Anime & Manga > Axis Powers Hetalia
Segui la storia  |       
Autore: Aru_chan98    29/09/2014    2 recensioni
Quale prezzo si è disposti a pagare per diventare padre? Arthur è solo un giovane universitario che sogna di diventare padre in una società distopica in cui anche una cosa bella come un figlio è negata a chi non possiede un particolare DNA. Ma un incontro cambierà la sua vita e il suo destino per sempre.
Tratto dal testo:
"Adoravo le storie che tuo nonno raccontava sulla sua infanzia. Tutte quelle storie sul correre nei prati, giocare con gli animali e gli altri bambini. Per non parlare poi del poter avere una famiglia come e quando si voleva. Sarebbe stato bellissimo se tutto questo fosse durato fino ad oggi..." disse Francis, passando da un tono sognante ad uno che non tradiva una nota di amarezza. Ormai, nella loro società bisognava avere una dote speciale a livello genetico per avere una prole.
Genere: Science-fiction, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: America/Alfred F. Jones, Francia/Francis Bonnefoy, Giappone/Kiku Honda, Inghilterra/Arthur Kirkland
Note: AU | Avvertimenti: Gender Bender
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
“Si può sapere perché siamo venuti qui, you bloody git?” chiese Arthur con aria scocciata ad Amelia. Erano seduti al tavolo bianco di un bar, il cui balcone dava sull’area boschiva della città. Erano seduti al tavolo più vicino al parapetto e un cameriere robot aveva appena servito loro un the caldo per Arthur e due enormi porzioni di gelato multi gusto e una tazza di cioccolata calda ad Amelia. Nonostante il the fosse molto buono (a detta di Arthur) il ragazzo non accennava a voler smettere di avere quell’aria scocciata. “Perché questo posto offre le cose più buone del mondo o‘ course” rispose la ragazza dal marcato accento americano. Ora che aveva l’occasione di sentirla parlare di più, il biondo cominciò a sentirsi infastidito da quell’accento americano: gli ricordava troppo quei bulletti che lo prendevano in giro alle elementari. “L’unica cosa buona è la vista” pensò il ragazzo, perdendo lo sguardo all’orizzonte, dove immaginò di vedere dei passeri volare liberi nel cielo. “Sarebbe ancora più bello se ci fossero degli uccelli a volare nel cielo” disse Amelia con fare sognante. Arthur si limitò ad annuire, ma quel piccolo commento gli aveva fatto passare in parte il malumore. Si rimise a sorseggiare il suo the, mentre la ragazza a momenti si strozzava per la velocità con cui mangiava il cibo. Dopo le prime due cucchiaiate della seconda coppa di gelato le fece male la testa e di conseguenza Arthur cerco di ridere discretamente, perché per l’etichetta del gentleman deridere una signorina era maleducazione, ma dopo la seconda volta non riuscì a trattenersi: scoppiò a ridere di gusto anche se riuscì a contenersi quel tanto che basta per non disturbare le altre persone. Amelia fece finta di essersela presa e gli disse “Che hai da ridere, stupid dude? Aspetta solo che il the sia un po’ più caldo di quello che ti aspetti e appena ti brucerai la lingua riderò io” ma non riuscì a mantenere quel finto broncio a lungo, così anche lei finì per mettersi a ridere. Grazie al cielo ci fu quell’episodio, perché da lì riuscirono a rompere il ghiaccio e riuscirono a chiacchierare di cose come “Come sarebbe bello se gli animali potessero essere domestici” o “se si potessero coltivare delle piante cosa ti piacerebbe coltivare” e via discorrendo. Il pomeriggio passò in modo piacevole, ma non erano nemmeno le 17.30 che Arthur non si sentì bene, così la ragazza gli offrì il suo aiuto, che il biondo accettò, spontaneamente questa volta. Lo aiutò ad arrivare fino alla soglia di casa, ove l’inglese tirò fuori da una crepa vicino alla porta, una chiave. Mentre si affrettava a raggiungere il letto a momenti non cadeva per terra: la testa gli era presa a girare e aveva quasi perso l’equilibrio. La giovane americana lo aiutò a raggiungere il letto, dove Arthur si rintanò sotto le coperte. “My goodness, ma tu scotti!” esclamò la ragazza, toccandogli la fronte con una mano. Si guardò intorno, alla ricerca di un termometro, che trovò vicino alla sveglia. Lo prese e misurò la febbre al ragazzo: la febbre gli era salita e adesso era a 39.2. Si fece seria mentre chiedeva ad Arthur dove poteva trovare delle medicazioni e tutto quello che le serviva per aiutarlo almeno un po’. Portò al ragazzo le medicine che aveva nella credenza del bagno, gli mise un bel piumone di piume d’oca sintetiche e gli mise una fascia auto-congelante sulla fronte. Dopodiché lo lasciò dormire e chiuse la porta quando uscì dalla sua stanza. Si sedette un attimo sul divano, a gambe accavallate e braccia incrociate, pensando a cosa fare, con aria assorta. Per prima cosa decise di cucinare la cena, visto che l’orologio sopra la parete del soggiorno segnava già le 18.45, così si diresse in cucina e si rimboccò le maniche per preparare al malato del porridge e una bella bistecca per sé. Dopo una buona mezzoretta la cucina odorava di cibo cotto e non del solito odore di bruciato di quando Arthur cucinava. La ragazza cercò per la credenza un vassoio dove poter mettere un piatto pieno di porridge, un cucchiaio e delle arance e poi portare il tutto al malato. Alla fine lo trovò ma non prima di aver messo a soqquadro metà della cucina dell’inglese. Prese il tutto e si diresse verso la sua stanza. Bussò prima di entrare, ma Arthur stava ancora dormendo. Poggiò il vassoio sul comodino vicino al letto e si avvicinò al ragazzo: dormiva così beatamente che le fu difficile decidere di sveglialo. Alla fine si decise e con leggerezza gli scosse una spalla. “Ancora cinque minuti grandpa” mugugnò Arthur, così Amelia lo scosse leggermente più forte aggiungendo “Avanti dormiglione, non sono ancora così vecchia da essere tua nonna. Dai che la cena si fredda” a bassa voce e con tono dolce e divertito. Arthur aprì gli occhi lentamente e mise a fuoco la figura della ragazza : in un primo momento si chiese che ci facesse lei lì, ma si ricordò subito dopo che era lì perché lui non stava molto bene. La ragazza lo aiutò a mettersi seduto, gli misurò la febbre (38.7) e gli mise il vassoio con la cena sulle gambe. “Grazie mille Amelia” le disse il ragazzo, “Figurati” gli rispose la ragazza, avviandosi verso la cucina. “Aspetta!” la trattenne Arthur “almeno lascia che ti faccia compagnia”. La ragazza non dovette nemmeno pensarci che era già accanto al letto, seduta su una sedia, col piatto sul letto. Mangiarono in allegria grazie alla vivacità della ragazza che smorzava l’imbarazzo del ragazzo. Una volta finito Amelia raccolse i piatti e li lavò, per poi ritornare da Arthur per dirgli che era tardi e lei doveva tornare a casa. “Ma tornerò, non preoccuparti” finì l’americana, “E chi si preoccupa?” rispose sarcasticamente l’inglese, che non voleva mettere troppa acidità nella frase per non far svanire il sorriso energico che Amelia aveva tenuto per tutta la cena. Gli promise di tornare a trovarlo e uscendo gli fece la linguaccia. Il ragazzo fece un piccolo sorriso prima di riaddormentarsi dopo aver sentito la porta chiudersi. Con sua grande sorpresa e piacere, quella notte il suo solito sogno ritornò a fargli compagnia e così riuscì a riposare come si deve.

La mattina seguente fu svegliato dall’odore di bacon e uova cotte che proveniva dalla cucina. Si alzò dal letto, accorgendosi di avere tutti i capelli spettinati, per dirigersi in cucina, aspettandosi di vedere Francis preparare la colazione per poi sfotterlo sul fatto che la sua cucinare era la migliore al mondo. Ma quando si affacciò sulla porta della cucina vi trovò Amelia, intenta a friggere qualche fetta di pancetta mentre canticchiava una canzone che aveva qualcosa di nostalgico. Si girò quasi subito e gli rivolse un sorriso ancora più allegro di quello che aveva mentre cucinava: “Buongiorno bell’addormentato” desse la ragazza scherzando “la febbre?”. Il ragazzo le rispose che non se l’era ancora provata ma che si sentiva meglio, poi si sedette e la ragazza ,lo raggiunse con due piatti contenenti pancetta fritta e uova all’occhio di bue. La ragazza mise una bella tazza di the davanti ad Arthur, mentre lei si versò del caffè. Mentre stavano mangiando, Arthur notò un particolare: Amelia stava indossando un paio di occhiali dalla montatura rossa che non le aveva mai visto portare prima d’ora. “Senti Amelia, ma gli occhiali?” chiese il ragazzo, la ragazza arrossì leggermente per poi dire “In genere, per questioni di lavoro, preferisco usare delle lenti a contatto, ma se sono a casa o nel tempo libero mi piace indossarli. In realtà sono miope”. “È un peccato però, con gli occhiali sei molto più carina” disse il ragazzo, facendo arrossire ancora di più la ragazza. Finirono la colazione in silenzio, dopodiché la ragazza, dopo aver dato una rapida occhiata al suo orologio da polso, andò al lavoro. Arthur si alzò con calma, appoggiò i piatti nel lavello, decidendo di lavarli più tardi, rifece il suo letto e decise di guardare qualcosa in tv. Verso le 11 si annoiò, così decise di spegnere il televisore e andare alla ricerca del famoso cellulare deceduto. Lo cercò in giro per casa per poi trovarlo sotto il letto: probabilmente gli era caduto dalle tasche qualche giorno prima e per sbaglio l’aveva spedito sotto il letto con un calcio involontario. Lo mise sottocarica, aspettò qualche minuto e infine lo accese. Vi trovo 7 chiamate perse da Francis e 3 chiamate perse e 8 messaggi da un numero sconosciuto, ma che riconobbe essere Amelia dal modo in cui erano scritti i messaggi. Stupido spelling americano, pensò Arthur, che trovava odiose le abbreviazioni e gli spelling diversi delle parole americane rispetto a quelle britanniche. All’una si preparò il pranzo e lavò i piatti, mentre nel pomeriggio cercò di contattare l’amico, ma risultò irraggiungibile. “Che strano, in genere Francis risponde sempre appena può” disse tra sé e sé il ragazzo. Liquidò la faccenda dicendosi che magari l’amico era occupato, così prese qualche medicina e tornò a dormire. Quello che non sapeva era che in realtà Francis era si occupato, ma a cercare di chiarire perché lui fosse stato giudicato come “cittadino normale” ed era andato a trovare una sua vecchia conoscenza che lavorava proprio in quei laboratori .

Quando si presentò lì chiese di vedere il dott. Honda e la rimpatriata tra i due avvenne nell’ufficio di quest’ultimo, con una bella stretta di mano. “Allora, come va amico mio?” chiese Francis, “Tutto bene. E tu?” gli rispose pacatamente Kiku. I due si conoscevano dalle medie e, frequentando anche le stesse scuole superiori, il giapponese conosceva bene pure Arthur. “Tutto bene, anche se sono sommerso da problemi di vario tipo” rispose Francis. Kiku gli chiese di raccontagli tutto per bene, così Francis gli spiegò la situazione di Arthur, per poi concludere chiedendogli se sapeva qualcosa riguardo quel permesso negato. Il moro ci penso bene e con un’espressione pensierosa gli disse “Penso di aver capito la situazione. Ma se gli hanno detto di avere un DNA normale non penso ci sia molto da fare. In più, se falsificassi il permesso e Arthur venisse beccato, gli toglierebbero il bambino per sempre o peggio”. “Ma è proprio per questo che sono venuto a chiederti consiglio Kiku. Non so cosa fare per aiutarlo. Tu lo sai quanto desiderava una famiglia, non posso stare con le mani in mano mentre lui soffre. Inoltre, è il migliore di tutta l’università, com’è possibile che sia solo una persona ordinario? L’ultimo era uno che era intelligente pure a livello genetico, perché Arthur no?” disse il francese, frustrato. Il giapponese ci pensò su ancora per qualche minuto per poi esprimere la sua conclusione: “Devi sapere che in un vecchio diario di mio nonno si dice che un tempo la gente apprendeva molte cose da libri cartacei”. “Ah, si. Me lo ricordo, il nonno di Arthur diceva spesso che i libri di carta avevano molte più informazioni rispetto alle sintesi riportate sugli olo-libri di oggi” rispose Francis, divagando leggermente nei ricordi. “Quindi pensi che Arthur sia intelligente solo per questo motivo… effettivamente mi sembra plausibile. Devi sapere che suo nonno aveva un’intera parete piena di libri cartacei. Però non mi risulta che ne abbia letti di recente” “E se ne avesse letti durante l’infanzia? Che tipo era suo nonno? In quel diario era anche detto che se si leggono tanti libri i bambini diventano comunque più intelligenti” disse Honda. Rimasero a discuterne quasi per tutto il pomeriggio, o almeno finché Francis non fece l’errore di nominare Amelia. “Quindi si è trovato una compagna finalmente” disse Kiku con un’aria frivola negli occhi che non esprimeva sulla sua faccia. “Non non, Amélie non è la compagna di Arthur” si affrettò a negare il francese, ma la cosa non convinse pienamente l’amico, che gli chiese di descrivergli la ragazza. Non appena l’amico ebbe finito di descrivergli Amelia, Kiku si fece pensieroso “Come hai detto che si chiama?” gli chiese alla fine. “Se non ricordo male si chiama Amelia Jones” rispose Francis, notando che l’amico aveva fatto un’espressione sorpresa per qualche secondo. Nonostante tutto non gli chiese niente: sapeva bene quanto Honda potesse essere riservato e svincolare le domande che gli davano fastidio. Voleva chiedere altro al giapponese, ma un’infermiera lo chiamò e Kiku fu costretto a liquidarlo con un saluto veloce per poi sparire dietro di lei. Francis tornò a casa, ma continuò a pensare a tutto quello che l’amico gli aveva detto e soprattutto al motivo della sua reazione al nome della ragazza.

La settimana che seguì fu molto più felice. Amelia andava a trovare Arthur tutte le mattine e capitò anche qualche sera. Preparava la colazione mentre quando si presentava la sera portava un sacco di cibo spazzatura, sia perché le piaceva, sia per fare un dispetto ad Arthur che lo odiava. Il ragazzo era guarito dalla febbre tre giorni dopo, ma comunque si innervosiva quando la ragazza insinuava che fosse stata la sua cattiva cucina a farlo stare male per quasi una settimana intera. L’unica cosa che si poteva notare di cambiato era che, ogni volta che era in presenza del biondo, Amelia portava gli occhiali. Questo fatto fu una cosa davvero piacevole per Arthur, che davvero la apprezzava di più con gli occhiali. Ricominciò ad andare all’università e appena Francis lo vide gli tirò una bella pacca sulla spalla e non lo lasciò in pace per la maggior parte del tempo, prendendolo in giro su una sua possibile relazione con la bella americana, alle quali Arthur negava sempre, arrossendo vistosamente. Anche quella sera Arthur stava venendo preso in giro al telefono dal francese, questa volta perché il giorno prima Amelia era venuta a trovarlo in università approfittando del suo giorno libero. “Honhonhonhon si si, certo come no. E ti aspetti che mi beva la storia che Amélie è solo un’amica?” disse il francese, deridendolo. Arthur stava per replicare, ma qualcuno suonò alla porta di casa sua prima che potesse farlo. Guardò l’orologio: segnava le 7.30 di sera. Liquidò il francese con sollievo e andò ad aprire la porta: era Amelia con il solito cibo spazzatura e un dvd. “Howdy Arthur” lo salutò allegramente la ragazza. “Ciao Amelia” le rispose. Poi, riferendosi al sacchetto di cibo spazzatura che la ragazza teneva, le disse “Se vuoi entrare quello schifo deve sparire, capito?”, ma la ragazza si mise a ridere e replicò “Eddai Arthur, in fondo i miei hamburgers sono molto più salutari della tua cucina”, cosa che fece arrabbiare il ragazzo. “Se la mia cucina ti fa così schifo allora non mangiarla no?” le disse, quasi in un soffio, ma arrossì quando la ragazza gli arruffò i capelli aggiungendo “La mangerei in ogni caso, stupido” con un bel sorriso. Arthur la fece entrare e la prima cosa che fece la ragazza fu posare la borsa contenente un solo panino: Arthur intuì che in realtà l’amica sperava che lui cucinasse per lei. “Come mai sei venuta, stasera?” le chiese Arthur. “Francis mi ha prestato questo film, ma oggi non mi andava di stare da sola, quindi mi chiedevo se ti andava di vederlo con me” gli rispose Amelia, con un po’ d’imbarazzo nella voce nell’ultima frase. Il ragazzo annuì, imbarazzato dalla situazione, “Ma non ti sembra un po’ presto per i film? Non è nemmeno sera” le disse il ragazzo, che voleva ritardare il momento in cui sarebbero stati seduti vicini su quel divano, a causa dell’imbarazzo. La ragazza guardò l’orologio prima di concordare con lui: anche lei era alquanto imbarazzata. “Ma allora che si fa?” chiese la ragazza, “In genere quando ho del tempo libero cucio” le rispose il ragazzo “Se vuoi ti faccio vedere”. La ragazza annuì, così Arthur si affrettò ad andare a prendere il suo ultimo ricamo incompleto e la scatola del cucito. Si sedette sul divano e cominciò a cucire mentre Amelia lo guardava, seduta sul bracciolo accanto a lui: il ragazzo stava cucendo delle rondini, ma erano così ben fatte che la ragazza non poté fare a meno di pensare a quanto Arthur fosse abile nel cucito. Ogni tanto gli occhi smeraldo di Arthur cercavano quelli zaffiro della ragazza, ma li trovava sempre intenti a guardarlo lavorare, cosa che gli diede una strana sensazione di calore dentro lo stomaco. Nell’esatto momento in cui Amelia si accorse di uno dei suoi sguardi e lo ricambiò, Arthur diventò rosso come un peperone e a momenti non sbagliò un pezzetto del ricamo. “Se vuoi posso insegnarti come si fa” le disse Arthur, che vedeva l’amica molto interessata al suo lavoro. La ragazza annuì con vigore e si mise vicino a lui. Nel passarle il tutto le loro mani si sfiorarono, dando una bella scossa ad entrambi e facendo accelerare i loro cuori. La ragazza cercò di seguire le istruzioni di Arthur, ma era distratta e non faceva che sbagliare, così il ragazzo decise di aiutarla. Le dita di Amelia tremarono leggermente quando quelle di Arthur le si posarono sopra per aiutarla a ricamare come si deve. “B-beh, penso che abbiamo aspettato troppo! P-perché non ceniamo?” disse frettolosamente Amelia. Arthur concordò e si diresse in cucina per preparare la cena.

La ragazza, rimasta sola sul divano, si portò una mano al cuore: batteva così velocemente che sembrava un treno in corsa. La puzza di bruciato proveniente dalla cucina la distrasse dai suoi pensieri e ridacchiando pensò “Non ci credo… ha bruciato anche la cena di stasera”. I due mangiarono cercando di conversare, ma quella sera c’era qualcosa di diverso nell’aria, un qualcosa che li faceva sentire entrambi nervosi e imbarazzati. Infine, decisero di vedere il film. Arthur si sedette sul divano mentre Amelia armeggiava col televisore, intenta a trovare la fessura del lettore dvd. La trovò dopo pochi minuti e mise su il film, per poi sedersi vicino all’amico. Il divano di Arthur non era molto grande, così le loro spalle finirono irrimediabilmente per toccarsi. Verso la seconda metà del film accadde una scena che attirò particolarmente l’attenzione del ragazzo: la protagonista era svenuta e il protagonista, cercando di aiutarla, scoprì che la ragazza era una persona speciale. Inevitabilmente il suo sguardo cadde su Amelia, che era quasi completamente concentrata sul film: la trovò davvero bella con gli occhiali che le cadevano sulla punta del naso e i capelli leggermente spettinati. Poi, il suo sguardo si soffermò sulle sue labbra: voleva baciarla, toccarla, stringerla a sé. Non aveva mai provato nulla di simile in vita sua. Improvvisamente, un pensiero assali la sua mente: e se quello fosse stato amore? Si disse che erano tutte frottole, arrossendo più che mai, attirando l’attenzione di Amelia. La ragazza sembrò accorgersi del dilemma del ragazzo, lo stesso che si agitava dentro di lei, così prese coraggio e, mentre l’inglese si era costretto a riportare la sua attenzione sul film, gli strinse una mano. Arthur avvampò ancora di più, lanciando qualche occhiata alla ragazza, che sembrava assorta in qualche pensiero che le fece mettere su un broncio infantile, cosa che fece pensare ad Arthur che era davvero carina. Dopo almeno 10 minuti senza alcuna reazione di entrambi, se non qualche imbarazzo di tanto in tanto, la ragazza si decise. Senza che l’inglese se ne accorgesse, gli si avvicinò e gli diede un bacio sulla guancia. Il ragazzo arrossì violentemente e alla fine cedette: le mise la mano libera sulla spalla e premette le sue labbra sulle sue. Una sensazione di calore ed eccitazione cominciò a crescere dentro entrambi non appena Amelia ricambiò quel bacio rubato, che pian piano diventava sempre più passionale. Preso da quei baci che crescevano d’intensità e profondità, Arthur si ritrovò a spingere Amelia contro i cuscini del divano, sotto di sé. Le sua mani correvano sulla ragazza, che man mano si lasciava andare alla lussuria che correva tra i due. A causa del calore, il ragazzo fu costretto a togliersi la maglietta, rivelando un fisico che fece eccitare ancora di più la ragazza, che non riuscì a fermare le sue mani dal toccarlo, ricevendo delle scossette ad ogni minimo tocco. Continuò a baciarla, per poi posare piccoli bacetti sul suo collo, mentre le mani correvano a toglierle i pantaloni, i quali ricevettero la compagnia di quelli del ragazzo in meno di qualche minuto. Ma nell’esatto momento in cui il ragazzo attentò alle mutande della ragazza, la guardò con uno sguardo stupito ed esclamò “Ma come? Amelia, tu… tu sei...?!”

Piccolo Angolo Dell'Autrice:
Eccomi di ritorno con un nuovo capitolo di questa strana storia. Devo ammettere che questa volta mi sono ritrovata in difficoltànello scrivere, sopratutto l'ultima parte. Per chi volesse saperlo, il film che i due stanno guardando è Tron Legacy, mi sembrava adeguato, anche se ho fatto venire un bell'esaurimento nervoso ad alcune mie amiche perchè non trovavo un film adatto ahahahahah

 
   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Axis Powers Hetalia / Vai alla pagina dell'autore: Aru_chan98