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Autore: slice    28/09/2014    1 recensioni
Questo è l'inizio della serie ShikakuGenma. In realtà sarebbe potuta iniziare quando si sono conosciuti o quando Genma si è avvicinato, ma la serie si concentra prevalentemente su una storia d'amore tra un uomo gay e uno che, per quanto ne sa lui, non lo è. Per questo motivo lo status quo rimane tale quando si incontrano e anche quando si avvicinano; si incrina, magari, ma il vero cambiamento inizia con l'arrivo dell'elemento di disturbo.
In questa one shot ci sono un paio di oc poco approfonditi, ricordate però che fa parte di una serie ed è, appunto, solo l'inizio.
Giallo solo perché non riesco a smettere di dire parolacce. E what if? perché sono molto molto cattiva. ùù
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Genma Shiranui, Raido Namiashi, Shikaku Nara, Shikamaru Nara
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Prima dell'inizio
- Questa storia fa parte della serie 'La peggior ingenua grossa stupida bugia'
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Il frigorifero che si mangiò il mondo
di slice



Shikaku si sveglia di soprassalto quando un uccello gracchia, appena fuori dalla finestra della sua camera da letto. Sbuffa, calcia via le lenzuola e si mette seduto. Fino a due settimane prima non sapeva nemmeno che ci fosse un albero, vicino alla sua finestra, ma improvvisamente l'uccellaccio ha deciso che quello era il posto migliore per un nido.
“Che strazio,” borbotta, mentre si passa una mano sul volto e poi sui capelli sciolti.
L'uccello gracchia ancora, come per supportare la sua causa, e Nara si volta a metà verso la finestra, strizzando gli occhi per la troppa luce.
“Con tutti gli alberi che ci sono...”
Subito è costretto a voltarsi e si porta i palmi sugli occhi nel tentativo di non farli lacrimare.
La sveglia sul comodino ne ha ancora per una ventina di minuti, la sente ticchettare lieve, una cascata di ticchettii regolari che prendono tonalità diverse appena ci presta troppa attenzione, come una scala di note nella stessa chiave, come una risata. Shikaku si alza di scatto e si immerge nella semioscurità del corridoio per andare a svegliare suo figlio, prima che la sveglia che ride di lui lo faccia incazzare sul serio.
Bussa forte sulla porta di legno prima di aprirla.
“Shikamaru.”
La prima cosa che nota è la completa oscurità della stanza. Si acciglia, pensando che deve davvero fare qualcosa per quelle persiane; tutte le sere le lascia aperte per rendere il risveglio del figlio meno traumatico – e quindi il suo compito più facile - ma ultimamente la mattina le trova chiuse. Suo figlio ha il sonno leggero e durante la notte è probabile che si svegli spesso, quello che invece lo meraviglia è che abbia la forza di alzarsi, cosa che non sembra propria del retaggio Nara.
Appena la luce inonda la stanza, il grumo di lenzuola si fa un'arruffata pallina e un mugolio di sconforto lascia la stoffa.
“Buongiorno, è ora di alzarsi,” dice papà, pestando trucidamente un orsacchiotto nel suo percorso a ritroso, “e fai quelle benedette flessioni, prima di scendere.”
Dalle lenzuola si alza un diniego piagnucoloso.
“Credevo che volessi diventare un ninja...”
“Devo deciderlo ora?” dice la pallina.
Shikaku esce dalla stanza lasciando la porta aperta, va ad aprire le persiane della finestra sul fondo del corridoio e, quando la luce invade tutto il piano, torna verso le scale, passando davanti alla camera del figlio.
“Se, quando arriva, Genma ti trova ancora a letto, non diventerai un bel niente,” dice, scendendo le scale mentre si fa la coda.
Shikamaru le scende un quarto d'ora dopo, appena la sveglia in camera di papà l'ha spaventato nel mezzo del corridoio, facendogli nascere barbugli e rughe sulla fronte. Suo padre sta mettendo in tavola le bacchette e dei tovaglioli di carta, quando entra in cucina; si scambiano uno sguardo, entrambi imbronciati, e poi si siedono uno di fronte all'altro.
Mangiano per lo più in silenzio, Shikamaru di solito sbadiglia senza la mano davanti e Shikaku lo riprende anche se ha un intero giornale a coprirgli la visuale, è una routine nient'affatto studiata che grazia entrambi di una preziosa quiete prima di finire nel rullo degli eventi della giornata. Mentre quel silenzio in altre famiglie è segno di qualcosa fuori posto, nel loro clan è buona norma aprire bocca quando si ha qualcosa da dire e non perché si deve, così rimangono solo gli sbadigli e il suono delle bacchette contro la porcellana dei piatti.
Almeno fino a quando non odono alcuni passi e subito qualcuno bussa alla porta.
“È aperto,” annuncia il padrone di casa.
“Buongiorno!”
Shikamaru alza una mano, mentre si porta le bacchette alla bocca, ché voltato di schiena com'è non avrebbe potuto fare comunque granché. Shikaku borbotta un buongiorno, immerso nel giornale.
“Allora, narcolettici, vi sono mancato?”
È facile sembrare pimpante in mezzo a loro, Genma non deve sforzarsi più di tanto, inoltre ha scoperto in fretta che è divertente tirare la corda, visto che quei due si irritano ma non esplodono mai; ama in particolar modo le occhiatacce. Shikaku riuscirebbe a rimescolargli le budella anche con un passamontagna e Genma coglie ogni occasione per avere quegli occhi su di sé.
Il bambino lo ignora e si rivolge a suo padre.
“Perché è sempre così...” adocchia Genma che volta la sedia a capotavola e ci cade sopra a cavalcioni, poggiando le braccia incrociate sullo schienale.
“Irritante?” chiede Shikaku, recuperando l'attenzione del figlio, nonostante il muro cartaceo.
“No. Così...”
Shikamaru ci pensa su vorticando le bacchette in aria lentamente, come se mimasse il processo di ricerca interno di quel suo acuto cervellino.
“Rumoroso?”
Suo figlio sbuffa e lui abbassa il giornale per guardarlo, mentre volta pagina. In quel momento Shikamaru sembra aver trovato la parola giusta, ma già mentre la dice gli sembra una parolaccia.
“Luminoso!”
Genma scoppia a ridere e gli scompiglia i capelli. Il bambino, impegnato a cercare il termine più calzante per spiegarsi meglio, non si è accorto che, almeno di non essere un irritato moccioso appena sveglio, quello è effettivamente un complimento.
Shikamaru gonfia le guance, dimenticandosi pure di aver fatto una domanda.
“Dai, non fare quella faccia, come farai a portare una ragazzina a casa se sei tutto imbronciato.”
“Il cielo ce ne scampi e liberi,” borbotta Shikaku, cambiando trafiletto.
“Quanto mangi, hai finito? Guarda che me ne vado. Poi Iruka sensei vorrà sapere perché eri assente e dovrò dirgli che sei troppo pigro per...”
Genma non finisce neanche la frase poiché il bambino è corso di sopra a prepararsi.
“Lo avevi già spaventato al nome del sensei. Mi domando cosa usi per farsi ubbidire a quel modo.”
Genma, che si è alzato per prendersi un po' di caffè, torna seduto con la tazza in mano. La porta alle labbra e osserva l'uomo da sopra il giornale.
“Che hai?”
Il capoclan sposta gli occhi su di lui per un momento, prima di tornare sulle righe d'inchiostro, gradualmente le rughe sulla sua fronte si spianano finché non sospira.
“Niente, è quello stupido uccello...”
Il tokujo allunga una gamba sotto al tavolo, osservando casualmente il caffè sbattere contro i bordi della ceramica mentre muove la tazza in cerchio.
“Non ci sono stupidi uccelli, c'è solo chi non lo sa usare...”
“L'uccello che vola, Genma,” taglia corto l'uomo.
Lui allarga gli occhi e ingoia in fretta il caffè.
“Wow, che pile ci hai messo?”
Shikaku abbassa il giornale di scatto, rivolgendogli finalmente tutta l'attenzione. Genma fa altrettanto, incrocia le braccia sul tavolo e s'inclina leggermente verso di lui prima di sorridere genuinamente.
“Ciao!” trilla.
In quel momento Shikamaru trotterella giù per le scale.
“Sono pronto.” biascica.
“Oh, bravo! Andiamo.”
Shikaku li saluta con un cenno del capo e li guarda uscire, poi, appena prima di tornare al suo giornale, lo sguardo gli cade sul tavolo: trovarci tre tazze gli riporta il buon umore.



Allora, siccome tuo padre è una larva, ci penso io al tuo compleanno.”
Shikamaru butta la testa all'indietro, strizza gli occhi e mugola come se fosse stato colto da un improvviso dolore fisico. Shikaku sorride, prima di tornare al suo lavoro.
“Non fare quella faccia e siedi composto,” dice Genma, dando un leggero calcio a una delle gambe della sedia.
Ha in mano un foglio e una penna, li appoggia sul tavolo, lontano dai documenti del jounin, e si siede accanto al bambino.
“Prima di tutto devo sapere quanti sarete, quindi facciamo una lista di nomi. Vai.”
Shikamaru osserva accigliato la punta della penna a pochi millimetri dal foglio, poi alza gli occhi sul tokujo che aggrotta la fronte per spronarlo.
“Non ci voglio femmine!”
“Mi sembra un buon inizio, ma questa è una lista di persone che vuoi, Minimaru, non di gente che non deve esserci.”
Il bambino si passa entrambe le mani sul volto in un gesto fin troppo adulto ed esasperato.
“Chouji.”
Genma scuote il capo e scrive subito quell'ovvietà sul foglio bianco. “Poi?” chiede, quando si accorge del silenzio.
Shikaku sospira, al di là del tavolo, e cerca di ignorare le frequenti occhiatacce di suo figlio.
“Shino, Neji, Sas'ke... Kiba,” elenca Shikamaru, con un sospiro, quando si accorge che non c'è verso di invitare solo persone coscienti degli spazi vitali altrui. “Lee e Naruto.”
In effetti Neji e Lee sono della classe accanto alla loro e un anno più grandi, ma il secondo è così chiassoso che non è stato possibile non notarlo e soprattutto Kiba e Naruto lo hanno subito trascinato tra loro. Neji pare trovare confortante circondarsi di scemi per poterli guardare con disapprovazione e loro hanno potuto offrirgli materiale di prima qualità.
“Basta?”
“Sono già troppi.”
“Solo se avevi intenzione di giocare a Go tutto il tempo.”
“Vuoi dire che non potrò giocare a Go?” Genma alza un sopracciglio e lui ne abbassa due corrugandole. “Non dovrei fare qualcosa che mi piace, nel giorno del mio compleanno?”
“Lo scorso anno hai dormito tutto il giorno perché ero in missione.”
“È stato indimenticabile.”
“Ok,” sospira Genma, girando sottosopra il foglio e portandosi contemporaneamente l'altra mano sugli occhi, “cosa vuoi fare?”
Shikamaru rimane un attimo spiazzato e quando lancia un'occhiata verso suo padre lo scopre interessato alla conversazione.
“Non saprei...” inizia vago, riportando l'attenzione al tokujo, “immagino ci debba essere una torta o... qualcosa di dolce.”
“Tipo?”
Totalmente sicuro che non ci siano torte allo sgombro, il bambino avrebbe subito optato per una cosa semplice, poi però, quando ha ormai già aperto la bocca, gli sovviene il fatto che non sarà lui a farla: improvvisamente vedere Raido e Genma - che litigano - nella sua cucina sporchi di farina, si prospetta una cosa divertente.
“Wagashi.”
Genma si fa serio, porta lo sguardo sul foglio e poi sospira. Appena la penna inizia a scrivere un sorriso nasce sul volto di Shikamaru, ma quando se ne accorge subito torna serio, spostando l'attenzione su suo padre. Lui lo sta guardando e ha una luce divertita negli occhi che lo fa riprendere a sogghignare.
“Immagino che tu voglia lo sgombro, per pranzo...” continua Genma.
“Per cena,” lo interrompe il bambino, “voglio invitarli a cena e guardare un film dopo. È una cosa che si può fare in tanti, no?”
Genma annuisce, scribacchiando velocemente altre due cose.
“Sei sicuro che non vuoi Ino?”
Shikamaru torna subito ad accigliarsi.
“Sicurissimo.”



Raido alza la testa di scatto, Iruka lo ha svegliato per la terza volta e Kotetsu e Izumo ridono, perché a quanto pare non c'è un cazzo da fare ma si deve stare svegli lo stesso. Il tokujo si imbroncia come un bambino e si massaggia la testa. Non è per via del colpo, bensì il fatto che Iruka lo abbia colpito con il giornale arrotolato, come si fa con un cane disubbidiente. Tuttavia il suo scorno dura poco e appena alza gli occhi sul grande orologio della stanza delle missioni il suo umore torna di sfumature molto chiare. Deve infatti aspettare solo una manciata di minuti affinché il suo turno finisca.
Dopo solo u quarto d'ora Iruka sta correggendo dei compiti per l'accademia, Izumo scambia qualche convenevole con un jounin, mentre quello gli allunga il suo rapporto, e Kotetsu sta finendo di classificare i rapporti del primo turno. Raido scarabocchia i baffi di un gatto con una lisca di pesce in bocca, prima di accartocciare il foglio e buttarlo nella spazzatura. Poi si alza. Genma sceglie proprio quel momento per aprire la porta e se Raido non avesse i riflessi che ha, avrebbe preso una gran botta in testa.
Afferra la maniglia e l'occhio gli cade sulla parte opposta, la manopola rinchiusa nelle dita del compagno.
“Vuoi decapitarmi?” abbaia, innervosito.
“No, mi serve il tuo aiuto, sarebbe stupido decapitarti proprio ora.”
Genma sorride, ma il cipiglio dell'altro si fa più profondo ed è costretto a far vagare lo sguardo per la stanza e salutare i presenti, per distrarsi.
“Aiuto per cosa?” chiede Raido, sospettoso.
“Domani è il compleanno di Minimaru.”
“E io che c'entro?”
Genma si ferma a metà scalinata e si volta per scrutare l'espressione confusa del compagno.
“Be', suo padre non farà niente e lui non è che abbia chiesto l'impossibile, quindi...”
“Suo padre non farà niente perché sa che lo farai tu, Genma, come t'è venuto in mente di viziare un Nara?”
“Senti, mi serve una mano per fare dei wagashi. Andiamo a fare la spesa, li montiamo e poi li cuocio io domani. Non può essere difficile!”
Raido rimane sconvolto.
Genma aveva una cotta per Shikaku Nara, quand'era ragazzino. Lui non saprebbe quantificare quante volte ci ha riso su, prendendolo in giro, ma in fondo erano tutte parole innocue, perché Raido conosce bene Genma e lo ha capito prima di lui che non si trattava solo di una cotta. Quando è nato Shikamaru, Genma aveva sempre una parola di disprezzo per quel grumetto di vestiti e Raido rimaneva in silenzio perché gli occhi di Genma brillavano quando seguiva il bambino con lo sguardo. Per questo la maggior parte delle volte in cui hanno uno scontro verbale ci tiene a precisarlo: a lui non manca la pazienza, è Genma che è tardo.
“Montare, cuocere il giorno dopo... Non è che tu non sappia cosa sia un wagashi, non sai proprio cos'è una cucina. Il fatto che io lo sappia dovrebbe essere un merito, non una maledizione.”
Genma alza le spalle e fa qualche passo in strada, in direzione del centro.
“È un sì?”
Come in ogni buona amicizia la profonda conoscenza è reciproca e Genma sa che Raido è stanco e vorrebbe andarsene a casa, ma conosce anche tutti i suoi punti deboli; per sua fortuna, avere un'adorabile sorellina minore ha fatto sì che Raido si riduca a un grosso labrador ogni qual volta c'è di mezzo un bambino.
Prevedibilmente Namiashi soffia forte e cede come un Nara.
“Lo faccio solo per quel povero ragazzino che altrimenti mangerebbe qualcosa di montato e cotto ventiquattro ore dopo!” cantilena con un tono indignato, gesticolando.
Shiranui ride.



Genma bussa, ma Raido neanche vede la porta, così si ferma a naso, prima di sbattere contro il compagno. L'altro si volta verso di lui solo per trovarsi un muro di sporte a un palmo di distanza. Sorride e si volta nuovamente verso la porta.
“Saresti un'ottima mamma, lo sai?”
“Smettila! Sono qui, ti sto aiutando, non tormentarmi.”
“Sì, mamma chioccia. Ciao, moccioso!”
Shikamaru apre di più la porta per farli passare e poi li segue in cucina.
Al tavolo c'è Shikaku che sta mettendo via la scacchiera e i fogli del lavoro precedentemente abbandonati in parte. Li impila sulla tavola da gioco e porta tutto via, probabilmente il più lontano possibile dal macello che faranno.
“Raido san, come ha fatto a incastrarti?” chiede Shikamaru, sedendosi in disparte per non dare fastidio e avere contemporaneamente una buona visuale.
“Ha un debole per i mocciosi,” risponde Genma per lui.
Raido sorride al bambino, prima di alzare gli occhi su Shikaku quando rientra nella stanza per andare a sedersi vicino al figlio.
“Oh, ma sei sicuramente l'unico!” trilla il padrone di casa, sarcastico.
“Sì, certo!” ride lui.
Genma li ignora, tira fuori ciò che gli serve e mette in frigo il resto, poi inizia ad aprire sportelli e cassetti per procurarsi il necessario.
“Oh, questa è la tua cucina?”
Shiranui si volta verso il compagno e assottiglia lo sguardo, prima di sorridere largamente.
“Che cos'è questo?”
“Non cominciare...”
“Cosa? L'hai comprato tu! Cioè, l'ho pagato io, ma l'hai scelto tu. Si cuoce o si mangia così? Cosa c'è dentro?”
Si rigira il pacchetto tra le mani, ma è tutta scena, non fa neanche in tempo a leggere la prima riga di raccomandazioni su un lato che è già passato a cercare la data di scadenza sull'altro. Si diverte principalmente perché Shikamaru sta già ridacchiando, ma anche perché gli occhi del padre sorridono.
“Gen, giuro che t'ammazzo, stasera.”
“Perché, che ho fatto?”
“Lascia stare lo zucchero semolato e dammi un tagliere.”
Raido fa una faccia seria che si scontra su un pacchetto di zucchero semolato con i baffi e quando l'altro avrà finito di disegnarle avrà anche le orecchie.
“Che devi tagliare?”
“Mi serve per avere un piano rigido che non sia il tavolo, a prescindere da cosa devo farci.”
“Ma il tagliere non serve per tagliarci sopra?” chiede Genma, mentre gli porge l'oggetto.
“Qualcuno potrebbe dire che la tua testa serva per pensare...”
“Oh! E invece?”
“Guarda, fammi un favore: stattene lì, fermo e zitto!”
“Nooo, volevo aiutarti!”
Raido non può vederlo, ma appena Genma ha finito la frase volta la testa verso il bambino e sorride lievemente come per dire che invece ha ottenuto esattamente quel che voleva. Shikamaru scoppia a ridere.



Shikaku sbadiglia e volta pagina al giornale. Lo ha letto cinque volte, ma non si stupisce quando legge ancora qualcosa che prima gli era sfuggito. Se non fosse per Shikamaru che gli dorme addosso allungherebbe le gambe, si sporgerebbe verso il tavolo e prenderebbe una delle circolari, tanto per cercare di portarsi in pari con il lavoro, visto che in quei due giorni non ha fatto granché e l'indomani sarà occupato a tenere a freno otto bestie iperattive, ma suo figlio ha deciso che il fianco di suo padre gli appartiene perciò lui rimane fermo e cerca di voltare pagina con una mano sola. In ogni caso non concluderebbe poi molto perché la distrazione maggiore è ancora in casa sua, nonostante si sia fatto tardi.
“Ti dico che non c'entra.”
“Ma che dici, deve entrarci per forza... È uscita da lì!”
“Be', allora provaci tu!”
Genma strappa di mano a Raido il cacciavite che gli sta porgendo.
“Forse abbiamo sbagliato buco...”
“Dei, voi etero siete tutti uguali: io non sbaglio mai buco.”
“Tu hai a disposizione un buco solo, se sbagliassi sarebbe alquanto bizzarro!”
“L'unica cosa bizzarra qui è che un ninja non riesca a collegare come la vite piccola vada nel buco piccolo e quella grande nel buco grande! Vuoi un antiacido?”
“Ma smettila, sei minaccioso come un peluche mentre bisbigli, con quei capelli arruffati.”
Shikaku alza il giornale e ci si nasconde dietro, ringraziando che suo figlio dorme.
I due tokujo stanno montando il videoregistratore. Genma voleva portare il suo, ma Raido ha voluto regalarne uno al bambino e così sono tornati in casa sua per montarlo e far svegliare il festeggiato l'indomani con l'oggetto funzionante.
Sospira pensando che quello è un unico pezzo e non c'era davvero bisogno di togliere il pannello. Il commerciante gli ha consigliato di aprirlo e controllare che non ci fosse polvere all'interno perché era esposto. Una cosa facile considerato che si parla di svitare e avvitare cinque viti e che loro sono due jounin speciali.
“Quella che cos'è?”
“Oh no...” Genma si porta una mano sulla tempia, sconsolato.
“È una vite! Cosa ci fa una vite qua, ora che lo abbiamo rimontato?”
“Non lo abbiamo smontato...”
“È lo stesso, come mai avanza una vite?”
“Non avanza, è chiaro che l'abbiamo lasciata fuori.”
Tu l'hai lasciata fuori!”
“Non essere ridicolo, che importanza vuoi che abbia?”
“Oh, ce l'ha! Dici sempre che sono gli etero a essere così poco attenti.”
“Questo perché è vero!”
“D'accordo, però alza il piede, ché stai pestando il cacciavite, mister Attenzione.”
Shikaku preme le labbra insieme per non ridere, le sue spalle tremano e lui si costringe a non guardare i due ninja seduti sul suo tatami, con istruzioni e cacciavite in mano, per non esplodere in una risata.
“Ecco! Non andava all'interno, va qui!”
“Complimentoni, adesso metticela.”
“Lo vuoi tu l'antiacido, adesso?”
È un po' come vedere suo padre e sua madre che bisticciano. Suo padre è morto, ma quando sente la voce di sua madre ricorda benissimo i loro battibecchi e di come tutto finisse in un silenzio rilassato, come vecchi amici, come se avessero passato insieme più di una vita, e di come entrambi si voltassero un'ultima volta a guardare l'uno all'insaputa dell'altro, prima di uscire dalla stanza.
All'improvviso, anche se la luce è poca viene oscurata quando Raido gli si para davanti.
“Ora è tutto a posto. Buonanotte, Shikaku san.” dice, sorridendo alla vista del bambino ancora addormentato, prima di inchinare il capo.
“Buonanotte, e grazie dell'assistenza.”
Lui fa un gesto vago con la mano, già rivolto in direzione del corridoio.
“Sì, Rai, grazie!”
“Domani non ci sono, quindi non cercarmi!”
Genma ride e borbotta qualcosa come “ma domani hai il giorno libero”, che però gli altri due scelgono di ignorare.
Quando la porta si chiude, Genma è ancora seduto in terra e sta sistemando i cavi in modo da non inciamparci.
“E tu?”
Il tokujo alza la testa e gli rivolge un'occhiata confusa. “Eh?”
“Tu non hai il giorno libero.”
“No,” sorride.
Si alza, aiutandosi con una mano, fa un paio di passi goffi, intento a sgranchirsi le gambe, e sposta lo sguardo su Shikamaru.
“Posso portarlo su io?”
Shikaku lo osserva un momento, poi alza le mani, ora prive di giornale, e gli fa cenno di servirsi. L'altro si abbassa, prende di peso il bambino che mugola infastidito e se lo porta in collo, poi con la scimmietta abbarbicata al torso va su per le scale.



Non c'è nessun giro di parole che spieghi quanto Genma gli sia stato utile in quei quattro anni.
Shikaku conosceva già l'orientamento sessuale del tokujo; lui non lo ha mai nascosto, dopotutto. È facile pensare, quando ci si trova all'improvviso sommersi di attenzioni, che ci sia un prezzo da pagare, lo capisce e lo avrebbe pensato anche lui, se solo Genma non avesse iniziato quel corteggiamento da Shikamaru.
Un uomo single, gay, non si avvicina ad un altro uomo tramite il figlio, non importa da quale parte si guardi, suona sbagliato per un sacco di ragioni.
Gli è sorto qualche dubbio quando si è trovato il figlio accompagnato da un jounin con cui in definitiva non aveva molto in comune, ma anzi quasi dieci anni di differenza. Prima fra le domande è stata una chiarezza d'intenti. Ho un figlio piccolo e non posso stare dietro a te, dimmi cosa vuoi? Ma niente, voleva solo accompagnarlo a casa. Shikaku ha dovuto andare a vedere di persona.
Nei primi due anni di accademia, all'ora in cui suo figlio esce, Shikaku è ancora in ufficio, così quel giorno prende un'ora di permesso. Mentre altri bambini vengono prelevati da un genitore, Shikamaru aspetta fuori, poi quando Iruka fa per andarsene con Naruto, gli chiede se vuole essere accompagnato anche lui, ma il bambino declina. Suo figlio ha gli occhi bassi e tristi e quando scorge la sua copia, al limitare del cortile dell'accademia, si tira in piedi di scatto e sorride.
Guarda che tuo figlio rimane da solo quasi venti minuti, tempo in cui persino Naruto che non ha nessuno viene preso per mano e portato via.
Genma non gliel'ha mai detto, ma avrebbe dovuto. Così va a cercarlo a casa e gli chiede se abbia tempo di prendere suo figlio da scuola il giorno dopo. Il giorno dopo lo ringrazia e gli dice “ci vediamo domani”.
Al primo compleanno passato insieme, Shikamaru gli ha chiesto se Genma potesse anche accompagnarlo la mattina all'accademia. Da allora tutte le volte che può ce lo porta lui.
Poi, il resto, è venuto da sé. Shikaku ha confini morbidi, flessibili, con la fiducia; finisce per acconsentire a cose che in teoria non appartengono alla loro situazione.
Si ripete che Genma lo è, è interessato a lui e non certo come capo dei jounin, si ripete che dovrebbe darci un taglio, che non è giusto, che deve essere chiaro. E poi quando il tokujo manca per settimane, quando è in missione, cade nella paura irrazionale di non vederlo tornare. Di doverlo spiegare a Shikamaru e di non averlo più intorno: il suo aiuto migliore è la sua presenza.
È Shikaku, per primo, a non voler chiudere quella porta perché non gli interessa dove conduca, vuole solo che stia aperta.
È deciso a porsi più domande e a definire quello che si tiene egoisticamente stretto, ma per ora non si è dato nessuna scadenza.
“Non devi davvero fare niente, con quel bambino, se lo appoggi da qualche parte dorme. Anche tu eri così?”
Genma entra in cucina ridacchiando e lui sorride.
“Più o meno, siamo un po' fatti con lo stampino in questo clan.”
L'altro ride piano e si porta accanto a lui che lava i piatti. Lui lo vede prendere un asciughino con una mano e il primo oggetto bagnato che trova con l'altra.
“Non dovevo farlo io?”
“Nah, dovresti andare a nanna, invece, domani sarà una giornata piena,” butta lì.
Genma si sporge e lo guarda in volto, costringendolo a voltarsi verso di lui. Allora gli punta un dito contro.
“Te lo scordi, Nara, è già tanto che mi trovi il tuo moccioso da tutte le parti.” Quando Shikaku alza un sopracciglio lui continua, prendendo ad asciugare una tazza. “Sì, la scorsa domenica me lo son trovato alla porta di prima mattina e il tizio che era nel mio letto è dovuto uscire dalla finestra.”
Non ci dovrebbe essere affatto, la gelosia, neanche quell'ombra in quell'angolo. Grazie tante, lo sa benissimo. È tutto chiaro finché non c'è quell'ombra in quell'angolo e il fatto che ci sia quando si parla di sesso è davvero seccante. Perché la prima cosa che Shikaku ha capito è che l'altro non è lì per il sesso, ma se lo fosse stato sarebbe tutto meno complicato. Avere intorno una persona tutto quel tempo, sapere l'interesse che ha per te e poi ricordarsi che logicamente cerca altrove quello che non puoi dargli, probabilmente non avrebbe effetto su chiunque, su qualcuno non interessato, Shikaku non sa darsi una risposta certa poiché a lui interessa. La gelosia tende a essere una di quelle cose umane, inevitabili, ma non è sintomo di niente, è un effetto causato dall'affetto.
Per uscire da quel girotondo di pensieri, riporta l'attenzione sul discorso e si concentra sulle parole del tokujo. Pensa che Genma sia di una dolcezza disarmante e che solo lui poteva far uscire un amante dalla finestra invece di vendere al bambino una qualsiasi scusa per lasciarlo sul pianerottolo.
“Oh e, per inciso, mi devi novemila ryo.”
“Per cosa?”
“Per la spesa, genio.”
“Pensavo fosse il tuo regalo di compleanno...”
“Non essere idiota! Certo che no.”
Mentre il silenzio si allunga e si stiracchia nella stanza, Shikaku pensa a cosa può aver comprato il tokujo a suo figlio, ma appena si ricorda gli eventi di qualche giorno prima sorride.
“No, non puoi aver capito cos'è. Ne sono sicuro.”
“Buon per te.”
Non riesce proprio a smettere di sorridere.
“Dai, a cosa hai pensato?”
“Sei dolcissimo.”
La prima volta che glielo ha detto erano fuori dalla stanza delle missioni. Dovevano andare in missione, lui, Inoichi e Chouza, perciò l'ultimo avrebbe tenuto Shikamaru a casa con Chouji e sua moglie. Genma era uscito con le mani in tasca e il senbon quasi tutto fuori dalla bocca, retto dai denti. Mh, ecco, Chouza san, potrò andare a trovare Shikamaru? Il jounin ha risposto che poteva andare quando voleva.
Genma aveva passato la settimana a dire che si liberava di un peso, che anzi la missione era troppo breve, ma sarebbero state due settimane di riposo, poi eccolo lì, a chiedere permesso balbettando. Appena i due compagni di team si erano allontanati, Shikaku non ha potuto che dare voce ai suoi pensieri. Genma è arrossito, aveva distolto lo sguardo e spostato il peso da una gamba all'altra, mentre si rigirava il senbon sulla lingua e sospirava infastidito. Se, dopo averlo detto, Shikaku avrebbe potuto sentirsi vagamente imbarazzato per le sue stesse parole, la reazione dell'altro lo ha stupito e dirlo si è trasformato in qualcosa di divertente.
Adesso quando lo dice - e spesso lo fa a comodo, per distrarlo e cambiare argomento - lui riesce a reagire come se fosse una battuta, ma a seconda delle circostanze Shikaku vede ancora del rossore sotto gli occhi schivi. È meraviglioso scoprire che un jounin speciale può ancora avere certe reazioni e Genma non sa ricevere complimenti. Soprattutto se riconosce, nel profondo, che c'è un pizzico di verità.
“Sì, be', mi devi comunque novemila ryo.” borbotta.



Shikamaru si sveglia con la camera inondata di luce. Mugola, coprendosi il volto con il lenzuolo, incapace di aprire anche solo un occhio a metà. Ficca con stizza la testa sotto al cuscino e piagnucola qualcosa sui padri, le mattine e le stupide persiane.
Rimane così un tempo che pare infinito e, anche se non riesce a riaddormentarsi, è caldo e comodo là sotto. Lui è sveglio, ma i suoi pensieri non sono ancora fastidiosi, sono morbidi, fluidi, lenti, gli permettono di svegliarsi e, con una punta di disagio, può sentire la voglia di alzarsi salirgli addosso.
Butta via le coperte, si mette seduto e si stropiccia la faccia. Non ha ancora la facoltà di aprire gli occhi, ma a tentoni raggiunge la porta e con suo sommo sollievo il corridoio è molto meno illuminato. Improvvisamente il bagno sembra vicino e urgente, quindi non pone resistenze in favore di mero bisogno.
Quando esce non è cambiato niente, il corridoio è ancora in penombra e la porta della camera di suo padre è chiusa. Ci si avvicina, cauto, e scopre che non è proprio chiusa, c'è una fessura. Stende la mano per premerla sul legno finché la porta non cede e si apre un po' di più.
La stanza è piena di luce, come la sua, ha la finestra leggermente aperta e la tenda smorza il sole nell'angolo in cui suo padre ha la testa. Il letto è grande e il corpo di Shikaku non è perfettamente centrato, ma non è neanche su un lato. Shikamaru si avvicina.
Una domenica che è rimasto a dormire a casa di Chouji è stato trascinato a svegliare i suoi genitori; per la colazione, ovviamente. La camera era grande più o meno quanto quella e il letto era matrimoniale, dentro c'erano due figure e dormivano ognuna su un lato. Shikamaru sa che anche quella è una camera matrimoniale, ma non ha mai visto due figure in quel letto.
In realtà, la maggior parte delle volte, nella sua visione, la sua famiglia non ha niente che non va, ma è solo abitudine: questa è la famiglia che lui conosce. Chiaramente basta guardarsi intorno, basta riflettere un po' e l'incantesimo si rompe. Si è fermato spesso a pensare come sarebbe stato avere una madre, ma raramente riesce ad afferrare il significato di quella mancanza per suo padre. È molto complicato, cerca di immedesimarsi, di vedere le cose dal punto di vista di qualcuno che deve occuparsi di lui, del lavoro, della casa, di tutto, poi deve vederle dal punto di vista di qualcuno che lo fa da solo e infine da quello di qualcuno che non è sempre stato solo e aveva meno responsabilità, prima. Non è affatto facile, né è affatto bello quel poco che riesce a capire, a sentire. Sembra di avere dei vestiti di piombo, sembra tutto così pesante che a un certo punto Shikamaru perde tutti i collegamenti, perde le sensazioni, perde il senso di quel che stava cercando di afferrare e ritorna a essere confuso, completamente all'oscuro di cosa si senta a stare dall'altra parte. Come un interruttore per la luce: un momento c'è, il momento dopo no. Scuote la testa, non gli è arrivato un brivido, ma è come se certi pensieri gli fossero preclusi e il volerci andare con la mente gli procurasse dei fastidi fisici.
Un uccello gracchia fuori dalla finestra, lui sobbalza e il suo sguardo si posa sull'albero davanti alla casa.
“Shikamaru?”
Si guardano un momento. Il bambino ha anche aperto la bocca, voleva dare il buongiorno, ma suo padre ha scostato le coperte per invitarlo sotto e lui non se lo fa ripetere due volte. Viene subito abbracciato e baciato sulla testa. Protesterebbe, ma la voce dell'uomo gli ricorda qualcosa che non avrebbe dovuto dimenticarsi.
“Buon compleanno, Minimaru!”
“Papà...” sbuffa.
“Sai, da quando sono nella sua posizione, capisco molto bene cosa intendesse mia madre quando diceva che sarei rimasto per sempre il suo bambino,” e mentre lo dice dà una strizzata più forte al gruppetto d'ossa tra le sue braccia.
Shikamaru protesta. “E a te piaceva che ti trattasse da bambino?”
Lui sospira profondamente, comunicandogli così la risposta. Indubbiamente suo figlio ha il suo cervello e sorride pensando che ha tanta strada da fare se pensa che gliela renderà facile.
“Ha funzionato.” dice.
“Cosa?” Shikaku ridacchia e Shikamaru alza la testa per guardarlo in faccia. “Cos'hai fatto?”
“Ho tolto le persiane...” ride.
“Dai...”



Genma non è d'accordo su un sacco di cose. Ad esempio per lui nel giorno del compleanno non si dovrebbe fare niente, proprio niente, per questo il fatto che Shikamaru sia all'accademia gli pare un'ingiustizia. Sbuffa forte come se fosse lui il bambino che sbadiglia, costretto ad accasciarsi su uno scomodo banco, accanto a Chouji.
In quel momento si accorge che, da quel ramo, può vedere tutta la classe, ma non vede il viso del figlio di Chouza perché è voltato verso Shikamaru. La guanciotta rossa, che scorge da lì, si muove, segno che sta parlando, perciò si concentra per isolare solo la sua vocetta, nel trambusto che esce dalla finestra semiaperta.
Chouji gli sta dicendo di non preoccuparsi, che le parole dei compagni sono solo cattiverie gratuite; Genma si immagina che gli altri bambini si sentano feriti perché non sono stati invitati. Shikamaru non lo guarda nemmeno, sbadiglia e annuisce. Chouji gli sorride.
Quando le lezioni finiscono il tokujo aspetta sempre qualche momento, un po' perché non ci tiene a fare la mamma ansiosa, ma principalmente per lasciare al bambino del tempo con i compagni. Rimane sul ramo, abbastanza vicino da sentire e vedere.
“Cos'è, il club dei disadattati?” Un bambino castano, minuto di corporatura rispetto agli altri, insegue il gruppetto. “Essere senza un genitore è indispensabile, immagino.” Lo scricciolo scansa un pugno all'ultimo momento, Naruto digrigna i denti e inspira un paio di volte per calmarsi, poiché Iruka è poco distante.
“Qualcuno mi spieghi come mai i vostri genitori vi hanno lasciato!” ride un bambino moro, allontanandosi però da Sasuke quando i suoi occhi diventano rossi.
“Secondo te ha invitato solo i figli di grossi clan?” gli chiede l'altro.
“Sì, Nara, è un caso che ci siano Hyuuga, Uchiha e Aburame tra gli invitati?”
Shikamaru non ribatte, Genma ancora una volta non vede i volti né suo né di Chouji, in compenso sente la voce di quest'ultimo.
“Uzumaki non ha nessun clan e a voi neanche piace.”
“Sì, vi tira il culo che non siete stati invitati!” strilla Naruto, puntando un dito contro i due bambini. Iruka gli dà subito un gran nocchino in testa e si prepara per riprenderli tutti mostrando la sua capacità polmonare.
Genma si accorge di essere atterrato nel cortile solo quando i bambini si voltano verso di lui e cala il silenzio. La sua espressione deve essere particolare poiché anche Iruka si dimostra a disagio. Lui per un momento fissa semplicemente i bambini che non conosce, poi Iruka si schiarisce la voce.
“Mi dispiace, Genma san,” sorride mesto, “sono solo bambini...”
Vorrebbe che Kakashi avesse sentito. Principalmente perché nessuno dice mai niente al copia ninja e se rimette in riga dei ragazzini i genitori lo ringraziano, ma soprattutto perché è sicuro che a Kakashi, l'orfano appartenente a un buon clan, farebbe piacere conoscere la teoria dei pre genin sul perché i suoi genitori lo abbiano lasciato. L'espressione del tokujo provoca un marcato disagio tra i nanetti, ora incredibilmente timidi e schivi, così lui sorride, sciogliendo tutta la tensione.
“Brucia, eh, non essere invitati?” ride.
Iruka rimane un po' interdetto, alla fine decide di ignorarlo e si risparmia la fatica di riprenderlo come fa con i suoi alunni.
Genma prende la mano di Shikamaru quasi con stizza, rinchiudendola in una stretta ferrea, senza fargli male ma anche senza lasciargli scelta. Poi, prima di iniziare a tirare il bambino verso casa sua, ricorda agli invitati l'orario della festa.



Trovano il cancellino chiuso, segno che Shikaku non è ancora arrivato, e attraversano tutto il giardino fino al viottolo che porta sul retro. Genma si ferma solo in mezzo alla terra battuta del primo tratto, quello più vicino alla casa, poi lascia la mano del bambino che si è praticamente trascinato fin lì. Le sue dita sfilano un kunai dalla sacca e ne piantano la punta nel terreno per fare un cerchio tutt'intorno a loro, si accuccia davanti a lui, gli afferra i polsi e lo guarda negli occhi. Shikamaru ricambia lo sguardo e, per la prima volta da quando lo ha preso all'accademia, nel suo c'è anche della curiosità oltre alla tristezza.
“Facciamo un gioco.” Genma lo osserva alzare un sopracciglio, prima di proseguire con la spiegazione. “Lo vedi questo cerchio?” Il bambino annuisce. “Qui dentro puoi fare quello che vuoi, tutto quello che ti pare, e non lo saprà nessuno.”
Shikaku, due finestre più avanti, ha smesso di prestare attenzione al proprio lavoro e lascia la tazza di tè sul kotatsu senza fare rumore.
Shikamaru apre la bocca pronto a dirgli che è un'assurdità, poi però, nel pensare al perché dovrebbe farlo, gli tornano in mente le parole di quei ragazzini e una stretta forte s'impossessa della bocca del suo stomaco. Le sue labbra si piegano in una smorfia e subito dopo gli occhi bruciano, porta lo sguardo sul viso del ragazzo e trova i suoi occhi chiusi, la sua espressione impassibile, come se non lo vedesse né lo sentisse. Solo allora capisce il senso di quel cerchio ed è costretto a tirare le labbra in una linea dura, a premerle forte mentre grosse lacrime scivolano giù per le guance, già arrossate per lo sforzo dato dal trattenersi, e le sue spalle tremano.
Non gliene frega niente dell'opinione di quei suoi compagni, conosce la verità, suo padre non gli ha mai nascosto niente, non ha motivo di soffermarsi su quel che è stato detto. Questo non significa che non si faccia mai domande che pungono, a volte a forza di farsele gli sembra di sanguinare, da qualche parte dentro di sé, e neanche suo padre può rispondere al perché di quell'ingiustizia, perché proprio a lui, perché la sua mamma.
Genma lo sa che ha corrugato le sopracciglia al punto che potrebbe vedersene uno solo, ma se c'è una cosa che non sopporta è sentire le persone piangere, piegarsi, rompersi. I bambini poi non dovrebbero sapere che le lacrime sono salate, non dovrebbero sapere quale inclinazione prende la loro voce quando l'aria sembra bruciare nei polmoni. Non lo sopporta e alla fine allunga entrambe le mani e costringe il bambino verso di sé.
Shikamaru è sveglio, intelligente, brillante, eppure quando lo abbraccia sembra solo un bambino, è piccolo e trema.
“Perché... ?”
Genma sospira e poggia la testa sul proprio braccio che cinge le piccole spalle.
“La mia ipotesi è che fosse preoccupata per te, di non poterti essere sempre vicino. Invece ora, dal cielo, ti vede ovunque tu vada.”
L'aria sembra congelarsi nei piccoli polmoni per un momento, prima che venga spinta fuori da un singhiozzo.
“Ma io volevo abbracciarla...”
Sembra così ovvio che farebbe ridere se solo non facesse piangere. Il tokujo pensa di riflesso a quanto è frustrante l'assenza di un genitore, quando si è così piccoli, manca qualcosa da stringere, da guardare, da seguire. Manca, proprio perché anche se non c'è mai stato, si sa istintivamente che avrebbe dovuto esserci.
Il bambino stringe la sua maglia e si irrigidisce. Il pianto gli impedisce di suonare scocciato come vorrebbe e Genma da così vicino può sentire il fastidio di questa perdita di controllo improvvisa sul suo giovane corpo.
“Allora perché non abbracci papà il doppio? Così poi lui lo dà alla mamma da parte tua.” gli si chiude la gola mentre dice le ultime tre parole, quindi ingoia aria, cercando di mantenere la mente lucida, sopra quei singhiozzi.
Shikamaru lo spinge via leggermente, il necessario per guardarlo in volto. Gli occhi sono grandi, larghi di sorpresa, e le guance rosse sono bagnate solo a metà perché da un punto in poi si è asciugato sulla sua divisa.
“Vuoi dire che papà parla con mamma?”
“Be', non che lei risponda, ma... Certo! Ecco perché è importante che tu gli dica sempre tutto, così lui lo dice a tua madre e lei ti aiuta.”
Gli occhi del bambino sono fissi nei suoi per cercare una bugia, dura un lungo momento in cui non sbatte neanche le palpebre, aiutato dalla lubrificazione del pianto, poi quello sguardo si perde in un punto lontano oltre la sua spalla e lo shinobi può vedere quel brillante piccolo cervellino lavorare freneticamente per cercare falle o informazioni contrastanti ricevute in passato. Poi il bambino aggrotta la fronte e torna a guardarlo in volto. Genma sorride lievemente e Shikamaru gli mostra tutti i denti, prima di abbracciarlo.
Shikaku regge fermamente una delle pagine del rapporto sulle pattuglie esterne, passandoci sopra uno sguardo privo d'attenzione, l'orologio ticchetta sul muro e suo figlio in giardino ha finalmente smesso di piangere. Alza la tazza fino al volto e trae un sorso di tè ormai freddo, fingendo noncuranza quando la porta si apre.
“Ehy,” dice, sorbendosi un abbraccio, “tutto bene?”
Shikamaru annuisce e lo stringe ancora più forte, dandogli quel secondo abbraccio che fa serrare la mascella del padre. Lui lo stringe a sé e lo bacia sulla testa, prima che si dimeni e corra su per le scale.
Genma si siede al lato opposto del kotatsu. Pensava che in casa non ci fosse nessuno, ma in effetti ha senso che proprio quel giorno sia uscito da lavoro un po' prima. Si allunga e gli frega un po' di tè, ma emette un verso contrariato scoprendolo freddo, poi muove la mano in un gesto vago quando si sente osservato.
“Niente di che, mocciosi cresciuti da genitori stupidi,” borbotta. Alza un ginocchio e si sbilancia all'indietro, portando una mano aperta dietro di sé per sostenersi. “Certa gente andrebbe castrata da piccola.”
Pur non avendo figli il tokujo ha consolato il suo, cosa che a ben vedere sarebbe compito del padre - se solo non fosse impegnato in ogni singolo momento della giornata - ma cosa più importante Genma ha dato a Shikamaru uno sfogo e, con il pretesto del tramite, ha reso suo padre il miglior confidente.
“Grazie.”
“Mh, non sapevo che fossi in casa... Avresti dovuto farlo tu.”
Entrambi sospirano, ma sono troppo presi dal proprio per accorgersi di quello dell'altro.
“Non lo so, te la sei cavata bene.” Genma storce il naso, guardando altrove, e Shikaku sente la propria tensione sciogliersi. “Davvero, sembravi così a tuo agio...” butta lì, anche se non ci vogliono molte esche, se si parla di Shiranui.
“Stai scherzando?” urla e bisbiglia insieme, lanciando un'occhiata preoccupata alle scale, “Ero nel panico, odio i bambini che piangono, mi fanno sentire... male!” e lo dice con un'enfasi e una faccia che fanno sorridere l'altro.
“Sei tu che glielo hai suggerito, con la storia del cerchio.”
“Certo!” urla per poi immobilizzarsi e ascoltare i rumori provenienti dal piano di sopra. Shikaku a volte vorrebbe avere una macchina fotografica a portata di mano. “Certo, o lui o me. Aveva uno sguardo che... Se non ci avessi subito visto qualcos'altro mi sarei messo io, a piangere.” Alza lo sguardo sull'uomo quando sente un lievissimo rumore e lo trova impegnato a non ridere, con gli occhi sul foglio. “Sì, ridi, quante volte l'hai letta quella riga?”
Nara si lascia andare a una breve risata, portandosi le mani al volto.



Alla fine Genma è rimasto lì. Si è messo a preparare la cena a base di sgombro e alghe senza fretta, ciarlando con suo padre di non so quale tecnica che boh, Shikamaru ha ascoltato solo i suoni, come quando in un libro guarda solo le figure perché gli pesano le chiappe anche a trascinare gli occhi su un foglio e a mettere insieme parole e frasi.
Raido non deve saperlo, ma Genma ha problemi solo con i dolci perché per il resto è un ottimo cuoco, quindi lui ha prestato davvero poca attenzione anche alla preparazione del cibo. Stava sbracato sulla sedia in pace, con gli occhi fuori dalla finestra, poi è arrivata quella farfalla colorata e l'ha seguita per un po', dopo lei aveva da fare fuori dal suo campo visivo e lui non se la sentiva di voltare la testa per una femmina. Da dove gli sia venuta l'idea che le farfalle possano essere solo femmine non lo sa, ma a guardarle sono tutte abbastanza femminose e, nel dubbio, rimane a contemplare i rami di uno dei ciliegi nel giardino interno. Il ciliegio è maschio, si sa.
Sta per sospirare, contento, quando bussano alla porta e gli tocca scivolare giù dalla sedia per andare ad aprire.
È Chouji e la sua giornata poteva migliorare solo così.
Quando arrivano Sasuke e Neji l'atmosfera è un po' troppo statica, ma presto c'è Kiba ad annusargli i regali per cercare di indovinarne il contenuto e Naruto a urlargli gli auguri nell'orecchio. Non aveva dubbio sul set di kunai che Sasuke gli avrebbe regalato, così come non ne aveva sul manekineko di Neji, è Kiba in effetti il primo a sorprenderlo con un fischietto da cani. A quel punto sarebbe stato pronto a temere il resto, però Lee gli regala dello spandex verde, quindi riceve il regalo di Shino con molta meno ansia. Cosa ci può essere di peggio dello spandex verde, in fondo? Una larva di insetto tracciatore. Ecco, quella non l'aveva considerata. È qualcosa che calza con il preciso e pratico Aburame e gli sarà sicuramente utile un giorno, quando finirà quello strazio di accademia, ma il regalo migliore resta quello di Naruto: un cuscino.
Per come la vede lui, Naruto è un genio e Konoha non ha capito un tubo sui Nara.
Suo padre e Genma trascinano - la parte che tocca terra non è quella retta dal tokujo - il tavolo in sala in modo da vedere la televisione, dato che nei compleanni regole come non si guarda la tv durante i pasti non esistono, poi si siedono tutti e Genma fa l'errore di togliere le poche lische dello sgombro a Shino, così poi gli tocca farlo anche per Kiba e Naruto.
Shikamaru è il primo a finire, ché quella sarebbe la sua ultima cena tipo, condannato o meno, così poi può aspettare gli altri spalmato sulla sedia, senza dover muovere neanche i muscoli della bocca.
In quel momento entra sua nonna, Shikaru, il bastone sfrega contro il tatami e quello scricchiola sotto il peso mal distribuito della figura un po' ricurva, ma gli unici che prestano attenzione a questi particolari sono i piccoli ospiti, che non conoscono la donna. Shikaku si alza e prende un'altra sedia, mentre sua madre sbaciucchia e sbava il nipotino, augurandogli buon compleanno.
Genma sorride e le chiede se vuole dello sgombro. Lei assottiglia gli occhi sulla sua figura, mentre si siede, e per un momento il tokujo non sa se sia dovuto allo sforzo per non mandarlo a fanculo o sia tutto quello che può fare per non espellere una puzzetta, poi lei sbuffa e rotea gli occhi.
“Ancora dietro a mio figlio, stai?” dice, fissandolo.
“Mh,” risponde Genma, a bocca piena, indicandola con la forchetta, “avresti dovuto farlo più brutto...”
Ride, quando la donna cerca di colpirgli la gamba, unica cosa a tiro del bastone, poi la fissa con scherno mentre lei gli rimanda un'occhiataccia. È quando i lineamenti della donna si rilassano e i suoi occhi luccicano di sicurezza e perfidia che si sente un topolino in trappola e raddrizza la schiena, improvvisamente a disagio.
“Sai, Genma chan,” comincia lei, senza cambiare tono, “c'è una persona del nostro clan che vorrei presentarti.”
Shikaku alza gli occhi dal piatto per scrutare l'espressione di sua madre e questo fa sì che il tokujo assottigli lo sguardo sulla donna. Sente che, qualsiasi cosa sia, sarà una magistrale opera di distrazione e gli sarà super dura dire di no.



Non è vero, non è poi così male,” dice Genma, squadrando la sua espressione, “dai, lui sta bene...”
Shikaku taglia verdure per lo stufato e non ha ancora alzato gli occhi dal tagliere. Quello è un giorno nero per lui e sia padre che figlio sembrano avere addosso una tensione che si alimenta con quella dell'altro. Il tokujo cerca di distogliere l'attenzione, ma non ci riesce mai fino in fondo e, se solo non sembrasse poco rispettoso, sbufferebbe; considerato come quella casa sia probabilmente vaccinata.
Tuttavia quello stato d'animo è purtroppo comprensibile visto che in quel giorno, dieci anni fa, Yoshino è morta.
Shikamaru sbuffa dal divano, in salotto, ma è solo quando qualcuno bussa che mette giù il libro che sta leggendo. Si trascina fino al portone e lo apre solo dopo che Ino ha urlato di darsi una mossa, bruco. L'espressione della ragazzina la fa assomigliare così tanto a suo padre che Genma torna rivolto verso Shikaku per non mostrarle il suo sorriso. Il jounin gli rimanda uno sguardo esasperato.
“Shikamaru, brutto stupido bruco molliccio, ti avevo invitato al mio compleanno perché tu ci venissi, non perché mi evitassi tutto il giorno! E, di grazia, dove caspita è il mio regalo?” strilla Inoichi junior, con sorprendente capacità polmonare.
Genma si abbassa a prendere il pacchetto rosa che ha lasciato in terra accanto al tavolo da quando è arrivato, lo poggia sul piano e si volta per metà.
“Lo hai messo qui, Minimaru!” urla, per farsi sentire sopra gli strilli di Yamanaka.
Shikaku alza gli occhi sulla busta, poi sul tokujo, infine su suo figlio e l'espressione stupita di Ino che corre a scartare il suo regalo. La busta rosa contiene una scatolina viola con dentro un set di mollettine, spille e gommini per capelli che sembrano accontentare la festeggiata, a giudicare dall'abbraccio che dà al compagno. Shikaku sorride, mentre lei trotterella fuori tutta contenta, accompagnata da suo figlio.
“Ok,” inizia Shikamaru, dopo aver chiuso la porta, “davvero sei entrato in un negozio e hai chiesto un set di mollette colorate?”
“Si dice grazie, Minimaru,” dice Genma, allungando la mano per fregare un pezzo di carota rotolato fuori dal tagliere.
“Grazie,” annuisce il ragazzino, approcciando il tavolo, “davvero sei entrato in un negozio e hai chiesto un set di mollette colorate?”
Shikaku emette un suono divertito, almeno fin quando non gliene esce uno scocciato perché Genma gli sta mangiando tutte le carote.
“Sì,” risponde quello, sgranocchiando la loro cena, “ma il punto è: preferivi la tua dignità o... Ino?” dice, e implica così ancora più di quel che lui stesso intende. “È sempre questione di priorità.”
Shikamaru ci pensa su un momento, poi sbuffa e si appoggia al bordo del tavolo perché stare in piedi da solo è super tanto faticosissimo.
“Quindi tu preferisci mangiare carote crude che tenerti le dita?” mugola, proprio mentre suo padre manca di poco una falange del tokujo con il coltello.
Genma ride a bocca piena, i suoi occhi brillanti si fissano in quelli di Shikaku che sa perfettamente quanto gli piaccia la sua espressione scocciata.
“Più o meno, sì!”
Entrambi i Nara sbuffano, e Genma non saprà mai se per la sua risposta o perché hanno nuovamente bussato alla porta.
Mezz'ora dopo Shikaku si è dimenticato dello stufato ed è in piedi ritto in cucina come l'albero maestro di una nave, una tazza di caffè in mano, la terza del giorno, e un improvviso tic nervoso al piede. Ha provato ad accarezzare il loro bel giardino con gli occhi, ha provato a pensare ai lavori da farci e pure a elencare i motivi per cui non può essere troppo pigro per farli, ma niente: il suo sguardo finisce immancabilmente per posarsi su sua madre che presenta suo cugino Hiroku a Genma.
L'idea di Shikaru è palese e probabilmente, se lui fosse una donna nata quando il primo Hokage è morto, la troverebbe meno fastidiosa e decisamente più conveniente.
Inutile. Lui trova quell'idea inutile, non fastidiosa... Sbuffa, prima di sorseggiare caffè e spianare contemporaneamente la fronte. Poi, ancora una volta senza intento, riporta gli occhi in giardino, sulle tre figure.
Shikaru ha un sorriso tenero, mentre si volta per avvicinarsi alla casa; poco dopo, invece, quando già dà le spalle ai due, quello stesso sorriso si trasforma in uno beffardo e compiaciuto, e la fronte di Shikaku si contrae nuovamente.
La donna ha esordito con “ti presento Genma,” e ha proseguito subito, quando ancora i due stavano allungando le mani, “corre dietro a Shikaku”. Genma ha sbuffato una risata, degnando Hiroku e ignorando Shikaru, ha detto: “be', di solito non mi presento così”, facendo sorridere l'altro mentre si stringevano la mano.
Non è successo granché neanche dopo eppure Shikaku sente crescere dentro un gran fastidio. Ancora non ha capito se per se stesso, che non dovrebbe provare fastidio, o se per sua madre e le sue fastidiose idee. Inutili e fastidiose, per gli Dei.
La donna raggiunge l'engawa e quei gesti lenti per posare il bastone sopra attirano la sua attenzione, la donna è impegnata nel far forza per salire, ma proprio quando sta per voltarsi alza gli occhi e fissa suo figlio. È uno sguardo serio, attento, è uno sguardo che zittisce il cervello di Shikaku e gli fa aprire gli occhi. Quello sguardo gli fa capire che c'è di più, dietro quell'idea.
Sua madre sale con fatica a sedere sull'engawa, mentre lui realizza che quella manovra non serve a tenere lontano Genma, non solo, se non altro: serve a far capire a lui che può fare a meno di un tokujo tra i piedi. Oppure no.
Se la situazione non ti sta bene com'è, allora fa qualcosa per cambiarla. Le parole di suo padre gli echeggiano in testa per un lungo istante, proprio mentre osserva il tokujo ridere e quell'ombra di gelosia, nell'angolo buio, si agita e diventa un pelo più visibile. Senza quella scena davanti, quando Genma guarda lui o suo figlio, quell'ombra si confonde con le altre fino a sparire. Persino quand'è con Kakashi o altri tizi random non lo infastidisce così, perché è la prima volta che flirta davanti ai suoi occhi, è la prima volta che vede la sua attenzione su qualcun altro.
Shikaku si siede a sua volta sull'engawa. Come un bambino scazzato, lancia un'occhiata scocciata a sua madre
che la accoglie con un sopracciglio alzato e lo costringe a guardare male le pietre del vialetto; quello è un suo amico che lo ha aiutato in momenti difficili e... E basta! Eppure incoerentemente vorrebbe che quel suo sorriso fosse soltanto per lui.
Shikamaru, poco distante, sta montando da solo l'amaca che il tokujo gli ha regalato poiché, anche se aveva promesso di aiutarlo, Genma si è momentaneamente perso in chiacchiere. Dalla sua posizione, Shikaku può vedere che pure suo figlio non è entusiasta di quell'incontro.









Un paio di spiegazioni (inutili e prolisse):

Il titolo. Si presuppone che dal frigorifero ci si mangi, non il contrario. XD Genma corre dietro a Shikaku, è li per aiutarlo, per “dargli da mangiare”, ma finisce per mangiarselo! Tutto questo si capisce meglio con l'avanzare della serie, abbiate fede.

Ino è nata il 23 settembre, il giorno dopo Shikamaru, quando è morta Yoshino.

Shikaru significa rimproverare, ammonire, che per una donna Nara è praticamente perfetto u.u - la madre di Shikaku.
Hiroba significa parco - Nara è una prefettura giapponese e ospita un grande e famoso parco pieno di cervi - il padre di Shikaku; anche se ancora non compare.
Hiroku non significa niente; avevo trovato questo nome su un sito in cui diceva che hiro significa prosperosa e kou pace, questo almeno sei mesi fa, se non di più, adesso che ero pronta per postare ho ricontrollato i nomi su un sito diverso e sebbene non mi ricordi cosa significa kou, pare che hiro sia braccio. -.- Il punto è che ormai per me quel personaggio si chiama così e cambiare adesso mi infastidisce.

Voglio precisare che quando questa cosa era già in corso, e io facevo chiamare Shikamaru 'moccioso', mi sono imbattuta in una ff inglese dove suo padre lo chiamava Chibimaru. A me serviva un'alternativa a moccioso e Minimaru è più bello - come dice Tessa - perché allittera. Ecco, è solo una parola, ma ci tenevo a dire che non è tutta farina del mio sacco.
Non posso mettere il link perché non esiste più, ma anche se fosse sempre online non avrei potuto lo stesso poiché violava il regolamento di Efp.

Quando ho dei dubbi sull'ic chiedo alla beta, in questo caso wari.
Domanda tipo:
“Secondo te un jounin che arrossisce è accettabile?”
Risposta tipo:
“Dentro una cucina con l'uomo che ama da mille mila anni? Sì, cribbio, è un jounin, non un sasso! Se Gai può piangere fiumi di lacrime, Genma può arrossire! Non c'è 'non arrossire' come requisito per fare il tokujo! *sbatte l'Hokage sul tavolo*”
Ammetto che mi piace quando è così esaustiva. È una donna passionale. *O*



I personaggi e i luoghi non mi appartengono e non c'è lucro.



  
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