Il
frigorifero che si mangiò il mondo
di
slice
Shikaku
si sveglia di soprassalto quando un uccello gracchia, appena fuori
dalla finestra della sua camera da letto. Sbuffa, calcia via le
lenzuola e si mette seduto. Fino a due settimane prima non sapeva
nemmeno che ci fosse un albero, vicino alla sua finestra, ma
improvvisamente l'uccellaccio ha deciso che quello era il posto
migliore per un nido.
“Che strazio,” borbotta, mentre
si passa una mano sul volto e poi sui capelli sciolti.
L'uccello
gracchia ancora, come per supportare la sua causa, e Nara si volta a
metà verso la finestra, strizzando gli occhi per la troppa
luce.
“Con tutti gli alberi che ci sono...”
Subito
è costretto a voltarsi e si porta i palmi sugli occhi nel
tentativo di non farli lacrimare.
La sveglia sul comodino ne ha
ancora per una ventina di minuti, la sente ticchettare lieve, una
cascata di ticchettii regolari che prendono tonalità diverse
appena ci presta troppa attenzione, come una scala di note nella
stessa chiave, come una risata. Shikaku si alza di scatto e si
immerge nella semioscurità del corridoio per andare a
svegliare suo figlio, prima che la sveglia che ride di lui lo faccia
incazzare sul serio.
Bussa forte sulla porta di legno prima di
aprirla.
“Shikamaru.”
La prima cosa che nota è
la completa oscurità della stanza. Si acciglia, pensando che
deve davvero fare qualcosa per quelle persiane; tutte le sere le
lascia aperte per rendere il risveglio del figlio meno traumatico –
e quindi il suo compito più facile - ma ultimamente la mattina
le trova chiuse. Suo figlio ha il sonno leggero e durante la notte è
probabile che si svegli spesso, quello che invece lo meraviglia è
che abbia la forza di alzarsi, cosa che non sembra propria del
retaggio Nara.
Appena la luce inonda la stanza, il grumo di
lenzuola si fa un'arruffata pallina e un mugolio di sconforto lascia
la stoffa.
“Buongiorno, è ora di alzarsi,” dice
papà, pestando trucidamente un orsacchiotto nel suo percorso a
ritroso, “e fai quelle benedette flessioni, prima di
scendere.”
Dalle lenzuola si alza un diniego
piagnucoloso.
“Credevo che volessi diventare un
ninja...”
“Devo deciderlo ora?” dice la
pallina.
Shikaku esce dalla stanza lasciando la porta aperta, va
ad aprire le persiane della finestra sul fondo del corridoio e,
quando la luce invade tutto il piano, torna verso le scale, passando
davanti alla camera del figlio.
“Se, quando arriva, Genma ti
trova ancora a letto, non diventerai un bel niente,” dice,
scendendo le scale mentre si fa la coda.
Shikamaru le scende un
quarto d'ora dopo, appena la sveglia in camera di papà l'ha
spaventato nel mezzo del corridoio, facendogli nascere barbugli e
rughe sulla fronte. Suo padre sta mettendo in tavola le bacchette e
dei tovaglioli di carta, quando entra in cucina; si scambiano uno
sguardo, entrambi imbronciati, e poi si siedono uno di fronte
all'altro.
Mangiano per lo più in silenzio, Shikamaru di
solito sbadiglia senza la mano davanti e Shikaku lo riprende anche se
ha un intero giornale a coprirgli la visuale, è una routine
nient'affatto studiata che grazia entrambi di una preziosa quiete
prima di finire nel rullo degli eventi della giornata. Mentre quel
silenzio in altre famiglie è segno di qualcosa fuori posto,
nel loro clan è buona norma aprire bocca quando si ha qualcosa
da dire e non perché si deve, così rimangono solo gli
sbadigli e il suono delle bacchette contro la porcellana dei
piatti.
Almeno fino a quando non odono alcuni passi e subito
qualcuno bussa alla porta.
“È aperto,” annuncia
il padrone di casa.
“Buongiorno!”
Shikamaru alza
una mano, mentre si porta le bacchette alla bocca, ché voltato
di schiena com'è non avrebbe potuto fare comunque granché.
Shikaku borbotta un buongiorno, immerso nel giornale.
“Allora,
narcolettici, vi sono mancato?”
È facile sembrare
pimpante in mezzo a loro, Genma non deve sforzarsi più di
tanto, inoltre ha scoperto in fretta che è divertente tirare
la corda, visto che quei due si irritano ma non esplodono mai; ama in
particolar modo le occhiatacce. Shikaku riuscirebbe a rimescolargli
le budella anche con un passamontagna e Genma coglie ogni occasione
per avere quegli occhi su di sé.
Il bambino lo ignora e si
rivolge a suo padre.
“Perché è sempre così...”
adocchia Genma che volta la sedia a capotavola e ci cade sopra a
cavalcioni, poggiando le braccia incrociate sullo
schienale.
“Irritante?” chiede Shikaku, recuperando
l'attenzione del figlio, nonostante il muro cartaceo.
“No.
Così...”
Shikamaru ci pensa su vorticando le
bacchette in aria lentamente, come se mimasse il processo di ricerca
interno di quel suo acuto cervellino.
“Rumoroso?”
Suo
figlio sbuffa e lui abbassa il giornale per guardarlo, mentre volta
pagina. In quel momento Shikamaru sembra aver trovato la parola
giusta, ma già mentre la dice gli sembra una
parolaccia.
“Luminoso!”
Genma scoppia a ridere e
gli scompiglia i capelli. Il bambino, impegnato a cercare il termine
più calzante per spiegarsi meglio, non si è accorto
che, almeno di non essere un irritato moccioso appena sveglio, quello
è effettivamente un complimento.
Shikamaru gonfia le
guance, dimenticandosi pure di aver fatto una domanda.
“Dai,
non fare quella faccia, come farai a portare una ragazzina a casa se
sei tutto imbronciato.”
“Il cielo ce ne scampi e
liberi,” borbotta Shikaku, cambiando trafiletto.
“Quanto
mangi, hai finito? Guarda che me ne vado. Poi Iruka sensei vorrà
sapere perché eri assente e dovrò dirgli che sei troppo
pigro per...”
Genma non finisce neanche la frase poiché
il bambino è corso di sopra a prepararsi.
“Lo avevi
già spaventato al nome del sensei. Mi domando cosa usi per
farsi ubbidire a quel modo.”
Genma, che si è alzato
per prendersi un po' di caffè, torna seduto con la tazza in
mano. La porta alle labbra e osserva l'uomo da sopra il
giornale.
“Che hai?”
Il capoclan sposta gli occhi
su di lui per un momento, prima di tornare sulle righe d'inchiostro,
gradualmente le rughe sulla sua fronte si spianano finché non
sospira.
“Niente, è quello stupido uccello...”
Il
tokujo allunga una gamba sotto al tavolo, osservando casualmente il
caffè sbattere contro i bordi della ceramica mentre muove la
tazza in cerchio.
“Non ci sono stupidi uccelli, c'è
solo chi non lo sa usare...”
“L'uccello che vola,
Genma,” taglia corto l'uomo.
Lui allarga gli occhi e ingoia
in fretta il caffè.
“Wow, che pile ci hai
messo?”
Shikaku abbassa il giornale di scatto, rivolgendogli
finalmente tutta l'attenzione. Genma fa altrettanto, incrocia le
braccia sul tavolo e s'inclina leggermente verso di lui prima di
sorridere genuinamente.
“Ciao!” trilla.
In quel
momento Shikamaru trotterella giù per le scale.
“Sono
pronto.” biascica.
“Oh, bravo! Andiamo.”
Shikaku
li saluta con un cenno del capo e li guarda uscire, poi, appena prima
di tornare al suo giornale, lo sguardo gli cade sul tavolo: trovarci
tre tazze gli riporta il buon umore.
“Allora,
siccome tuo padre è una larva, ci penso io al tuo
compleanno.”
Shikamaru butta la testa all'indietro, strizza
gli occhi e mugola come se fosse stato colto da un improvviso dolore
fisico. Shikaku sorride, prima di tornare al suo lavoro.
“Non
fare quella faccia e siedi composto,” dice Genma, dando un
leggero calcio a una delle gambe della sedia.
Ha in mano un foglio
e una penna, li appoggia sul tavolo, lontano dai documenti del
jounin, e si siede accanto al bambino.
“Prima di tutto devo
sapere quanti sarete, quindi facciamo una lista di nomi.
Vai.”
Shikamaru osserva accigliato la punta della penna a
pochi millimetri dal foglio, poi alza gli occhi sul tokujo che
aggrotta la fronte per spronarlo.
“Non ci voglio
femmine!”
“Mi sembra un buon inizio, ma questa è
una lista di persone che vuoi, Minimaru, non di gente che non deve
esserci.”
Il bambino si passa entrambe le mani sul volto in
un gesto fin troppo adulto ed esasperato.
“Chouji.”
Genma
scuote il capo e scrive subito quell'ovvietà sul foglio
bianco. “Poi?” chiede, quando si accorge del
silenzio.
Shikaku sospira, al di là del tavolo, e cerca di
ignorare le frequenti occhiatacce di suo figlio.
“Shino,
Neji, Sas'ke... Kiba,” elenca Shikamaru, con un sospiro, quando
si accorge che non c'è verso di invitare solo persone
coscienti degli spazi vitali altrui. “Lee e Naruto.”
In
effetti Neji e Lee sono della classe accanto alla loro e un anno più
grandi, ma il secondo è così chiassoso che non è
stato possibile non notarlo e soprattutto Kiba e Naruto lo hanno
subito trascinato tra loro. Neji pare trovare confortante circondarsi
di scemi per poterli guardare con disapprovazione e loro hanno potuto
offrirgli materiale di prima qualità.
“Basta?”
“Sono
già troppi.”
“Solo se avevi intenzione di
giocare a Go tutto il tempo.”
“Vuoi dire che non potrò
giocare a Go?” Genma alza un sopracciglio e lui ne abbassa due
corrugandole. “Non dovrei fare qualcosa che mi piace, nel
giorno del mio compleanno?”
“Lo scorso anno hai
dormito tutto il giorno perché ero in missione.”
“È
stato indimenticabile.”
“Ok,” sospira Genma,
girando sottosopra il foglio e portandosi contemporaneamente l'altra
mano sugli occhi, “cosa vuoi fare?”
Shikamaru rimane
un attimo spiazzato e quando lancia un'occhiata verso suo padre lo
scopre interessato alla conversazione.
“Non saprei...”
inizia vago, riportando l'attenzione al tokujo, “immagino ci
debba essere una torta o... qualcosa di dolce.”
“Tipo?”
Totalmente
sicuro che non ci siano torte allo sgombro, il bambino avrebbe subito
optato per una cosa semplice, poi però, quando ha ormai già
aperto la bocca, gli sovviene il fatto che non sarà lui a
farla: improvvisamente vedere Raido e Genma - che litigano - nella
sua cucina sporchi di farina, si prospetta una cosa
divertente.
“Wagashi.”
Genma si fa serio, porta lo
sguardo sul foglio e poi sospira. Appena la penna inizia a scrivere
un sorriso nasce sul volto di Shikamaru, ma quando se ne accorge
subito torna serio, spostando l'attenzione su suo padre. Lui lo sta
guardando e ha una luce divertita negli occhi che lo fa riprendere a
sogghignare.
“Immagino che tu voglia lo sgombro, per
pranzo...” continua Genma.
“Per cena,” lo
interrompe il bambino, “voglio invitarli a cena e guardare un
film dopo. È una cosa che si può fare in tanti,
no?”
Genma annuisce, scribacchiando velocemente altre due
cose.
“Sei sicuro che non vuoi Ino?”
Shikamaru
torna subito ad accigliarsi.
“Sicurissimo.”
Raido
alza la testa di scatto, Iruka lo ha svegliato per la terza volta e
Kotetsu e Izumo ridono, perché a quanto pare non c'è un
cazzo da fare ma si deve stare svegli lo stesso. Il tokujo si
imbroncia come un bambino e si massaggia la testa. Non è per
via del colpo, bensì il fatto che Iruka lo abbia colpito con
il giornale arrotolato, come si fa con un cane disubbidiente.
Tuttavia il suo scorno dura poco e appena alza gli occhi sul grande
orologio della stanza delle missioni il suo umore torna di sfumature
molto chiare. Deve infatti aspettare solo una manciata di minuti
affinché il suo turno finisca.
Dopo solo u quarto d'ora
Iruka sta correggendo dei compiti per l'accademia, Izumo scambia
qualche convenevole con un jounin, mentre quello gli allunga il suo
rapporto, e Kotetsu sta finendo di classificare i rapporti del primo
turno. Raido scarabocchia i baffi di un gatto con una lisca di pesce
in bocca, prima di accartocciare il foglio e buttarlo nella
spazzatura. Poi si alza. Genma sceglie proprio quel momento per
aprire la porta e se Raido non avesse i riflessi che ha, avrebbe
preso una gran botta in testa.
Afferra la maniglia e l'occhio gli
cade sulla parte opposta, la manopola rinchiusa nelle dita del
compagno.
“Vuoi decapitarmi?” abbaia,
innervosito.
“No, mi serve il tuo aiuto, sarebbe stupido
decapitarti proprio ora.”
Genma sorride, ma il cipiglio
dell'altro si fa più profondo ed è costretto a far
vagare lo sguardo per la stanza e salutare i presenti, per
distrarsi.
“Aiuto per cosa?” chiede Raido,
sospettoso.
“Domani è il compleanno di Minimaru.”
“E
io che c'entro?”
Genma si ferma a metà scalinata e si
volta per scrutare l'espressione confusa del compagno.
“Be',
suo padre non farà niente e lui non è che abbia chiesto
l'impossibile, quindi...”
“Suo padre non farà
niente perché sa che lo farai tu, Genma, come t'è
venuto in mente di viziare un Nara?”
“Senti, mi serve
una mano per fare dei wagashi. Andiamo a fare la spesa, li montiamo e
poi li cuocio io domani. Non può essere difficile!”
Raido
rimane sconvolto.
Genma aveva una cotta per Shikaku Nara,
quand'era ragazzino. Lui non saprebbe quantificare quante volte ci ha
riso su, prendendolo in giro, ma in fondo erano tutte parole innocue,
perché Raido conosce bene Genma e lo ha capito prima di lui
che non si trattava solo di una cotta. Quando è nato
Shikamaru, Genma aveva sempre una parola di disprezzo per quel
grumetto di vestiti e Raido rimaneva in silenzio perché gli
occhi di Genma brillavano quando seguiva il bambino con lo sguardo.
Per questo la maggior parte delle volte in cui hanno uno scontro
verbale ci tiene a precisarlo: a lui non manca la pazienza, è
Genma che è tardo.
“Montare, cuocere il giorno
dopo... Non è che tu non sappia cosa sia un wagashi, non sai
proprio cos'è una cucina. Il fatto che io lo sappia dovrebbe
essere un merito, non una maledizione.”
Genma alza le spalle
e fa qualche passo in strada, in direzione del centro.
“È
un sì?”
Come in ogni buona amicizia la profonda
conoscenza è reciproca e Genma sa che Raido è stanco e
vorrebbe andarsene a casa, ma conosce anche tutti i suoi punti
deboli; per sua fortuna, avere un'adorabile sorellina minore ha fatto
sì che Raido si riduca a un grosso labrador ogni qual volta
c'è di mezzo un bambino.
Prevedibilmente Namiashi soffia
forte e cede come un Nara.
“Lo faccio solo per quel povero
ragazzino che altrimenti mangerebbe qualcosa di montato e cotto
ventiquattro ore dopo!” cantilena con un tono indignato,
gesticolando.
Shiranui ride.
Genma
bussa, ma Raido neanche vede la porta, così si ferma a naso,
prima di sbattere contro il compagno. L'altro si volta verso di lui
solo per trovarsi un muro di sporte a un palmo di distanza. Sorride e
si volta nuovamente verso la porta.
“Saresti un'ottima
mamma, lo sai?”
“Smettila! Sono qui, ti sto aiutando,
non tormentarmi.”
“Sì, mamma chioccia. Ciao,
moccioso!”
Shikamaru apre di più la porta per farli
passare e poi li segue in cucina.
Al tavolo c'è Shikaku che
sta mettendo via la scacchiera e i fogli del lavoro precedentemente
abbandonati in parte. Li impila sulla tavola da gioco e porta tutto
via, probabilmente il più lontano possibile dal macello che
faranno.
“Raido san, come ha fatto a incastrarti?”
chiede Shikamaru, sedendosi in disparte per non dare fastidio e avere
contemporaneamente una buona visuale.
“Ha un debole per i
mocciosi,” risponde Genma per lui.
Raido sorride al bambino,
prima di alzare gli occhi su Shikaku quando rientra nella stanza per
andare a sedersi vicino al figlio.
“Oh, ma sei sicuramente
l'unico!” trilla il padrone di casa, sarcastico.
“Sì,
certo!” ride lui.
Genma li ignora, tira fuori ciò che
gli serve e mette in frigo il resto, poi inizia ad aprire sportelli e
cassetti per procurarsi il necessario.
“Oh, questa è
la tua cucina?”
Shiranui si volta verso il compagno e
assottiglia lo sguardo, prima di sorridere largamente.
“Che
cos'è questo?”
“Non cominciare...”
“Cosa?
L'hai comprato tu! Cioè, l'ho pagato io, ma l'hai scelto tu.
Si cuoce o si mangia così? Cosa c'è dentro?”
Si
rigira il pacchetto tra le mani, ma è tutta scena, non fa
neanche in tempo a leggere la prima riga di raccomandazioni su un
lato che è già passato a cercare la data di scadenza
sull'altro. Si diverte principalmente perché Shikamaru sta già
ridacchiando, ma anche perché gli occhi del padre
sorridono.
“Gen, giuro che t'ammazzo, stasera.”
“Perché,
che ho fatto?”
“Lascia stare lo zucchero semolato e
dammi un tagliere.”
Raido fa una faccia seria che si scontra
su un pacchetto di zucchero semolato con i baffi e quando l'altro
avrà finito di disegnarle avrà anche le orecchie.
“Che
devi tagliare?”
“Mi serve per avere un piano rigido
che non sia il tavolo, a prescindere da cosa devo farci.”
“Ma
il tagliere non serve per tagliarci sopra?” chiede Genma,
mentre gli porge l'oggetto.
“Qualcuno potrebbe dire che la
tua testa serva per pensare...”
“Oh! E
invece?”
“Guarda, fammi un favore: stattene lì,
fermo e zitto!”
“Nooo, volevo aiutarti!”
Raido
non può vederlo, ma appena Genma ha finito la frase volta la
testa verso il bambino e sorride lievemente come per dire che invece
ha ottenuto esattamente quel che voleva. Shikamaru scoppia a ridere.
Shikaku
sbadiglia e volta pagina al giornale. Lo ha letto cinque volte, ma
non si stupisce quando legge ancora qualcosa che prima gli era
sfuggito. Se non fosse per Shikamaru che gli dorme addosso
allungherebbe le gambe, si sporgerebbe verso il tavolo e prenderebbe
una delle circolari, tanto per cercare di portarsi in pari con il
lavoro, visto che in quei due giorni non ha fatto granché e
l'indomani sarà occupato a tenere a freno otto bestie
iperattive, ma suo figlio ha deciso che il fianco di suo padre gli
appartiene perciò lui rimane fermo e cerca di voltare pagina
con una mano sola. In ogni caso non concluderebbe poi molto perché
la distrazione maggiore è ancora in casa sua, nonostante si
sia fatto tardi.
“Ti dico che non c'entra.”
“Ma
che dici, deve entrarci per forza... È uscita da lì!”
“Be',
allora provaci tu!”
Genma strappa di mano a Raido il
cacciavite che gli sta porgendo.
“Forse abbiamo sbagliato
buco...”
“Dei, voi etero siete tutti uguali: io non
sbaglio mai buco.”
“Tu hai a disposizione un buco
solo, se sbagliassi sarebbe alquanto bizzarro!”
“L'unica
cosa bizzarra qui è che un ninja non riesca a collegare come
la vite piccola vada nel buco piccolo e quella grande nel buco
grande! Vuoi un antiacido?”
“Ma smettila, sei
minaccioso come un peluche mentre bisbigli, con quei capelli
arruffati.”
Shikaku alza il giornale e ci si nasconde
dietro, ringraziando che suo figlio dorme.
I due tokujo stanno
montando il videoregistratore. Genma voleva portare il suo, ma Raido
ha voluto regalarne uno al bambino e così sono tornati in casa
sua per montarlo e far svegliare il festeggiato l'indomani con
l'oggetto funzionante.
Sospira pensando che quello è un
unico pezzo e non c'era davvero bisogno di togliere il pannello. Il
commerciante gli ha consigliato di aprirlo e controllare che non ci
fosse polvere all'interno perché era esposto. Una cosa facile
considerato che si parla di svitare e avvitare cinque viti e che loro
sono due jounin speciali.
“Quella che cos'è?”
“Oh
no...” Genma si porta una mano sulla tempia, sconsolato.
“È
una vite! Cosa ci fa una vite qua, ora che lo abbiamo
rimontato?”
“Non lo abbiamo smontato...”
“È
lo stesso, come mai avanza una vite?”
“Non avanza, è
chiaro che l'abbiamo lasciata fuori.”
“Tu l'hai
lasciata fuori!”
“Non essere ridicolo, che importanza
vuoi che abbia?”
“Oh, ce l'ha! Dici sempre che sono
gli etero a essere così poco attenti.”
“Questo
perché è vero!”
“D'accordo, però
alza il piede, ché stai pestando il cacciavite, mister
Attenzione.”
Shikaku preme le labbra insieme per non ridere,
le sue spalle tremano e lui si costringe a non guardare i due ninja
seduti sul suo tatami, con istruzioni e cacciavite in mano, per non
esplodere in una risata.
“Ecco! Non andava all'interno, va
qui!”
“Complimentoni, adesso metticela.”
“Lo
vuoi tu l'antiacido, adesso?”
È un po' come vedere
suo padre e sua madre che bisticciano. Suo padre è morto, ma
quando sente la voce di sua madre ricorda benissimo i loro
battibecchi e di come tutto finisse in un silenzio rilassato, come
vecchi amici, come se avessero passato insieme più di una
vita, e di come entrambi si voltassero un'ultima volta a guardare
l'uno all'insaputa dell'altro, prima di uscire dalla
stanza.
All'improvviso, anche se la luce è poca viene
oscurata quando Raido gli si para davanti.
“Ora è
tutto a posto. Buonanotte, Shikaku san.” dice, sorridendo alla
vista del bambino ancora addormentato, prima di inchinare il
capo.
“Buonanotte, e grazie dell'assistenza.”
Lui
fa un gesto vago con la mano, già rivolto in direzione del
corridoio.
“Sì, Rai, grazie!”
“Domani
non ci sono, quindi non cercarmi!”
Genma ride e borbotta
qualcosa come “ma domani hai il giorno libero”, che però
gli altri due scelgono di ignorare.
Quando la porta si chiude,
Genma è ancora seduto in terra e sta sistemando i cavi in modo
da non inciamparci.
“E tu?”
Il tokujo alza la testa
e gli rivolge un'occhiata confusa. “Eh?”
“Tu non
hai il giorno libero.”
“No,” sorride.
Si
alza, aiutandosi con una mano, fa un paio di passi goffi, intento a
sgranchirsi le gambe, e sposta lo sguardo su Shikamaru.
“Posso
portarlo su io?”
Shikaku lo osserva un momento, poi alza le
mani, ora prive di giornale, e gli fa cenno di servirsi. L'altro si
abbassa, prende di peso il bambino che mugola infastidito e se lo
porta in collo, poi con la scimmietta abbarbicata al torso va su per
le scale.
Non
c'è nessun giro di parole che spieghi quanto Genma gli sia
stato utile in quei quattro anni.
Shikaku conosceva già
l'orientamento sessuale del tokujo; lui non lo ha mai nascosto,
dopotutto. È facile pensare, quando ci si trova all'improvviso
sommersi di attenzioni, che ci sia un prezzo da pagare, lo capisce e
lo avrebbe pensato anche lui, se solo Genma non avesse iniziato quel
corteggiamento da Shikamaru.
Un uomo single, gay, non si avvicina
ad un altro uomo tramite il figlio, non importa da quale parte si
guardi, suona sbagliato per un sacco di ragioni.
Gli è
sorto qualche dubbio quando si è trovato il figlio
accompagnato da un jounin con cui in definitiva non aveva molto in
comune, ma anzi quasi dieci anni di differenza. Prima fra le domande
è stata una chiarezza d'intenti. Ho un figlio piccolo e non
posso stare dietro a te, dimmi cosa vuoi? Ma niente, voleva solo
accompagnarlo a casa. Shikaku ha dovuto andare a vedere di
persona.
Nei primi due anni di accademia, all'ora in cui suo
figlio esce, Shikaku è ancora in ufficio, così quel
giorno prende un'ora di permesso. Mentre altri bambini vengono
prelevati da un genitore, Shikamaru aspetta fuori, poi quando Iruka
fa per andarsene con Naruto, gli chiede se vuole essere accompagnato
anche lui, ma il bambino declina. Suo figlio ha gli occhi bassi e
tristi e quando scorge la sua copia, al limitare del cortile
dell'accademia, si tira in piedi di scatto e sorride.
Guarda
che tuo figlio rimane da solo quasi venti minuti, tempo in cui
persino Naruto che non ha nessuno viene preso per mano e portato
via.
Genma non gliel'ha mai detto, ma avrebbe dovuto. Così
va a cercarlo a casa e gli chiede se abbia tempo di prendere suo
figlio da scuola il giorno dopo. Il giorno dopo lo ringrazia e gli
dice “ci vediamo domani”.
Al primo compleanno passato
insieme, Shikamaru gli ha chiesto se Genma potesse anche
accompagnarlo la mattina all'accademia. Da allora tutte le volte che
può ce lo porta lui.
Poi, il resto, è venuto da sé.
Shikaku ha confini morbidi, flessibili, con la fiducia; finisce per
acconsentire a cose che in teoria non appartengono alla loro
situazione.
Si ripete che Genma lo è, è interessato
a lui e non certo come capo dei jounin, si ripete che dovrebbe darci
un taglio, che non è giusto, che deve essere chiaro. E poi
quando il tokujo manca per settimane, quando è in missione,
cade nella paura irrazionale di non vederlo tornare. Di doverlo
spiegare a Shikamaru e di non averlo più intorno: il suo aiuto
migliore è la sua presenza.
È Shikaku, per primo, a
non voler chiudere quella porta perché non gli interessa dove
conduca, vuole solo che stia aperta.
È deciso a porsi più
domande e a definire quello che si tiene egoisticamente stretto, ma
per ora non si è dato nessuna scadenza.
“Non devi
davvero fare niente, con quel bambino, se lo appoggi da qualche parte
dorme. Anche tu eri così?”
Genma entra in cucina
ridacchiando e lui sorride.
“Più o meno, siamo un po'
fatti con lo stampino in questo clan.”
L'altro ride piano e
si porta accanto a lui che lava i piatti. Lui lo vede prendere un
asciughino con una mano e il primo oggetto bagnato che trova con
l'altra.
“Non dovevo farlo io?”
“Nah,
dovresti andare a nanna, invece, domani sarà una giornata
piena,” butta lì.
Genma si sporge e lo guarda in
volto, costringendolo a voltarsi verso di lui. Allora gli punta un
dito contro.
“Te lo scordi, Nara, è già tanto
che mi trovi il tuo moccioso da tutte le parti.” Quando Shikaku
alza un sopracciglio lui continua, prendendo ad asciugare una tazza.
“Sì, la scorsa domenica me lo son trovato alla porta di
prima mattina e il tizio che era nel mio letto è dovuto uscire
dalla finestra.”
Non ci dovrebbe essere affatto, la gelosia,
neanche quell'ombra in quell'angolo. Grazie tante, lo sa benissimo. È
tutto chiaro finché non c'è quell'ombra in quell'angolo
e il fatto che ci sia quando si parla di sesso è davvero
seccante. Perché la prima cosa che Shikaku ha capito è
che l'altro non è lì per il sesso, ma se lo fosse stato
sarebbe tutto meno complicato. Avere intorno una persona tutto quel
tempo, sapere l'interesse che ha per te e poi ricordarsi che
logicamente cerca altrove quello che non puoi dargli, probabilmente
non avrebbe effetto su chiunque, su qualcuno non interessato, Shikaku
non sa darsi una risposta certa poiché a lui interessa. La
gelosia tende a essere una di quelle cose umane, inevitabili, ma non
è sintomo di niente, è un effetto causato
dall'affetto.
Per uscire da quel girotondo di pensieri, riporta
l'attenzione sul discorso e si concentra sulle parole del tokujo.
Pensa che Genma sia di una dolcezza disarmante e che solo lui poteva
far uscire un amante dalla finestra invece di vendere al bambino una
qualsiasi scusa per lasciarlo sul pianerottolo.
“Oh e, per
inciso, mi devi novemila ryo.”
“Per cosa?”
“Per
la spesa, genio.”
“Pensavo fosse il tuo regalo di
compleanno...”
“Non essere idiota! Certo che
no.”
Mentre il silenzio si allunga e si stiracchia nella
stanza, Shikaku pensa a cosa può aver comprato il tokujo a suo
figlio, ma appena si ricorda gli eventi di qualche giorno prima
sorride.
“No, non puoi aver capito cos'è. Ne sono
sicuro.”
“Buon per te.”
Non riesce proprio a
smettere di sorridere.
“Dai, a cosa hai pensato?”
“Sei
dolcissimo.”
La prima volta che glielo ha detto erano fuori
dalla stanza delle missioni. Dovevano andare in missione, lui,
Inoichi e Chouza, perciò l'ultimo avrebbe tenuto Shikamaru a
casa con Chouji e sua moglie. Genma era uscito con le mani in tasca e
il senbon quasi tutto fuori dalla bocca, retto dai denti. Mh,
ecco, Chouza san, potrò andare a trovare Shikamaru? Il
jounin ha risposto che poteva andare quando voleva.
Genma aveva
passato la settimana a dire che si liberava di un peso, che anzi la
missione era troppo breve, ma sarebbero state due settimane di
riposo, poi eccolo lì, a chiedere permesso balbettando. Appena
i due compagni di team si erano allontanati, Shikaku non ha potuto
che dare voce ai suoi pensieri. Genma è arrossito, aveva
distolto lo sguardo e spostato il peso da una gamba all'altra, mentre
si rigirava il senbon sulla lingua e sospirava infastidito. Se, dopo
averlo detto, Shikaku avrebbe potuto sentirsi vagamente imbarazzato
per le sue stesse parole, la reazione dell'altro lo ha stupito e
dirlo si è trasformato in qualcosa di divertente.
Adesso
quando lo dice - e spesso lo fa a comodo, per distrarlo e cambiare
argomento - lui riesce a reagire come se fosse una battuta, ma a
seconda delle circostanze Shikaku vede ancora del rossore sotto gli
occhi schivi. È meraviglioso scoprire che un jounin speciale
può ancora avere certe reazioni e Genma non sa ricevere
complimenti. Soprattutto se riconosce, nel profondo, che c'è
un pizzico di verità.
“Sì, be', mi devi
comunque novemila ryo.” borbotta.
Shikamaru
si sveglia con la camera inondata di luce. Mugola, coprendosi il
volto con il lenzuolo, incapace di aprire anche solo un occhio a
metà. Ficca con stizza la testa sotto al cuscino e piagnucola
qualcosa sui padri, le mattine e le stupide persiane.
Rimane così
un tempo che pare infinito e, anche se non riesce a riaddormentarsi,
è caldo e comodo là sotto. Lui è sveglio, ma i
suoi pensieri non sono ancora fastidiosi, sono morbidi, fluidi,
lenti, gli permettono di svegliarsi e, con una punta di disagio, può
sentire la voglia di alzarsi salirgli addosso.
Butta via le
coperte, si mette seduto e si stropiccia la faccia. Non ha ancora la
facoltà di aprire gli occhi, ma a tentoni raggiunge la porta e
con suo sommo sollievo il corridoio è molto meno illuminato.
Improvvisamente il bagno sembra vicino e urgente, quindi non pone
resistenze in favore di mero bisogno.
Quando esce non è
cambiato niente, il corridoio è ancora in penombra e la porta
della camera di suo padre è chiusa. Ci si avvicina, cauto, e
scopre che non è proprio chiusa, c'è una fessura.
Stende la mano per premerla sul legno finché la porta non cede
e si apre un po' di più.
La stanza è piena di luce,
come la sua, ha la finestra leggermente aperta e la tenda smorza il
sole nell'angolo in cui suo padre ha la testa. Il letto è
grande e il corpo di Shikaku non è perfettamente centrato, ma
non è neanche su un lato. Shikamaru si avvicina.
Una
domenica che è rimasto a dormire a casa di Chouji è
stato trascinato a svegliare i suoi genitori; per la colazione,
ovviamente. La camera era grande più o meno quanto quella e il
letto era matrimoniale, dentro c'erano due figure e dormivano ognuna
su un lato. Shikamaru sa che anche quella è una camera
matrimoniale, ma non ha mai visto due figure in quel letto.
In
realtà, la maggior parte delle volte, nella sua visione, la
sua famiglia non ha niente che non va, ma è solo abitudine:
questa è la famiglia che lui conosce. Chiaramente basta
guardarsi intorno, basta riflettere un po' e l'incantesimo si rompe.
Si è fermato spesso a pensare come sarebbe stato avere una
madre, ma raramente riesce ad afferrare il significato di quella
mancanza per suo padre. È molto complicato, cerca di
immedesimarsi, di vedere le cose dal punto di vista di qualcuno che
deve occuparsi di lui, del lavoro, della casa, di tutto, poi deve
vederle dal punto di vista di qualcuno che lo fa da solo e infine da
quello di qualcuno che non è sempre stato solo e aveva meno
responsabilità, prima. Non è affatto facile, né
è affatto bello quel poco che riesce a capire, a sentire.
Sembra di avere dei vestiti di piombo, sembra tutto così
pesante che a un certo punto Shikamaru perde tutti i collegamenti,
perde le sensazioni, perde il senso di quel che stava cercando di
afferrare e ritorna a essere confuso, completamente all'oscuro di
cosa si senta a stare dall'altra parte. Come un interruttore per la
luce: un momento c'è, il momento dopo no. Scuote la testa, non
gli è arrivato un brivido, ma è come se certi pensieri
gli fossero preclusi e il volerci andare con la mente gli procurasse
dei fastidi fisici.
Un uccello gracchia fuori dalla finestra, lui
sobbalza e il suo sguardo si posa sull'albero davanti alla
casa.
“Shikamaru?”
Si guardano un momento. Il
bambino ha anche aperto la bocca, voleva dare il buongiorno, ma suo
padre ha scostato le coperte per invitarlo sotto e lui non se lo fa
ripetere due volte. Viene subito abbracciato e baciato sulla testa.
Protesterebbe, ma la voce dell'uomo gli ricorda qualcosa che non
avrebbe dovuto dimenticarsi.
“Buon compleanno,
Minimaru!”
“Papà...” sbuffa.
“Sai,
da quando sono nella sua posizione, capisco molto bene cosa
intendesse mia madre quando diceva che sarei rimasto per sempre il
suo bambino,” e mentre lo dice dà una strizzata più
forte al gruppetto d'ossa tra le sue braccia.
Shikamaru protesta.
“E a te piaceva che ti trattasse da bambino?”
Lui
sospira profondamente, comunicandogli così la risposta.
Indubbiamente suo figlio ha il suo cervello e sorride pensando che ha
tanta strada da fare se pensa che gliela renderà facile.
“Ha
funzionato.” dice.
“Cosa?” Shikaku ridacchia e
Shikamaru alza la testa per guardarlo in faccia. “Cos'hai
fatto?”
“Ho tolto le persiane...”
ride.
“Dai...”
Genma
non è d'accordo su un sacco di cose. Ad esempio per lui nel
giorno del compleanno non si dovrebbe fare niente, proprio niente,
per questo il fatto che Shikamaru sia all'accademia gli pare
un'ingiustizia. Sbuffa forte come se fosse lui il bambino che
sbadiglia, costretto ad accasciarsi su uno scomodo banco, accanto a
Chouji.
In quel momento si accorge che, da quel ramo, può
vedere tutta la classe, ma non vede il viso del figlio di Chouza
perché è voltato verso Shikamaru. La guanciotta rossa,
che scorge da lì, si muove, segno che sta parlando, perciò
si concentra per isolare solo la sua vocetta, nel trambusto che esce
dalla finestra semiaperta.
Chouji gli sta dicendo di non
preoccuparsi, che le parole dei compagni sono solo cattiverie
gratuite; Genma si immagina che gli altri bambini si sentano feriti
perché non sono stati invitati. Shikamaru non lo guarda
nemmeno, sbadiglia e annuisce. Chouji gli sorride.
Quando le
lezioni finiscono il tokujo aspetta sempre qualche momento, un po'
perché non ci tiene a fare la mamma ansiosa, ma principalmente
per lasciare al bambino del tempo con i compagni. Rimane sul ramo,
abbastanza vicino da sentire e vedere.
“Cos'è, il
club dei disadattati?” Un bambino castano, minuto di
corporatura rispetto agli altri, insegue il gruppetto. “Essere
senza un genitore è indispensabile, immagino.” Lo
scricciolo scansa un pugno all'ultimo momento, Naruto digrigna i
denti e inspira un paio di volte per calmarsi, poiché Iruka è
poco distante.
“Qualcuno mi spieghi come mai i vostri
genitori vi hanno lasciato!” ride un bambino moro,
allontanandosi però da Sasuke quando i suoi occhi diventano
rossi.
“Secondo te ha invitato solo i figli di grossi clan?”
gli chiede l'altro.
“Sì, Nara, è un caso che
ci siano Hyuuga, Uchiha e Aburame tra gli invitati?”
Shikamaru
non ribatte, Genma ancora una volta non vede i volti né suo né
di Chouji, in compenso sente la voce di quest'ultimo.
“Uzumaki
non ha nessun clan e a voi neanche piace.”
“Sì,
vi tira il culo che non siete stati invitati!” strilla Naruto,
puntando un dito contro i due bambini. Iruka gli dà subito un
gran nocchino in testa e si prepara per riprenderli tutti mostrando
la sua capacità polmonare.
Genma si accorge di essere
atterrato nel cortile solo quando i bambini si voltano verso di lui e
cala il silenzio. La sua espressione deve essere particolare poiché
anche Iruka si dimostra a disagio. Lui per un momento fissa
semplicemente i bambini che non conosce, poi Iruka si schiarisce la
voce.
“Mi dispiace, Genma san,” sorride mesto, “sono
solo bambini...”
Vorrebbe che Kakashi avesse sentito.
Principalmente perché nessuno dice mai niente al copia ninja e
se rimette in riga dei ragazzini i genitori lo ringraziano, ma
soprattutto perché è sicuro che a Kakashi, l'orfano
appartenente a un buon clan, farebbe piacere conoscere la teoria dei
pre genin sul perché i suoi genitori lo abbiano lasciato.
L'espressione del tokujo provoca un marcato disagio tra i nanetti,
ora incredibilmente timidi e schivi, così lui sorride,
sciogliendo tutta la tensione.
“Brucia, eh, non essere
invitati?” ride.
Iruka rimane un po' interdetto, alla fine
decide di ignorarlo e si risparmia la fatica di riprenderlo come fa
con i suoi alunni.
Genma prende la mano di Shikamaru quasi con
stizza, rinchiudendola in una stretta ferrea, senza fargli male ma
anche senza lasciargli scelta. Poi, prima di iniziare a tirare il
bambino verso casa sua, ricorda agli invitati l'orario della festa.
Trovano
il cancellino chiuso, segno che Shikaku non è ancora arrivato,
e attraversano tutto il giardino fino al viottolo che porta sul
retro. Genma si ferma solo in mezzo alla terra battuta del primo
tratto, quello più vicino alla casa, poi lascia la mano del
bambino che si è praticamente trascinato fin lì. Le sue
dita sfilano un kunai dalla sacca e ne piantano la punta nel terreno
per fare un cerchio tutt'intorno a loro, si accuccia davanti a lui,
gli afferra i polsi e lo guarda negli occhi. Shikamaru ricambia lo
sguardo e, per la prima volta da quando lo ha preso all'accademia,
nel suo c'è anche della curiosità oltre alla
tristezza.
“Facciamo un gioco.” Genma lo osserva
alzare un sopracciglio, prima di proseguire con la spiegazione. “Lo
vedi questo cerchio?” Il bambino annuisce. “Qui dentro
puoi fare quello che vuoi, tutto quello che ti pare, e non lo saprà
nessuno.”
Shikaku, due finestre più avanti, ha smesso
di prestare attenzione al proprio lavoro e lascia la tazza di tè
sul kotatsu senza fare rumore.
Shikamaru apre la bocca pronto a
dirgli che è un'assurdità, poi però, nel pensare
al perché dovrebbe farlo, gli tornano in mente le parole di
quei ragazzini e una stretta forte s'impossessa della bocca del suo
stomaco. Le sue labbra si piegano in una smorfia e subito dopo gli
occhi bruciano, porta lo sguardo sul viso del ragazzo e trova i suoi
occhi chiusi, la sua espressione impassibile, come se non lo vedesse
né lo sentisse. Solo allora capisce il senso di quel cerchio
ed è costretto a tirare le labbra in una linea dura, a
premerle forte mentre grosse lacrime scivolano giù per le
guance, già arrossate per lo sforzo dato dal trattenersi, e le
sue spalle tremano.
Non gliene frega niente dell'opinione di quei
suoi compagni, conosce la verità, suo padre non gli ha mai
nascosto niente, non ha motivo di soffermarsi su quel che è
stato detto. Questo non significa che non si faccia mai domande che
pungono, a volte a forza di farsele gli sembra di sanguinare, da
qualche parte dentro di sé, e neanche suo padre può
rispondere al perché di quell'ingiustizia, perché
proprio a lui, perché la sua mamma.
Genma lo sa che ha
corrugato le sopracciglia al punto che potrebbe vedersene uno solo,
ma se c'è una cosa che non sopporta è sentire le
persone piangere, piegarsi, rompersi. I bambini poi non dovrebbero
sapere che le lacrime sono salate, non dovrebbero sapere quale
inclinazione prende la loro voce quando l'aria sembra bruciare nei
polmoni. Non lo sopporta e alla fine allunga entrambe le mani e
costringe il bambino verso di sé.
Shikamaru è
sveglio, intelligente, brillante, eppure quando lo abbraccia sembra
solo un bambino, è piccolo e trema.
“Perché...
?”
Genma sospira e poggia la testa sul proprio braccio che
cinge le piccole spalle.
“La mia ipotesi è che fosse
preoccupata per te, di non poterti essere sempre vicino. Invece ora,
dal cielo, ti vede ovunque tu vada.”
L'aria sembra
congelarsi nei piccoli polmoni per un momento, prima che venga spinta
fuori da un singhiozzo.
“Ma io volevo
abbracciarla...”
Sembra così ovvio che farebbe ridere
se solo non facesse piangere. Il tokujo pensa di riflesso a quanto è
frustrante l'assenza di un genitore, quando si è così
piccoli, manca qualcosa da stringere, da guardare, da seguire. Manca,
proprio perché anche se non c'è mai stato, si sa
istintivamente che avrebbe dovuto esserci.
Il bambino stringe la
sua maglia e si irrigidisce. Il pianto gli impedisce di suonare
scocciato come vorrebbe e Genma da così vicino può
sentire il fastidio di questa perdita di controllo improvvisa sul suo
giovane corpo.
“Allora perché non abbracci papà
il doppio? Così poi lui lo dà alla mamma da parte tua.”
gli si chiude la gola mentre dice le ultime tre parole, quindi ingoia
aria, cercando di mantenere la mente lucida, sopra quei
singhiozzi.
Shikamaru lo spinge via leggermente, il necessario per
guardarlo in volto. Gli occhi sono grandi, larghi di sorpresa, e le
guance rosse sono bagnate solo a metà perché da un
punto in poi si è asciugato sulla sua divisa.
“Vuoi
dire che papà parla con mamma?”
“Be', non che
lei risponda, ma... Certo! Ecco perché è importante che
tu gli dica sempre tutto, così lui lo dice a tua madre e lei
ti aiuta.”
Gli occhi del bambino sono fissi nei suoi per
cercare una bugia, dura un lungo momento in cui non sbatte neanche le
palpebre, aiutato dalla lubrificazione del pianto, poi quello sguardo
si perde in un punto lontano oltre la sua spalla e lo shinobi può
vedere quel brillante piccolo cervellino lavorare freneticamente per
cercare falle o informazioni contrastanti ricevute in passato. Poi il
bambino aggrotta la fronte e torna a guardarlo in volto. Genma
sorride lievemente e Shikamaru gli mostra tutti i denti, prima di
abbracciarlo.
Shikaku regge fermamente una delle pagine del
rapporto sulle pattuglie esterne, passandoci sopra uno sguardo privo
d'attenzione, l'orologio ticchetta sul muro e suo figlio in giardino
ha finalmente smesso di piangere. Alza la tazza fino al volto e trae
un sorso di tè ormai freddo, fingendo noncuranza quando la
porta si apre.
“Ehy,” dice, sorbendosi un abbraccio,
“tutto bene?”
Shikamaru annuisce e lo stringe ancora
più forte, dandogli quel secondo abbraccio che fa serrare la
mascella del padre. Lui lo stringe a sé e lo bacia sulla
testa, prima che si dimeni e corra su per le scale.
Genma si siede
al lato opposto del kotatsu. Pensava che in casa non ci fosse
nessuno, ma in effetti ha senso che proprio quel giorno sia uscito da
lavoro un po' prima. Si allunga e gli frega un po' di tè, ma
emette un verso contrariato scoprendolo freddo, poi muove la mano in
un gesto vago quando si sente osservato.
“Niente di che,
mocciosi cresciuti da genitori stupidi,” borbotta. Alza un
ginocchio e si sbilancia all'indietro, portando una mano aperta
dietro di sé per sostenersi. “Certa gente andrebbe
castrata da piccola.”
Pur non avendo figli il tokujo ha
consolato il suo, cosa che a ben vedere sarebbe compito del padre -
se solo non fosse impegnato in ogni singolo momento della giornata -
ma cosa più importante Genma ha dato a Shikamaru uno sfogo e,
con il pretesto del tramite, ha reso suo padre il miglior
confidente.
“Grazie.”
“Mh, non sapevo che
fossi in casa... Avresti dovuto farlo tu.”
Entrambi
sospirano, ma sono troppo presi dal proprio per accorgersi di quello
dell'altro.
“Non lo so, te la sei cavata bene.” Genma
storce il naso, guardando altrove, e Shikaku sente la propria
tensione sciogliersi. “Davvero, sembravi così a tuo
agio...” butta lì, anche se non ci vogliono molte esche,
se si parla di Shiranui.
“Stai scherzando?” urla e
bisbiglia insieme, lanciando un'occhiata preoccupata alle scale, “Ero
nel panico, odio i bambini che piangono, mi fanno sentire... male!”
e lo dice con un'enfasi e una faccia che fanno sorridere
l'altro.
“Sei tu che glielo hai suggerito, con la storia del
cerchio.”
“Certo!” urla per poi immobilizzarsi e
ascoltare i rumori provenienti dal piano di sopra. Shikaku a volte
vorrebbe avere una macchina fotografica a portata di mano. “Certo,
o lui o me. Aveva uno sguardo che... Se non ci avessi subito visto
qualcos'altro mi sarei messo io, a piangere.” Alza lo sguardo
sull'uomo quando sente un lievissimo rumore e lo trova impegnato a
non ridere, con gli occhi sul foglio. “Sì, ridi, quante
volte l'hai letta quella riga?”
Nara si lascia andare a una
breve risata, portandosi le mani al volto.
Alla
fine Genma è rimasto lì. Si è messo a preparare
la cena a base di sgombro e alghe senza fretta, ciarlando con suo
padre di non so quale tecnica che boh, Shikamaru ha ascoltato solo i
suoni, come quando in un libro guarda solo le figure perché
gli pesano le chiappe anche a trascinare gli occhi su un foglio e a
mettere insieme parole e frasi.
Raido non deve saperlo, ma Genma
ha problemi solo con i dolci perché per il resto è un
ottimo cuoco, quindi lui ha prestato davvero poca attenzione anche
alla preparazione del cibo. Stava sbracato sulla sedia in pace, con
gli occhi fuori dalla finestra, poi è arrivata quella farfalla
colorata e l'ha seguita per un po', dopo lei aveva da fare fuori dal
suo campo visivo e lui non se la sentiva di voltare la testa per una
femmina. Da dove gli sia venuta l'idea che le farfalle possano essere
solo femmine non lo sa, ma a guardarle sono tutte abbastanza
femminose e, nel dubbio, rimane a contemplare i rami di uno dei
ciliegi nel giardino interno. Il ciliegio è maschio, si
sa.
Sta per sospirare, contento, quando bussano alla porta e gli
tocca scivolare giù dalla sedia per andare ad aprire.
È
Chouji e la sua giornata poteva migliorare solo così.
Quando
arrivano Sasuke e Neji l'atmosfera è un po' troppo statica, ma
presto c'è Kiba ad annusargli i regali per cercare di
indovinarne il contenuto e Naruto a urlargli gli auguri
nell'orecchio. Non aveva dubbio sul set di kunai che Sasuke gli
avrebbe regalato, così come non ne aveva sul manekineko di
Neji, è Kiba in effetti il primo a sorprenderlo con un
fischietto da cani. A quel punto sarebbe stato pronto a temere il
resto, però Lee gli regala dello spandex verde, quindi riceve
il regalo di Shino con molta meno ansia. Cosa ci può essere di
peggio dello spandex verde, in fondo? Una larva di insetto
tracciatore. Ecco, quella non l'aveva considerata. È qualcosa
che calza con il preciso e pratico Aburame e gli sarà
sicuramente utile un giorno, quando finirà quello strazio di
accademia, ma il regalo migliore resta quello di Naruto: un
cuscino.
Per come la vede lui, Naruto è un genio e Konoha
non ha capito un tubo sui Nara.
Suo padre e Genma trascinano - la
parte che tocca terra non è quella retta dal tokujo - il
tavolo in sala in modo da vedere la televisione, dato che nei
compleanni regole come non si guarda la tv durante i pasti non
esistono, poi si siedono tutti e Genma fa l'errore di togliere le
poche lische dello sgombro a Shino, così poi gli tocca farlo
anche per Kiba e Naruto.
Shikamaru è il primo a finire, ché
quella sarebbe la sua ultima cena tipo, condannato o meno, così
poi può aspettare gli altri spalmato sulla sedia, senza dover
muovere neanche i muscoli della bocca.
In quel momento entra sua
nonna, Shikaru, il bastone sfrega contro il tatami e quello
scricchiola sotto il peso mal distribuito della figura un po'
ricurva, ma gli unici che prestano attenzione a questi particolari
sono i piccoli ospiti, che non conoscono la donna. Shikaku si alza e
prende un'altra sedia, mentre sua madre sbaciucchia e sbava il
nipotino, augurandogli buon compleanno.
Genma sorride e le chiede
se vuole dello sgombro. Lei assottiglia gli occhi sulla sua figura,
mentre si siede, e per un momento il tokujo non sa se sia dovuto allo
sforzo per non mandarlo a fanculo o sia tutto quello che può
fare per non espellere una puzzetta, poi lei sbuffa e rotea gli
occhi.
“Ancora dietro a mio figlio, stai?” dice,
fissandolo.
“Mh,” risponde Genma, a bocca piena,
indicandola con la forchetta, “avresti dovuto farlo più
brutto...”
Ride, quando la donna cerca di colpirgli la
gamba, unica cosa a tiro del bastone, poi la fissa con scherno mentre
lei gli rimanda un'occhiataccia. È quando i lineamenti della
donna si rilassano e i suoi occhi luccicano di sicurezza e perfidia
che si sente un topolino in trappola e raddrizza la schiena,
improvvisamente a disagio.
“Sai, Genma chan,” comincia
lei, senza cambiare tono, “c'è una persona del nostro
clan che vorrei presentarti.”
Shikaku alza gli occhi dal
piatto per scrutare l'espressione di sua madre e questo fa sì
che il tokujo assottigli lo sguardo sulla donna. Sente che, qualsiasi
cosa sia, sarà una magistrale opera di distrazione e gli sarà
super dura dire di no.
“Non
è vero, non è poi così male,” dice Genma,
squadrando la sua espressione, “dai, lui sta bene...”
Shikaku
taglia verdure per lo stufato e non ha ancora alzato gli occhi dal
tagliere. Quello è un giorno nero per lui e sia padre che
figlio sembrano avere addosso una tensione che si alimenta con quella
dell'altro. Il tokujo cerca di distogliere l'attenzione, ma non ci
riesce mai fino in fondo e, se solo non sembrasse poco rispettoso,
sbufferebbe; considerato come quella casa sia probabilmente
vaccinata.
Tuttavia quello stato d'animo è purtroppo
comprensibile visto che in quel giorno, dieci anni fa, Yoshino è
morta.
Shikamaru sbuffa dal divano, in salotto, ma è solo
quando qualcuno bussa che mette giù il libro che sta leggendo.
Si trascina fino al portone e lo apre solo dopo che Ino ha urlato di
darsi una mossa, bruco. L'espressione della ragazzina la fa
assomigliare così tanto a suo padre che Genma torna rivolto
verso Shikaku per non mostrarle il suo sorriso. Il jounin gli rimanda
uno sguardo esasperato.
“Shikamaru, brutto stupido bruco
molliccio, ti avevo invitato al mio compleanno perché tu ci
venissi, non perché mi evitassi tutto il giorno! E, di grazia,
dove caspita è il mio regalo?” strilla Inoichi junior,
con sorprendente capacità polmonare.
Genma si abbassa a
prendere il pacchetto rosa che ha lasciato in terra accanto al tavolo
da quando è arrivato, lo poggia sul piano e si volta per
metà.
“Lo hai messo qui, Minimaru!” urla, per
farsi sentire sopra gli strilli di Yamanaka.
Shikaku alza gli
occhi sulla busta, poi sul tokujo, infine su suo figlio e
l'espressione stupita di Ino che corre a scartare il suo regalo. La
busta rosa contiene una scatolina viola con dentro un set di
mollettine, spille e gommini per capelli che sembrano accontentare la
festeggiata, a giudicare dall'abbraccio che dà al compagno.
Shikaku sorride, mentre lei trotterella fuori tutta contenta,
accompagnata da suo figlio.
“Ok,” inizia Shikamaru,
dopo aver chiuso la porta, “davvero sei entrato in un negozio e
hai chiesto un set di mollette colorate?”
“Si dice
grazie, Minimaru,” dice Genma, allungando la mano per
fregare un pezzo di carota rotolato fuori dal tagliere.
“Grazie,”
annuisce il ragazzino, approcciando il tavolo, “davvero sei
entrato in un negozio e hai chiesto un set di mollette
colorate?”
Shikaku emette un suono divertito, almeno fin
quando non gliene esce uno scocciato perché Genma gli sta
mangiando tutte le carote.
“Sì,” risponde
quello, sgranocchiando la loro cena, “ma il punto è:
preferivi la tua dignità o... Ino?” dice, e implica così
ancora più di quel che lui stesso intende. “È
sempre questione di priorità.”
Shikamaru ci pensa su
un momento, poi sbuffa e si appoggia al bordo del tavolo perché
stare in piedi da solo è super tanto faticosissimo.
“Quindi
tu preferisci mangiare carote crude che tenerti le dita?”
mugola, proprio mentre suo padre manca di poco una falange del tokujo
con il coltello.
Genma ride a bocca piena, i suoi occhi brillanti
si fissano in quelli di Shikaku che sa perfettamente quanto gli
piaccia la sua espressione scocciata.
“Più o meno,
sì!”
Entrambi i Nara sbuffano, e Genma non saprà
mai se per la sua risposta o perché hanno nuovamente bussato
alla porta.
Mezz'ora dopo Shikaku si è dimenticato dello
stufato ed è in piedi ritto in cucina come l'albero maestro di
una nave, una tazza di caffè in mano, la terza del giorno, e
un improvviso tic nervoso al piede. Ha provato ad accarezzare il loro
bel giardino con gli occhi, ha provato a pensare ai lavori da farci e
pure a elencare i motivi per cui non può essere troppo pigro
per farli, ma niente: il suo sguardo finisce immancabilmente per
posarsi su sua madre che presenta suo cugino Hiroku a Genma.
L'idea
di Shikaru è palese e probabilmente, se lui fosse una donna
nata quando il primo Hokage è morto, la troverebbe meno
fastidiosa e decisamente più conveniente.
Inutile. Lui
trova quell'idea inutile, non fastidiosa... Sbuffa, prima di
sorseggiare caffè e spianare contemporaneamente la fronte.
Poi, ancora una volta senza intento, riporta gli occhi in giardino,
sulle tre figure.
Shikaru ha un sorriso tenero, mentre si volta
per avvicinarsi alla casa; poco dopo, invece, quando già dà
le spalle ai due, quello stesso sorriso si trasforma in uno beffardo
e compiaciuto, e la fronte di Shikaku si contrae nuovamente.
La
donna ha esordito con “ti presento Genma,” e ha
proseguito subito, quando ancora i due stavano allungando le mani,
“corre dietro a Shikaku”. Genma ha sbuffato una risata,
degnando Hiroku e ignorando Shikaru, ha detto: “be', di solito
non mi presento così”, facendo sorridere l'altro mentre
si stringevano la mano.
Non è successo granché
neanche dopo eppure Shikaku sente crescere dentro un gran fastidio.
Ancora non ha capito se per se stesso, che non dovrebbe provare
fastidio, o se per sua madre e le sue fastidiose idee. Inutili e
fastidiose, per gli Dei.
La donna raggiunge l'engawa e quei gesti
lenti per posare il bastone sopra attirano la sua attenzione, la
donna è impegnata nel far forza per salire, ma proprio quando
sta per voltarsi alza gli occhi e fissa suo figlio. È uno
sguardo serio, attento, è uno sguardo che zittisce il cervello
di Shikaku e gli fa aprire gli occhi. Quello sguardo gli fa capire
che c'è di più, dietro quell'idea.
Sua madre sale
con fatica a sedere sull'engawa, mentre lui realizza che quella
manovra non serve a tenere lontano Genma, non solo, se non altro:
serve a far capire a lui che può fare a meno di un tokujo tra
i piedi. Oppure no.
Se la situazione non ti sta bene com'è,
allora fa qualcosa per cambiarla. Le
parole di suo padre gli echeggiano in testa per un lungo istante,
proprio mentre osserva il tokujo ridere e quell'ombra di gelosia,
nell'angolo buio, si agita e diventa un pelo più visibile.
Senza quella scena davanti, quando Genma guarda lui o suo figlio,
quell'ombra si confonde con le altre fino a sparire. Persino quand'è
con Kakashi o altri tizi random non lo infastidisce così,
perché è la prima volta che flirta davanti ai suoi
occhi, è la prima volta che vede la sua attenzione su qualcun
altro.
Shikaku si siede a sua volta sull'engawa. Come un bambino
scazzato, lancia un'occhiata scocciata a sua madre che la
accoglie con un sopracciglio alzato e lo costringe a guardare male le
pietre del vialetto; quello è un suo amico che lo ha aiutato
in momenti difficili e... E basta! Eppure incoerentemente vorrebbe
che quel suo sorriso fosse soltanto per lui.
Shikamaru, poco
distante, sta montando da solo l'amaca che il tokujo gli ha regalato
poiché, anche se aveva promesso di aiutarlo, Genma si è
momentaneamente perso in chiacchiere. Dalla sua posizione, Shikaku
può vedere che pure suo figlio non è entusiasta di
quell'incontro.
Un paio di spiegazioni (inutili e prolisse):
Il titolo. Si presuppone che dal frigorifero ci si mangi, non il contrario. XD Genma corre dietro a Shikaku, è li per aiutarlo, per “dargli da mangiare”, ma finisce per mangiarselo! Tutto questo si capisce meglio con l'avanzare della serie, abbiate fede.
Ino è nata il 23 settembre, il giorno dopo Shikamaru, quando è morta Yoshino.
Shikaru
significa rimproverare, ammonire, che per una donna Nara è
praticamente perfetto u.u - la madre di Shikaku.
Hiroba significa
parco - Nara è una prefettura giapponese e ospita un grande e
famoso parco pieno di cervi - il padre di Shikaku; anche se ancora
non compare.
Hiroku non significa niente; avevo trovato questo
nome su un sito in cui diceva che hiro significa prosperosa e kou
pace, questo almeno sei mesi fa, se non di più, adesso che ero
pronta per postare ho ricontrollato i nomi su un sito diverso e
sebbene non mi ricordi cosa significa kou, pare che hiro sia braccio.
-.- Il punto è che ormai per me quel personaggio si chiama
così e cambiare adesso mi infastidisce.
Voglio
precisare che quando questa cosa era già in corso, e io facevo
chiamare Shikamaru 'moccioso', mi sono imbattuta in una ff inglese
dove suo padre lo chiamava Chibimaru. A me serviva un'alternativa a
moccioso e Minimaru è più bello - come dice Tessa -
perché allittera. Ecco, è solo una parola, ma ci tenevo
a dire che non è tutta farina del mio sacco.
Non posso
mettere il link perché non esiste più, ma anche se
fosse sempre online non avrei potuto lo stesso poiché violava
il regolamento di Efp.
Quando
ho dei dubbi sull'ic chiedo alla beta, in questo caso wari.
Domanda
tipo:
“Secondo te un jounin che arrossisce è
accettabile?”
Risposta tipo:
“Dentro una cucina con
l'uomo che ama da mille mila anni? Sì, cribbio, è un
jounin, non un sasso! Se Gai può piangere fiumi di lacrime,
Genma può arrossire! Non c'è 'non arrossire' come
requisito per fare il tokujo! *sbatte l'Hokage sul tavolo*”
Ammetto
che mi piace quando è così esaustiva. È una
donna passionale. *O*
I personaggi e i luoghi non mi appartengono e non c'è lucro.