delle lotte di sottofondo. Quando avrei potuto ascoltare il notiziario alla radio babbana di mio padre, senza temere che ci fossero stati nuovi attacchi troppo vicini. Quando avrei potuto leggere la Gazzetta del Profeta, senza incrociare le dita perché non comparissero nomi di amici o familiari, sulle liste dei caduti in battaglia.

Pregavo.

Ogni sera, rintanata sotto le coperte, pregavo che tutto quell’inutile spreco di vite umane cessasse. Che papà e i miei fratelli tornassero sani e salvi a casa. Che i miei amici non rischiassero più la vita in un combattimento con qualche Mangiamorte.

 

Tre mesi dopo l’arrivo di Draco Malfoy nella nostra vita, qualcosa cambiò.

La presenza costante di quell’ormai non più nemico, era diventata quasi normale.

Mamma, come mi aspettavo che fosse prima o poi, non appena avesse capito che poteva fidarsi di lui, aveva preso a trattarlo come uno di famiglia.

Un po’ di incertezza all’inizio e una certa ostinazione e riluttanza ad accettare la cosa, da parte di mio fratello Ronald, ma alla lunga tutti si abituarono.

 

A differenza della sera in cui Malfoy mise piede per la prima volta alla Tana, quella sera il tempo era assolutamente sereno. La luna era ben nitida in cielo e un vasto manto di stelle luminose rischiarava il giardino antistante la mia casa. Ero uscita con i miei amici, quelli del corso, per festeggiare il primo esame. Ventotto. Non che fossi stupita, in fondo. Avevo studiato sodo per trovarmi pronta a quella prima prova, ma la gioia incontenibile che provai, quando il professore mi comunicò il risultato al termine del colloquio, fu tale da convincermi che mi meritavo un po’ di sano svago.

Ero ubriaca.

Sì, lo ammetto, è poco dignitoso terminare una serata post esame, con una sbornia, ma non l’avevo mai fatto e quindi, mentre camminavo barcollando sull’erba del prato, ridendo e incespicando di tanto in tanto, mi ripetei che non c’era nulla di male. Il gruppetto che mi aveva accompagnata, lo avevo abbandonato in un vicolo poco distante dal Paiolo Magico e da lì, non so neppure come, ero riuscita a smaterializzarmi alla Tana, finendo però carponi sul terreno del viottolo che conduceva al garage.

Mi aspettavo di trovare Ron, in piedi sulla porta, con l’aria austera di chi è pronto a sculacciare la sorella ribelle. Ma di Ron, non c’era neppure l’ombra, e neanche di Harry, che in quanto a sgridate non era secondo a mio fratello.

Al loro posto, con le braccia incrociate, appoggiato ad una colonnina che sorreggeva la piccola tettoia di legno tarlato, c’era Draco Malfoy.

Lì per lì non mi domandai cosa diamine ci facesse fuori, con quella temperatura fin troppo fredda. Pensai che avesse bisogno di prendere aria, che non riuscisse a dormire o che fosse assorto in uno di quei momenti che gli prendevano ogni tanto, quando si rintanava in giardino a fumare una sigaretta, preso da chissà quali pensieri.

…e mi stupii di questa riflessione. Da quando mi ero soffermata ad osservare i movimenti di Draco Malfoy?

Un giramento di testa più forte del previsto, mi fece inciampare per l’ennesima volta e finire in ginocchio, per terra, sull’erba appena bagnata dall’umidità. Risi come una sciocca, spostandomi i capelli dal volto con movimenti a dir poco infantili ed impacciati. Mi sembrava di aver perduto la sensibilità delle mani e non credo che fosse dovuto esclusivamente al freddo.

“Sei patetica.”

Con questa frase, buttata lì per scherno, senza neppure sapere che non mi aveva ferita, né offesa, mi si avvicinò e mi sollevò in braccio, mollandomi poi in malo modo sul dondolo di legno che c’era sulla verandina.

Risi di nuovo. “Grazie.”

Mi guardò di sottecchi, aspirando il fumo dalla sigaretta e buttandolo fuori in una nuvoletta bianchiccia. “A cosa è dovuta questa sbronza?!”

E ancora un attacco di riso mi colse, mentre mi aggiustavo con le gambe contro il petto e tiravo a me il plaid che ero solita lasciar fuori all’aria. “Ho preso ventotto all’esame di pittura ad olio.”

“E non dovrebbe essere un evento felice?!” Mi domandò, passandosi una mano nei capelli biondi ormai lunghi fino alle spalle e lanciando lontano la cicca ormai consumata.

Sorrisi, cercando di darmi un contegno. Scoppiai di nuovo a ridere. “…oh, ma lo è.”

“Di solito si beve per dimenticare.”

Ci pensai su qualche istante. Non aveva tutti i torti, riflettendoci bene. “…non si può bere per festeggiare qualcosa?!”

Il suo sguardo di ghiaccio si incrociò col mio. Mi sorrise in una maniera strana, quasi beffarda. “Non se dopo si deve star male. Non ha senso festeggiare in questo modo.”

Non ebbi neppure il tempo di replicare che non stavo affatto male, a parte qualche capogiro, poiché un potente conato di vomito mi interruppe. Mi sporsi dal balconcino che affacciava sul lato destro della Tana e rigettai nell’aiuola preferita di mamma. Sentii solo una mano ruvida e grande, raccogliermi i capelli alla base della nuca e un’altra, calda e rassicurante, massaggiarmi e picchiettarmi delicatamente la schiena, alleviandomi gli spasmi provocati dai conati.

“Non devi bere così tanto. Ti fa male.”

Annuii.

Conoscendo il mio carattere, se fossi stata lucida e in grado di mettere insieme due parole di senso compiuto, lo avrei aggredito ricordandogli che lui non era niente e nessuno per dirmi cosa potevo e cosa non potevo fare. Ma gli fui grata di quel consiglio spassionato e di quel tocco così gentile e quindi tacqui.

Lo seguii all’interno della casa, fino in cucina e lo guardai tagliare a metà un limone.

“Sei in grado di preparare un caffè?!”

Scossi la testa e cercai a tentoni la mia bacchetta magica, nascosta tra le pieghe del giubbino di pelle marrone, infilzata nella cintura dei pantaloni. Moka e polvere fecero tutto da sole, per mia fortuna. E quando il caffè fu pronto e versato nella tazzina, Malfoy pensò bene di fare ciò che temevo facesse. Spremette il succo di limone nel liquido nero e mi allungò il tutto, intimandomi già solo con un’occhiata di bere ciò che aveva osato preparare.

“…stai scherzando, vero?!” Biascicavo. E sì che forse quell’intruglio mi avrebbe anche aiutata, visto le condizioni in cui versavo, ma l’idea di dover buttare giù quel caffè amaro, di per sé inconcepibile per me che lo prendevo con non meno di tre cucchiaini di zucchero, e per di più diluito con del limone… mi nauseava.

“Non scherzo affatto, Weasley.” Ribatté risoluto, squadrandomi con aria più che seria. “Bevilo, o domani tua madre ti farà una bella ramanzina.”

Forse fu proprio quella frase a convincermi. O forse la sensazione prossima al vomito che mi colse di nuovo. Fatto sta che avvicinai la tazzina alle labbra e buttai giù quella cosa senza fiatare, stringendo gli occhi e reprimendo un singhiozzo disgustato, quando ingoiai. Dire che faceva schifo, sarebbe troppo poco.

Con cipiglio fiero e soddisfatto e le braccia conserte, Malfoy mi osservò per qualche minuto in silenzio. “Bene. Ora ti consiglierei una doccia, puzzi tremendamente di alcool.”

L’avrei anche fatto, se nell’alzarmi dalla sedia non avessi pericolosamente barcollato in avanti, col rischio di finire lunga per terra.

“Gira tutto…” Mi aggrappai al tavolo, respirando a pieni polmoni per non permettere alla nausea di assalirmi ancora.

Con forza un po’ eccessiva e senza troppa delicatezza, Malfoy mi afferrò per le spalle e mi spinse verso il bagno. Mi diede appena una mano a togliere il giubbotto e con ancora i jeans e il maglioncino azzurro addosso, mi infilò nella cabina della doccia, aprendo l’acqua fredda.

“…ma sei impazzito!?!”

Cercai di uscire da lì. Era inverno e la temperatura era molto bassa, con quella doccia ero certa che mi sarei beccata un malanno. Alzai lo sguardo su di lui, provando a spingerlo lontano per guadagnare spazio e sfuggirgli, ma il peso del suo corpo mi schiacciò contro le mattonelle, impedendomi di muovere un solo passo.

“Mollami.”

Le sue mani mi afferrarono le spalle, bloccandomi ogni tentativo di fuga. “Ferma sciocca.”

Mi arresi. Lasciai che l’acqua gelida mi infradiciasse e solo quando Malfoy si decise a chiudere la manopola della doccia, mi accasciai tra le sue braccia, esausta. Trovai sollievo non appena mi avvolse in un grande asciugamano che doveva aver riscaldato con un incantesimo.

E mi duole ammetterlo, ma la sbornia era ormai andata. Ragion per cui, nulla di tutto ciò che è accaduto dopo, posso attribuirlo ai fumi dell’alcool.

Non so come, l’attimo preciso e il perché mi ritrovai a pensare che Draco Malfoy, l’acerrimo nemico dei miei fratelli, di Harry e anche mio, sin dai tempi della scuola, era affascinante. Bello, era il termine adatto.

Penso che in realtà, una parte di me lo considerasse interessante da sempre, ma il fatto che fosse il male, la persona sbagliata, mi avesse sempre frenata dall’esporre questa idea a qualcuno o persino a me stessa.

Non attese molto. Non restammo che pochi istanti a fissarci. Lui, bagnato fradicio, con alcune ciocche di capelli biondissimi appiccicati al viso e quello sguardo accigliato, era dannatamente sensuale. Mi baciò. Un bacio umido, frettoloso, al quale risposi con agitazione e coinvolgimento crescenti.

Ci trascinammo a tentoni al primo piano, urtando maldestramente i gradini della scaletta e infilando la porta della stanza con velocità e poca attenzione. Draco, come avevo preso a chiamarlo in quei momenti, col fiato corto, si chiuse la porta alle spalle e la sigillò con la mia bacchetta. Lo vidi sfilarsi il maglione bianco che indossava, ormai inzuppato d’acqua e gettarlo a terra di malagrazia. Solo allora, lasciai scivolare via l’asciugamano e gli permisi di avvicinarsi di nuovo.

Ricordo ancora le sue mani fredde sulla pelle umida della mia schiena. Il modo poco gentile con cui mi tolse di dosso il maglioncino e raggiunse i bottoni dei miei jeans strappati. Le sue labbra calde e morbide nell’incavo tra il collo e la spalla e la sensazione di intenso calore che mi colse, non appena mi ritrovai seminuda, di fronte a lui.

Ricordo davvero tutto di quegli attimi, della nostra prima volta insieme.

A partire dai sospiri che sfuggivano alla bocca di entrambi, fino al modo delizioso con cui gli sentii pronunciare il mio nome. Non mi aveva mai chiamata ‘Ginevra’, eppure quella volta, mi sembrò che lo avesse sempre fatto.

 

Il giorno dopo, quando mi risvegliai avvolta dalle lenzuola del mio letto, i flashback della sera precedente mi colsero tutti in una volta. Draco non era più al mio fianco, ma al suo posto, sul cuscino che profumava ancora della sua essenza fresca e pungente, vi era una rosa bianca.

Penso che me l’avesse lasciata per tranquillizzarmi. Sapeva che testarda e impulsiva come ero, avrei frainteso, credendo che mi avesse solamente usata. Fu un gesto di delicatezza anche nei confronti di mia madre. Quando venne a svegliarmi, infatti, mi trovò sola… e neanche mi sfiorò l’idea che potesse capire qualche cosa, da come ero vestita. O non vestita, che dir si voglia.

 

Questa è l’unica cosa che rimpiango.

Non essermi confidata coi miei genitori.

Né mio padre, né mia madre hanno mai saputo dalla mia voce, ciò che mi legava a Draco Malfoy. Non hanno mai udito i miei racconti di come, quella persona che avevano accolto in casa loro, che avevano odiato, disprezzato e poi imparato a tollerare, fosse diventato il mio amante e in seguito il mio compagno. I nostri incontri avvenivano di nascosto, così come nascoste erano le frasi, i sorrisi e gli sguardi che ogni coppia di innamorati, è solita scambiarsi. Entrambi odiavamo la clandestinità, ma sapevamo che era l’unico modo per far maturare la nostra relazione, prima di affrontare a viso aperto i miei familiari.

L’unica volta in cui ci decidemmo a parlare, fummo interrotti dal ritorno di mio padre e né io, né mia madre, riuscimmo a contenere la gioia per quella sorpresa così agognata e allo stesso tempo inattesa. Draco fu così premuroso da lasciarci vivere quello spiraglio di felicità, che da tempo cercavamo.

 

Più i mesi passavano, però, e più prendevo consapevolezza di quanto amavo quell’uomo.

Imparai a conoscerlo bene, a scoprire lati del suo carattere che nessuno poteva neanche lontanamente immaginare. Scoprii un modo di fare nuovo, gentile, nei miei confronti. Non abbandonò mai il suo senso di sfida e competizione nei confronti di mio fratello e di Harry e continuò a stuzzicare Hermione, come al solito, ma sapevo che in fin dei conti, doveva loro molto. E che ne era cosciente.

E più i mesi passavano, più la nostra storia acquisiva forza. Da entrambi.

Iniziammo a renderci conto che il tempo a nostra disposizione non era mai abbastanza, tra convocazioni al quartier generale per nuove deposizioni e turni di studio e lavoro massacranti. Il vederci di nascosto, non faceva che peggiorare la situazione.

 

Fu dopo una delle nostre rare, eppur utili, discussioni che Draco mi condusse in giro per Hogsmeade.

Un pomeriggio di fine primavera. Non amavo passeggiare, non più da quando temevo per la mia incolumità, conscia di rischiare la vita anche solo camminando per le strade affollate della cittadina magica. Ma la guerra aveva raggiunto risvolti inaspettati. Molti dei Mangiamorte più fedeli al Signore Oscuro, Lucius Malfoy in testa, furono catturati e rinchiusi nella nuova Azkaban, al sicuro da qualsiasi tentativo di evasione o di aiuto da parte dei Dissennatori.

“Dove mi porti?!” Gli domandai, a metà tragitto, alzando la testa e scrutando la sua espressione concentrata e sicura. Camminammo per minuti e minuti, lungo la via principale del paese, tenendoci stretti per mano, forse per paura di perderci nella calca di gente che visitava il posto.

Sorrise compiaciuto, seguitando a guardare dritto dinanzi a sé. “Lo vedrai…”

Si fermò di fronte ad un negozietto, che individuai essere una sala da tea. Tante volte, durante le nostre chiacchierate, avevo espresso il desiderio di uscire con lui, anche solo per bere un caffè o andare in uno di quei posti che i babbani chiamano ‘cinema’, ma credevo che ciò non sarebbe mai avvenuto. “Qui?!”

Mosse il capo in un cenno d’assenso e mi spinse garbatamente verso l’entrata del localino.

Bel posto, pensai, appena vi misi piede. Un posto senza troppe pretese, appartato, piccolo… profumato di fiori e frutta, delicato anche nell’arredamento. Prendemmo posto ad uno dei tavolini addobbati con tovaglie color pastello e stemmo in silenzio, per un bel po’. Le tazze di tea che avevamo ordinato, fumavano di fronte a noi, immobili.

“…è ora di mettere le carte in tavola con i tuoi, Ginevra.” Mi disse grave, cercando di afferrare una mia mano con la sua. Mi irrigidii. E non perché non fossi d’accordo con ciò che mi stava proponendo. Tutt’altro.

Annuii. “Lo so. Ci sto pensando da tempo. E’ che non so come-”

“Reagiranno?!” Mi interruppe lievemente divertito. Feci segno di sì, con la testa, ma rimasi zitta. “Preoccupa anche me. Credo che tuo fratello vorrà la mia testa su un piatto d’argento.”

Allargai gli occhi e feci finta di pensarci un po’ su. “Effettivamente… sì.”

Quello scambio di battute, apparentemente stupido e forse inutile, aiutò a sciogliere la tensione che si era creata. Gli fui grata di questo. Sapevo quanto gli costasse essere spiritoso. Non era mai stato un tipo dallo spiccato senso dell’umorismo.

“Però io non posso aspettare… Ginevra.”

Boccheggiai. Il cambiamento di tono da quasi gioviale, a serio, mi spaventò. “Co-come?!”

Lo vidi scuotere la chioma bionda e chiudere gli occhi. “Non posso continuare a nascondere ciò che sento per te. Non ci riesco ed è anche la prima volta che mi accade. Voglio poter dimostrare apertamente ciò che provo, davanti a tutti. Voglio andare a dormire e svegliarmi con te. Voglio poterti stringere una mano, baciarti quando ne sento il bisogno. Voglio stare con te… alla luce del sole.”

Quelle parole così sincere, così inusuali sulla sua bocca, mi commossero. Avevo gli occhi lucidi, ma non m’importava. “Anch’io Draco. Mi dispiace di averti costretto a-” Mi zittì, posandomi una mano sulle labbra e portando le dita di quella stessa mano ai miei capelli, per spostarmi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.

“Ginevra… non mi hai costretto a far nulla. Tutto ciò che ho detto o fatto, è stato perché lo volevo anche io. Chiaro? E ora so che ci vorrà del tempo, che avrai bisogno di pensarci e un sacco di altre cose che mi faranno impazzire, ma… devo chiedertelo. Vuoi diventare mia moglie?!” Mi chiese all’improvviso. Il mio cuore perse un battito. Per un po’ non fui assolutamente sicura di respirare nel modo più corretto. Di respirare, a dirla tutta. E ne fui ancor meno convinta, quando lo vidi estrarre una scatola dalla giacchetta che indossava e tirarne fuori un cerchietto d’oro bianco. Un anello semplice sì, ma splendido proprio per la sua semplicità.

“Merlino sì… sì, certo che lo voglio.”

E nell’abbraccio che ci scambiammo, seguito da un bacio quasi casto per i nostri standard, riversai tutto l’amore e l’incontenibile contentezza che provavo in quel momento.

 

Ero felice. Di una felicità pura, genuina… quasi infantile.

La guerra, gli scontri, la disperazione di quei mesi, si dissolsero completamente. Mi bastò sapere che sarei diventata sua. A tutti gli effetti, senza più remore o sotterfugi. Marito e moglie.

Continuai a studiare e a dare esami, sorprendendo me stessa per la vitalità con cui affrontavo ogni nuovo giorno.

Feci un dipinto. Quello che ritengo tutt’ora il mio miglior lavoro. Decisi che sarebbe stato il mio regalo di nozze per Draco.

Era un suo ritratto. Un bel dipinto ad olio che lo raffigurava in tutta la sua splendida fierezza. Lo dipinsi durante una notte di tempesta, mentre tutti erano fuori, al quartier generale e la Tana ci offriva un caldo rifugio tutto per noi. Chiusi, nella mia camera da letto, dopo aver fatto l’amore non so quante volte. Aveva un’aria davvero meravigliosa, subito dopo. Non c’era giorno che non glielo ricordassi, scoprendo persino il suo lato più impensato. Un’inaspettata timidezza. Un apprezzato imbarazzo.

 

Una settimana dopo quella sera, a Draco venne comunicato il suo immediato impiego nelle forze degli Auror. Doveva scendere in campo e combattere nella sezione degli Agenti Speciali, sotto copertura.

Sopraggiunse la paura.

“Non andare…” Lo pregai, Merlino sa solo quante volte lo pregai di rifiutare. Di chiedere aiuto a Silente in persona, se necessario. Mi offrii io stessa di farlo. Avrei messo sotto sopra l’intero quartier generale dell’Ordine della Fenice, se questo poteva impedirgli di finire nelle schiere dell’esercito. Non ci fu verso di convincerlo.

Mi salutò di sera, baciandomi nella penombra della mia camera e sgusciando via. “Tornerò… aspettami. Abbiamo un matrimonio da preparare e dobbiamo parlarne coi tuoi.”

Sorrisi per il tono che aveva usato. Sempre così sicuro di sé, così spavaldo con la vita, guerriero di fronte alla morte.

Maledissi il mio essere donna. Odiai e detestai il mio sesto senso, quell’infingardo che chiamano intuito femminile. Sentivo che sarebbe successo qualcosa eppure volevo negarlo. A me stessa e davanti agli altri. Mi mostrai sicura più di quanto non lo fossi realmente. Salutai lui, Ron, Harry ed Hermione sulla porta di casa, con alle spalle mia madre e mio padre, esonerato dal servizio. Con ancora la mano alzata, ed un sorriso tirato dipinto sul volto, li guardai scomparire nel buio della notte e mi chiusi la porta alle spalle.

Non cenai quella sera, non avevo fame.

 

Per tre, lunghi, giorni aspettai. Ascoltavo la radio modello babbano e leggevo la Gazzetta del Profeta in attesa di comunicati. Attendevo mio padre di ritorno dal quartier generale, fino a quando rientrava, spossato e sconsolato e mi comunicava che no, non c’erano notizie. Bastava guardarci ormai, per capire cosa volessi sapere.

In cuor mio, penso sapesse bene di chi mi interessasse avere informazioni, eppure né lui, né mamma mi dissero mai nulla.

Il terzo giorno, mentre dipingevo nella piccola soffitta della Tana, sentii suonare il campanello. Veloce, come non credevo neppure di essere e con il cuore in gola, mi precipitai giù dalle scale, sorpassando mia madre e aprendo di scatto la porta. Non capii immediatamente ciò che avevo di fronte, chi fossero quelle due persone dall’aria cupa e inflessibile che mi si pararono di fronte. Sentii mamma reprimere un singhiozzo e mi voltai a guardarla.

“E’ successo qualcosa a Ron?”

Uno dei due uomini, con addosso la divisa da Auror, mi porse una borsa blu e una bandiera inglese, decorosamente ripiegata tra le sue mani.

“E’ successo qualcosa a mio fratello?!” Domandai di nuovo. Il cuore aveva preso a battermi furiosamente nel petto e la consapevolezza che sì, qualcosa di tragico era realmente accaduto, prese a martellarmi in testa. “E’ Harry?... Hermione?... No… non lui…”

“Il soldato Draco Malfoy, Agente Speciale della Sezione Collaboratori è caduto questa mattina in combattimento.”

Sentii che qualcosa in me si era rotto. Quello che avevo udito, così diretto, senza alcun giro di parole, mi sconvolse. Strinsi forte a me la bandiera e la borsa e neppure mi resi conto che avevo iniziato a piangere, che mi ero accasciata per terra, senza forze.

Non udii le preghiere di mia madre, i tentativi di spronarmi a rialzarmi da terra. A malapena carpì qualche stralcio del discorso su quanto l’esercito fosse grato a Draco, per aver combattuto da eroe, fino all’ultimo.

Baggianate! Mi ripetevo. Draco era e sarebbe sempre stato una marionetta nelle mani dell’esercito e dell’Ordine. Era stato costretto a lottare, come collaboratore ed era… no, non riuscivo neppure a pensarci. Non riuscivo a dirlo, a formulare quel pensiero.

Voldemort era stato sconfitto. La guerra era conclusa… ma Draco, Draco non c’era più. Non aveva adempiuto alla promessa… non era tornato da me.

 

Fa male. A distanza di anni da quel giorno, il ricordo degli eventi che mi hanno condotta a vivere da sola, lontana da tutti, fa ancora male.

Non passa giorno che non mi chieda cosa ne sarebbe della nostra vita, se Draco avesse rifiutato di combattere con gli Auror.

Non passa giorno che io non mi rechi al cimitero, dove c’è la sua lapide e vi deponga una rosa bianca, in memoria di quando il nostro amore è sbocciato.

Ho amato Draco Malfoy. Ho amato la persona che io conoscevo, non il borioso ed arrogante Serpeverde di Hogwarts.

Ma il destino c’è stato avverso e c’ha separato prima che il nostro sogno si coronasse.

Di lui, del nostro amore, l’unico segno che ho sono l’anello di cui mi fece dono quel pomeriggio ad Hogsmeade e che simboleggiava una futura promessa di amore eterno e il ritratto ad olio, che custodisco gelosamente nel salotto del mio appartamento. Ma più di tutto, ciò che mi resta di Draco, sono i miei ricordi. Ricordi che nessuno mi porterà mai via. Che nessuno, mai, riuscirà a sporcare o ledere.

 

Ricordi di quel sentimento che la vita, ingiusta e crudele, c’ha strappato. Ricordi che affido a queste pagine e che resteranno per sempre con me.

 

A Draco Malfoy. All’uomo che ho amato e amerò più di me stessa.

Perché il cuore di una donna, è un oceano di segreti.

Perché la guerra vince la vita, ma l’amore vince la morte.

 

Ginevra Weasley.

 

FINE

 

Ok, posate le armi e prendete i fazzoletti. C’è chi già sapeva di questa mia idea kamikaze (nel senso che fare storie che finisco male, qua mi puzza di suicidio, specie con le lettrici amorevoli che mi ritrovo ^^) e che quindi è preparato. Per chi non lo sapeva… beh, ehm, eccola qui ^^ Che ne pensate?

Ora, non posso trattenermi tanto perché è tardi, ma ci tengo a chiedervi un piccolo parere. Per sapere come me la sono cavata. Troppo triste? Troppo dolce? Troppo romantica? Decidete voi ^^

Io attendo.

Bacioni e alla prossima.

 

Luna Malfoy

   
 
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