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Autore: LittleRedRidingHood    06/10/2008    11 recensioni
Eri diventato un punto fermo per lui, l’unica persona su cui potesse contare. Ma c’era un bivio davanti a te, e le strade da scegliere erano lui, o quella vita...
Genere: Romantico, Triste, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Matt, Mello
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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La mia prima AU. Spero apprezzerete, è un'idea arrivata all'improvviso, che mi ha colta di sorpresa e, beh... mi piace molto, perchè ha in sè la mia idea malinconica e dolce dell'amore e della solitudine. Boh... vi voglio bene, minna.

Stay with me

 

La prima volta che lo incontrasti, fu in una camera da letto con i muri scrostati e il letto cigolante, un vago odore di sperma nell’aria. Fu letteralmente gettato lì dentro, dove ti trovavi anche tu, dai bastardi che come tuo padre e tuo zio gestivano quel bordello. Era giovane, sui 15 o forse 16 anni, e bello, con i capelli biondi e gli occhi azzurrissimi, anche se in quel momento la sua situazione igienica non era delle migliori. Indossava soltanto un lenzuolo sporco, che stringeva convulsamente attorno al corpo nudo.

-Goditelo- avevano detto quelle persone, prima di chiudersi la porta alle spalle. Ecco cos’era quel ragazzo. Un premio per te, perché finalmente eri entrato a far parte del ‘gruppo’.

Lo guardasti. Aveva un’aria terrorizzata, e tremava leggermente fissandoti con gli occhi sgranati. Sentisti subito una fitta di disgusto. Cos’è che avresti dovuto fargli? Cos’era che si aspettavano che facessi? La commiserazione ti afferrò per la gola.

Ti avvicinasti lentamente, tendendogli una mano. Lui si ritrasse verso la porta, guardandoti spaventato.

-Non voglio farti del male- dicesti, avvicinandoti. Lui non disse niente. Evidentemente era straniero e non capiva cosa dicevi. Gli sorridesti leggermente. –Tranquillo. Vieni…- dicesti, sporgendoti verso di lui.

Il ragazzo esitò, poi, leggermente, ti tese la tua mano, e tu la prendesti e, lentamente, lo conducesti verso il letto.

Quella era una cosa che dovevi fare. Se non avessi fatto ciò che si aspettavano da te, se ne sarebbero accorti, perché eri vergine. Ma non avevi intenzione di fargli male, quella era davvero l’ultima cosa che volevi.

Vedendo dove lo stavi portando, il ragazzo sussultò e tentò di scapparti, ma tu gli stringesti la mano e gli accarezzasti la testa, per tranquillizzarlo. Ti sedesti lentamente sul letto, portandolo a fare lo stesso. Lo guardasti per un attimo, poi gli accarezzasti una guancia, sorridendogli. Lui tremò a quel contatto, abbassando lo sguardo. Ma ormai doveva aver capito che non avevi intenzione di fargli male, perché non si ribellò troppo mentre lo baciavi accarezzandogli il volto e il collo, scendendo piano piano verso i fianchi, stringendolo di più a te.

Quando poi capì che avresti fatto quello che dovevi fare, si spaventò talmente che si divincolò a lungo tra le tue braccia, mentre tu, col cuore spezzato, lo abbracciavi e gli sussurravi all’orecchio tentando di tranquillizzarlo.

Quella sera lo prendesti, su quel letto mezzo rotto, mentre lui piangeva e tu ti sentivi talmente male da non essere capace di fare altro che sentirti una merda. Tentasti di essere il più dolce possibile, riuscisti anche a farlo godere mentre gli baciavi le guance e lo abbracciavi, sorridendogli mentre veniva con un gemito nella tua mano. Si addormentò poco dopo sul letto, e tu lo lasciasti dormire, aspettando che lo venissero a portar via.

Ma da quel giorno diventasti un punto di riferimento per lui. Ogni volta che vi incrociavate ti sorrideva appena, alzando una mano quel tanto che bastava perché la vedessi. E tu sorridevi di rimando.

Lo richiedevi in continuazione, e quando eravate soli tu gli insegnavi a parlare inglese, lo facevi ridere, o riposare. Eri diventato un punto fermo per lui, l’unica persona su cui potesse contare. E anche tu cominciasti ad affezionarti a lui, non sapevi bene il perché, sapevi solo che quel ragazzo aveva bisogno di qualcuno che si curasse di lui, e l’unica persona che poteva farlo eri tu.

Purtroppo c’erano i momenti in cui non tutto andava come speravi. Alle fastidiose domande sul ragazzo, sul perché lo richiedevi così spesso rispondevi vagamente: ‘mi soddisfa’. Ma sapevi che quella situazione era instabile, non sarebbe potuta durare a lungo. C’era un bivio davanti a te, e le strade da scegliere erano lui, o quella vita ingrata all’insegna dell’illegalità. Cominciasti a riflettere a lungo su questo, e quelli furono giorni terribili, di ansia e nervosismo, in cui lo vedesti molto poco, e questo rendeva infelici entrambi.

Poi una sera, in cui entrò in camera tua zoppicando e con una smorfia di dolore sul volto, capisti quale sarebbe stata la tua strada. Non riuscisti a fargli capire cosa avevi in mente, perciò quando arrivò la notte in cui avevi progettato tutto andasti nel posto dove in genere dormiva e mettendogli una mano sulla bocca lo svegliasti e lo trascinasti via. Lui si ribellò per un istante, ma quando vide la tua mano tesa e il tuo sguardo agitato capì. Scappaste insieme, quella notte, con nulla se non svariate migliaia di sterline che eri riuscito a rubare dalla cassa della tua famiglia.

Non vedesti nessuno di loro mai più.

Quel periodo di latitanza fu difficile per entrambi. Scappaste prima in Italia, dove vi sistemaste per un certo periodo, poi quando lui compì 18 anni vi trasferiste a Los Angeles, negli Stati Uniti. Il sogno americano era una speranza anche per voi.

Intanto il vostro rapporto si era intensificato, anche se nessuno dei due capiva davvero cosa significasse. Di certo eravate buoni amici e parlavate di tutto, specialmente ora che lui era riuscito ad imparare l’inglese e lo parlava con quel suo accento buffo. Anche tu d’altra parte eri riuscito ad imparare un po’ della sua lingua. Quel pomeriggio in cui ti presentasti in casa vostra con un dizionario di lingua croata lui scoppiò a ridere fino alle lacrime. Ma non ti derise. Sapevi che quel gesto era qualcosa di importante per lui così come lo era per te. Piuttosto ti abbracciò e ti ringraziò. Quella fu la prima volta in cui ad un suo abbraccio sentisti come una scossa elettrica che ti percorreva la schiena e l’impulso di stringerlo forte. Tentasti di calmarti, ma ormai il tuo animo era stato sconvolto da quel semplice gesto. Perché in fondo avevi capito.

Avevi capito che ti stavi innamorando di lui.

Nei giorni successivi i desiderio, sempre più forte, di farlo tuo, di sentirlo dire quelle stesse parole che il tuo cuore ti urlava, ti faceva quasi sragionare. Non potevi più guardarlo negli occhi senza che ti chiedesse cosa avevi, ma allo stesso tempo non potevi non guardarlo, perché quegli occhi, azzurri e intensi, ti comunicavano qualcosa, lo sentivi.

Finchè, la notte più bella della tua vita, non ce la facesti più. Lo guardasti negli occhi e gli confessasti che lo amavi, lo amavi da morire. Eri rosso in volto, e pieno d’ansia, perché avevi una paura terribile che lui non ricambiasse, che per lui tu fossi solo un buon amico. Ma non fu così. Alle tue parole ti sorrise, emozionato.

-Ti amo anch’io- disse, con il suo solito accento. Quelle parole ti risuonarono in testa per qualche secondo, poi ti slanciasti verso di lui e lo stringesti in un abbraccio spaccacostole. Lui ti lasciò fare, sorridendo felice, lasciò che tu lo baciassi, lo accarezzassi e infine lo prendessi.

La vostra prima volta, quella vera, fu la cosa più magica che entrambi aveste mai sperimentato. Eri spaventato, all’inizio, temevi di fargli male, si sbagliare. Era talmente stupenda, quella creatura che tenevi tra le braccia, talmente fragile, meravigliosa e celestiale, come un angelo, come una bambola di porcellana, che temevi che se l’avessi sporcata non sarebbe tornata mai più quella di prima. Ma lui ti sorrise dolcemente, ti accarezzò il volto, ti sussurrò parole rassicuranti proprio come avevi fatto tu quella volta, al vostro primo incontro. E allora non ce la facesti più, lo baciasti ed entrasti dentro di lui, movendoti istintivamente, mentre il piacere si dilagava nel tuo corpo come uno tsunami, facendoti boccheggiare, gemere, e lui sotto di te che provava le stesse cose, e sorrideva e ti guardava negli occhi mentre tratteneva i gemiti.

La notte vi addormentasti abbracciati e felici, le lacrime di gioia, asciutte, che rigavano le sue guance.

Quello fu il periodo più bello della tua vita. Sapere di amare e di essere amato, era qualcosa di meraviglioso. Com’era possibile, ti chiedevi, amare qualcuno a tal punto? Ti pareva un sogno, un sogno infinito.

Poi, la notte in cui fu lui a prendere te per la prima volta, fu una delle più belle –nonché divertenti- della tua vita. Era abile, notasti, ti riusciva a mettere a tuo agio, e ti fece godere per minuti infiniti, tanto che quando lui uscì da te ti addormentasti quasi subito.

Il mattino dopo ti svegliasti con lui addormentato sul tuo petto. Si svegliò e ti sorrise pigramente.

-Come sono stato ieri?- ti chiese.

Gli sorridesti. –Sei stato bravissimo- dicesti, accarezzandogli i capelli.

Lui ti guardò, un’espressione imbronciata in faccia. –Bravissimo non mi basta-

Ridacchiasti alle sue parole, e velocemente catapovoltasti la situazione, trovandoti sopra di lui. –Sei stato… fottutamente eccitante, ok?- dicesti, sussurrando. Lui ti abbracciò. –Così va meglio-

Ma si sa, i sogni non durano molto. E anche il vostro era destinato a finire.

Durante una giornata di marzo, cadendo lui si ruppe un braccio, e finì in ospedale. Non dimenticasti mai quelle ore di terrore, per quanto sapevi che la rottura di un braccio non fosse nulla di grave. Ma avevi un’impressione. Una brutta impressione.

E per quanto sperasti che fosse, appunto, solo un’impressione, non fu così. Quelle frasi delle dal dottore, quella notizia che ti fece gelare il sangue nelle vene, ti fece mancare il fiato…

Andasti da lui, quella mattina, in lacrime. Quando ti vide così si rizzò a sedere immediatamente, tentando di consolarti, chiedendoti continuamente cosa avessi. Lo guardasti negli occhi, mentre ti sentivi morire, e glielo dicesti.

Hai l’AIDS.

A quelle parole lui non disse niente, sorrise e voltò il capo.

-Lo sapevo. Me lo sentivo, che qualcosa non andava-

Nessuna delle cose che ti disse riuscì mai a tirarti su il morale. Tuttavia tentasti di rimanere con lui, fino all’ultimo, nonostante tutto, mentre anche il tuo corpo cominciava a indebolirsi, sintomo della stessa malattia.

Morì il 26 gennaio, in una mattina in cui il gelo albergava sia fuori quell’ospedale, che dentro il tuo petto. Quando lo vedesti, pallido e immobile, capisti all’istante. Piangesti a lungo stringendo la sua mano, senza riuscire a togliergli lo sguardo di dosso. Così, bianco, sereno, illuminato dal sole,  pareva ancor più un angelo.

Il luogo dove vanno gli angeli è il Paradiso. Ed è lì che ti raggiungerò, Mihael.

Poche settimane dopo, venisti ricoverato anche tu. E nonostante tutti gli incoraggiamenti dei dottori, che tentavano di farti andare avanti, era inutile. Si sa, una malattia si combatte, oltre che con le medicine, anche con la forza di volontà. E che senso aveva prolungare quell’inutile sofferenza quando poi sapevi che saresti morto comunque?

Ti lasciasti andare, senza più voglia di vivere, con solo il pensiero di quell’angelo biondo che ti aspettava dall’altra parte.

Ti spegnesti poco meno di un anno dopo, e poco prima che la Signora Nera prendesse la tua anima chiudesti gli occhi e quando lo vedesti, sorridesti alla sua mano tesa, al suo volto sereno e alle sua parole dolci.

-Vieni con me-

I'll love you 'til end.

  
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