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Autore: Sheep01    29/09/2014    8 recensioni
“Ehi tu…” un’eco nel candido nulla in cui stava affogando. “Dico a te… ragazzina…”
Fu il rumore del proprio cuore pulsante a riportarla alla ragione. Alla pseudo lucidità.
La bocca ancora impastata, le membra gelide, tremanti. Quando sentì il lieve tocco dello sconosciuto su di sé, scattò in lei qualcosa di antico, furibondo, letale. [...]
La lama affondò in qualcosa di… rigido. I suoi occhi misero a fuoco un bauletto. Nero. E poi, rialzando il tiro, a scrutare un paio di occhi grigio azzurro.
“Woah, ma che razza di ringraziamento sarebbe, questo?”
[Clintasha pre-SHIELD, pre-Avengers]
Genere: Azione, Commedia, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Agente Phil Coulson, Altri, Clint Barton/Occhio di Falco, Natasha Romanoff/Vedova Nera, Nick Fury
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 20

 

Your light's reflected now, reflected from afar
we were but stones, your light made us stars

(Light Years – Pearl Jam) 

 

Si era rimessa in piedi ad una velocità straordinaria.

Aveva annusato il pericolo nel momento in cui quell’ombra nera era entrata nel suo campo visivo.

Un uomo stava scavalcando il davanzale.

Quale razza di pervertito entra nelle case altrui, passando per la finestra della camera da letto?

A parte lei. Ma lei non era una pervertita, mentre quell’uomo, con quella mole e quella faccia… che tanto assomigliava a Clint. Ma che non era Clint. Aveva i capelli rossi…

“Nikita?”

“No!” la voce di Clint, prima che facesse irruzione nella stanza, la mise in una situazione del tutto precaria. Avrebbe anche attaccato il tizio, ma l’istinto e l’intervento del collega le suggerirono che sarebbe stato opportuno valutare la soluzione in modo più approfondito.

“Ma non eri morta?” blaterò il tizio che assomigliava a Clint, ma non era Clint e aveva i capelli rossi. E poi rivolto… a Clint: “Ma non era morta?”

“E’ complicato.” L’uomo le sembrò cauto con le spiegazioni e Natasha capì di essere di troppo, in quella stanza. Per molteplici e svariati motivi.

“Ecco perché non volevi farmela incontrare!”

Barney.

La soluzione avrebbe dovuto palesarsi immediatamente. Quell’uomo era Barney. Il fratello di Clint.

“Che diavolo ci fa qui?”

“Te l’ho detto… è complicato.”

“Oh, bello mio, qui ci sono così tante di quelle cose da spiegare che…”

“Potreste non parlare fra di voi come se io non fossi qui?” si frappose Natasha, prima di essere costretta ad assistere a uno scambio di battute al vetriolo.

Barney le aveva puntato lo sguardo addosso. Uno lungo, diretto, penetrante, carico di rimprovero.

Rimprovero di cui non fu per nulla sicura di aver individuato la natura.

“Giusto… perché non me lo dici tu che cosa sta succedendo… Nikita.”

Nikita.

Nikita non era l’eroina di quel film di Luc Besson?

Clint l’aveva costretta a vedere alcune pellicole. Quella era piuttosto interessante. Un po’ inverosimile ma…

Nikita.

Dovette scacciare una pessima sensazione allo stomaco.

“Nat, non sei costretta a dirgli un bel niente. Anzi sei moralmente obbligata… a non dirgli un bel niente.”

Forse aveva ragione. Se era vero che Barney lavorava per l’FBI e l’aveva conosciuta…

Clint le aveva raccontato tutta la storia. Omettendo particolari che aveva sempre sostenuto fossero irrilevanti ma… il quadro generale dello svolgimento del loro incontro lo aveva.

“Arrivati a questo punto sarebbe più pericoloso non dirglielo, non credi?” gli si rivolse, lanciandogli uno sguardo piuttosto esplicito. Insomma, se non gli avessero dato sufficienti giustificazioni, questo gli avrebbe dato il pretesto di indagare. Di divulgare il segreto e distruggere la nuova immagine guadagnata.

Cose che le importavano sì, ma adesso era un tantino più preoccupata a gestire quella pessima sensazione. Sempre lì, sempre presente.

Una sensazione di déjà-vu che andava man mano concretizzandosi in un malessere fisico.

 “Ti fidi di lui, Barton?” ebbe però la forza di chiedergli, mentre la mano andava a finire sullo stomaco.

L’arciere le rivolse uno sguardo indeciso.

“Dipende.”

“Ma come dipende?” Barney aveva avanzato una protesta piuttosto pertinente. Era o non era suo fratello? Le aveva raccontato delle divergenze ma…

Che diavolo era, adesso, quella sensazione di nausea?

“Non lo so: quanta intenzione hai di divulgare il segreto?”

“Ne ho tutte le intenzioni.”

“Eccoti la risposta.”

Natasha sospirò come se si trovasse ad avere a che fare con due bambini. Poi cominciò il mal di testa.

“Non se gli dicessimo che sto collaborando.” Le uscì un po’ stentato. Le tempie pulsavano.

“Con chi? Con lo SHIELD?”

Natasha e Clint rimasero in silenzio e Barney si trovò a far vagare lo sguardo prima su uno e poi sull’altra… attonito.

“Mi state prendendo per il culo. Ma da quanto?”

“Barney…”

“E’ lei la partner con cui devi partire?”

E Natasha voleva spiegargli che sì, era lei e che non avrebbe dovuto far rapporto a nessuno perché lo SHIELD si era preso cura di lei, fino a forgiarne un agente che…

Ancora quella sensazione di déjà-vu.

 

Barney era improvvisamente legato a un termosifone.

E Clint era sul divano.

E le stava parlando di un certo…

 

“Chi è Novicov?” domandò dal niente, interrompendo la diatriba fra i fratelli.

“Che hai detto?”

“Chi è… Novicov?” le era uscito con un rantolo.

“Natasha stai bene?”

“Non lo so.”

“E’ sbiancata.”

 

Un ciccione con la maglia di Capitan America.

 

“Nat?”

 

Una spiaggia assolata… della California.

 

“Nat!”

Era caduta sulle ginocchia.

 

“Salti tu, salto io…”

Un bacio.

Le grida.

La caduta.

Aghi.

Niente.

 

*

 

“Cristo santo, è svenuta!” Barney sembrava essere lì giusto per sottolineare l’ovvio.

“Dammi una mano, sta male!” anche Clint però non scherzava.

“Certo, certo.”

Avevano preso Natasha per le gambe e per le braccia e trascinata sul letto.

“Nat… Nat…” le dava dei colpetti sul viso che non sembrarono produrre alcun risultato. Era pallida come il lenzuolo e tremava.

“Dobbiamo chiamare un’ambulanza.”

“Sì, giusto…” Clint si era appena reso conto di non essere in grado di agire in modo razionale.

Barney era volato in salotto alla ricerca del telefono.

“Nat…” quando la vide aprire gli occhi, sentì il gelo del panico dissiparsi appena. “Ehi…”

Lo sguardo di lei era ciò che di più sperso avesse mai avuto modo di constatare.

“Clint…”

“Sì, proprio io. Mi hai fatto prendere un colpo, che è successo?” le scostò i capelli dal viso. “Sei caduta a terra come un sacco di patate.”

Sapeva di non aver usato il tono greve che si conviene a certi tipi di situazione, ma il contesto gli pareva già abbastanza preoccupante di suo per condirlo di dramma verbale.

“Ho… un…” la vide umettarsi le labbra, la voce strascicata.

“Non importa, stai tranquilla. Barney è andato a chiamare un’ambulanza.”

“No…”

“No? Sei appena svenuta. E noi Barton, per quanto straordinari, non siamo medici.”

Lei gli aveva afferrato il colletto della camicia e strattonato appena nella sua direzione.

“No.”

La voce di Barney arrivò dalla stanza accanto: “Perché non c’è linea? L’hai pagata la bolletta del telefono?”

Come no? Era arrivata. L’aveva appoggiata sul tavolino all’ingresso e… lì era rimasta.

Ops.

Guardò Natasha con espressione costernata.

“Scusa. Ti ci portiamo noi all’ospedale.”

Di nuovo la vide scuotere la testa.

“Clint…”

Sì, Clint. Di nuovo. Doveva essere davvero a pezzi per lasciarsi sfuggire di chiamarlo per nome. Non era abituato a sentirsi chiamare per nome. Non più da quando…

“Nat?”

Una sensazione.

Una speranza.

E poi le vide dipingersi nello sguardo quell’espressione di consapevolezza che aveva cercato per mesi.

E per un lungo attimo sembrò non volerci credere affatto.

“Dimmi che non sta succedendo adesso…”

Le lacrime che vide formarsi nei suoi occhi furono una risposta piuttosto eloquente. E si sentì stringere lo stomaco da un'agitazione che non era certo di saper quantificare. Non sul momento almeno.

“No, ti prego. Non con Barney nell’altra stanza…” sembrò stronfiare, mentre una risata gli riaffiorava dal petto, incontrollabile, a fare da incoerente contrasto.

“Mi dispiace.” La sentì articolare, la mano ancora artigliata alla sua camicia le lacrime che scivolavano lungo le sue guance.

Due reazioni totalmente opposte: ma Clint non ci poteva fare niente se la tensione sbloccata in tutti quei mesi si era concretizzata in un’esplosione di rumorose risate.

“Se dici a q-qualcuno che ho pianto t-ti faccio fuori.”

“Finiscila.” La sedò all’istante, mentre lei si aggrappava a lui per rimettersi seduta e poi finiva fra le sue braccia, affondando il viso nel suo petto.

“Ehi, ho detto che non c’è lin-” Barney, “Oh, ma per l’amor del cielo! La pomiciata dell’epilogo no!”

Clint rise più forte, mentre si godeva un abbraccio atteso sei anni.

 

 

***

 

Epilogo

 

 

Una volta era convinto che fossero i soldi… a far muovere il mondo.

Ma le cose erano cambiate un po’ dall’ultima volta che si era trovato a formulare quell’equazione.

E le convinzioni erano cambiate.

Non i soldi, ma le persone. Sono quelle che fanno muovere il mondo.

In modo disarticolato, incoerente, piuttosto autodistruttivo, ma sono quelle che lo mettono in condizione di girare.

A parte bè… la forza ellittica, ma per spiegarla sarebbe servito un cazzo di scienziato e Clint, fino a prova contraria era solo un agente operativo dello SHIELD. E la forza ellittica gli serviva solo a comprendere le azioni acrobatiche delle cosce di Natasha.

Ma… sì.

Le persone.

Clint aveva conosciuto diverse persone, nel corso della sua esistenza. Alcune di queste tutt’altro che piacevoli: violente, bugiarde, criptiche.

E poi c’era stato un tempo in cui ne aveva trovata una che aveva assunto tutte e tre le caratteristiche in contemporanea e, inaspettatamente, invece di suscitargli sdegno e disgusto, aveva preso ad affezionarcisi.

Tanto che alla fine era diventata una delle persone a cui avrebbe affidato – ad occhi chiusi – la propria vita, per giunta…

 

“Clint.” Una batosta alla nuca che per poco non lo fece sbattere con la fronte sul cruscotto dell’auto.

“Ma sei scema?”

“Ti eri di nuovo imbambolato.”

“Non è vero.”

“Sì che è vero. Con quella faccia così.” E Natasha si prodigò in quell’espressione statica e terrificante che Clint sfoggiava durante le consultazioni private con il proprio cervello.

“Quella è la tua faccia terrificante, non la mia.”

“Occhi sull’obiettivo.”

“Certo.” Abbassò lo sguardo.

“Non le mie tette…” altra batosta.

“Dai!”

“Agente Barton, lei non sta prendendo sul serio la missione.”

“Più serio di così?”

“Non parlo della tua faccia.”

Sospirò qualcosa di poco elegante: “E’ che odio gli appostamenti.”

“Lo so. Pensa al dopo.”

“Dopo ci sarà come minimo una sparatoria.”

“No. Dopo.”

“E poi un inseguimento.”

“Clint…”

“Oh e una rocambolesca fuga che ci condurrà all’infermeria.”

“Mi arrendo.”

“A concludersi con una lavata di capo di Fury, che-”

Gli aveva tappato la bocca. Con una mano.

“E infine i festeggiamenti.”

“’o ‘ai che efe’isco ‘esteggiae ‘ima.”*

“Lo so.” Gli si era arrampicata addosso, scavalcando cambio e freno a mano. Il volante a comprimerle la schiena.

Clint non era del tutto sicuro di capire che cosa sarebbe successo. Ma ci si lasciò cadere, prima ancora di capire che stava già precipitando.

Si trovò le labbra di Natasha sulle proprie e non ebbe proprio niente da protestare a riguardo.

Che indecenza. Erano in missione dopotutto!

Ci mise, giustamente, più entusiasmo.

Quanto le sue mani erano ormai state un po’ dappertutto su di lei, Natasha gli lasciò andare le labbra, osservandolo con quello sguardo un po’ terribile che sempre gli riservava prima che accadesse qualcosa di… interessante.

“Ma questo non è un vero festeggiamento.” Protestò lui un po’ deluso dalla mancanza assoluta di esaltazione.

Lei sorrise. Un po’ a presa di culo, se proprio doveva dirla tutta. Ma forse era solo un’impressione.

“Infatti è una copertura.” Disse, e gli fece cenno di guardare fuori dal finestrino, alla sua sinistra.

Un paio di uomini che parevano occhieggiarli con l’imbarazzo di chi ha beccato due amanti a piccioneggiare in macchina. E uno dei due che rispondeva esattamente alla descrizione fornitogli da Coulson: “Levati, guido io.”

“La macchina è mia.”

“La macchina è dello SHIELD. Muovi il culo, Barton.”

“Hai rotto le palle con queste manie di protagonismo.” Trasalì quando, spostandosi ricevette una sberla sul culo.

“Maniaca.”

“Lagnoso.”

“Gargantuesca!”

“Che cosa?”

Nemmeno il tempo di godersi la soddisfazione di una citazione colta che…

Il primo sparò frantumò il vetro del cruscotto.

“Woah!”

Il secondo e il terzo si schiantarono sulle lamiere della macchina.

Bastò uno sguardo e un sorriso sghembo a capire quello che sarebbe successo dopo.

“Salti tu, salto io?”

Sfoderarono le armi e spalancarono le portiere della macchina.

 

Le persone fanno muovere il mondo.

I proiettili li fanno muovere le teste di cazzo.

Ma solo Natasha… sapeva piegare le leggi della fisica.

Era sempre stato un piacere… vederle fare quella cosa delle cosce.

 

“BARTON! Un po’ di collaborazione, per Dio!”

 

Ops.

 

End.

___

 

*Lo sai che preferisco festeggiare prima.

 

Note:
E ci siamo. Davvero stavolta. La storia è finita. Kaputt. Sono triste ma felice, un po’ come quando arrivai a concludere Cinque Centesimi. Lasci qualcosa che ti ha accompagnato (e fatto dannare) per settimane, ma sei soddisfatta di aver potuto scrivere la parola: fine.

Che dire… innanzitutto che è stata una storia piuttosto travagliata. Come ho forse già spiegato mi ci sono dannata l’anima per capire in che direzione dovevo spingere il racconto, ma alla fine sono arrivata a delle soluzioni che non mi hanno del tutto delusa. Anzi, alla fine mi ci sono proprio divertita. Una storia “leggera”, una storia che non ha mai avuto pretese e che mi ha aiutato ad attraversare l’estate e il delirio pre-Avengers: Age of Ultron, con più tranquillità.

La canzone dell’incipit, come avrete capito, è quella che da anche nome alla fan fiction. Una canzone che mi ha folgorata. Testo e musica. Per il prologo e l’idea della trama.
Ma arriviamo ai ringraziamenti: alla mia super beta, socia, compare di deliri, amica Serena, perché lo sa lei. Per tutte le chiacchiere, le sedute psicologiche di supporto, per la sopportazione, gli scleri più o meno sani, lo spaccio di fotografie e notizie che creano scompensi (di Jeremy Renner soprattutto, perché quell’uomo è la morte, sotto troppi punti di vista – lo dovevo dichiarare al mondo, scusate), in vacanza, prima di un esame… e chi più ne ha più ne metta. Insomma. GRAZIE.

E poi grazie a chiunque abbia speso il suo tempo a leggere questa storiella, e in particolar modo a chi è stato così carino da lasciarmi un parere e vado ad elencare: Ledy Leggy, Hermione Weasley, DalamarF16, Frau Blucher (nitrito di cavallo, scusami, non è colpa mia!), BlackMoody, Alwaysmiling_, missgenius, monica 97, fireslight. GRAZIE a voi! Se ho dimenticato qualcuno me ne scuso, ma sono un’umana un po’ distratta.

Infine non mi resta che aggiungere che, sebbene ultimamente la vena creativa si sia un po’ smorzata, nel calderone sta bollendo un’altra storia, in parte scritta, in parte no. E, come preannunciato, sarà una storia un po’ corale che vedrà coinvolti davvero tutti i nostri Vendicatori… e non solo, una fanfiction un po’… molto AU. Un AU che, non voglio anticipare troppo, ma ha a che fare con le mie letture estive, un telefilm che va molto di moda ultimamente e un’atmosfera tutt’altro che rassicurante. Perciò sì, qualcosa che si discosta molto dalle atmosfere, più o meno leggere di questa. Ma ne riparleremo più avanti, se sarà il caso.

Giusto per non perdere l’abitudine poi, suggerimenti di lettura per l’autunno: cliccate su Ride On, della mia amica Hermione Weasley, perché se vi piacciono le storie sporche e cattive, non ne rimarrete delusi.

Non mi resta che salutarvi e rimandarvi con grande agitazione di braccia alla prossima. Bye bye!

E.

  
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