Tu che palpiti teso sotto le mie mani, gli occhi di agonica luce verde, il collo bianco e scoperto, tremi mentre la pelle s’increspa in un brivido.
Gli dei siano testimoni che non cedo alla voglia di stringerti forte, di dirti “sei mio”.
Solo mi concedo la gioia un po’ amara di appoggiarti una mano sul cuore, che è un tamburo lontano, uno scalpitio che sfuma nel tumulto remoto di un tuono. “Non mi lasciare” grido senza parole.
Ma tu mormori la tua ribellione “Sono folle, sì, sono folle”.
Sei mio! Ti artigliano allora con disperato egoismo le dita delle mie grandi mani.
Sei mio… è solo un’eco lontana.
Le labbra sottili s’arricciano in un sorriso che sfuma in inganno, in dolore, in rimpianto… s’infrange la pelle di porcellana.
Ti lascio andare, e anch’io vado in pezzi.