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Autore: crazyclever_aveatquevale    29/09/2014    1 recensioni
Storia scritta per l'OS Weekend sul gruppo facebook Prompt me now!
Destiel
Dean e Cas sono coinquilini, e Cas è uno scrittore un po' alternativo che ha bisogno di "provare" le emozioni che mette su carta. Dean lo segue in ogni avventura, perché è Dean.
Genere: Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
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THE STORY OF OUR LIFE - Destiel


Dean non riusciva davvero a capacitarsi di cosa fosse diventata la propria vita.  Erano le due e quarantacinque di notte e lui, invece di dormire come un qualunque onesto lavoratore dovrebbe fare a quell’ora, si trovava seduto su un marciapiede umido e sporco, rovinando il suo unico completo in giacca e cravatta, quello che aveva dovuto indossare per la laurea di Sammy.

E stava ridendo.

Rideva, sì. Perché non conosceva nessuno che avesse il coraggio di imbucarsi ad una festa nell’Upper East Side solo per delle stupide “ricerche”. Anzi, non conosceva nessuno che lo facesse per una ragione qualsiasi, ed ora comprendeva che c’era un buon motivo: gli “estranei” erano facilmente riconoscibili in quelle feste, dove gli invitati si conoscevano di vista o grazie alle immagini apparse sui giornali di gossip. E infatti la loro recita, che aveva richiesto ore ed ore di appostamenti per individuare il fatidico momento giusto, era durata a mala pena dieci minuti.

Dieci minuti di paradiso, tutto sommato. Lo scarno buffet lasciava molto a desiderare, ma quello in parte se l’era aspettato; era invece l’atmosfera ad averlo colpito particolarmente: le luci soffuse, la musica di sottofondo, lo champagne a fiumi e poi numerose donne mozzafiato strette in abiti firmati e ricoperte di gioielli. Nonostante il tempo limitato, aveva comunque avuto tutto il tempo di flirtare amabilmente con tre o quattro di loro, stando sempre attento a non perdere di vista il suo scrittore preferito, che aveva una vera e propria propensione nel cacciarsi nei guai.

Ora Castiel stava seduto accanto a lui e scriveva furiosamente sul blocco di appunti che portava sempre con sé, fermandosi ogni tanto giusto per lanciargli una rapida occhiata penetrante, tornando al suo lavoro prima che Dean avesse la prontezza di riflessi di porre una domanda qualsiasi, o fare una battuta sarcastica.

Di tutte le cose assurde che il suo coinquilino faceva, questa era davvero l’unica che non smetteva mai di stupirlo: Castiel lo scrutava attentamente, nei momenti più impensabili, a volte anche da una distanza così ravvicinata che Dean avrebbe potuto contargli le ciglia, se avesse voluto… Come se nel suo viso vi fossero scritti chissà quali segreti dell’universo. Più volte aveva provato a spiegargli il concetto di “spazio personale”, più che altro perché quell’intimità improvvisa gli faceva venire la pelle d’oca e una strana aritmia ogni dannata volta, ma invano. Il suo coinquilino, che aveva una conoscenza così vasta della letteratura da fare invidia ad un libro stampato, non riusciva al tempo stesso a comprendere cosa ci fosse di strano nel guardarlo dormire o nel contare quante lentiggini avesse sul naso.

Ora che ci ripensava, il motivo per cui l’amico volesse quest’ultimo dato gli era rimasto oscuro.

Alzò gli occhi al cielo, osservando per un attimo il cielo pieno di luci. Era in qualche modo confortante constatare come, in qualunque parte di New York si trovasse, il cielo era sempre in qualche modo illuminato. Avrebbe voluto possedere ancora l’ingenuità (o magari la capacità immaginativa, come Castiel) di dire che quelle luci fossero stelle, e che il loro compito fosse di vegliare sugli uomini, ma per lui non erano altro che insegne o lampioni, adatte solo ad illuminare la via di casa.

Decise che era il momento di smetterla con la contemplazione e alzarsi da quel freddo marciapiede. Allora appoggiò la mano su una spalla di Castiel, palesandogli in questo modo la sua presenza per spronarlo a muoversi, esordendo con un «Almeno stavolta non hanno chiamato la polizia!». E per fortuna, non aveva mai corso tanto come la volta in cui questo scenario si era realizzato.

Sapeva che per ottenere una risposta da Castiel era necessario che lui finisse, perciò si ritrovò ad attendere fin quando il moro non calcò un punto più deciso sulla carta e alzò di nuovo uno sguardo sovraeccitato su di lui.

«È stato fantastico, Dean! Esattamente la situazione e la scarica di adrenalina che mi serviva per il capitolo: l’ansia che sale durante l’attesa e il costante pericolo di essere scoperti ma al tempo stesso il brivido del proibito… Ed infine la realizzazione della sconfitta… Le esatte emozioni che avrebbe potuto provare lui! Proprio un ottimo lavoro, Dean!» esclamò lo scrittore, scattando in piedi affianco all’amico.

«Immagino che la vergogna di essere buttati fuori a calci davanti a tutti tu non l’abbia percepita, giusto?» argomentò Dean, rabbrividendo nel suo completo da pinguino per l’aria fredda della notte.

Castiel lo scrutò, mentre sul suo volto appariva la solita espressione di chi la sa lunga, tipica delle volte in cui il moro era convinto di aver compreso un doppio senso o una battuta. «Intendi dire che non abbiamo fatto proprio una bella figura di fronte all’alta società newyorkese» considerò, socchiudendo gli occhi e inclinando la testa da un lato. «Davanti a quelle belle donne» aggiunse, alzando le sopracciglia.

«Era solo per dire, Cas! Non me ne importa un accidente di quello che pensano quei damerini figli di papà!» rise Dean, facendo alzare gli occhi al cielo all’altro.

«Questo non significa, però – continuò il biondo, improvvisamente più serio – che le tue trovate non siano vere e proprie stupidaggini! Ma come ti è venuto in mente??»

«Lo sai come la penso, Dean. Come puoi trasmettere delle sensazioni ai tuoi lettori se non le hai davvero provate? Come potrei far-» Ma il biondo lo interruppe, alzando le mani.

«Sì, Cas, lo so, lo so. Non serve che mi ripeti la pubblicità ogni volta. È l’unico motivo per cui ancora ti seguo in quest’avventura ai limiti della normalità! Intendevo per quale ragione abbiamo dovuto interpretare la parte dei pinguini» concluse, indicando la sua mise.

«Cosa c’entrano i pinguini, adesso?» Castiel era sinceramente confuso.

Dean si inteneriva sempre quando Castiel dimostrava che per essere scrittori affermati non era necessario superare lo “scoglio letterale”: solo da poco, infatti, Castiel aveva iniziato a comprendere usi e modi di dire della gente comune, troppo immerso nel mare profondo che era la letteratura. Circondò le sue spalle con un braccio gli scompigliò i capelli con fare scherzoso. «Dai, Cas, andiamo a casa».

«Fermiamo un taxi?»

«No, è poco più di mezz’ora di cammino. E poi, lungo la strada Papà Dean potrà spiegarti la storia dei pinguini, se vuoi». Propose Dean, con un occhiolino.

Fu il turno di Castiel di alzare gli occhi al cielo e ridere. «Solo se nel frattempo prendiamo degli hamburger».

«E hamburger sia».

 
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“Sapevo che saresti venuto”. Una voce melliflua dietro le sue spalle lo fece trasalire, ma poi il biondo si voltò all’indirizzo della procace ragazza mora che gli aveva rivolto la parola.
“Dall’urgenza del tuo messaggio sembrava importante” ribatté lui, mentre la donna lo superava per andare a sporgersi dalla ringhiera al suo fianco. Daniel tornò ad osservare New York, le luci della città che si riflettevano nei suoi occhi verdi.
“Non abbiamo molto tempo” sospirò lei, appoggiandogli il capo sulla spalla. “Ho bisogno di te”
Con gentilezza, Daniel si scostò. “È lavoro e basta, lo sai. Non sono più solo oramai. Sono venuto qui con il mio…


No.

Castiel interruppe la scrittura. No, c’era decisamente qualcosa che non quadrava. Daniel era un dongiovanni, uno sciupafemmine incallito, non era possibile che avesse una storia importante con un uomo. Non con l’amico che l’aveva accompagnato, soprattutto. Doveva cambiare il discorso, lasciare che il suo protagonista flirtasse con la ragazza di turno come aveva visto fare a Dean quella sera.

Ogni volta che gli proponeva di aiutarlo in una delle sue indagini si aspettava che Dean non le accettasse. E invece l’amico si limitava a sbuffare divertito e a chiedere maggiori informazioni, sparendo poi nella sua camera per prepararsi.

Dean aveva una innata capacità ad adattarsi a tutte le situazioni. Lo aveva visto più volte nella casa che condividevano preparare la colazione o la cena per entrambi e, anche se l’amico non avrebbe voluto farglielo sapere, per la signora Manners, che abitava l’appartamento sottostante il loro; l’aveva visto nel suo negozio di dischi infiammarsi in una discussione sulla musica rock e inalberarsi per una critica agli AC/DC; aveva assistito ad uno dei litigi col fratello Samuel, e anche alla riappacificazione, notando come, nonostante le differenze di carattere, i due si volessero davvero molto bene; lo aveva sentito supplicare per una Apple Pie… ed infine eccolo lì, in completo, a sorseggiare un flûte di champagne in un party dell’altra società.

E Castiel si trovava ad ammirarlo ogni volta, sempre più stupefatto dalle mille sfaccettature della personalità dell’amico.

Si accese una sigaretta, aprendo allo stesso tempo la finestra. Il Washington Square Park era al buio, ma l’arco era illuminato e l’atmosfera, alle quattro del mattino nel bel mezzo del Greenwich Village, era ancora calma e rilassante.

Sembrava strano a pensarci, ma ora viveva in quella casa da sei mesi. Un record, per un amante dei viaggi come lui. Per le sue ricerche aveva dovuto visitare paesi esotici e città d’arte, e ne era rimasto a dir poco affascinato. Per un periodo sentiva come di non poter resistere più di un paio di giorni prima di trovare cose sempre nuove, ma ora qualcosa era cambiato. Osservava sempre lo stesso paesaggio da ben sei mesi e non gli era mai pesato, non aveva mai perso la sua magia.

Al momento, tuttavia, Castiel non riusciva a rilassarsi. Di recente era ossessionato dalle parole che il suo editore gli aveva rivolto dopo aver letto il settimo capitolo del suo nuovo libro: Balthazar gli aveva consigliato di “aprire gli occhi e prendersi quel che voleva”. Se dapprincipio le parole lo avevano stupito non poco, nonostante oramai conoscesse l’eccentricità del suo manager, col tempo questa frase aveva iniziato a tormentarlo. Cosa voleva?

Cosa desiderava senza nemmeno saperlo?

Aveva iniziato a comprendere solo quando, sul manoscritto da poco restituitogli, aveva trovato un post-it giallo, su cui Balthazar aveva scritto, con la sua calligrafia elegante: “Trovo che la caratterizzazione del protagonista sia particolarmente fedele all’originale; lui che ne pensa?” seguito da uno smile che gli faceva l’occhiolino. Solo allora si era reso conto che il suo personaggio – Daniel – aveva non pochi tratti in comune con il suo coinquilino, a partire dai capelli biondi fino a giungere all’altruismo e alla passione per il rock.

Già solo quest’ultimo fattore doveva essere indicativo: prima di conoscere Dean non aveva mai ascoltato musica diversa dalla classica!

Ispirò una boccata dalla sigaretta e rilasciò il fumo con lentezza. Una volta iniziato a comprendere la situazione, c’era voluto poco per… Come si diceva? Unire i puntini. Perciò, se lui amava senza riserve ciascuno dei propri personaggi e uno di loro – anzi, addirittura il protagonista - era stato creato sul modello del proprio coinquilino, non era necessario essere dei geni per comprendere. Si era anche non poco identificato con la “spalla”: l’amico che lo seguiva sempre e comunque!

Vi era un’unica soluzione possibile a cui giungere, l’unica verità che aveva nascosto perfino a se stesso: era innamorato di Dean.

Innamorato… gli sembrava talmente strano! Non era da lui innamorarsi di qualcuno, al massimo si lasciava andare di tanto in tanto all’edonismo… Ma poteva dire di non essere mai stato innamorato prima.

Cosa avrebbe dovuto fare? Provare a parlargli sembrava inutile: Dean amava le donne, era sempre stato così. Eppure non era da lui tacere, mentire. Si era sempre vantato di essere un uomo sincero e schietto, che non aveva paura della verità. Però questa volta la verità poteva fargli male, più male di qualsiasi dolore che avesse mai provato in vita sua.

La sigaretta era finita, e Castiel la spense nel posacenere, mentre già spuntavano i primi raggi del sole. Si stese a letto, non riuscendo comunque ad addormentarsi per via dei pensieri che gli affollavano la mente.

Era questa la sensazione di avere il cuore spezzato?

 
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Il negozio di dischi di Dean rifletteva la sensazione di accoglienza e sincero interesse che Castiel aveva sempre associato al biondo amico. Si lasciò accogliere dal leggero tepore dell’ambiente mentre entrava, facendo tintinnare il campanello legato alla porta. Il sorriso che Dean gli rivolse, alzando lo sguardo su di lui, era ancora più caldo.

«Sei un angelo Cas» lo accolse l’amico, con gli occhi verdi che luccicavano per la gioia di vedere le buste che il moro portava con sé. «Sto morendo di fame!»

«Ho preso del cinese, Dean. E la tua torta!» disse quello, arrossendo.

«Ah, come farei senza di te, Cas?» gesticolò Dean, facendogli spazio sul bancone.

Pranzarono così, uno di fronte all’altro, condividendo le ciotole del take away. Era quanto di più familiare Castiel avesse mai avuto, e lui stesso si stupiva che gli venisse così naturale comportarsi in questo modo con Dean. Si incantò di nuovo a guardarlo con le bacchette che tenevano in equilibrio un raviolo e Dean lo fissò a sua volta. Di nuovo gli venne in mente una metafora che gli aveva insegnato l’amico: ogni volta gli sembrava di affogare nel verde dei suoi occhi.

Vide Dean arrossire, così ricominciò a mangiare. Non vi era mai tanto imbarazzo fra di loro, ma a volte il silenzio sembrava talmente “pieno di sottintesi” che era necessario introdurre un qualsiasi argomento. Prima che potesse pensare a qualcosa da dire, Dean lo anticipò. «Allora, come procede la tua storia?»

«Mmm, direi bene. Il protagonista ha appena accettato un caso pericoloso, forse dovremmo cercare in qualche locale l’atmosfera tipica da bisca…»

«Dalle stelle alle stalle!» ironizzò Dean, riferendosi alla disparità delle due situazioni.

«Dean, cosa dici? Non siamo mai andati nello spazio e dubito fortemente che nel centro di Manhattan vi siano maneggi… E comunque non dovremmo andare lì ma in dei semplici bar!» argomentò Castiel, aggrottando le sopracciglia.

Dean scoppiò a ridere, e il suo volto pieno di gioia e la sua risata cristallina entrarono nel cuore di Castiel, che dimenticò la sua filippica e si limitò a fissare l’amico.

L’idillio fu interrotto dal campanello della porta. Dean si raddrizzò immediatamente, pronto a servire il nuovo cliente, mentre Castiel iniziava a riordinare il bancone, accatastando tutti i contenitori vuoti.

Sentì un «Benny!» entusiasta e si girò in tempo per vedere Dean abbracciare un uomo robusto, con un basco ad incorniciare il volto abbronzato. All’improvviso seppe associare una specifica sensazione al termine “gelosia”.

L’uomo, Benny, si staccò da Dean, mantenendo però un braccio sulla sua spalla, e si girò, voltandosi verso la porta. Lì li aspettava una giovane donna mulatta, con i capelli raccolti in una treccia e gli occhi nocciola. «Questa è la mia Andrea» disse, mentre lei si avvicinava e porgeva una mano a Dean.
Il biondo la strinse, esclamando «Tu sei la donna che gli ha fatto mettere la testa a posto! I miei complimenti». L’entusiasmo era evidente.

Lei sorrise, subito a suo agio dall’accoglienza del biondo. Castiel non poté fare a meno di sentirsi orgoglioso dell’altro. «Beh, da quanto mi ha detto tu ci sei andato molto vicino!» scherzò lei, con un occhiolino che fece arrossire Dean.

Castiel strabuzzò gli occhi. Iniziò ad alternare lo sguardo tra Dean e quel Benny contando sul fatto di non essere stato ancora notato. Erano stati… Insieme? Cioè, insieme, insieme? Il cuore iniziò a battergli all’impazzata.

Mentre l’epifania ancora presentava i suoi effetti, Benny si accorse della sua presenza e, superando Dean, gli si avvicinò per presentarsi. «Benny Lafitte – esordì, ricambiando la stretta di Castiel con una altrettanto decisa – faremo prima a far così, se aspettiamo Dean ci verranno i capelli bianchi!»
Castiel doveva ammettere che il sorriso dell’uomo era contagioso. «Io sono Castiel Novak, piacere di conoscerti» si presentò, lanciando un’occhiata dietro le spalle di Benny e cogliendo il sorriso soddisfatto di Dean e un’espressione stupita ed esaltata da parte di Andrea.

«Lo scrittore?» si assicurò lei, andando in brodo di giuggiole quando lui annuì. Allora la donna prese una copia del suo libro e, avvicinatasi al bancone, gli porse una penna, chiedendogli un autografo.

«E così tu sei il Cas che fa girare la testa al nostro Dean, eh?» chiese Benny, facendo saltare un battito al cuore di Castiel, che si girò di scatto.
Dean, che era andato a fuoco, scuoteva ancora la testa, cercando invano di bloccare Benny.

Accortosi del suo sguardo, il biondo riprese un minimo contegno e rispose al posto suo all’amico: «Siamo solo coinquilini, Benny, e amici».

Benny rise. «Anche noi eravamo solo coinquilini, Dean!» disse, facendo l’occhiolino alla moglie. Anche Andrea rise, mentre Castiel si sentì arrossire.

Dean approfittò della risata generale per cambiare argomento, con grande gioia di Castiel.

 
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«Stupido incosciente idiota che non sei altro!» inveiva Dean all’indirizzo di Castiel, steso sul divano. Si avvicinò a lui con la cassetta di primo soccorso appena recuperata dal mobiletto in bagno e iniziò a tamponargli con una garza la ferita che il moro aveva sul braccio.

Erano appena tornati a casa dalla loro piccola “gita” nei sobborghi Newyorkesi, dove avevano dato inizio ad una rissa epocale a causa della immane stupidità dello scrittore. Insomma, non si può entrare in un bar pieno di omaccioni dai visi molto poco rassicuranti e chiedere una birra e un giro sul retro, per provare un po’ di “divertimento speciale”. Avrebbe dovuto realizzare lì che la serata sarebbe stata un vero e proprio sfacelo.

Castiel era stato steso dal primo pugno che gli era arrivato, per cui era toccato a Dean tenere a bada gli energumeni sfruttando le lezioni di lotta libera che aveva appreso da ragazzo. Per miracolo aveva messo in piedi Castiel ed erano riusciti a sfuggire dalle grinfie di quegli uomini e lungo la strada avevano incontrato uno scippatore.

Naturalmente, Castiel aveva tentato la strada della diplomazia e, cosa non incredibile considerato il suo tatto, ne era uscito con una ferita di coltello sul braccio sinistro. Alla fine, Dean aveva messo in fuga il ladro con la minaccia della polizia e avevano preso un taxi fino a casa.

La ferita non era profonda, ringraziando il Cielo, ma lo spavento era stato tantissimo. Dean disinfettò con acqua ossigenata e posizionò la garza tutt’intorno al braccio, considerando se non fosse necessario fare un’antitetanica.

Poi si ricordò che no, non era necessario: il medico che aveva iniettato la medicina ad entrambi l’ultima volta aveva detto che la protezione sarebbe bastata per almeno due settimane. E quello era anche il motivo per cui non aveva portato l’amico al pronto soccorso.

«Non è andata come mi aspettavo ma è stata comunque molto istruttiva» mugugnò Castiel, mentre Dean controllava che non avesse altre ferite.

«Cas» lo avvertì Dean, cercando di infondere in quell’unica sillaba tutta l’ansia che aveva provato e la disapprovazione per la sconsideratezza dell’altro.

«Mi fa male la testa, Dean» si lamentò il moro.

Dean, sospirando, prese un analgesico e glielo fece ingoiare con dell’acqua, poi si sedette sul divano appoggiando la testa dell’altro sulle proprie gambe e cominciando ad accarezzargli i capelli.

«Perché? Perché lo fai, Dean?» chiese Castiel, aprendo gli occhi indagatori su di lui mentre la medicina cominciava a far effetto. «La verità»

«La verità? – sospirò Dean – La verità è che non potrei sopportare di perderti. Perché sei un vulcano in tutto quello che fai e seguirti è l’unico modo che ho per dimostrarti che io sono qui per te, sempre e comunque. La verità è che vivo nel terrore che un giorno ti accorgerai quanto sono banale e mi lascerai indietro per vivere le tue avventure. La verità è che amo ogni momento passato con te e io-»

Dean si fermò per riprendere fiato, accorgendosi di stare per compiere quel salto nel vuoto che aveva evitato per tanto tempo. Chiuse gli occhi, e saltò.

«La verità è che ti amo, Cas.»

Castiel rimase stupefatto. Assaltò il suo viso, ripetendogli che lo amava anche lui e che non l’avrebbe mai lasciato, perché era l’essere più speciale che avesse mai incontrato, il personaggio più incredibile, l’unico.

Dean si ripromise di tenerlo ben stretto a sé, perché pensava le stesse cose riguardo a lui.

 
Adesso me lo dici di che parla il tuo libro?
È la storia della nostra vita







Crazy's Corner
Era da un po' che non scrivevo e mai così velocemente, per cui vi prego di farmi notare qualunque errore o svista!
Il prompt era di Cavaliera, e mi sono divertita un mondo a scriverlo ;)
Spero che vi piaccia!
  
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