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Autore: Ink Voice    28/09/2014    9 recensioni
Erano davvero bei vecchi tempi quelli in cui, pur avendo perso la propria quotidianità e la propria famiglia, si aveva un altro punto di riferimento a cui tornare con il proprio cuore; si era trovata una nuova casa rassicurante che scacciava i pericoli esterni e lasciava che, anche in tempi tanto burrascosi, ci si sentisse al sicuro dentro pareti e stanze che ormai si conoscevano come le proprie tasche.
Ma tutto questo si è dissolto nel nulla, o meglio: è stato demolito. L’Accademia che tanto rassicurava i giovani delle Forze del Bene è ormai un cumulo di macerie a causa dell’ennesima mossa andata a buon fine del Nemico: ora tutti sono chiamati a combattere, in un modo o nell’altro, volenti o nolenti.
Le ferite sono più intime che mai ed Eleonora lo imparerà a sue spese, perdendo le sue certezze e la spensieratezza di un tempo, in cambio di troppe tempeste da affrontare e nessuna sicurezza sul suo avvenire.
[La seconda di tre parti, serie Not the same story. Qualcuno mi ha detto di avvertire: non adatta ai depressi cronici.]
Genere: Azione, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Manga, Videogioco
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Not the same story'
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VII
Frammenti di cielo notturno

«Porca…»
Daniel imprecò sonoramente mentre ci avvicinavamo al resto del gruppo, mentre studiava sul Pokédex i dati del mio nuovo compagno Spiritomb - che ribattezzai subito Nightmare, ispirata dalla mossa Incubo che poteva utilizzare siccome era stato contaminato dalle radiazioni. Il Pozzo Memoria era tornato ad essere un misero ammasso di pietra sfatta e scomposta, se possibile in condizioni ancora peggiori di prima.
Oxygen mi fece i complimenti per la cattura mentre mi passava alcuni rimedi per svegliare e far recuperare le energie ai miei Pokémon. Sorrisi e lo ringraziai, poi chiesi a Daniel: «Cosa dice in particolare?»
«Premettendo che quello che dice il Dex non è sempre affidabile…»
«E premettendo anche che questo Pokémon ha parecchio uranio in ogni cellula…»
Daniel fece una smorfia prima di continuare: mi ero notevolmente rilassata ed ero più a mio agio dopo la cattura di Spiritomb, nonostante il peggio dovesse ancora venire. «Come statistiche di base, indica seicento. Centocinquanta ad ogni Difesa e all’Attacco Speciale; al resto, cinquanta ciascuna. La sua Ipnosi è infallibile, già l’abbiamo capito, ed effettivamente conosce Incubo… in più, ha perso la debolezza al tipo Folletto.»
Avevo sopracciglia inarcate al massimo delle mie possibilità; George borbottò, teatralmente, un “Fischia”. Daniel non sembrava molto rilassato, anzi, mi restituì il Pokédex come se fosse stizzito, desideroso di non aver a che fare con quella faccenda. Constatai, subito dopo essermi ripresa dallo stupore: «In pratica è un Leggendario.»
«In pratica.»
«Va bene, adesso evitiamo di perdere altro tempo e mettiamoci al lavoro» ci richiamò Oxygen. «Anzitutto, bisogna contattare la base segreta per avvisare della cattura di Spiritomb, e soprattutto per sapere quando e come muoverci. Sara e George hanno imparato la struttura della centrale» le spie in questione annuirono, «e lo stesso abbiamo fatto io e Ilenia, a grandi linee ma per non essere del tutto sprovveduti.»
L’altra assentì. In quei giorni era stata parecchio silenziosa: pensai che avrebbe ripreso a parlarmi con serenità e spensieratezza una volta portata a termine la questione della centrale nucleare. Vederla così diversa dal solito mi ricordò che aver catturato Spiritomb non voleva dire essere a metà dell’opera, perché il lavoro era ancora tutto da fare; perciò il timore e l’ansia fecero dapprima soltanto capolino, poi si impadronì del mio stato d’animo. Ripresi così a mordicchiarmi la lingua e le labbra per il nervosismo.
Sara prese la parola. Cercando di mantenere un tono di voce tranquillo, illustrò la situazione anche a chi era ancora del tutto ignorante della struttura della costruzione - ovvero me e Daniel, che saremmo stati entrambi in compagnia, nelle coppie stabilite, di qualcuno che l’aveva studiata. «La centrale è su tre livelli. Il piano terra non è di nostro interesse: ci sono degli uffici e altre stanze che per il nostro obbiettivo sono inutili. Il piano superiore è quello a cui dovremo arrivare, ci sono i pannelli di controllo, i computer e gli indicatori. Infine, il piano sotterraneo, praticamente sullo stesso livello del reattore. Il piano terra e quello sotterraneo sono i più controllati, perciò dovremo essere rapidi e discreti. Passeremo da quello sottoterra per andare a quello superiore.»
Annuii distrattamente e lo stesso fecero gli altri. Oxygen, ringraziando Sara, contattò la base segreta. Premette un pulsante su quello che sembrava un tecnologico orologio da taschino e l’ologramma verde-azzurro di uno statico fu proiettato nell’etere. Dopo un paio di secondi, un suono quasi impercettibile preannunciò la risposta alla videochiamata: il viso di un giovane adulto dall’espressione seria, stranamente ben definito sull’ologramma, prese il posto dello statico. «Ciao, Oxygen. A che punto siete?» chiese subito.
«Abbiamo appena catturato Spiritomb, ora ci…»
«Oh, aspetta. Devo darmi il cambio con una collega per una faccenda da sbrigare, scusate» lo interruppe l’altro, lasciandoci non poco interdetti per il suo improvviso mezzo saluto. Per un po’ ci fu di nuovo lo statico; poi fummo indirizzati al contatto di una persona molto ben conosciuta - per lo meno da me e Sara.
«Sciaooo» cinguettò Angelica, come al solito solare, sorridente. Mi chiedevo come facesse ad essere sempre così ottimista, sveglia e chiacchierona, anche nelle situazioni peggiori. Metteva di buonumore tutti con la sua allegria contagiosa. Ma mi sembrava strano, quasi innaturale, vederla comportarsi in quel modo anche se la situazione era poco meno che drammatica. “Chissà se saluterebbe con lo stesso sciao pure se si trovasse al posto mio, ora…”
La salutammo quasi in coro, tutti ugualmente disorientati per il suo brio e tutti ugualmente sorridenti - con un’aria un po’ ebete, troppo stupiti per imitare decentemente la sua espressione allegra. «Allooora… vi devo dare alcune notizie, e non so se sono buone o cattive.» Oxygen la invitò a parlare e lei annunciò con una leggerezza disarmante:  «Dunque… la centrale è, in linea di massima, sotto la direzione di Plutinio… che però non c’è, la sua casa è abbandonata. A quanto pare è morto.»
Restammo nuovamente basiti, più per i suoi toni tranquilli e sereni che per la notizia. Daniel le chiese di ripetere, forse incerto di aver capito bene: anche io pensavo che una notizia del genere non fosse il caso di darla in tutta serenità, ma la ragazza continuò imperterrita, un po’ pensierosa: «Da quello che si è scoperto… sto dando un’occhiata sul pc… è stato ucciso su richiesta di Cyrus. Adesso vi dico i motivi… mhm, ecco qua. Sì, Cyrus l’ha… l’ha fatto uccidere perché non era poi tanto fedele, anzi! Sembrava stesse complottando contro lo stesso Victory Team… o Team Victory, boh, lo trovo scritto sempre diverso. Comunque, ora c’è questo cambio di programma. Plutinio avrebbe avuto addirittura qualche contatto con le Forze del Bene, tant’è che avrebbe promesso un sacco di informazioni sul funzionamento della struttura. Insomma, avrebbe dovuto essere un vostro alleato: avreste dovuto raggiungerlo alla sua abitazione, nei dintorni della centrale, e vedere il da farsi insieme ad alcuni degli esperti che interverranno dopo di voi sulla centrale; però hanno mandato poco fa la notizia che lo hanno trovato morto. Datemi un altro pochino di tempo che vi dico cosa bisogna fare ora…»
Riepilogai mentalmente la situazione: eravamo stati affidati alla guida di Angelica, la ragazza più dolce e ingenua del mondo, dall’aria perennemente innocente e allegra. Le cose le prendeva con estrema leggerezza, come la morte della persona che avrebbe dovuto, a meno che non fosse una trappola, collaborare con noi. Mi sentii d’un tratto abbandonata dal mondo e mi coprii il viso con le mani, cercando di infondermi sicurezza, pur essendo certa che nessuna delle persone attorno a me avesse idea di come mettere fuori uso una centrale nucleare.
«Ecco qua il nuovo programma!» esclamò Angie dopo un po’. Intanto noi avevamo avuto il tempo di scambiarci occhiate perplesse e di sospirare, pregando il cielo di far finire presto tutta quella storia, che sembrava sempre più, tristemente, una messinscena da quattro soldi. «Io e altri due che mi aiuteranno vi daremo istruzioni per raggiungere la sala di comando della centrale. Vi indicheremo l’interruttore per spegnere il reattore e…»
«L’interruttore?» sbottai, interrompendola.
«Sì, quello, e…»
Cercò di continuare ad illustrare il piano B, ma io non glielo consentii. «Mi stai dicendo che i reattori nucleari hanno gli interruttori
«Certo! Come vorresti buttar giù baracca e burattini, altrimenti?»
«Eh, mi immaginavo qualcosa di più… di più, ecco!» Non trovai parole per esprimermi. Mi rivolsi agli altri, più attoniti di me, e mi indispettii nel vederli scuotere la testa per le mie parole: «Non ditemi che voi lo sapevate! Sembravate tutti così inesperti e nemmeno vi siete degnati di avvertirmi che i reattori hanno gli interruttori?»
«Be’, come ha detto Angelica» mi fece Daniel, «come vorresti proseguire, allora?»
«Mica è così ovvio!» strepitai, delirante per il nervosismo e lo stupore. «Dirlo subito no, eh, né voi né Bellocchio, no, eh? Allora mica dobbiamo fare chissà cosa, tanto…»
«Tanto saranno gli esperti nel settore a sbrigare tutto il lavoro riguardante la centrale» mi fermò Oxygen, «ma sottovalutare una missione di questo genere per una delusione… non è affatto la cosa migliore da fare.» Arrossii, un po’ per l’imbarazzo della mia piccola sfuriata e un po’ per l’irritazione - che non sapevo veramente dire da dove provenisse; poi Oxygen continuò, parlando con Angelica: «Allora, si può sapere cosa dobbiamo fare?»
«Anzitutto, siete pronti per andare alle Rovine?»
Oxygen annuì e le disse che l’avrebbe ricontattata una volta giunti a destinazione. Lei accettò gioiosamente - ci mancherebbe altro! - e troncò la videochiamata. Riprendemmo il cammino alla volta di Flemminia, muovendoci velocemente e, finché fu possibile, all’interno delle barriere. Per un po’ entrammo nei confini della città, piccola e tranquilla - non c’era movimento notturno di giovani ragazzi o confusione proveniente dai pochi locali che erano presenti nel centro urbano.
Al più presto ci dirigemmo verso le Rovine. L’entrata era alla base di una spoglia, brulla collina divisa in due livelli: vi era un’uscita anche al piano di sopra.
«Va bene, ragazzi. Dobbiamo passare attraverso le Rovine, come ci ha detto Bellocchio, anche perché se vi serve qualcosa possiamo contattare la base che c’è dentro. Altrimenti procediamo con le indicazioni di Angelica e basta. Comunque, grazie ad un passaggio nel livello sotterraneo, arriveremo nelle vicinanze della centrale» aggiunse il capogruppo. Qualcuno di noi fece un cenno di diniego con la testa quando chiese se ci fosse bisogno di qualcosa.
Le Rovine avevano un’aria austera e spettrale: quando entrammo mi sentii stranamente osservata e rabbrividii. Mi chiesi cosa avremmo trovato all’interno: da quello che sapevo, oltre ad essere piene di Unown, c’erano anche parecchie iscrizioni, tutte molto antiche e interessanti, ovviamente già decodificate dai tecnici e dagli studiosi della materia. L’alfabeto Unown era più che semplice, e poi l’avevamo imparato tutti all’Accademia.
Eravamo muniti di torce già prima di entrare: l’oscurità si era fatta pesante. Quando varcammo la soglia, poi, si fece totale. Percorremmo un brevissimo corridoio che mi ricordò sgradevolmente quello per arrivare dalla stanza nebbiosa del Monte Corona alla base segreta principale di Sinnoh, a causa delle pareti strette e del soffitto basso. La stanza su cui si apriva non era molto grande ma le torce non riuscirono comunque ad illuminare la parete opposta: ci avvicinammo a quella su indicazione di Oxygen, anche se sulle prime non capii il perché. Mi fu tutto più chiaro quando la luce sovrastò l’oscurità che aveva avvolto il muro ed esso rivelò delle scritte in Unown. Si erano mantenute piuttosto bene, nonostante il tempo avesse dovuto fare il suo lavoro.
Mi avvicinai alla scritta prima degli altri e lessi lentamente: «In alto a destra… in basso a sinistra… in alto a destra, in alto a sinistra, in alto a sinistra… in basso a sinistra. Ma cosa…?»
«Indicano la strada corretta per arrivare fino al piano più profondo» mi rispose George.
«Ma non ci sono scale che portano in alto qua. Vanno tutte giù» obiettai.
«Non in alto nel vero senso della parola, intendono dire “più avanti”. Dall’entrata ci sono due rampe di scale a destra e una a sinistra. Per in basso si intende quella più vicina all’uscita, per in alto…»
Mormorai qualcosa di imprecisato in risposta. Scendemmo la rampa alla nostra destra: a parte me e Daniel, gli altri conoscevano il percorso da fare senza doversi necessariamente ricordare l’iscrizione in Unown. Prima di proseguire, però, ci concedemmo il lusso di farci accompagnare da alcuni Pokémon, per la precisione quelli che conoscevano la mossa Teletrasporto: il mio Gallade, l’Alakazam di Daniel e lo Xatu di Oxygen.
Notai parecchi Unown lungo il percorso, ma vedendo i nostri Pokémon non si avvicinarono più di tanto. I loro grandi occhi fissi e privi di iride mi inquietarono un po’ e mi misero a disagio: non mi distesi nemmeno vedendoli correre ai ripari appena la luce di una torcia si faceva troppo vicina. Ad ogni modo, arrivammo a destinazione nel giro di pochi minuti; l’ultimo piano sotterraneo era costituito di un’unica sala, molto più grande di tutte le altre. George e Sara si diressero verso la parete più corta più vicina a noi.
«Amicizia… tutte le vite toccano le altre, vite per creare qualcosa di nuovo e vivo» lesse George.
Restammo qualche istante a contemplare quelle parole. Le memorizzai, senza rifletterci al momento, mentre un brivido mi percorreva la spina dorsale. Mi voltai di scatto - mi sentivo continuamente osservata - ma non c’era nulla di strano dietro di me. In effetti non c’era proprio niente.
Oxygen andò davanti all’iscrizione. «Qui dovrebbe trovarsi il tunnel che porta alla centrale, vero? Ehm… Angelica…?» si rivolse allo schermo olografico della specie di orologio da taschino che portava con sé.
La ragazza tornò subito alla nostra vista, facendo sparire il solito statico. Indossava quello che aveva tutta l’aria di essere un pigiama di pile; i lunghi capelli castano chiaro, mossi, erano raccolti da un mollettone che lasciava libere alcune ciocche più corte ad incorniciarle il viso magro. «Eccomi, ci sono! Adesso vi sblocco l’entrata.»
La vedemmo pigiare alcuni tasti della tastiera che aveva davanti a sé. Ci chiese qualche istante di attesa, poi la parete di fronte a noi iniziò a muoversi. L’iscrizione fu risucchiata dal soffitto mentre il muro si ritirava dentro di esso con un rumore continuo e piuttosto fastidioso. Un tunnel del tutto immerso nell’oscurità ci si rivelò alla vista.
«Grazie, Angelica» mormorò Oxygen, aggiustandosi gli occhiali già in perfetto equilibrio sul naso a punta.
«Di niente!» esclamò lei, chiudendo la videochiamata.
La luce delle torce esplorava il buio del tunnel, scavato semplicemente nella terra scura e umida. Oxygen si inoltrò per primo nel passaggio. Tra lui e George c’era Xatu; lo seguimmo io e Sara, divise da Aramis, e lo stesso fecero Daniel e Ilenia dopo di noi con Alakazam. Nel silenzio riecheggiava, inquietante, il rumore dei nostri passi.
Più proseguivamo, più mi sentivo peggio. E magari si fosse trattato di claustrofobia! Non sarebbe stato niente in confronto alla missione, che si stava facendo sempre più concreta - già la cattura di Spiritomb iniziava a sembrare un ricordo lontano - e che stavamo per affrontare mettendo a rischio le nostre vite: stavamo andando a fronteggiare una centrale nucleare tremendamente pericolosa, davvero grande, pullulante di reclute nemiche - quando mai i Victory avrebbero lasciato campo libero alle Forze del Bene anche in una situazione di quel tipo? Quando mai avrebbero risparmiato frotte di reclute, senza curarsi di cosa sarebbe loro successo, dal momento che avevano ridotto la presenza umana alla centrale e noi eravamo palesemente intenzionati a muoverci per risolvere la questione? Forse ci sarebbero stati anche i Comandanti o i Generali da dover affrontare.
Mi chiesi se sarei stata in grado di gestire, nel mio piccolo, una cosa del genere; mi risposi subito che non lo ero e rischiavo davvero molto, forse più degli altri. Per me era una prova di dimensioni spropositate e avevo la certezza che i nervi non avrebbero retto. La missione al Monte Luna l’avevo sottovalutata fin dal principio e non era mai stato un problema mantenere il sangue freddo, anzi, se non fosse stato per il contrattempo causato da Luke, l’avrei definita una spedizione elementare. Ma ora non stavo per affrontare solo delle reclute Victory: il vero nemico era una nube radioattiva che aveva contaminato un’area fortunatamente non troppo grande, grazie agli interventi delle Forze del Bene con i Pokémon, ma stavo comunque respirando e camminando in una zona molto a rischio. Al di là di tutti i provvedimenti presi e della fiducia che riponevo in Bellocchio e negli inventori - non saremmo di certo partiti se non fosse stata accertata l’efficacia delle nostre protezioni, avevo sempre più paura ad ogni passo mosso verso la nostra meta.
Proprio mentre mi domandavo se non fosse il caso di salutare tutti, tornare alla base segreta e magari rischiare di non ricevere più alcun incarico, si sentì un rumore simile ad un tonfo e un’esclamazione di sorpresa di Oxygen. «Oh! Ragazzi, sono andato a sbattere contro un muro… siamo arrivati, direi.» Ero entrata in apnea appena qualcosa di diverso dal suono dei nostri passi aveva contaminato il silenzio: espirai quasi gemendo.
Contattammo Angelica che anche allora ci aprì la porta, ma stavolta essa scivolò di lato anziché ritirarsi nel soffitto. Una rampa di scale ci separava dall’uscita, chiusa da una botola affatto tradizionale: Oxygen dovette inserire un codice per aprirla, e mentre essa si spalancava qualche foglia e un po’ di neve caddero intorno a noi, segno che era stata coperta durante il passare degli anni.
La centrale era imponente: fu la prima cosa che notai appena misi fuori la testa. Un brivido mi percorse la spina dorsale mentre con lo sguardo esaminavo la struttura grigia e maltrattata, sporca e soprattutto pericolosa. Due grandi torri nascondevano gran parte del resto dell’edificio. Il contenitore del reattore, a forma di cupola, era dietro il trasformatore collegato alle torri e alla turbina: era piuttosto piccolo visto da fuori, perciò doveva trovarsi sul livello sotterraneo, come aveva effettivamente detto Sara. Tutte quelle cose le riconobbi grazie a degli studi che avevamo fatto in gruppo per riconoscere le varie componenti della centrale e capire almeno un po’ con cosa avevamo a che fare, almeno in superificie.
Oxygen ci chiese di dividere tra noi gli strumenti necessari per la missione, in modo tale da poter lasciare gli zainetti e non avere impicci. Ognuno si scelse un’arma, preferendo pistole congelanti o paralizzanti, anche se ero sicura che Ilenia e Oxygen si fossero presi la responsabilità di ricorrere a strumenti di morte. Io, come molti altri, dopo molti mesi di allenamento ancora non riuscivo a trattare con tranquillità le armi - anche per quel motivo mi aveva stupita che Bellocchio mi avesse assegnato una missione in cui avremmo probabilmente dovuto fare risco a mezzi drastici. Con mani tremanti separai la sfera di Aramis dalle altre: siccome conosceva Teletrasporto poteva servirmi in fretta, quindi avevo bisogno di tenerlo diviso dagli altri per averlo più a portata di mano.
Il Luxray di Sara ci guidò, grazie alla sua vista a raggi X, fino ad un’entrata non ben sorvegliata che Angelica ci aveva segnalato. Quando ci ritrovammo all’interno, Oxygen diede altre indicazioni. «Per il momento dividiamoci; ci ritroveremo tutti e sei nella sala dei comandi una volta che avremo disattivato il reattore. Daniel e Ilenia, guarderete le spalle a me, Sara, Eleonora e George, e dovrete sbrigarvi a raggiungerci in caso le cose si mettano male. Noi quattro arriveremo per primi e vedremo se dovrete raggiungerci, altrimenti ve ne starete a controllare i dintorni, standovene nascosti, evitando che ci raggiunga qualche persona indesiderata. I vostri dispositivi sono collegati ai microchip nei guanti di Sara e George, quindi registreranno il percorso e potrete seguirci senza alcun problema.» I due guerrieri in questione fecero un cenno d’assenso con la testa. «Tutti pronti?»
Nell’udire quelle parole sobbalzai; meccanicamente, come di sicuro fecero gli altri, annuii - non so dove trovai la forza anche solo per muovere la testa. Poco dopo, troppo poco tempo dopo, stavamo scendendo delle scale per il piano sotterraneo.
Con Sara scambiavo occhiate timorose e poco convinte, ma lei mi restituiva sempre sguardi seri e calmi. George e Oxygen ci precedevano di pochi passi, ma quando il capogruppo riconobbe di essere sempre più spaesato in quel labirinto di corridoi - non avendo studiato accuratamente come le spie - cedette il passo alla mia amica e si mise di fianco a me. I due davanti a noi, confrontandosi, erano sempre d’accordo sulla strada da prendere, e trovavano conferma pure su degli schermi leggermente flessibili presenti sul palmo di un guanto che indossavano - quello cui aveva accennato pure Oxygen. Era come se avessero un GPS sulla mano - Sara sulla sinistra, George sulla destra perché mancino. Io, a parte un’arma e pochi strumenti che il massimo che potevano fare era mettermi in contatto con la base segreta, non avevo nulla che potesse aiutarmi ad orientarmi, e d’altronde avere strumenti mi sarebbero stati parecchio d’impiccio.
Non un’anima viva girava per quei tetri corridoi: la totale immobilità dell’aria e del suono mi convinse del fatto che tutta la storia fosse molto più inquietante, in queste condizioni. Delle pallide lampadine emanavano una lucina fin troppo fioca, quel tanto che bastava per farci vedere dove i corridoi svoltavano. Le pareti erano semplicemente scavate nella roccia e non erano rivestite in alcun modo; talvolta erano attraversate da fili conduttori di elettricità che si infilavano, dopo un lungo percorso, nel soffitto.
Un’eco debolissima accompagnava i nostri passi. Le scarpe che avevamo ai piedi, stando a quanto ci era stato detto da Bellocchio, erano state ammortizzate e insonorizzate in modo tale da produrre pochissimo rumore e renderci particolarmente silenziosi anche nel caso in cui ci fossimo messi a correre; ma nel silenzio quasi assoluto che ci circondava era impossibile non sentire neanche il più timido suono.
«Ci siamo quasi» mormorò Sara.
Evidentemente adoperavamo parametri diversi per misurare le distanze, perché mi aspettavo che dopo due o tre minuti saremmo giunti a destinazione; invece ci fece fermare solo dieci minuti dopo. Mi ero costretta a non chiedere quanto mancasse all’arrivo ma il nervosismo mi aveva tormentata per tutto il tragitto.
Ci fermammo in un vicolo cieco. «È questo» sentenziò George a bassa voce, dirigendosi verso la parete.
Immaginai che ci fosse un passaggio nascosto, perché altrimenti arrivare in un vicolo cieco voleva dire finire in trappola e non trovare un modo per giungere alla propria meta. Non avevamo incontrato nessuno durante l’inquieta passeggiata nel labirinto sotterraneo: avevamo corso qualche rischio un paio di volte e ci eravamo dovuti nascondere in fretta, aspettando che un paio di reclute Victory in ricognizione passassero oltre - erano sempre Sara e George a decidere quando la via era libera, e non avevano mai sbagliato.
Comunque, ebbi ragione: Sara prese ad esaminare la parete mentre io e Oxygen, dando loro le spalle, facevamo da guardia al pezzo di corridoio in cui ci trovavamo. Le spie fecero di tutto per lavorare in silenzio, in modo tale che le nostre orecchie non fossero disturbate. Più volte guardai quello che era il mio maestro, che appariva assolutamente tranquillo e concentrato, e mi parve di essere in una situazione assurda - non mi sarei mai aspettata di andare in missione con un mio insegnante, a parte il contesto già di per sé fuori dal comune. Altre volte gettai uno sguardo a Sara e George che parlottavano frettolosamente e, lei con Lucario e lui con Bisharp, studiavano con attenzione la parete spoglia, uguale a tutte le altre. La ragazza, con i suoi capelli bianchi e celesti, la pelle diafana e gli abiti di colori chiari, spiccava nell’oscurità come fosse un’entità sovrannaturale splendente di luce; l’altro, che pure aveva una carnagione pallidissima, grazie ai capelli nero pece e alla tendenza a vestirsi dello stesso colore, non era in rilievo come lei sul resto dell’ambiente così ombroso e tetro.
Incontrai lo sguardo di Oxygen una volta sola. Il colore dei suoi occhi risaltava con grande intensità nonostante la poca luce. Erano veramente del colore del cielo. Feci un paragone con le iridi di Daniel, che invece erano di un profondo blu oltremare; ma gli occhi del maestro erano molto più belli, anche per il taglio leggermente a mandorla che mi piaceva tantissimo. In seguito pensai che mi fossi messa a fare tutte quelle considerazioni fuori luogo per divagare un po’ dal pensiero della paura di morire; distrarmi, insomma, dalla tensione paurosa a cui ero sottoposta. Poi in quel momento ero “semplicemente” di guardia, quindi fu pure più facile mettermi a rimuginare sulle cose più disparate e notare i dettagli più minuti della situazione - anziché stare costantemente all’erta.
Dopo aver scambiato quell’occhiata durata un secondo con Oxygen, gettai uno sguardo alla situazione di Sara e George. Fu in quel momento che Bisharp si accanì con Nottesfera sulla parete. Inarcai le sopracciglia e non potei fare a meno di borbottare: «Ma la discrezione di cui ci siamo raccomandati?»
«Per chi mi hai preso?» ribatté George a bassa voce, ma lo sentii perfettamente. «Come se i miei Pokémon non si fossero allenati per agire nel più totale silenzio.»
Effettivamente Bisharp sembrava non faceva troppo rumore, anche se stava sferrando parecchi colpi alla parete. Sbuffai abbastanza sonoramente per farmi udire dall’insopportabile ragazzo e Oxygen intervenne, stavolta senza mascherare una certa irritazione: «Quando avete intenzione di finirla?»
“Quando non mi ritroverò più con quel tipo nella stessa missione” fu la risposta che gli diedi nella mia mente, ma ovviamente né io né lui rispondemmo alla domanda retorica del capogruppo.
Dopo alcuni istanti una porzione della parete, abbastanza grande per far passare anche i più alti di noi quattro, cedette. Lucario intervenne tempestivamente con una mossa di tipo Psico per impedire che la roccia, cadendo a terra, facesse rumore: tenne sospese nell’aria le pietre in cui si era frammentato il muro e George, richiamando Bisharp, fu il primo a entrare. Io e Oxygen lo imitammo di corsa e dopo di noi entrò Sara; Lucario pure si infilò nel varco e sistemò alla bell’e meglio le rocce. Sperai che le reclute in ricognizione non si accorgessero del lavoretto poco accurato fatto in quel particolare vicolo cieco.
George, che guidava la fila, prese la sua torcia e la accese. Proseguimmo salendo una scala a chiocciola: i primi gradini erano ricavati nella roccia, poi diventarono di metallo. Oxygen ci informò poco dopo che gli altri due nostri compagni ci stavano seguendo.
La scalinata finì prima del previsto. Sara e George, sempre con l’ausilio di strumenti, si accertarono che sopra di noi non ci fosse nessuno: eravamo infatti ancora al disotto di una botola che avremmo dovuto aprire per ritrovarci direttamente nella sala comandi della centrale nucleare. George mormorò un “Tutto a posto” e chiamò Angelica. Il viso della ragazza apparì sullo schermino sul guanto che il ragazzo indossava. «Codice per la sala comandi?»
«Te lo passo subito» replicò allegramente Angelica, che prese a dettare una lunghissima sequenza di lettere e numeri. Il ragazzo la digitò su una tastiera a lato della botola - era molto comune, nel mondo Pokémon, richiedere l’apertura o la chiusura di un passaggio con quel metodo: l’avevo visto fare moltissime volte. Il meccanismo che teneva chiusa la botola si sbloccò ed emise un clangore metallico. George spinse semplicemente la porticina circolare posta nel pavimento dopo aver accertato un’ultima volta, con Sara, che non ci fossero Victory nei paraggi.
Appena la mia testa fece capolino nella sala comandi, non riuscii a trattenere un “Oh!” di stupore. La stanza era veramente enorme: notai per primi i finestroni su tre delle quattro pareti che sostituivano la maggior parte del muro, altrimenti rivestito con il solito acciaio scuro che avevo la sensazione fosse caratteristica fissa sia delle basi Victory che, d’altronde, di quelle delle Forze del Bene - infatti rividi nella mia mente la cella Victory in cui ero stata imprigionata nel giugno precedente e pure i corridoi del centro nel Monte Corona.
Sulle piccole porzioni di muro concesse dagli enormi finestroni erano stati installati i pannelli di controllo. Innumerevoli pulsanti, schermi grandi e piccoli, leve e indicatori si susseguivano e sembravano accerchiarci: rimasero del tutto non identificabili ai miei occhi. Il fatto che una sala così grande fosse “arredata” soltanto immediatamente a ridosso delle pareti, per quanto i pannelli e i computer fossero grossi, la faceva sembrare terribilmente vuota e, nonostante le dimensioni, angusta - anche a causa dell’oscurità in cui era immersa.
Su richiesta di Sara rimasi a fare da guardia alla botola, aspettando che Ilenia e Daniel ci raggiungessero - era questione di pochi minuti; Oxygen, invece, andò presso la porta che era l’accesso ufficiale nella sala comandi. Era molto grande e sicuramente si apriva con lo stesso metodo con cui si accedeva ad ogni stanza - inserendo un codice; infatti non erano presenti né una maniglia, né una serratura o altri sistemi. Il ragazzo non si preoccupò di chiamare un Braviary al suo fianco; anch’io mi feci affiancare da Aramis.
Mentre George chiedeva ad Angelica quale interruttore dovesse premere per mettere fuori uso la centrale e la ragazza cercava frettolosamente una risposta - la sua voce squillante si udiva perfettamente anche a metri e metri di distanza, sentii un discreto bussare alla botola su cui poggiavo i piedi. Mi spostai e Daniel la spalancò, quasi facendo sbattere addosso a me la porticina. «Mi manca l’aria» annunciò Ilenia a voce bassa, che uscì per ultima.
Feci per richiudere la botola, ma me lo impedì e mi disse di lasciar fare a lei, senza neanche fermarsi a riprendere l’aria che tanto aveva desiderato durante il giro nel labirinto sotterraneo e la scalata per arrivare alla sala comandi. Chiamò Charizard e il grosso drago usò Lanciafiamme sui bordi della botola. Io la aiutai con la mia Kingdra: Saphira usò una mossa di tipo Acqua e il metallo si solidificò all’istante, raffreddandosi di colpo e chiudendo efficacemente il passaggio. Non dovettimo aspettare molto prima che George si rivolgesse a tutti noi.
«Signori» esordì teatralmente, «vi comunico che questa missione sta volgendo al suo termine.»
Sbuffai sonoramente. Gettai un’occhiata ai dintorni: Daniel e Oxygen stavano a guardia della porta con Braviary ed Electivire, Sara assisteva George e io ed Ilenia, molto semplicemente, ce ne stavamo con le mani in mano aspettando che le spie ci chiedessero aiuto per farci riprendere a faticare. Dopodiché guardai dalle finestre. Era ben visibile, neanche troppo vicina, la cupola contenente il reattore; dovevamo trovarci dalla parte opposta rispetto a Flemminia, perché la piccola città non rientrava nemmeno nel campo visivo a più di centottanta gradi. Il bosco intorno alla centrale era del tutto immerso nell’oscurità: il cielo era terso e buio a causa della luna nuova.
George, dopo essersene uscito con quella battuta, pigiò con il palmo un interruttore più grande degli altri. All’istante molti schermi si spensero, così come le lucine di alcuni bottoni; si sentì quello che mi ricordò un calo di tensione, come se fosse appena arrivato un black out. Risparmiandoci l’esultanza solo per quando saremmo stati di rientro alla base segreta, ci riunimmo tutti presso il portone della stanza.
«E adesso?» chiesi.
«Adesso arriva il nostro turno» ridacchiò Ilenia, beffandosi della situazione ancora precaria, battendo un pugno sul palmo aperto dell’altra mano. «Ti ricordi l’altro obbiettivo principale della missione, no?»
«Spianare la strada a chi arriverà dopo» sorrisi, contagiata dal suo ottimismo e più sicura di me e del gruppo stesso, ora che avevamo portato a termine con successo gran parte del programma. Avevo preso Spiritomb e avevamo messo fuori uso la centrale; George, su consiglio di Angelica, fece distruggere l’interruttore che avrebbe potuto rimettere in funzione baracca e burattini al suo Bisharp; dovevamo “solo” cacciare ogni Victory presente.
«Quindi seminerete un po’ di scompiglio» intervenne Sara, anche lei più allegramente.
«Perché, voi due spie volete risparmiarvi il divertimento?»
L’unico che rimase serio e composto in quella situazione fu Oxygen, che fu anche l’unico a non dimenticare che la parte più divertente era, scherzi a parte, quella più difficile. Avevo già richiamato Saphira nella Ball e avevo ancora Aramis al mio fianco; gli altri Pokémon che avrebbero cominciato il lavoro “per guerrieri” erano il Charizard di Ilenia, l’Electivire di Daniel, il Bisharp di George, il Lucario di Sara e il Braviary di Oxygen.
«Allora, siamo pronti?» chiese il capogruppo.
«Scacceremo ogni Victory, ma con molta classe» ghignò Daniel.
«Be’, la discrezione adesso possiamo finalmente risparmiarcela!» ribattei, sempre sorridendo. L’eccitazione per quello che avremmo cominciato a fare - portare il panico nella centrale nucleare - aveva liberato in me una scarica di adrenalina che aveva totalmente cancellato ogni traccia di paura e nervosismo. Avrei dovuto fare attenzione a non abbassare la guardia per questo, ma in quel momento la cosa mi parve di infima importanza. “È scontato che si faccia attenzione” mi dissi ingenuamente.
«Buona fortuna!» cinguettò Angelica dagli schermi sui dorsi delle mani di Sara e George.
«Allora andiamo» disse Oxygen. Mi sembrava sempre più agitato e teso, nonostante noialtri fossimo inquieti per motivi ben diversi, indubbiamente più ottimisti ed eccitati.
«A me l’onore di aprire le danze!» rise Ilenia. Ci facemmo tutti da parte e i Pokémon non coinvolti crearono una fila di barriere usando tutti Protezione. «Char, usa Incendio sulla porta.»
Chiunque avrebbe considerato la cosa un’azione sconsiderata e pericolosa più per noi che per i nostri nemici, ma stranamente nemmeno Oxygen ebbe qualcosa da obbiettare. La porta esplose di colpo appena il drago sputò una palla di fuoco su di essa e neanche le difese erette da cinque Pokémon bastarono per attutire l’assordante rumore prodotto: pezzi d’acciaio schizzati ovunque presero fuoco e le parti superficiali si liquefecero. Charizard ruggì e usò subito Giornodisole; avanzammo e la sfera di fiamme che aveva creato ci seguì.
«Gli allarmi non sono scattati» considerò Sara, di nuovo seria.
Sapevo cosa significava: eravamo stati individuati dal momento in cui avevamo messo fuori uso la centrale intera, e i Victory dovevano già essersi mossi senza perdere tempo ad avvisare del fatto.
Aveva iniziato a fare davvero caldo a causa di Giornodisole. «Tanto se incontriamo qualche recluta ci tocca combatterla, no?» borbottai mentre, imitata dagli altri, mi toglievo l’impermeabile, che sarebbe stato d’ingombro nei movimenti in un scontro corpo a corpo. Ci eravamo messi tutti apposta pantaloni elastici per non avere difficoltà, sia nella corsa che negli eventuali attacchi.
Le prime reclute Victory, accompagnate da numerosi Pokémon, erano apparse dall’estremità opposta del lungo corridoio che conduceva alla sala comandi. Oltrepassammo la soglia dell’ormai andato portone e, lasciando che per il momento Electivire e Charizard si sfogassero per primi, osservai che c’erano altri i finestroni uguali a quelli nella stanza di prima, ma che ricoprivano sia i muri che il soffitto. Immaginai che lo scenario, una battaglia in una galleria dalle pareti di vetro, fosse parecchio interessante per lo scontro già iniziato.
«Aramis, hai campo libero» dissi al mio compagno, che annuì vigorosamente. Alcuni Pokémon e delle reclute avevano superato Electivire e Charizard, che tenevano comunque impegnati parecchi nemici, e miravano a me, Oxygen e ai nostri Pokémon. Indietreggiammo di qualche passo creando lo spazio necessario per una battaglia tra i Pokémon di ciascuno: Aramis si slanciò contro un suo simile e, ingaggiandoci una lotta serratissima, lo mise fuori gioco dopo qualche colpo di Fendifoglia e Psicotaglio.
Io, nel frattempo, avevo rivolto un sorrisetto ingenuo e tranquillo a una ragazza nemica, che prima di lanciarsi verso di me mi guardò con enorme severità, come se mi stesse accusando di qualcosa. Dal canto mio, tremavo dalla voglia di misurarmi con un nemico una volta per tutte, finalmente.
Lei mirò al mio volto con un pugno, che deviai con prontezza; mi vidi costretta a scansarmi quando riprovò dall’altra parte e scartai di lato appena cercò di colpirmi al collo. Dopo aver preso un po’ di distanza, evitai l’ennesimo suo tentativo di attacco e ricambiai con gli interessi: dopo averla messa in difficoltà la colpii sotto il mento e, approfittando del suo dolore, le tirai un calcio sulla bocca dello stomaco che la stese a terra. Doveva essere una ragazza della mia età, ma purtroppo apparteneva, volente o nolente, alla fazione avversa alla mia; e il mio lavoro non consentiva alcuna pietà con chi non fosse un compagno. Passai al nemico successivo e, prendendo spunto da Aramis che combatteva come una furia senza fermarsi un momento, aumentai l’intensità e la velocità dei miei colpi e dei miei spostamenti.
Combattei in modo simile con altre quattro o cinque reclute, senza vacillare e riportando soltanto vittorie: era la prima volta in cui mi confrontavo con veri nemici, eppure non avevo paura. La parte più difficile della missione era stata svolta - o almeno era questo che credevo - ed ora che ero nel mio ambiente naturale, quello del combattimento, mi sentivo forte, sicura e anche piuttosto sfacciata, sfidando ogni nemico che si fosse avvicinato troppo. Sembrava che avessi l’adrenalina nelle vene al posto del sangue: ad ogni colpo ben assestato mi sentivo ancora più brava e piena di forza, come se fossi stata un Pokémon la cui forza, velocità e precisione aumentavano di volta in volta. Anche i miei compagni avevano il loro daffare: giusto Sara e George non si immischiarono nei combattimenti corpo a corpo, preferendo aiutare i nostri Pokémon, in prima linea come noi.
Me la vidi brutta quando un ragazzo dei nemici mi puntò contro una pistola. Lì indietreggiai, esitando, ma subito mi dissi: “Cyrus o chi per lui non può aver dato l’ordine di uccidermi.” Infatti, la recluta puntò la pistola verso il basso. Mi aspettai di sentire il dolore lancinante di una pallottola conficcarsi nelle gambe o nei miei piedi. Ma ebbi quasi un moto di delusione quando vidi un raggio congelante immobilizzarmi i piedi: mantenni l’equilibrio e mi concentrai sul mio nemico, che, sicuro di avermi in pugno, senza esitazione cercò di colpirmi. Non fu molto furbo perché non mirò alle mie gambe bloccate, in quel caso sarei stata in difficoltà: cercò di sferrarmi un colpo all’altezza del viso, ma mi abbassai e gli afferrai il braccio, torcendoglielo. Strillò di dolore; lo strattonai verso di me e subito dopo gli mollai uno spintone, mandandolo a sbattere contro il vetro delle pareti. Nel frattempo Sara fu così gentile da mandare la sua Ninetales in mio soccorso, mentre chiedevo a June di tenere lontani da me i nemici finché non mi fossi rimessa a posto: la piccoletta, muovendosi velocemente e non facendosi vedere - soprattutto grazie alle dimensioni più che modeste - consentì a Ninetales di lavorare con calma.
«Come va, Aramis?» chiesi all’altro mio Pokémon, che da parecchio tempo infuriava sul campo - adesso aiutato dalla compagna di squadra. Nemmeno si curò di ribattere con qualcosa, continuando a cercare avversari da sconfiggere, segno che aveva ancora molta forza da impiegare: fu una risposta più che soddisfacente. “Certo che quando ci si mette, fa quasi paura” pensai. “È come se non riuscisse a fermarsi… eppure ha già mandato al tappeto un sacco di Pokémon. È impossibile che non sia un po’ stanco, Ilenia e Daniel hanno già sostituito Charizard ed Electivire con Rapidash e Magmortar…”
Ma Aramis continuò a combattere finché i pochi Pokémon rimasti dei nemici non smisero di avvicinarsi, alcuni già stanchi, altri sinceramente intimiditi. Le creature erano molte di più degli umani, ovviamente, perché ce n’erano almeno sei per ogni recluta per formare una squadra; ne era rimasta in piedi una dozzina dall’altro capo del lungo corridoio, in compagnia di tre o quattro ragazzi Victory.
«Adesso basta» mormorai rivolta ad Aramis. Il Gallade si voltò verso di me e, per un momento, i suoi occhi rossi mi parvero iniettati di sangue, tanto che trasalii; ma subito dopo quell’aspetto scomparve e mi augurai di essermelo solo immaginato. Lo richiamai nella Ball, così come June, e non fece storie. “Sarà stata l’oscurità a distorcere un po’ la visione della realtà” mi dissi. Le pareti e il soffitto dello spazioso, lungo corridoio, che difatti aveva solo il pavimento di un materiale che non fosse il vetro, erano attraversati da crepe non indifferenti. Le lotte tra Pokémon avevano procurato i danni maggiori, c’erano state piccole esplosioni - fortunatamente non eravamo stati assordati da qualcosa simile a quello che era successo alla porta della sala comandi - causate soprattutto dagli attacchi esplosivi di Charizard e dalla forza di Electivire, ma di sicuro anche Aramis, con i suoi colpi di spada.
«Cosa sta succedendo qui?!»
Fu una voce femminile piuttosto irritata a parlare. Le reclute all’estremità opposta del corridoio trasalirono - c’erano almeno cento metri a separarci: il nostro gruppo si trovava a metà della strada di vetro, avevamo guadagnato molto terreno; ma a battaglia finita avevamo smesso di avanzare, concedendo un po’ di tempo ai ragazzi Victory per decidere se darsela a gambe - sarebbe stato meglio per loro! - oppure se continuare a lottare.
Giovia, una dei Generali, fece la sua comparsa accompagnata da Saturno. “Se ci sono loro due, probabilmente verrà anche Martes” considerai. “E vista la gravità della situazione… anche Cyrus…”
Non feci in tempo a finire di formulare quel pensiero che i due scatenarono i loro Pokémon contro di noi: chiamai di nuovo June a combattere mentre sei creature nemiche si avventavano contro uno stesso numero dei nostri Pokémon. Oxygen intimò a Sara e George di mantenere un contatto stabile con la base segreta e di lasciarci campo libero. Se c’era da combattere era meglio che chi non era stato addestrato come noi guerrieri non si mettesse in mezzo: la differenza tra una battaglia condotta da noi e una da chiunque altro della base segreta era abissale.
June fronteggiò il Bronzong di Giovia. La giovane donna avanzava senza paura verso di noi; io e Oxygen ci ritrovammo ben presto a combattere una sorta di lotta in triplo contro di lei, mentre Daniel e Ilenia si occupavano di Saturno. Erano Roserade, Braviary e Pidgeot contro Bronzong, Skuntank e Crobat.
Mentre davo istruzioni alla mia compagna, cercai di fare attenzione anche a Giovia, che si stava rivelando, com’era facilmente prevedibile, un’avversaria molto più impegnativa delle reclute Victory fino ad allora combattute. Indossava una divisa simile a quella dei suoi sottoposti, un po’ più elaborata - meno di quella dei Comandanti - ma di uguali foggia e colori, ovvero bianco, rosso, nero e grigio. Non mi pareva di averla incontrata quando ero stata rapita e rinchiusa nella base Victory nel Monte Ostile, e infatti la donna, pur guardandomi intensamente, non diede segno di riconoscermi. O meglio, sicuramente sapeva chi ero e, di conseguenza perché non potesse puntarmi una pistola contro e uccidermi senza farsi troppi problemi; ma non cercò di provocarmi come se fossi stata una sua vecchia conoscenza, come se ci fossimo già parlate.
Non feci attenzione alla battaglia di Daniel e Ilenia contro Saturno, ma dovevano essere in una situazione simile alla nostra, dato che i due Generali erano sullo stesso livello. Passarono minuti interminabili durante il combattimento, Oxygen dovette pure sostituire Pidgeot con il suo Altaria cromatico: fu in quel modo che ottenemmo la vittoria - gli altri due guerrieri dovettero faticare ancora per qualche turno, grazie a quel Pokémon straordinario sia nell’aspetto che nella forza - anche se di norma gli Altaria non erano grandi attaccanti, anzi.
Giovia sorrise, anzi ghignò spudoratamente, alla fine della lotta: non mi aspettavo un comportamento diverso, ma mi irritò comunque moltissimo. «Come se battere me o Saturno significhi aver vinto questa battaglia! Sapete chi sta arrivando a punire i ragazzini che hanno osato immischiarsi in faccende che non li riguardano, vero?»
«Eccome se ci riguardano queste faccende, Giovia» disse Oxygen con mirabile freddezza. «Riguardano l’intera regione di Sinnoh, che avete intenzione di portare alla rovina così come il resto del mondo.»
«Ne sei così sicuro?»
«Ne sono più che certo.»
«Sei proprio cieco!» rise Giovia. «Non vedi niente all’infuori della via tracciata dai tuoi capi.»
«Si potrebbe dire lo stesso di voi» intervenni senza paura, «che obbedite ciecamente a uomini ancora peggiori.»
La donna aveva un sorriso tanto dolce quanto inquietante sul viso. «Attenta a come parli, ragazzina, perché anche tu sei chiamata dalla nostra parte. Altrimenti perché credi che Cyrus si prenderebbe il disturbo di venire?»
Desiderai fulminarla con lo sguardo, ma decisi di non rispondere. Fu Oxygen a farlo per me: «Continuate a far finta di non avere problemi, vedremo chi riderà quando vi sarete rovinati con la vostra stessa arroganza!»
«Giovia!» chiamò Saturno, interrompendo sul nascere la replica della donna. «Dobbiamo andarcene.»
L’altra annuì ma si ritrovò la strada sbarrata da Daniel, Ilenia e dai rispettivi Pokémon. Scoppiò a ridere un’altra volta. «Perché non vi preparate alla prossima battaglia, anziché stare tra i nostri piedi?»
«Se ne vadano pure» borbottai. «Tanto, qualunque cosa ci accada ora, loro hanno comunque perso.»
Oxygen mi guardò e io ricambiai la sua occhiata. Stettimo così per qualche secondo, mentre i due Generali si volatizzavano grazie al Teletrasporto di alcuni loro Pokémon - le altre reclute se n’erano andate via da un pezzo. “Si starà chiedendo cosa intendeva dire Giovia prima” immaginai. “Non penso riesca a spiegarsi le sue parole.”
George e Sara ci raggiunsero. Eravamo rimasti noi sei nel corridoio di vetro; i Pokémon presenti, ancora non richiamati nelle loro Ball, erano June, Altaria e Magmortar. Ilenia sostituì Rapidash con Tyranitar.
«E adesso?» chiese Daniel. Si riavviò i capelli, diventati un po’ lunghi; erano più spettinati che mai dopo la lotta serratissima con Saturno. Sembrava più tranquillo, come me d’altronde, dopo aver combattuto.
«Aspettiamo Cyrus.»
«Eh?!» esclamò il ragazzo, incredulo per la risposta di Oxygen; anche Sara e George erano contrariati. Io strinsi i pugni, perché non volevo proprio ardentemente rivedere il Comandante, e Ilenia aggrottò le sopracciglia.
«Non penso sia così difficile pensare che possa scattare una trappola che ci uccida tutti. Potrebbero farci esplodere o che ne so io! Non è sicuro stare qui: il nostro lavoro lo abbiamo fatto» obiettò Daniel.
“No che non ci faranno esplodere. Non so voi, ma dubito che possano ammazzare me” pensai, sicura che la mia identità segreta e speciale mi potesse difendere da qualsiasi cosa. Nel frattempo Oxygen, sempre serissimo, neanche si prese la briga di rispondergli: «Sara e George» chiamò, «controllate che non sia rimasto nessun Victory. La missione non è ancora finita: dobbiamo accertarci che gli esperti abbiano campo libero.»
«Non possiamo farlo, già ci abbiamo provato. Né noi né Angelica direttamente dalla base segreta. Hanno distrutto tutti i rilevatori, le telecamere e così via» sbuffò il ragazzo dai capelli neri. «Ma…»
«Niente ma. Scendiamo a controllare.»
«E nel frattempo arriva Cyrus! Dobbiamo andarcene.»
Oxygen fece un mezzo sorriso. «È per questo che ci tocca aspettarlo.»
Alzai gli occhi al cielo: non perché fossi seccata o altro, ma perché già immaginavo la piega che avrebbe preso la situazione e non mi premurai di continuare ad assistere alla conversazione. Mentre studiavo affascinata, concedendomi qualche minuto di pausa dalla realtà, il cielo che ospitava le costellazioni delle notti invernali, si decise che Oxygen e Ilenia, da bravi capigruppo, sarebbero andati a controllare al piano terra e, in caso di bisogno, ci avrebbero chiamati. Noi avremmo aspettato lì.
«Tanto poi ci chiederanno di controllare pure il piano sotterraneo» sbottò George.
«Non possiamo non fare il nostro lavoro» dissi, quasi con aria sognante, mentre continuavo a guardare le stelle.
«Ma per favore! Adesso contatto la base segreta e vedo il da farsi.»
Effettivamente era la cosa più giusta da fare. George fu parecchio irritato e deluso nel sentirsi dire da Angelica, che aveva domandato in diretta dalla videochiamata ai suoi superiori se dire al nostro gruppo di rientrare, che non potevamo tornare indietro finché non ci fossimo accertati che ogni presenza Victory non fosse stata eliminata.
 «Siamo rovinati» disse il ragazzo - in un modo un tantino più rozzo e volgare.
«Cyrus sta arrivando» mormorai.
«Sì, lo abbiamo già capito, gra…»
«No» lo interruppi. «Sta arrivando ora
Tutti alzarono lo sguardo, imitando me che da un bel po’ studiavo il cielo. Avevo avuto modo di osservare gli astri e riconoscere alcune costellazioni, le poche che conoscevo siccome non mi ero mai interessata in materia di astronomia; e così avevo notato la comparsa di qualcosa che non apparteneva alla notte, e che si era rivelato essere una coppia di Pokémon Volante - un Honchkrow e un Noctowl, li riconobbi chiedendo a Daniel di sfruttare in parte il fuoco di Magmortar per fare luce: così poterono vederli anche i miei compagni.
«Pensi che…» Sara, intimorita, non finì la frase; ma io annuii.
«Sono velocissimi» sentenziò Daniel.
«Protezione!» gridai; il mio ordine era rivolto a tutti e ogni Pokémon obbedì proprio a me, avendo capito quali erano le circostanze.
Honchkrow e Noctowl mirarono, in picchiata, al soffitto: lo sfondarono senza riportare alcun danno, mentre una pioggia di vetro si abbatteva su di noi, senza riuscire a penetrare le difese che i Pokémon avevano eretto. Immaginai che i due Pokémon, anziché preoccuparsi di schiantarsi contro il vetro, avessero usato una mossa per aprirsi la strada e venirci a ostacolare senza difficoltà.
I frammenti e i pezzi di vetro, di ogni dimensione, si polverizzarono al contatto con le barriere. L’unica luce presente era costituita dai fuocherelli appiccati qua e là da Magmortar: i vetri riflettevano il colore del fuoco e fu come se cadessero, a centinaia, lingue di fuoco e schegge di cielo, le une a tinte calde e le altre completamente nere.
I due volatili atterrarono a qualche metro di distanza da noi; indietreggiammo alla presenza di Cyrus, in compagnia, com’era prevedibile, di Martes. L’uomo si voltò con immane lentezza verso di noi e, dopo aver incontrato lo sguardo di ognuno, sorrise: la sua espressione era però indecifrabile - cos’aveva da sorridere? Avevamo messo fuori uso la sua centrale, sconfitto due Generali e, probabilmente, costretto alla fuga ogni recluta al lavoro in quel luogo, già infernale prima che arrivassimo noi. Martes si mise al suo fianco, serissima.
Cyrus riprese quasi subito a guardare me. «Te l’avevo detto che ci saremmo incontrati di nuovo, Eleonora.»
Sentii gli occhi di tutti puntarsi su di me. Mi sforzai di non farci caso e di controllare la mia voce, che non tremò nel rispondergli: «Non dovrebbe essere contento di questo, Cyrus.»
«Non penso di dovermi preoccupare di quattro ragazzini.»
«Di sei guerrieri, semmai.» Oxygen ricomparve nel corridoio, affiancato da Ilenia: dovevano essere accorsi non appena avevano udito il frastuono causato dalla pioggia di vetro - di lingue di fuoco e frammenti di cielo notturno.
«Sei ragazzini» ribatté Cyrus senza voltarsi verso i nuovi arrivati, «che quell’irresponsabile di Bellocchio ha mandato a combattere una battaglia al di fuori della loro portata.»
«Non è vero!» Mi voltai di scatto, sorpresa, verso Sara, che aveva quasi strillato quell’affermazione. Stringeva i pugni e tremava dalla testa ai piedi. Continuò, con meno sicurezza: «Lei non ha idea di chi sta parlando.»
«Sara, per l’amor del cielo, come pensi di potermi dire questo sicura di affermare la verità?»
«Perché…» mormorai, sempre più confusa, per poi completare il dubbio nella mia mente: “Perché l’ha chiamata per nome?” Spostai nuovamente lo sguardo sulla mia amica, che però non rispose alla domanda del Comandante Victory. Mi sembrò improvvisamente di essere in un sogno: rivedere Cyrus, lui che parlava con quella sorta di confidenza ad una ragazza sconosciuta, Martes che aveva un’espressione più confusa della mia dipinta sul bel viso e Daniel che continuava a fissare me, domandandosi ancora, sicuramente, perché l’uomo mi si fosse rivolto con certe parole… ma subito ripresi i contatti con la realtà, stupendomi di non avere tanta paura quanta mi aspettavo.
«Non penso sia il caso di continuare a parlare» intervenne Oxygen con sicurezza, avanzando verso il centro del corridoio in cui era in corso la rappresentazione di quella scena.
Ilenia lo seguì con più incertezza e trasalì appena l’Honchkrow di Cyrus si esibì in un Neropulsar, che l’Altaria del capogruppo bloccò con il corrispettivo di tipo Drago di quella mossa. Si creò una piccola nube che il vento, infiltratosi nel corridoio dal soffitto semidistrutto, spazzò via con calma, perché non era molto forte - anche se il freddo invernale non si risparmiava; e noi eravamo ancora senza giacche, essendoci stato bisogno di combattere.
«Io invece» Cyrus continuava ad essere rivolto verso di noi - verso di me? - senza degnare di uno sguardo gli altri due ragazzi delle Forze del Bene, «non amo combattere senza aver rotto il ghiaccio con una conversazione. E poi sono fermamente convinto che questo sia il momento buono per sapere se sono state prese delle decisioni.»
«Signore…» mormorò Martes.
Sovrastai la voce incerta della donna, esclamando: «Le decisioni sono state prese eccome, Cyrus!»
«Va’ a controllare che non ci siano reclute rimaste nella zona, Martes.»
«Eleonora, cosa…»
Daniel cercò di farsi dare spiegazioni, ma Cyrus, dopo aver impartito quell’ordine a Martes che levò il disturbo, riportò la sua attenzione su di me e, sorridendo, disse: «Mi auguro che tu ci abbia pensato a lungo, Eleonora.»
«Non è servito!»
Cyrus aspettò qualche secondo prima di rispondere. Scrollò le spalle e sospirò, sembrando improvvisamente, con quei gesti così innocenti, più ingenuo e dolce. «È davvero un peccato» replicò con voce tuttavia un po’ fredda. «Non mi piace l’idea di avervi come nemici, ma nessuno di voi si è liberato dal giogo delle Forze del Bene, temo.»
«Altaria, usa Dragobolide!»
All’ordine di Oxygen ne seguirono altri, da parte sia nostra che di Cyrus. Quando mosse di ogni tipo e potenza si incontrarono, partendo da lati diversi del corridoio - Dragobolide, Incendio, Tuono, Fangobomba e almeno altre due, ci fu uno scoppio tremendo, una vera e propria esplosione, e si alzò un polverone gigantesco. Sentii poi un terribile ruggito e un Gyarados, molto più grande del normale, sembrò diradare il fumo al posto del vento grazie al suo verso spaventoso. Crobat, il Pokémon che aveva ucciso Aristide l’anno precedente, schizzò via dalla nube a velocità supersonica. Istintivamente ordinai a June una Protezione, ma né Crobat né Gyarados, che stava al fianco di Cyrus come un terrificante guardiano, cercarono di attaccarci. Almeno, non sulle prime.
«Vi prego di ragionare!» esclamò Cyrus, ma nessuno di noi volle perdere altro tempo in chiacchiere con l’uomo.
“Qui l’unico che dovrebbe ragionare sei tu, come tutti i tuoi colleghi!” pensai, inferocita.
Appena altri sei colpi si indirizzarono verso di lui, Cyrus scosse la testa, apparentemente deluso. Un altro polverone si creò e si diradò: in tutto ciò Crobat era scomparso - volato chissà dove per evitare il colpo - e Gyarados non pareva essere stato colpito; lo stesso si poteva dire dell’uomo. Un baluginio vitreo rischiarò l’oscurità attorno a lui - avevamo ripreso a combattere al buio, salvo quando i nostri Pokémon attaccavano; alla fine Ilenia chiamò Charizard e ordinò un Giornodisole che ci rese le cose molto più semplici.
«Scusate, ma che io venga ferito non è nei programmi di questa battaglia. Non ci sono mezzi normali che siano in grado di uccidermi… ma le vostre intenzioni sono talmente evidenti che temo sia inutile parlare.» Ci fu una pausa in cui la tensione ci strinse in una morsa soffocante. «Gyarados, Crobat, vogliono essere nostri nemici.»
Bastarono quelle parole per scatenare i due Pokémon. Il pipistrellò colpì con una mossa di tipo Volante la mia compagna June, che cadde a terra con un lamento penoso. Strillando di paura, la presi tra le braccia, vedendo un taglio spaventoso squarciarle il minuscolo petto. La richiamai immediatamente nella Ball: era ancora cosciente e pregai che lì dentro trovasse un oblio che riuscisse a sospendere il suo dolore.
I miei compagni non se la dovettero passare molto meglio: Magmortar e Charizard stramazzarono a terra per un attacco di Gyarados, e lo stesso accadde al Tyranitar di Ilenia poco dopo. George, con Hydreigon e Bisharp, cercò di fare da scudo a Sara che avvisò la base segreta del pericolo imminente.
Un ruggito straziante, infernale, disumano, sferzò all’improvviso la notte e mi torturò le orecchie, tanto che mi accovacciai a terra in una posizione istintivamente difensiva, terrorizzata. La tensione mi stava facendo avere allucinazioni uditive? Perché avevo sentito un urlo così forte e così innaturale, che non poteva appartenere a nessuno dei presenti, né umani né Pokémon? Mi tappai le orecchie, ugualmente inginocchiata per terra in mezzo ai frammenti di cielo notturno e sola, senza avere il coraggio di sacrificare altri miei Pokémon in una battaglia già persa. La paura si era reimpossessata di me nel giro di pochi istanti; i miei nervi non avrebbero mai retto un’esperienza del genere. Infinite lacrime di terrore abbandonarono i miei occhi senza che me ne rendessi conto. Non riuscii a gridare: se ci fossi riuscita avrei chiesto aiuto. Ma a chi?
Sentii qualcuno arrivare vicino a me; spalancai gli occhi e smisi di tenermi la testa tra le mani, vedendo Daniel che mi strattonava. Un momento dopo riuscii finalmente a strillare, a sfogare l’angoscia e la paura, appena vidi una figura mostruosa oscurare il cielo. Per noi era la fine.
Fu quando vidi Cyrus che capii che qualcosa non andava. L’uomo era diventato il ritratto del terrore, molto più di quanto non lo fossi io, e questo istantaneamente mi fece perdere ogni emozione di quel tipo. Fissava con occhi sgranati, fuori dalle orbite, la sagoma che anch’io avevo temuto perché credevo fosse nemica: invece, dalla reazione di Cyrus, mi resi conto che, pur non essendo amica, era perlomeno un’alleata. Mi alzai in piedi con un po’ più di decisione, al contrario del Comandante Victory che incespicava nei suoi piedi, con gli occhi fissi sull’essere ancora non identificato, mentre camminava all’indietro, in cerca del suo Honchkrow - che stava cercando di sfuggire alla furia del Braviary di Oxygen.
«Cos’è?» chiesi con un filo di voce, riferendomi alla sagoma serpentina, volante, che continuava a strillare con una “voce” orribile, piena di odio e rabbia. La seguii con lo sguardo a lungo: sembrava intenzionata ad avvolgere tra le sue spire l’intero camminamento, quando si avvicinava pericolosamente alle pareti, ma si muoveva perlopiù lungo il soffitto e sotto il pavimento.
Non mi aspettavo una risposta, ma Daniel, che mi sorreggeva, mi disse con voce grave: «Quello è Giratina.»
Il mio cuore mancò un battito nel sentire quel nome. Daniel mi aiutò a spostarmi verso la sala comandi in cui, forse, saremmo stati al sicuro per teletrasportarci; ma facemmo solo qualche metro quando un urlo di Giratina, ancora più potente e terribile, si abbatté su di noi mandando in frantumi il resto dei vetri ancora integri. Non ci fu il tempo di tapparsi le orecchie, il preavviso sarebbe stato comunque troppo poco, e vista l’intensità di quel grido sarebbe stato assolutamente inutile farlo. Le mie orecchie non funzionarono a dovere per qualche secondo.
Ormai ci trovavamo su una semplice passerella d’acciaio pericolante. I vetri si erano letteralmente disintegrati dopo il secondo urlo di Giratina, diventando una polvere finissima che nemmeno ci aveva feriti. Potevo affidarmi solo ai miei occhi, davanti ai quali si susseguirono, velocissime, immagini sfocate e confuse: Cyrus che cadeva a terra, il gigantesco Leggendario Ribelle che si frapponeva tra noi e lui, Giratina stesso che, in un momento di stasi, rivolgeva le sue attenzioni a noi girando la testa, guardandoci negli occhi con le sue iridi cremisi, sfolgoranti anche in assenza di luce e squarciate da una stretta pupilla verticale. Il contatto visivo durò qualche secondo per ciascuno: quando fu il mio turno, sentii un vuoto nel petto che attribuii al mio cuore che si fermava, non riuscendo a sostenere la presenza dell’essere.
Le mie orecchie ripresero a funzionare, ma il silenzio si era fatto talmente grave che mi illusi di sentire il fiato pesante di Cyrus e quello corto di Daniel, che mi cingeva con le braccia - tremanti all’inverosimile - come a volermi proteggere. La figura di Giratina, che ci dava le spalle, sembrava di un colore ancora più scuro di quello della notte, perciò riuscii a distinguere i contorni del corpo e delle ali scheletriche. Il Giornodisole di Charizard si era spento fin dal primo urlo del Ribelle.
La situazione sembrava sempre più quella di un sogno - di un incubo, se fossi stata nella situazione di Cyrus. Era troppo buio perché riuscissi a capire cosa stava succedendo: Daniel stava mezzo abbracciato a me, forse più in cerca di sostegno che nel tentativo di proteggermi ancora, ma non avevo idea di dove fossero di preciso gli altri miei compagni o i nostri Pokémon. Avrei voluto chiedere perché Giratina stesse puntando Cyrus come sua preda, perché non eravamo anche noi destinatari della sua furia, come avesse fatto ad arrivare fin lì così all’improvviso e cosa toccasse fare a noi ragazzi, che, a quanto pareva, eravamo alleati del Leggendario. Non potevo davvero credere di essere al cospetto del sovrano del caos e dell’oblio, perseguitato per la sua sedicente violenza in tutti i racconti mitologici della regione di Sinnoh.
Alla fine c’era solo una cosa da fare: abbandonare Cyrus al suo destino e non interferire oltre con le intenzioni, almeno apparenti, di Giratina. Oxygen lo capì e ordinò un Teletrasporto, parlando a voce bassa ma venendo udito alla perfezione anche da noi che gli eravamo distanti. In qualche modo riuscii a trovare la Ball di Aramis e a ricongiungermi con Sara; pochi secondi dopo stavamo dicendo addio alla centrale nucleare ormai semidistrutta, al gelo di quella notte invernale - che era comunque sembrato sparire, una volta arrivato il Leggendario - e con ogni probabilità anche a Cyrus. L’ultima cosa che udii fu un altro ruggito di Giratina, poi Aramis attivò il Teletrasporto.





Capitolo VII - Rivisto tra il 14 e il 17 dicembre 2015 (e la revisione è stata a sua volta rivista a maggio 2016). L’interruttore → Frammenti di cielo notturno.
  
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