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Autore: Cracked Actress    29/09/2014    3 recensioni
"Ernest Hemingway diceva che ci sono solo due posti al mondo dove possiamo vivere felicemente: a casa e a Parigi. Kieren aveva tentato con la prima, e dato che il risultato era stato a dir poco disastroso, aveva deciso di buttarsi sulla seconda."
AU in cui Kieren riesce a partire per Parigi e lì incontra Simon, che lavora come cameriere in un bistrot della Rue Mouffetard.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Kieren Walker, Simon Monroe
Note: AU, Lime | Avvertimenti: nessuno
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Ernest Hemingway diceva che ci sono solo due posti al mondo dove possiamo vivere felicemente: a casa e a Parigi. Kieren aveva tentato con la prima, e dato che il risultato era stato a dir poco disastroso, aveva deciso di buttarsi sulla seconda. Era atterrato all’aeroporto di Orly due giorni prima, non così pieno di speranze e progetti per il futuro come avrebbe dovuto essere. La sua era una fuga, lo sapeva bene. Non era così ingenuo da credere di aver lasciato a Roarton il dolore e l'amarezza, ma sperava che la solitudine e la lontananza l'avrebbero aiutato a creare una sorta di bolla protettiva, una barriera tra se stesso e ciò che aveva provato fino ad allora. Per un po' aveva persino funzionato e, anzi, gli era sembrato che Parigi riuscisse a stimolare la sua creatività come mai era successo. Aveva impiegato i primi due giorni a disegnare i paesaggi più noti della città: la Tour Eiffel vista dal Trocadero, la sagoma dell’Arc de Triomphe in fondo agli Champs Elysees, il panorama dalla collina di Montmartre. Gli piaceva sentirsi un turista qualunque, confondersi tra la massa di persone che fotografava, guardava, indicava. Era arrivato persino ad ignorare il trucco che si scioglieva sotto il sole, rincuorato dalla maggiore tolleranza che i parigini nutrivano nei confronti degli affetti da PDS. Spinti proprio da questa nomea positiva, erano giunti in città moltissimi ragazzi come lui, e ne aveva intravisti più di uno da quando era arrivato. Un paio di loro avevano persino trovato un lavoro. Niente di prestigioso, ovviamente: facevano le pulizie all'aeroporto o per strada, lavoravano come camerieri, commessi, cassieri. Qualcuno poi passava le giornate a Montmartre: c'era chi suonava, chi cantava, chi faceva ritratti e caricature ai turisti. La massiccia presenza di affetti da PDS stava quasi diventando un'attrazione della città a detta di alcuni parigini. Per quanto in realtà questo atteggiamento non favorisse l'integrazione, a Kieren sembrava un altro mondo rispetto a Roarton, e non storceva il naso di fronte ai giovani radical chic che organizzavano manifestazioni a favore dei diritti di quelli come lui. Forse non gli interessava integrarsi davvero, essere considerato normale, poiché anche quando era vivo non si era mai sentito davvero simile agli altri. Ci aveva fatto l'abitudine da ben prima del Risveglio.

Eppure l'iniziale entusiasmo cominciava già a svanire all'alba del terzo giorno. Kieren sapeva che sarebbe successo, e accolse i segnali del suo malessere come un vecchio amico. Quella notte si era ricordato impovvisamente di una cosa che gli aveva detto Rick una vita fa, quando avevano appena iniziato il liceo. A suo parere, a Parigi si trovavano i cimiteri più belli del mondo, e gli aveva giurato che non sarebbe morto senza visitarli almeno una volta. La sua risata continuava a martellare in testa, calda e un po' rauca, e Kieren non riusciva a fare a meno di pensare a con amara ironia che Rick era molto due volte, e a Parigi non c’era mai stato. Quel pomeriggio, nonostante la pioggia, decise di andare al Père-Lachaise e perdersi tra le tombe di morti ben più illustri di lui e di Rick, osservare il riposo che per ragioni ancora ignote a lui era stato negato. C’era anche lì qualche tumulo recintato, segno inequivocabile del Risveglio, ma il cimitero era stato riaperto comunque essendo una delle mete preferite dai turisti. Disegnò velocemente qualcuno dei sepolcri più belli e gli venne la voglia di mettere su foglio come sarebbe stato se si fossero risvegliati non solo i morti del 2009, ma quelli di tutti i tempi. Li immaginò insieme per quei vialetti, coppie improbabili accomunate solo dalla morte: Jim Morrison e Eugène Delacroix, Oscar Wilde e Fryderyk Chopin, Abelardo ed Eloisa finalmente riuniti per l’eternità. Difficile immaginare una Maria Callas famelica che aggredisce i passanti assieme a Marcel Proust. Chissà se sarebbero stati ancora in grado di scrivere, comporre, cantare, dipingere, se avrebbero regalato al mondo altri capolavori. Proust avrebbe sicuramente modificato la sua concezione del tempo alla luce dei recenti avvenimenti.

La pioggia si intensificò a poco a poco, lasciando grossi goccioloni sui disegni di Kieren e costringendolo alla ritirata strategica. Ripose in fretta l’album nello zaino e si coprì la testa col cappuccio, precipitandosi alla più vicina stazione della metropolitana. L’acqua aveva lavato via parte del trucco coprente sul suo volto, perciò non si tolse il cappuccio nemmeno quando fu seduto sul treno al riparo e al caldo. Una bambina, nascosta dietro le gambe della madre, lo guardava con interesse e poi gli sorrideva timida arrotolandosi i riccioli fra le dita. Kieren non ci sapeva granché fare con i sorrisi, ma si ritrovò a ricambiare senza nemmeno pensarci.

“Sophie, ne faites pas ça!” Un lieve strattone e il richiamo della madre preoccupata gli fecero capire ancora una volta che, tolleranza o non tolleranza, il dolore e la rabbia di chi aveva subito dei lutti a causa dei famelici era impossibile da cancellare.

Kieren percorse molto lentamente i metri che separavano la stazione della metro dall’hotel in cui alloggiava, un bed and breakfast PDS friendly ai margini del Quartiere Latino che offriva camere progettate appositamente e un servizio infermieristico ogni mattina per praticare a tutti gli inquilini l’iniezione quotidiana di neurotriptilina. Nelle stanze al posto del letto c’era un comodo divano per chi poteva riposarsi ma non dormire, e poi una scrivania, una televisione, un computer e la connessione wifi gratuita. Assomigliavano più a dei salottini che a delle vere e proprie camere, ma a Kieren non importava granché. Non aveva trascorso molto tempo all’hotel da quando era arrivato in città, perché tutte le volte che si trovava da solo nella sua stanza sconosciuta e impersonale percepiva una per una dentro di sé tutte le miglia che lo separavano dalla sua famiglia, da Amy e dalla tomba di Rick. Così anche quella sera, una volta giunto di fronte alla facciata dell’hotel, non si fermò e passò oltre. Si diresse a colpo sicuro verso Rue Mouffetard, una via piena di negozi e bistrot, tra le più pittoresche e antiche della città. Lasciò che i piedi si muovessero da soli senza una meta precisa sul marciapiede bagnato, accelerando a poco a poco il passo come se stesse fuggendo da qualcosa. Arrestò la sua corsa di fronte ad un cafè semivuoto con tavolini e sedie all'esterno, uno di quelli che si vedono sulle guide turistiche. Nonostante le sedie fossero bagnate a causa della recente pioggia e i pochi clienti fossero tutti all'interno del locale, Kieren si sedette fuori, occupando il tavolo più vicino alla strada.

"Bonsoir." Una voce bassa e un po' brusca lo fece sobbalzare, e si voltò per vedere l'espressione corrucciata di un cameriere in piedi a pochi passi da lui. Lo stupore fu incredibile, poiché il ragazzo non solo era affetto da PDS, ma non portava né lenti a contatto né un filo di trucco.

“Bonsoir”, rispose un po’ affettato, imponendosi di non fissarlo. Si vergognò un po’ del suo trucco sbavato a causa della pioggia, dei vestiti fradici e della faccia da cretino. “Parli inglese?”

“Sono irlandese, nei limiti del possibile. Vuoi sederti dentro?”

“No, no, va bene qui, grazie.” “Sono già bagnato oltre ogni limite”, avrebbe voluto aggiungere.

“Cosa ti porto?” Il sorriso sardonico del cameriere suggerì a Kieren che vedere una persona come lui in un bar non era cosa frequente, per ovvi motivi.

“Solo un bicchier d’acqua.”

Kieren sorrise incerto mentre il ragazzo si allontanava, studiandone le spalle larghe e la figura alta e robusta. Possibile che il datore di lavoro lo facesse servire ai tavoli senza costringerlo a coprire il suo colorito bluastro? Sicuramente c'erano state delle proteste sull'argomento, era impensabile il contrario.

Dopo un paio di minuti il cameriere tornò col bicchier d'acqua e un sorriso un po' storto ma più disteso, e ringraziandolo Kieren si vergognò per ciò che aveva pensato un minuto prima. Come poteva pretendere comprensione e solidarietà da parte della gente se lui per primo si stupiva e quasi si scandalizzava per aver visto un ragazzo affetto da PDS che non si faceva alcun problema a mostrare il suo vero aspetto? Il proprietario del cafè, chiunque egli fosse, doveva essere una persona più larga di vedute di lui stesso.

Non potendola bere, utilizzò l'acqua del bicchiere per bagnare un fazzoletto e rimuovere gli ultimi residui di trucco dalla sua faccia. Probabilmente era più spaventoso col trucco a chiazze piuttosto che al naturale, e in fondo aveva sempre il cappuccio a coprirlo. Poi rimase almeno un'ora seduto a quel tavolo, osservando prima le persone che passeggiavano per la Rue e poi il cameriere che si muoveva un po' lento all'interno del locale. Kieren iniziava a conoscerne i gesti – come si lisciava il grembiule tutte le volte che riponeva il bloc-notes in tasca dopo aver preso un'ordinazione, quante volte si passava la mano sulla nuca per poi scendere sul collo – e quel sorriso obliquo che sembrava uscire fuori con un certo sforzo, ma non per questo era meno sincero. Desiderò improvvisamente disegnare la sua bocca, ma quando si chinò sullo zaino per prendere l'album, una goccia cadde sulla sua mano. La pioggia era tornata, e lo sconosciuto cameriere di cui ormai Kieren aveva studiato innumerevoli dettagli tornò al suo tavolo per portar via il bicchiere.

“Quanto ti devo?”, gli chiese mentre la pioggia ricominciava a cadere con insistenza.

“Offre la casa, visto e considerato che era solo un bicchiere d'acqua e non l'hai neanche bevuto”. Di nuovo il solito sorriso.

Kieren si alzò e in un secondo era già in strada, ma continuava a guardare quel ragazzo come se volesse dirgli qualcosa che neanche lui sapeva. “Grazie allora, e a presto.”

“Okay”, fu la risposta borbottata del cameriere, come se quella di Kieren fosse una promessa.



*****



La notte era sempre stato il momento più difficile per Kieren, anche quando era in vita e poteva dormire, ma allo stesso tempo esercitava un fascino particolare su di lui. Il buio, il silenzio, la sensazione di calma apparente facevano apparire persino Roarton un posto tranquillo. A Parigi anche di notte si sentiva continuamente il suono delle auto e delle sirene, amplificato dal silenzio in cui era immersa la sua stanza d’albergo. Kieren si sentiva soffocare, e pensò che la cosa era piuttosto grave visto che in realtà non era in grado di sentire alcunché. Cercò di ignorare quella sensazione e controllò la casella di posta, trovandovi una e-mail da parte di sua sorella.


Ehi, Kier. Hai già comprato una scheda telefonica francese? Muoviti e dammi il numero, mamma e papà vogliono sentirti. Spero che vada tutto bene nella Ville Lumière. Sei già diventato un pittore famoso?


Con il malessere che montava ancora dentro di lui, chiuse il laptop e andò ad aprire la finestra che dava su un ampio boulevard. Non era pronto per sentire la sua famiglia, non ancora. Aveva bisogno di più tempo per elaborare il distacco, per non crollare, per poter fingere con più convinzione. Li avrebbe fatti preoccupare forse, ma non riusciva a comportarsi diversamente, non poteva. Il giorno dopo avrebbe risposto che non aveva ancora comprato la scheda perché troppo impegnato a fare il turista, e avrebbe rimandato fino a quando non se la fosse sentita davvero.

Ripensò al cameriere del cafè in cui era stato la sera prima, e a come fosse palesemente a sua agio senza trucco e senza lenti colorate. E la cosa più strana era che in qualche modo riusciva a trasmettere la sua sicurezza anche a chi lo guardava, perché osservando la sua pelle grigiastra e i suoi occhi bianchi contornati da profonde occhiaie, Kieren non riusciva a smettere di pensare quanto fosse bello. Non bello in senso tradizionale, non era un complimento sull’estetica soltanto, basato su chissà quali canoni. Anzi, era di sicuro troppo cupo e accigliato per essere considerato bello universalmente. Kieren non riusciva neanche a guardarsi allo specchio e detestava la sua immagine, e invece quel ragazzo non lo spaventava affatto. Quello che mostrava al mondo era il suo vero aspetto, e questo lo rendeva un milione di volte più bello di lui.

Si disse che doveva assolutamente fargli un ritratto, anche solo per ricordare a se stesso tutta la strada che doveva ancora percorrere nell’accettazione di sé.



*****



Non poté tornare al “Cave La Bourgogne” il giorno dopo, avendo già fissato il treno per Versailles e la visita guidata alla reggia. Due giorni dopo passò dal cafè, ma del ragazzo che l’aveva servito quella sera non c’era alcuna traccia. Probabilmente aveva turni diversi ogni giorno, oppure lavorava solo il finesettimana, quando il locale era più affollato. Kieren si sedette allo stesso tavolino e ordinò di nuovo alla cameriera un bicchier d’acqua, cercando di richiamare alla memoria i lineamenti dell’uomo che l’aveva incuriosito così tanto. Tentò di disegnare ciò che si ricordava: i capelli scuri tirati indietro col gel, gli occhi grandi, le rughe attorno alla bocca. Giunto proprio a quest’ultima, il dettaglio che più l’aveva colpito, si bloccò, e a nulla valsero i tentativi di ricreare la particolare forma delle sue labbra. Il disegno rimase incompiuto, e Kieren tornò all’albergo un po’ deluso dalle sue capacità.



*****


I giorni passarono con una lentezza estenuante tra visite ai musei e ai monumenti più famosi della città e inutili passeggiate attorno al “Cave La Bourgogne”. Si ripeté che sicuramente lo sconosciuto lavorava al bistrot solo nel finesettimana, e perciò cercò di non pensarci e di concentrarsi soltanto sulla bellezza di Parigi. Per la maggior parte del tempo riusciva a farlo, e a dirla tutta non era un compito difficile: aveva quasi consumato un intero album quando si era imbarcato su un bateau-mouche e aveva fatto una piccola crociera sulla Senna. Il tempo ristretto non gli permetteva di disegnare tutto ciò che vedeva, così fotografava i paesaggi più belli e li metteva su carta appena tornava all’albergo. Di fronte ad una seconda e-mail di Jem non aveva potuto risparmiarsi una breve risposta, in cui aveva comunicato soltanto che doveva comprare ancora la scheda telefonica, che era tutto okay e che gli mancavano tutti moltissimo.

Venerdì mattina passò come al solito dal “Cave”, distrattamente convinto di non trovare colui che stava cercando. E invece era proprio lì, sulla porta con la sua camicia bianca, le sopracciglia aggrottate e la bocca che Kieren non riusciva a disegnare, in attesa di clienti da accompagnare al tavolo. La sorpresa di rivedere il suo soggetto perduto inchiodò Kieren a terra, e lo costrinse a guardarlo da lontano per registrare ogni dettaglio che gli era sfuggito. Solo quando l’altro lo notò si mosse in fretta per dissimulare i suoi intenti e si accomodò al solito posto.

“Un bicchiere d’acqua, scommetto”, mormorò il cameriere alzando le sopracciglia, e Kieren annuì semplicemente. Doveva soltanto aspettare che gli portasse il bicchiere e poi sarebbe stato libero di disegnare e di interrompersi ogni volta che l’avesse visto avvicinarsi.

Furono tra i minuti più lunghi della sua non-vita, ma infine, con lo stesso sorriso sghembo, il ragazzo posò il bicchiere sul tavolo e tornò nel locale, lasciando Kieren libero di tirare fuori l’album e dedicarsi al ritratto.

Ritoccò tutto quello che aveva disegnato fino ad allora, reputandolo approssimativo, per poi dedicarsi allo studio della bocca. Ogni tanto il cameriere tornava a servire qualche tavolo vicino, e Kieren doveva girare pagina e far finta di rifinire uno schizzo della facciata di Notre Dame. La sua vicinanza gli dava il tempo di ricontrollare dettaglio per dettaglio e di riprodurlo non appena l’uomo si allontanava di nuovo, e ben presto fu totalmente risucchiato dal ritratto. Non esisteva più una strada a fianco al cafè, né il cafè stesso. Non c’era più una sedia sotto di lui, o la gente intorno che parlava e faceva tintinnare le posate. Esisteva soltanto la matita e il tratto che lasciava sul foglio, esistevano soltanto i piccoli difetti che per quanto si sforzasse non riusciva a correggere. La bocca era ancora ben lontana dal vero, e non rendeva affatto giustizia all’originale. Mentre tentava di raddrizzarne gli angoli, una voce appena dietro la sua testa lo fece sussultare, e a causa del movimento improvviso fece un piccolo frego sulla guancia.

“Di solito si chiede il permesso, prima di ritrarre qualcuno”.

Se la pelle di Kieren avesse potuto diventare rossa, probabilmente avrebbe assunto un colorito violaceo e la temperatura di un vulcano in eruzione. Invece essere affetti da PDS ha anche qualche lato positivo, e Kieren fu in grado di mascherare almeno un po’ il suo imbarazzo.

“Ti chiedo scusa, hai ragione, io non so cosa…”

“Non scusarti, è davvero bello.” Il sorriso di quel ragazzo era a pochi centimetri dal suo volto mentre osservava il disegno da dietro di lui e annuiva. “La mia bocca è davvero così storta?”
“Certo che no”, si affrettò a rispondere, “è molto meglio di così.” Stupidissime frasi che escono da sole, pensò Kieren. “Nel senso che non lo è”, si corresse, per poi tacere immediatamente onde evitare altre figure terribili.

“Simon”, si presentò il ragazzo porgendogli una mano grande con le unghie appena annerite. Kieren la strinse e mormorò nome e cognome in modo automatico, come se gli fosse stato chiesto a scuola.

“Sai che c’è? Ho diritto a dieci minuti di pausa”, gli disse Simon mentre si toglieva il grembiule e si accomodava sulla sedia di fronte a lui. “Di dove sei precisamente, Kieren?”
“Un villaggio nel Lancashire.”

“E cosa ti porta a Parigi?” Kieren ammutolì di fronte alla domanda più difficile che Simon potesse rivolgergli. Perché in realtà c’erano mille ragioni per cui era giunto in quella città e allo stesso tempo non sapeva perché l’avesse fatto davvero. Per l’arte, perché non poteva vivere in una Roarton senza Rick, per trovare se stesso, per vivere più tranquillamente la sua condizione in un luogo più tollerante, per far credere ai suoi genitori di poter combinare qualcosa con l’eternità che gli era stata data. Scrollò le spalle e disse la verità: “Ancora non lo so.”

“Oh, capisco. Sei un artista.” Simon lo guardava con un interesse che faceva sentire Kieren a disagio e al tempo stesso lo lusingava. “Per quanto rimani in città?”

Un’altra domanda a cui Kieren avrebbe dovuto dare la stessa identica risposta. “Non ho ancora deciso, ma per adesso non ho in programma di andarmene, sono arrivato poco più di una settimana fa.”

La bocca di Simon si piegò ancora una volta nel solito sorriso, e poi si aprì per replicare, ma una voce dall’interno del locale lo interruppe. “Simòn, viens ici!”

“Pausa finita.” Nei suoi occhi apparve un velo di tristezza che prima non era mai stato visibile.
Kieren tirò fuori due euro dalla tasca e glieli porse, indicando il bicchiere d’acqua che giaceva ancora intatto sul tavolo. “Il resto è mancia”.

“La generosità dell’artista. Felice di averti conosciuto, Kieren Walker.” E sparì prima che Kieren gli potesse dire che anche lui era decisamente, senza alcun dubbio, molto felice di averlo conosciuto.



*****



Quella notte fu la più difficile, proprio perché poteva essere la più bella. Fin da quando era tornato all’albergo aveva pensato soltanto a Simon, alla voce profonda che ancora gli risuonava nelle orecchie, alla curiosità che aveva visto nei suoi occhi. Aveva pensato così tanto a Simon che aveva finito per pensare a Rick e a perdersi ancora una volta tra i sensi di colpa, a cui adesso poteva aggiungere l’interesse che provava per un altro ragazzo. Non si era mai sentito libero, e non si sentiva libero nemmeno adesso: tutto era sempre stato Rick e Rick soltanto, non c’era stato spazio per nessun altro. Conoscere Simon era stato come uno squarcio su una vita che non credeva possibile, ma non tutto se stesso ne gioiva. La parte di lui che avrebbe voluto morire con Rick gli faceva vivere quell’avvenimento come uno dei più terribili che gli potessero capitare. Per l’ennesima volta da quando l’aveva seppellito, si ritrovò a disegnarne il volto, ancora così presente nella sua memoria eppure sfuggente. Era qualcosa di cui non poteva fare a meno, una tortura che si autoinfliggeva per punirsi. Ma non era soltanto quello, stavolta più delle altre. Era come se tutte le volte che lo disegnava una piccola parte di sé gli dicesse addio. Un lunghissimo commiato alla persona che credeva gli sarebbe rimasta accanto per tutta la vita.

Quando finì il ritratto lo ripose in una cartellina assieme a tutti gli altri, non prima di aver scritto sul retro cinque parole: “Devo provarci, Rick.” (1)



*****



Sicuramente era una pessima strategia, e la cosa più infantile che potesse fare, ma Kieren la sera dopo era di nuovo al “Cave La Bourgogne”, pronto ad ordinare l’ennesimo bicchiere d’acqua che non avrebbe bevuto. Simon glielo portò direttamente questa volta, senza nemmeno prendere l’ordinazione.

“Cosa disegni stasera?” gli chiese rimanendo più serio del giorno prima. Kieren ebbe la brutta sensazione di non essere del tutto gradito.

“Ancora non ho deciso”, rispose incerto. Avrebbe voluto dirgli che doveva fare tutte le rifiniture al suo ritratto e che intendeva regalarglielo, ma la freddezza di Simon gli aveva fatto capire che non era una buona idea.

“Pronunci questa frase piuttosto spesso”, borbottò, e si precipitò ad un altro tavolo perché l’avevano chiamato.

Kieren rimase completamente immobile per un paio di secondi; non aveva idea di cosa stesse succedendo. O meglio, poteva immaginarlo: Simon si era già stufato di avere un ragazzino che gli ronzava intorno e lo disturbava sul posto di lavoro. Con tutta probabilità aveva visto un interesse dove non esisteva, e non era così impossibile, considerando la sua scarsa esperienza in materia. Estrasse comunque il disegno dalla cartellina e si mise a ritoccarlo, correggendo per prima la bocca e passando poi a raddrizzare il naso. Cercò di concentrarsi solo sul ritratto e di convincersi del fatto che Simon non gli era mai interessato davvero. Voleva disegnare il suo volto perché vi era incisa una fierezza che raramente aveva visto nelle persone affette da PDS. Aveva poi frainteso la sua gentilezza il giorno prima, ma non c’era bisogno di farne un dramma perché le sue intenzioni erano state diverse fin dal primo momento.

Passò almeno un’ora prima che Simon gli si avvicinasse di nuovo, passandosi una mano sul retro del collo come faceva quando un cliente aveva qualcosa da ridire sul cibo o non capiva una frase troppo complicata in francese per poi chinarsi su di lui e parlargli quasi nell’orecchio.

“Senti, Kieren...non so cosa tu stia cercando, ma non credo di essere adatto a te.”

Per essere più chiaro di così doveva essere scritto su un’insegna luminosa. “Non sto cercando niente, non preoccuparti. Finisco il ritratto e me ne vado immediatamente.” Di fronte alla freddezza di Kieren, Simon sembrò fare un passo indietro.

“Non è che non voglia conoscerti meglio, ma so per certo di non essere il tipo adatto a te.” Nei suoi occhi apparve di nuovo quella tristezza che si era intravista per un attimo quando si erano salutati, ma Kieren stavolta era troppo concentrato sulle sue parole per notarlo.

“Non capisco davvero cosa tu voglia dire.”

Simon si tolse il grembiule, fece un cenno ad una donna che lo guardava dall’interno del locale e prese Kieren per mano per portarlo fuori dal cafè, in un luogo più appartato, per quanto possibile in una delle strade più frequentate di Parigi.

“Innanzitutto l’età, Kieren”, cominciò a spiegargli, “quanti anni avevi quando sei morto, diciassette? E poi sembri un ragazzo così tranquillo, perbene, e tutto il trucco che ti metti per coprire la pelle...Perché lo fai? Saresti molto più bello senza. Io non sono la persona giusta per te, te lo posso assicurare.”

Oltre alla tristezza, nei suoi occhi c’era una certa amarezza che Kieren interpretò come disprezzo di sé. Capì immediatamente che non si trattava di lui, ma del rapporto di Simon con se stesso, e non si offese. Gli sorrise e scosse la testa. “Non sono tranquillo, sono solo patologicamente introverso.”

Simon ricambiò il suo sorriso e sospirò, appoggiandosi ad un lampione. “Sai come sono morto? Overdose, è stato suicidio.” All’implicita domanda insita in quell’affermazione, Kieren non rispose. Si limitò ad alzare le maniche della felpa e a mostrargli i segni che aveva sui polsi.

Un cupo stupore attraversò il volto di Simon, che si rabbuiò ancora di più.

“Ci sono tante cose che dovresti sapere prima di giudicarmi”, mormorò Kieren alzando le spalle, e si incamminò verso il suo albergo senza aggiungere nient’altro.



*****



Quella sera si decise finalmente a chiamare sua madre e suo padre. Si sentiva stranamente bene dopo la discussione avuta con Simon, forse perché aveva capito che dietro la sua sicurezza si nascondeva in realtà tutto l’opposto, forse perché era fiero della dignità con cui aveva reagito. Invece di chiamarli al telefono si accordò con Jem per chiamarsi tramite Skype (cosa che si era rifiutato di proporre prima). Fece loro vedere la sua stanza e i disegni migliori tra quelli che aveva fatto dal suo arrivo, mentre Jem gli raccontò del suo ritorno a scuola. La vide strana ma non volle dire nulla di fronte ai genitori, ripromettendosi di chiederle cosa c’era che non andava non appena si fossero sentiti in privato. Dopo una decina di minuti disse loro che era stanco e che doveva riposare, e chiuse la comunicazione non prima di essersi sorbito tutte le raccomandazioni che gli avevano propinato anche prima di partire, mentre Jem alzava gli occhi al cielo e sbuffava. Adesso che si era tolto anche questo peso si sentì per la prima volta, in minima percentuale, libero. Si ripromise di cercare un corso di disegno il giorno dopo, e di non tornare più al ““Cave La Bourgogne”, nonostante il pensiero di Simon continuasse ad occupargli la mente più di quanto aveva creduto possibile. Forse aveva ragione lui, forse a Kieren serviva qualcosa di totalmente diverso.



*****



Un’altra settimana passò in fretta. Kieren aveva cominciato a cercare un lavoro perché la stanza all’albergo stava diventando un po’ troppo costosa e i suoi risparmi stavano iniziando a scarseggiare. Aveva fissato un paio di colloqui per lavorare come barista, visto che l’unica esperienza lavorativa presente nel suo curriculum era di quel tipo. Aveva trovato anche un corso di disegno in inglese e ne era entusiasta; si teneva di sera e dall’altra parte della città, ma non avendo bisogno di dormire aveva tutta la notte per tornare a casa. Forse avrebbe potuto trovare una camera in affitto vicino alla sede del corso. Non aveva più rivisto Simon, avendo accuratamente evitato la Rue Mouffetard, o almeno quel tratto in cui si trovava il bistrot che fino a una settimana prima frequentava anche due volte al giorno. Non era sicuro che fosse stata una buona idea, in realtà. Probabilmente aveva soltanto paura di affrontare una nuova, difficile, conoscenza e aveva preferito tagliare i ponti, aiutato dalle parole che gli aveva rivolto Simon stesso. Il ritratto era quasi ultimato, ma non gliel’avrebbe regalato. L’avrebbe tenuto Kieren, per ricordarsi di quel ragazzo dall’espressione corrucciata e la bocca più bella che avesse mai visto.



*****



Era sabato sera, e Kieren stava leggendo un libro seduto sul divano della sua camera. Si era tolto le lenti a contatto perché aveva gli occhi arrossati, e già che c’era aveva rimosso anche il trucco. Non succedeva spesso, perché il più delle volte preferiva tenere almeno una delle due cose, nonostante il medico a Roarton gli avesse detto che non gli faceva bene. Per questo quando sentì bussare alla porta, fu tentato di ignorare la cosa completamente e far finta di non esistere.

“Chi è?”, chiese mentre cercava il contenitore delle lenti a contatto.

“Sono Simon”, gli rispose una voce un po’ incerta al di là della porta, e Kieren senza pensare si precipitò ad aprire, pentendosi subito dello slancio. Simon sembrava più giovane e meno sicuro di sé senza la divisa da cameriere, e lo guardava con la bocca socchiusa e gli occhi spalancati.

“Avevo ragione”, mormorò abbassando lo sguardo subito dopo, “sei più bello al naturale.”

Kieren gli circondò il collo con le braccia, lo tirò verso di sé e lo baciò sulle labbra, assaporandole con la lentezza di chi ne sta ancora studiando la forma. Simon non fu altrettanto delicato e cominciò a ricambiare con foga, spingendo Kieren dentro la stanza per chiudere la porta dietro di sé. Si interruppero soltanto quando urtarono la scrivania, tra risate imbarazzate e carezze sulla schiena.

“Come mi hai trovato?”

“Con un po' di fortuna. Questo è l'albergo PDS friendly più vicino al cafè, e ho voluto fare un tentativo.” Simon lo baciò ancora una volta. “Sono pronto ad ascoltare una per una tutte le cose che dovrei sapere prima di giudicarti.”

Kieren sospirò e cominciò a raccontare.



*****



Dopo due ore erano l’uno tra le braccia dell’altro e silenziosi. Avevano scoperto di avere tantissime cose da dirsi, forse così tante che anni interi non sarebbero bastati. Era incredibile come fossero così vicini nonostante si conoscessero da poco tempo. Kieren gli aveva raccontato di Roarton, di come aveva assistito all’omicidio di una donna affetta da PDS da parte di Bill Macy e di quanto la vita lì fosse impossibile per quelli come loro. Raccontò anche dei suoi genitori e di Jem, che facevano quanto in loro possesso per accettarlo ma spesso fallivano. Per loro e per se stesso, Kieren aveva bisogno di apparire più simile possibile a quello che era stato in vita.

“Tutti meritano di essere accettati per quello che sono, Kieren”, aveva mormorato Simon prima di baciarlo un’altra volta, e ancora, e ancora, come se baciandolo potesse convincerlo della sua perfezione. Stringendolo gli ripeté ancora che era bellissimo, che tutti loro erano bellissimi e che la loro condizione era un dono e non una punizione. Kieren scuoteva la testa poco convinto, ma gli promise che avrebbe tentato di scendere a patti col proprio aspetto e col proprio destino.

Gli parlò a lungo di Rick. Di come fosse riuscito a perderlo due volte per colpa sua, del primo bacio in quella grotta in mezzo al bosco, di suo padre e dell’esercito. La stretta di Simon si faceva più forte tutte le volte che la voce di Kieren si faceva meno decisa e più tremante, ma rimase in silenzio. Aspettò che Kieren finisse di parlare e poi lo baciò per l’ennesima volta.

A Kieren non era mai capitato di parlare così liberamente con qualcuno, era insolito per uno come lui. Ma Simon non era come tutti gli altri, l’aveva capito fin dal primo momento in cui gli aveva rivolto la parola. Quando non riuscì più a continuare, iniziò a parlare Simon. Non gli raccontò tutto quanto, non ancora. Non era pronto a dirgli le cose che lo tormentavano nel profondo, ma ricordò la sua dipendenza e la sensazione di inutilità che aveva provato fin da quando aveva memoria. Scoprirono di essere più simili di quanto pensassero, e non solo per il gesto finale che aveva messo fine alle loro vite. Erano due anime affini, due persone estremamente sole che da quel momento in poi avrebbero potuto contare l’una sull’altra.



*****



Trascorsero così quella prima notte, a parlare stretti l’uno all’altro come se niente importasse davvero a parte loro due e le parole e i pensieri che si stavano scambiando. L’ora di separarsi giunse troppo presto, ma quando Simon fece per andarsene, Kieren lo bloccò sulla porta.

“C’è una cosa che desidero darti”, gli disse porgendogli la cartellina che conteneva il suo ritratto. Simon l’aprì, ricambiando quel regalo con il primo vero sorriso da quando si erano conosciuti.

“È perfetto”, disse semplicemente. E con un ultimo bacio e la promessa di tornare più tardi, non appena il lavoro gliel’avesse permesso, lo lasciò da solo a ripensare a tutte le cose che si erano detti. Dopo essersi messo le lenti a contatto ed essersi truccato - un po’ meno del solito, perché da qualche parte bisogna pur iniziare per accettarsi a poco a poco- Kieren aprì il laptop e scrisse di getto un’e-mail ai suoi genitori e a sua sorella.


Devo farvi conoscere una persona.


Questa oneshot partecipa all'iniziativa "OS Weekend" del gruppo Facebook "Prompt Me Now!" ed è stata sviluppata a partire da un prompt di Mrs Bored. La ringrazio tantissimo (perché con la sua iniziativa e il suo prompt è riuscita a farmi scrivere più di 5000 parole in due giorni dopo mesi di blocco) e spero che il risultato sia di suo gradimento! 1) Ho scritto "cinque parole" poiché in inglese sono cinque e Kieren ovviamente ha scritto in inglese! (perdonate queste stupide pignolerie da fanwriter stanchissima)

   
 
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