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Autore: Margherita Dolcevita    29/09/2014    1 recensioni
Storia partecipante al contest "Immagina una storia" indetto da SignoraKing.
Li trovarono solo poche ore dopo, ma la polvere aveva già iniziato a ricoprirli, tentando quasi di nasconderli al resto del mondo, in modo che, così, sarebbero rimasti, per sempre, solo loro due.
Genere: Angst, Drammatico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Storia partecipante al contest "Immagina una storia" indetto da SignoraKing. Vi auguro buona lettura,
Margherita.

Nome sul Forum e su EFP: Margherita Dolcevita (EFP) Margherita_Dolcevita (Forum)
Titolo: Polvere.
Pacchetto: Polvere.
Genere: Drammatico.
Rating: Arancione.
Coppia (se c'è, ovviamente): Nessuna.
Avvertimenti: Tematiche delicate, Handicap.
Note: Nessuna.
Note dell'autore (facoltativo): Nessuna.


                                                                                                       
     Polvere.





 

Si osservò attraverso lo strato di polvere che ricopriva lo specchio, e che rendeva i suoi lineamenti distorti e appena riconoscibili, perfino ai suoi occhi. Prese l'asciugamano a quadri appeso lì , accanto al lavandino , e lo bagnò con l'acqua, ormai gialla, per via della ruggine e del calcare presente nelle tubature, segno che, quella stanza, non doveva essere stata usata molto.

Con movimenti circolari iniziò a pulirne la superficie, inizialmente la polvere si estese, diventando di un grigio più scuro a contatto con l'acqua, ma poi, appiccicandosi all'asciugamano se ne andò, lasciando un riflesso ben nitido. Posò al suo posto lo straccio, dopo averlo ripulito, ma, nonostante avesse rimosso la polvere, riusciva ancora a sentire il suo odore, riusciva a sentirla sulle mani e riusciva a sentire gli acari pizzicargli il naso, pronto a farlo starnutire.

In quel bagno, con le mattonelle rotte e scolorite in alcuni punti e abbellite da alcuni graffiti, si sentì a suo agio. Anche la sua pelle era abbellita da disegni astratti, e anche lui era sporco, ricoperto da qualcosa di molto più indelebile della polvere, qualcosa che non se ne sarebbe andata via semplicemente con un pò d'acqua. 

La sua polvere era rossa, liquida e aveva un sapore amaro. Ne aveva assaggiato qualche goccia quando essa, sotto la potenza dei suoi colpi, gli era schizzata sulla faccia e suoi vestiti. 

Non avrebbe dovuto farlo, era contro tutti gli ideali che i suoi genitori avevano cercato di insegnargli, ma non era riuscito a sentirsi in colpa. Nemmeno ora che la polizia lo stava cercando, e che alla televisione lo etichettavano come omicida e rapitore. 

Loro non avevano il diritto di giudicare. Cosa ne sapevano loro, che si fermavano al suo aspetto tatuato e pieno di piercing. Lo avevano accusato di avere ucciso un quindicenne senza alcun motivo preciso, e di aver poi sequestrato suo fratello minore.

Una risata genuina si levò dal profondo della sua gola. Lui amava suo fratello ed era per proteggerlo che aveva ucciso quel ragazzino viziato. Se loro avessero visto quel moccioso ridere del suo fratellino, umiliarlo fino a farlo piangere e ferirlo, tirandogli sassi, forse non lo avrebbero più chiamato assassino. 

No, loro non lo avrebbero capito comunque, nessuno poteva. Come con lui si fermavano a leggere i suoi tatuaggi, con suo fratello si fermavano alla sua deficienza. Ma lui non era stupido, il suo fratellino capiva fin troppo bene che con lui il mondo non sarebbe mai stata giusto, che le persone che lo maltrattavano ci sarebbero sempre state. Certe volte lo sentiva piangere la notte, e allora lui si alzava e andava a consolarlo, stringendolo forte contro di se.

Anche solo guardandolo si capiva che aveva qualcosa che non andava: la sua bocca era sempre semiaperta e molte volte lui doveva pulirgli il filo di bava che gli scendeva lento dalle labbra fino al collo. La sua schiena era ricurva e le sue gambe storte, ma lui lo trovava bellissimo. Era il suo piccolo angelo e nessuno lo avrebbe portato via da lui.

Quando aveva visto il sangue colare dalla ferita sulla fronte, inferta dal sasso, e suo fratello singhiozzare per il dolore, il suo cuore era esploso. Avevano spezzato definitivamente le ali al suo piccolo angelo. 

Aveva preso lo stesso sasso, macchiato del suo prezioso sangue, e lo aveva battuto con forza contro la testa di quel ragazzino, ancora, ancora, ancora e ancora. Centrando tutte le volte lo stesso punto in cui ora il suo fratellino aveva una cicatrice. Aveva sentito il lobo occipitale rompersi sotto i suoi colpi, ma non si era fermato. 

Solo quando suo fratello aveva urlato, non sopportando più il macabro spettacolo che lui gli stava regalando, la nebbia nella sua mente si era come diradata. Aveva preso suo fratello per mano, macchiandolo con la sua polvere rossa, e lo aveva portato via, in un posto dove nessuno gli avrebbe più fatto del male.

Chiuse gli occhi sfregandosi le dita con i polpastrelli, dopo tutto quel tempo riusciva ancora a sentire il sangue bagnargli le dita, e nonostante questo non riusciva ancora a sentirsi sporco. 

La polvere di quel bagno non se ne sarebbe mai andata, ormai era troppo radicata, troppo spessa, sarebbe rimasta, espandendosi e attaccandosi ai vestiti e alla pelle. Nonostante tu la pulisca con la massima attenzione, la sentirai comunque pizzicarti le mani, il naso e gli occhi. 

Aprì gli occhi e si guardò le mani, immacolate. Il sangue sarebbe rimasto, per sempre, e lui era pronto a portare questo fardello, ma il suo piccolo angelo, suo fratello, era pronto?. 

Aveva visto l'orrore nei suoi occhi, quando aveva allontanato la mano dalla sua, voleva correre ad aiutare quel ragazzino, cercava di chiedere aiuto urlando, allontanandosi da lui come se fosse terrorizzato dalla sua figura, e questo lo aveva ferito ancora di più di averlo visto sanguinante.

Fargli del male era l'ultimo dei suoi pensieri, ma lui l'aveva costretto a fargliene, se la gente fosse venuta al suo richiamo, lo avrebbero allontanato dal suo fratellino. Lo avrebbero rinchiuso in una cella e avrebbero buttato via la chiave.

Avevano trovato un Motel abbandonato e i giorni erano passati, ma così non potevano andare avanti, lo sapeva benissimo. La mancanza di cibo ormai si stava facendo sentire, e il suo fratellino, nelle sue condizioni, non poteva sopportare questa situazione ancora per molto. 

Avevano trovato una televisione funzionante, l'antenna ogni tanto creava dei problemi, ma questo era sufficiente a distrarlo. Bastava che accendesse la tv sui suoi cartoni animati preferiti e vedeva quegli occhi illuminarsi di nuovo felici.
In quei momenti suo fratello andava in un mondo tutto suo, irraggiungibile a chiunque tranne che a lui stesso.

Quando poi la televisione si spegneva e veniva strattonato di nuovo nella realtà, i suoi occhi si spegnevano, non gli regalava più i suoi sorrisi infantili e sinceri. Le sue labbra erano sempre tirate in un sorriso sforzato, e più volte, sempre con quell'espressione falsa, gli aveva chiesto se mai sarebbero tornati a casa. 

Suo fratello non voleva nemmeno più che lo sfiorasse, voleva allontanarsi da lui, voleva abbandonarlo, dopo tutto quello
che aveva fatto per il suo angelo. Possibile che nemmeno il suo fratellino avesse capito?

Osservò il coltello che aveva appoggiato sul lavabo, prima di lavare lo specchio, e lo prese in mano, la lama era lucente e brillava anche con la luce debole della stanza, da quanto la superficie di essa era pregiata. Si era stupito di vedere un oggetto simile, così bello, nelle cucine di un ambiente sporco e abbandonato in balia di se stesso, come quello.

Non sapeva da quanto tempo era chiuso in quel bagno, forse un ora o forse due, in un barlume di lucidità si chiese se fosse la cosa migliore da fare. Pensò che se lo avesse fatto, allora, sarebbe diventato la persona che i telegiornali pensavano che fosse. Sempre che non lo fosse già. 

Si guardò un ultima volta allo specchio, salutandosi quasi. Una parte di se sapeva che tutte le storie che sua madre gli raccontava sul paradiso e l'inferno non erano altro che questo, storie. Ma da una parte, si chiedeva spesso come fosse possibile che sulla Terra ci fosse una persona così pura e grande di cuore come il suo fratellino, se non ci fosse stato un paradiso in cui gli angeli potessero averlo creato.

Si allontanò dallo specchio, aprendo la porta del bagno, con un fastidioso cigolio, chiudendola poi con un tonfo sordo, a causa del quale altra nuova polvere cadde sulla superficie dello specchio.

La camera che avevano scelto aveva un altro piccolo bagno usato anche come sgabuzzino, e probabilmente il suo fratellino doveva essersi rifugiato lì visto che sdraiato sul letto, dove lo aveva lasciato prima di entrare in bagno, a guardarsi la televisione, non c'era.

-Il mio fratellone è strano. Tanto tanto strano. Mi fa tanta paura. Sì, tanta tanta paura, mamma. Perchè il fratellone si comporta così? E perchè tu piangi mamma?- Aprì la porta senza che il suo fratellino lo sentisse, era girato di spalle, la schiena più ricurva del solito. Gli bastò allungare una mano oltre la sua testa, per afferrare il telefono e toglierglielo dalle mani.

-Fratellone! La mamma ti ha chiamato quando tu eri in bagno. Piange tanto, sai. Tanto tanto. Chiede quando torniamo a casa, e io non lo so. Quando torniamo a casa, fratellone?- Parlava lentamente, con voce strascicata, mentre un filo di saliva gli scendeva dalle labbra.

Prese un fazzoletto che aveva in tasca, dopo aver appoggiato il telefonino in una delle mensole del bagno-magazzino, e lo pulì con esso, lui chiuse gli occhi infastidito, cercando di ritrarsi al suo tocco, seppur esso fosse leggero e delicato.

-Eh? Quando torniamo a casa fratellone?- Gli chiese ancora, lui ancora non rispose, lasciando aleggiare nell'aria la risposta. Non sarebbero mai più tornati a casa, ma a questo il suo fratellino non poteva arrivarci.

Lo prese delicatamente per la mano, e, strattonandolo con un pò più di forza lo portò a sdraiarsi sul letto, accanto a lui. Il suo fratellino non doveva aver visto il coltello, altrimenti si sarebbe subito iniziato agitare, ne era sicuro.

Lo abbracciò, mentre il suo angelo continuava a porgli la stessa, irritante, domanda. Iniziò ad accarezzargli la schiena dolcemente, era così felice, insieme per sempre, era un aspettativa così bella.

La mano che impugnava il coltello pian piano si alzò. Aveva pensato molto a dove colpirlo, forse sulla testa. Rapido e indolore, anche se, così facendo avrebbe rovinato la bellezza del suo fratellino. Allora aveva pensato alla schiena, ma sarebbe stato troppo doloroso. Un taglio netto alla giugulare? No troppo polvere rossa, e lui ne aveva abbastanza del sangue.

Con la mano libera andò a fare dei delicati grattini sulla sua testa, sapeva che gli piacevano e lo rilassavano e così fu. Sotto la sua mano il corpo del fratello si calmò, addolcendo l'incurvatura delle spalle. Aspettò ancora un paio di minuti prima di lasciar cadere la mano sulla testa di suo fratello.

Cercò di estrarlo il più velocemente possibile, obbligandosi a non sentire il respiro del fratello spezzarsi e cessare, e se lo conficcò nella tempia, dove la morte era anche lì totalmente indolore, in un ultimo attimo di puro egoismo e codardia.







La polizia li trovò così, poche ore dopo, abbracciati sul letto, e ad una prima vista sembravano in pace, ma quando gli sbirri arrivarono a spostare i cadaveri, videro una piccola lacrima solitaria solcare il viso del fratello maggiore, segno della consapevolezza delle sue colpe.

Li trovarono solo poche ore dopo, ma la polvere aveva già iniziato a ricoprirli, tentando quasi di nasconderli al resto del mondo, in modo che, così, sarebbero rimasti, per sempre, solo loro due.
   
 
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