Fanfic su artisti musicali > One Direction
Ricorda la storia  |      
Autore: Sys    28/09/2014    1 recensioni
"Anche quella sera l’ho chiamata. Da me era sera, in Inghilterra era pomeriggio inoltrato. Stava leggendo un libro, uno di quei libri noiosi che solo se ami la letteratura riesci ad apprezzare. Mi ha anche attaccato in faccia, dicendomi di averla interrotta nel momento più bello. Quattro minuti dopo, li ho contati, il mio schermo si è acceso, e nel bel mezzo di una conversazione con i ragazzi ho risposto al telefono nonostante loro protestassero. Mi sono chiuso in camerino, mancava poco all’inizio del concerto e ho passato tutto il tempo rimanente a parlare con lei. Mi ha raccontato di come in panetteria tutti le chiedessero impressioni su come fossi fatto, poi le ho chiesto cosa avesse risposto.
«Ovviamente ho detto che sei una palla al piede.»
Ride."
Genere: Malinconico, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Louis Tomlinson, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
JACKIE.


 
All the times I have layed in your life
When your love kept me safe through the night
All the time, I was sure you were mine
And before time demands our goodbye
Can you sing me a last lullaby? 

 
C’era una probabilità su un milione. Uno su un milione viene scelto, e poi anche ripescato. Uno su un milione arriva terzo ad X-Factor e vende più del primo classificato. Uno su un milione riempie gli stadi come ho fatto io, e sempre uno su un milione prova la felicità che ho provato io.  Uno su un milione, quando tutto sembra buio vede la luce alla fine del tunnel. Solo uno su un milione.
E uno su un milione può incontrare chi ho conosciuto io. Lei è Jackie, lo è ancora anche se forse lei non lo sa. Il suo nome completo è Jacquelyn Pierre,  suo padre francese e la madre australiana nonostante ciò è cresciuta a Charleston, Carolina del sud, e ora vive a Reading, con me. Frequenta l’università di lingue, e ne va orgogliosa. Non sa bene cosa fare della vita, ha troppe idee e nessuna, allo stesso tempo. È solare, ride a tutte le mie battute anche a quelle più squallide, ride anche a quelle di Harry, ecco perché anche lui la adora. È creativa: ogni volta che entro in casa ha cambiato qualcosa, allora salgo in camera o mi dirigo in cucina e lei è lì, con la testa china, a bere il solito tè delle quattro e mezzo, perché, secondo lei, il tè delle cinque è qualcosa che fanno tutti ormai, facendogli perdere, così, il suo fascino. Le chiedo spiegazioni, e lei sobbalza ogni volta perché non mi sente mai arrivare. Poi mi sorride, cammina verso di me, si avvicina e dopo un bacio a fior di labbra mi risponde.
Non avevo nulla da fare.
Lei in realtà ha abbastanza da fare: lavora nella panetteria in centro, lei ama quel posto, nonostante non sia quello che voglia fare una volta laureata. Ama il profumo del pane appena sfornato. E io lo amo su di lei, io amo lei. E poi studia, ma ci mette il tempo di una doccia veloce, è così brillante che in pochi minuti riesce a memorizzare un capitolo e poi, tutta orgogliosa, me lo ripete. E io la guardo sorridendo, sebbene non ci capisca nulla, oppure semplicemente non l’ascolto ma la osservo. Osservo quelle labbra piene e rosee, gli occhi marroni circondati da tutte quelle lunghe ciglia, quell’accenno di lentiggini sul naso che lei nasconde con il fondotinta e quei capelli scuri che le stanno così bene, pur non essendo il suo colore naturale. Lei se ne accorge e se ne va, infastidita, e poi tocca a me. Mi avvicino a lei e lego le mie mani dietro la sua schiena e unisco le nostre labbra e non la lascio andare fin quando è sera. Poi lei si rende conto che il sole è tramontato, che è tardi, scende in cucina e cucina qualcosa. Le piacciono tanto le lasagne ma sa della mia ossessione per le bistecche così preferisce sempre cuocere quelle. Ci aggiunge sempre un’insalata. Mia madre non è mai riuscita a farmela mangiare, mi sento una mucca a mangiare erba ma quando c’è lei spazzolo tutto ciò che ho nel piatto, per farla felice. Se lei è felice anch’io lo sono.
 Quando sono in tour la chiamo ogni sera per sentire com’è stata la sua giornata, sentire la sua voce è ciò che completa il mio giorno e quando non riesco a contattarla mi sento vuoto, perso. Come se una parte di me non fosse presente.
Anche quella sera l’ho chiamata. Da me era sera, in Inghilterra era pomeriggio inoltrato. Stava leggendo un libro, uno di quei libri noiosi che solo se ami la letteratura riesci ad apprezzare. Mi ha anche attaccato in faccia, dicendomi di averla interrotta nel momento più bello. Quattro minuti dopo, li ho contati, il mio schermo si è acceso, e nel bel mezzo di una conversazione con i ragazzi ho risposto al telefono nonostante loro protestassero. Mi sono chiuso in camerino, mancava poco all’inizio del concerto e ho passato tutto il tempo rimanente a parlare con lei. Mi ha raccontato di come in panetteria tutti le chiedessero impressioni su come fossi fatto, poi le ho chiesto cosa avesse risposto.
Ovviamente ho detto che sei una palla al piede. Ride.
Io ho fatto il finto offeso ma non si può essere arrabbiati con lei.
Ho confessato che sei la parte migliore della mia vita. Colui a cui posso parlare di tutto e che sovente si addormenta nel bel mezzo dei miei soliloqui. E dovrei arrabbiarmi quando accade ma poi ricordo che sei arrivato da pochi minuti, hai solo poche ore a disposizione e invece che passarle a divertirti in tour con i ragazzi preferisci tornare a casa, da me, e allora capisco quanto mi ami. Spesso sorrido e ti accarezzo i capelli perché ti amo, e non posso fare a meno di te. Sei la mia persona.
Ecco le parole che metterebbero in ginocchio qualsiasi ragazzo. Senza che me ne accorgessi qualche lacrima scivolava tranquilla per le mie guance. Anche ora lo fanno.
Infine ho sorriso perché sapevo di non avere bisogno di nient’altro nella vita.
Me li porti a casa un paio di Macarons, quando fate tappa in Francia, amore?
Mi chiede timida dopo numerose mie richieste. È questo che amo di lei, la sua semplicità, avrebbe potuto chiedermi qualunque cosa ma lei vuole solo una scatola di pasticcini, anche se sa benissimo che le porterò altro dai miei viaggi.
Non più di un paio, però.
Raccomandò. La solita paura di ingrassare, ma lei è perfetta così com’è. Potrebbe avere cinquanta chili in più, il viso pullulante di brufoli e la cellulite e l’amerei comunque.
Poi mi chiede come mai sono così silenzioso. Nello stesso istante, Niall bussa alla mia porta, suggerendomi di prepararmi. Lo show sarebbe iniziato in poco meno di dieci minuti.
Ho paura, Jackie. Ho paura di non essere abbastanza per tutta quella gente.  
Le dico. Ho paura anche di diventare troppo poco anche per te, pensai, ma lo tenni per me.
Tu sei perfetto, e se la gente non lo capisce significa che non sa cosa vuol dire la parola perfezione. Non ho mai conosciuto nessuno come te, e spero che mai lo conoscerò o sarò costretta a lasciarti. Rise, e risi anch’io. Ora vai, e spacca tutto, e torna da me il prima possibile, sarò qui ad aspettare una tua chiamata.  
«Tre minuti, ragazzo!» urlano dal corridoio.
Sento che sei in ritardo, ti conviene andare a prepararti, e se avrai uno dei tuoi attacchi di poca autostima pensa che sei il mio eroe, che più persone dovrebbero essere come te, e che ti amo alla follia.
A dopo.
E senza aspettare la mia risposta, chiuse la telefonata.
Rimasi solo con me stesso.
Un microfono in mano.
L’amore della donna migliore di tutta la terra.
 
Grazie alle sue parole il concerto andò meglio del previsto, tutti si congratularono con me ma io volevo solo sentire il suono della sua voce e mi diressi nel camerino. C’erano ben quattro chiamate perse da un numero sconosciuto. L’ultima era di pochi minuti fa. Mentre guardavo il display, questo si illuminò. Ancora quel numero. Risposi, e mi cadde il mondo addosso.
Salve, lei è l’ultimo numero chiamato da Jacquelyn Pierre. È un familiare?
Risposi di no, risposi di essere il fidanzato.
Sa dove posso trovare i recapiti dei genitori? Sa se ha fratelli o sorelle?
Che diavolo stava succedendo? La mia testa esplodeva. Ignorai le domande di quell’uomo e lo obbligai a spiegarmi cos’era successo.
Non posso parlarne con nessuno che non sia un familiare.
Io sono ciò che di più vicino ha ad una famiglia in questo momento.
La sua ragazza ha avuto un incidente stradale, mi dispiace. 
Pochi minuti dopo mi ritrovai su un volo diretto in Inghilterra dopo aver spiegato la faccenda ai ragazzi accorsi in camerino sentendo le mie grida. Niall gentilmente si offrì di accompagnarmi in aeroporto.
E ora sono qui, in una camera d’ospedale mentre dorme. Si è svegliata, ieri sera, dopo un intervento di quasi sette ore. Io ero qui con lei, sono la prima persona che ha visto. Mi ha guardato ma nei suoi occhi non vidi nulla. Poi li ha richiusi e si è addormentata, sfinita. Cammino avanti e indietro per la stanza ma lei non da segni di vita.
Poi ad un certo punto, quando stavo per uscire a mangiare qualcosa sento la sua voce.
  «Dottore?»
Sorrido intenerito, mi giro e la guardo.
  «Jackie, finalmente…» sussurro correndo verso di lei, facendo cadere a terra ciò che aveva in mano mentre l’abbraccio. Lei è confusa e si stacca da me.
  «Dottore che succede?» mi guardò intorno ma non c’è nessun’altro nella stanza con noi, siamo solo io e lei. E allora capisco, e il mondo mi cade addosso ancora una volta e le lacrime velano i miei occhi già stanchi e arrossati. Lei mi guarda ma non capisce, non si ricorda.
Sono il nulla per lei. Il buio, il nero. Ma lei è ancora la mia luce.
 
It's been a while since I last dreamt.
Barely remember what it's like to dream.
Finding it hard to get to sleep, too stressed.
And there ain't anyone to sing a lullaby to me.
 
È stata una lunga battaglia, la nostra. Convincerla del fatto di essere fidanzati è stata un’impresa, convincerla di tornare a casa con me anche peggio. E poi le nostre abitudini, totalmente distrutte per essere poi ricostruite a seconda di come facesse più comodo a lei. I suoi occhi spaventati, i miei occhi perennemente lucidi.
Noi abbiamo perso la nostra battaglia.
Rimpiango ancora di averla lasciata andare ma non potevo più insistere. Lei era sfinita, stava anche peggio di come quando si è risvegliata in quel letto d’ospedale. Non riuscivo a vederla così.
Le mie giornate sono diventate monotone. Abbiamo bloccato il tour per un po’, ne ho parlato con i ragazzi, è la soluzione migliore. Alcune fans l’hanno presa male, altre supportano la mia scelta pur non sapendo tutti i particolari della mia storia, della nostra storia. Sono al telefono con Harry, mi ha chiamato per chiedermi come stavo. Ormai lo fanno sempre, i ragazzi fanno i turni pur di non farmi sentire solo e di aiutarmi il più possibile. Quando riescono si riuniscono fuori dalla porta di casa mia, bussano speranzosi che sia in casa – e spesso, anzi sempre, lo sono. – e si autoinvitano. Mi fanno passare una serata un po’ diversa ma la mia mente torna sempre là, a lei.
Jackie, Jacquelyn ormai, ha lasciato gli studi, il lavoro in panetteria e me. È tornata negli Stati Uniti poco dopo aver lasciato l’ospedale.
Non ha rimpianti, l’ultima volta che l’ho chiamata mi ha risposto un ragazzo. Ho sentito la sua voce in lontananza, sembrava felice.
E se lei è felice, anch’io lo sono.
Per l’ennesima volta sto piangendo e Harry se ne accorge, ma ormai anche lui si è arreso all’evidenza di non poter bloccare le mie lacrime. Nessuno potrà mai farlo.
Solo la mia Jackie.
Ma lei non è più mia.
Lei non è più Jackie.
Qualcuno bussa alla mia porta. Mi immagino uno dei ragazzi dall’altra parte. Chiudo la telefonata con Harry, ringraziandolo, come sempre, per essere presente. Con passo stanco arrivo all’ingresso, e abbasso la maniglia sospirando.
I miei occhi stanchi incontrano i suoi, confusi.
Mi guarda, poi abbassa lo sguardo, riprende la valigia e si gira. La blocco, tenendola per il polso. Le guardo la mano, e vedo un anello, un bell’anello d’oro. Non mi ricordavo possedesse anelli. Lei trema un po’. Si gira e mi guarda. Sorride leggermente mentre delle lacrime solitarie solcano le sua guance. Si ricorda, la memoria un po’ dev’esserle tornata. Anche lei, infine posa gli occhi sulla sua mano destra. E lì capisco di averla persa per sempre.
  «Ti amo, Louis Tomlinson, ma non posso più stare con te. Perdonami.»
 
And I suffer in silence when I'm hurting.
A man's problems are his own .
 



Già, bè in realtà era pensata per avere un finale felice, e invece è uscita così,
anche se devo dire che non mi dispiace troppo. 
Spero vi sia piaciuta se siete arrivati fin qui, e se avete tempo fatemi sapere cosa ne pensate, sarebbe importante per me. 
Un bacio 
Sys.

*scusate eventuali errori, ho ricontrollato, ma siamo tutti umani e può succedere che qualcuno mi sia scappato. Se trovate degli orrori fatemi sapere, e rimedierò!

 

 
  
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > One Direction / Vai alla pagina dell'autore: Sys