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Autore: Tomi Dark angel    29/09/2014    3 recensioni
Tratto dalla storia:
Sequel di: "How To Train Your Sherlock"
Tratto dalla storia: "Questa è Londra, il segreto meglio custodito di questa parte di… be’… nulla. Sì, forse non sarà il massimo della bellezza, ma questo mucchio di rocce e palazzi riserva un bel po’ di sorprese. La maggior parte della gente di solito ha passatempi come leggere o sferruzzare caldi maglioni invernali. Noi invece, preferiamo fare una cosa che ci piace chiamare… CORSE DI DRAGHI!!!"
Johnlock, con accenni di Mystrade. Dedicato a chi impara, cresce e vive leggendo, figlio di innumerevoli mondi e personaggi che, ad ogni parola accarezzata dagli occhi di chi legge, sbocciano tangibili intorno all'anima del lettore per trascinarlo in avventure mozzafiato che egli saprà custodire in eterno nella purezza del proprio cuore.
Genere: Fantasy, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Una volta, quando era piccola, Molly Hooper lesse su un libro che, scientificamente parlando, la vita scorre seguendo ritmi costanti, moderati, quasi invisibili ai sensi dei soggetti stessi. Essi non si accorgono di crescere, di mutare, poiché il corpo esegue un processo lento e calcolato, lineare, definito. È sempre stato così per chiunque, nel corso dei secoli, e Molly ha avuto modo di sperimentarlo sulla sua stessa pelle: si è accorta di essere mutata fisicamente solo quando, a vent’anni, ha avuto modo di guardarsi attentamente allo specchio dopo una doccia tiepida. I fianchi non erano più quelli di una bambina, le gambe erano più lunghe, le forme più morbide. Stava diventando una donna, e neanche se ne era accorta in precedenza.
Non è stato bello cambiare in quella maniera, ma è una cosa naturale che prima o poi accade a tutti. O almeno… così la pensava Molly fino a qualche minuto fa.
-Molly?-
Noah inclina lentamente il capo, facendo scivolare sulla fronte la scompigliata frangetta scura. La fissa con cautela, cerca di studiare ogni sua mossa, ogni suo più piccolo movimento. Si aspetta che svenga? Forse, e forse è possibile, perché in effetti, Molly non si sente molto bene. Quello non è lo stesso bambino che ha stretto tra le braccia poche ore prima, non è lo stesso che ha combattuto impavido l’ultima grande guerra contro Moriarty, non è lo stesso che per giorni l’ha guardata e baciata innocentemente sulle guance. Non può essere. Semplicemente, non è logico, non è naturale. Noah non ha trent’anni… ne ha otto.
O forse no?
-Noah?!-
Sherlock e John calano lentamente di quota. Le ali della Furia Buia si tendono, catturano il vento per equilibrarsi e sostenere a mezz’aria due corpi ancora intrecciati, ancora scossi dall’esplosione di fiamme che li ha investiti: gli abiti di Sherlock fumano, i capelli di John sono scompigliati più del solito. Di certo, una cosa del genere non gli capita tutti i giorni.
Dolcemente, senza sbattere le ali, Sherlock cala ancora per poter adagiare John sulla stretta pedana di ghiaccio. Lascia che l’umano scivoli sul solido terreno, con una gentile quanto fugace carezza libera il braccio dalla stretta intorno al suo fianco. Non atterra a sua volta, ma anzi, comincia a guardarsi intorno, scandagliando l’ambiente coi lucenti occhi di vetro cristallino. Non appare impressionato dalla nuova forma che ha assunto Noah, non si stupisce dell’uomo che adesso lo fissa coi gravi occhi violetti.
-Noah…-
John tende una mano, accarezza con cautela la pelle liscia del drago. Fa scivolare le dita lungo la mandibola ancora accennata di morbidezza, sul collo dai tendini nervosi, laddove un tempo sbucava una seconda testa gemella.
-Cosa… che fine ha fatto l’altra testa?- domanda, fissandolo negli occhi adesso divertiti.
-Quando cresciamo, la seconda testa diventa retrattile. È un po’ come… non so, forse come le ali. Alcuni draghi, come Mycroft, riescono a ripiegarle all’interno del corpo. Io, al contrario, posso ritrarre una delle due teste. Non è molto comodo, in effetti.-
Molly tossicchia, una mano premuta sulla bocca e gli occhi che insistenti cercano di restare immobili sul viso di Noah anziché scivolare lentamente lungo il suo corpo nervoso e ormai gloriosamente nudo.
-Quindi è questo che ti è successo? Sei… semplicemente cresciuto? Ma non è possibile! Tu hai appena otto anni!-
Noah la fissa in silenzio, e il suo sguardo è talmente indecifrabile che Molly distoglie gli occhi dopo appena una manciata di secondi.
-Quanti anni ha Sherlock, Molly? Quanti ne dimostra, esattamente?- chiede allora con durezza non sua, ben lontana dall’atteggiamento sempre dolce e allegro del vecchio Noah. È come se improvvisamente qualcosa si fosse sviluppato nel suo cervello di bambino, modificandolo e rimodellandolo in fattezze adulte, rinate in anzianità ed esperienze vissute.
-Molly. Rispondimi.-
Istintivamente, Molly ubbidisce. Guarda Sherlock, ancora impegnato a scandagliare l’acqua con lo sguardo. Non fa caso a lei, ma Molly è certa che sappia di essere osservato attentamente.
Quanti anni dimostra Sherlock?
-Io credo… trentacinque, quaranta… non lo so.- risponde timidamente. Stringe le mani in grembo e abbassa lo sguardo, incapace di guardare Noah ancora una volta.
Poi capisce.
-Oddio.- esala John al suo posto. Fissa Noah con occhi sbarrati, la mascella contratta, le mani strette in pugni nervosi. –Noah… quanti anni hai veramente?-
Noah sorride di un sorriso paziente, gentile, quasi paterno. A guardarlo, nessuno direbbe che quell’individuo è cresciuto improvvisamente da un istante all’altro, accantonando in pochi minuti il suo aspetto di bambino.
-Otto.-
-Noah…-
-Otto… ai vostri occhi. Ma io sono nato poco dopo l’inizio della grande guerra. Ho più di cento anni.-
Cento anni. Cento.
Improvvisamente, si spiegano tante piccole cose: lo sguardo anziano che Noah ha sempre esposto sin da bambino, i suoi discorsi ben più profondi di quelli che farebbe cucciolo. Ora, ogni cosa ha un senso logico.
-Tu… voi crescete così? Insomma, non attraversate un periodo di adolescenza, o cose simili?- chiede John, con voce roca.
-Non tutti. È la mia razza che sviluppa in questo modo. Ho diversi organi doppi, tra cui due cuori. Essi battono in maniera discorde da sempre per pompare sangue in maniera regolare, ma l’unico istante in cui si armonizzano avviene esattamente durante l’ultima fase di crescita. È doloroso, ma il mio corpo sviluppa molto più lentamente degli altri, poiché posseggo ossa e organi doppi. Alla fine, il fuoco da cui sono nato mi riforgia in un aspetto diverso, ma ben più resistente. Le ossa si spiegano, la pelle si tende e le ali s’ingrandiscono per sostenere funzionalmente un corpo ben più pesante di quello di un bambino. Cresco fisicamente di vent’anni in un istante, ma non è una bella cosa… brucia da morire.-
Noah si strofina una mano artigliata sul braccio nudo, a disagio. Ripensa al dolore provato durante la crescita, alle ossa che bruciavano, alla pelle vecchia che si consumava per fare spazio alla nuova, più ampia e più liscia.
-Noah?- chiama allora Molly con timidezza. Lo guarda di sottecchi, a disagio, come se avesse a che fare con un estraneo: adesso è pienamente consapevole di aver trattato da poppante un adulto in un corpo di bambino. Non ha mai chiesto nulla a Noah: non la sua età, non della sua infanzia. Niente. In effetti, a ben pensarci, lei non l’ha mai conosciuto davvero, e questo la fa vergognare perché al contrario, Noah conosce tutto di lei. In due anni di puerile curiosità e domande irriverenti, era riuscito a sapere ogni cosa del suo passato, della sua famiglia, della sua infanzia. Si è sempre interessato, l’ha sempre ascolta. Sempre.
-Stai bene, Molly? Non ti ho fatto male, vero?- domanda lui, spingendola a scuotere violentemente il capo. Apre la bocca per rispondere, per non apparire una stupida impacciata così come è sempre stato, ma all’improvviso un corpo cade dall’alto e s’abbatte gemendo sul bordo della pedana, quasi rischiando di cadere in acqua una seconda volta.
-Ahi…- sbotta il cacciatore prima di alzarsi a sedere sotto gli sguardi attenti di Noah, John e Molly. Alle sue spalle, Sherlock cala di quota e John si chiede quando accidenti si è spostato per estrarre l’umano dall’acqua e praticamente lanciarlo lì al loro fianco. Se non avesse visto Sherlock trasformarsi pochi istanti prima in una bestia assassina, probabilmente John prenderebbe quel gesto per una movenza quasi caritatevole: impedire che il cacciatore sopravvissuto si congeli nel gelido mare tinto di colori appare normalmente come un atto di pietà, ma non se si parla di Sherlock Holmes.
-Chi è stato a congelare quell’agglomerato di case?- chiede infatti con una freddezza senza tempo, glaciale, capace di congelare John più della neve che continua a cadere dal cielo.
Poi però, il significato di quelle parole lo coglie all’improvviso, inquietandolo molto più della voce minacciosa di Sherlock: agglomerato di case? Quell’ammasso di ghiaccio, eternamente cristallizzato in una colossale esplosione… racchiude delle abitazioni? Case vere di veri umani? John non vuole pensare cosa sia rimasto degli effettivi abitanti del posto. Brandelli? Statue? Non lo sa, ma di certo non deve essere stato piacevole.
-Come… - Il cacciatore tossisce, sputando un grumo d’acqua e sangue. -… come hai fatto a capirlo?-
Sherlock sbuffa dal naso, emettendo dalle narici una sottile nuvoletta d’argento che s’inerpica danzando lungo il suo viso, offuscando per brevi istanti gli occhi gelidi, machiavellici.
-Sto aspettando una risposta.-
Con lentezza, appoggia una zampa artigliata sul bordo più estremo della pedana, inclinandola appena verso l’oceano. Resta in volo, sbatte appena le ali, ma John capisce che non esiterebbe a richiuderle di scatto per rovesciare la pedana e prendere i suoi amici al volo, lasciando tuttavia affogare il cacciatore.
Questo lato di Sherlock lo inquieterebbe profondamente, se John non avesse conosciuto più che bene il suo smisurato senso di umanità. Ai suoi occhi, Sherlock è un eroe umano, ma con istinti di bestia: se provocato, egli reagisce così come reagirebbe un drago qualunque. È nella sua natura, e John lo capisce perché infondo, quando era un soldato, ha ammazzato a sua volta anche più persone di Sherlock stesso.
Il cacciatore fissa Sherlock con odio, trattenendosi dal digrignare i denti per la frustrazione.
-Noi.- risponde seccamente. –Qui ci vivevamo noi. Io e i miei compagni di caccia. Questo era il nostro quartier generale, il luogo dove tenevamo i draghi prima di portarli da lui.-
Sherlock aggrotta le sopracciglia, assimilando i dati necessari. Non ci sono evidenti tracce di altri cadaveri di draghi, il che segnala che probabilmente, chi ha attaccato non mirava a loro. Ha voluto liberare i prigionieri, punendo fatalmente i loro carcerieri. Probabilmente, quell’uomo e i suoi compagni sopravvissuti, se la sono cavata perché durante l’attacco erano fuori a caccia. Un colpo di fortuna? Sicuramente. Nonostante l’atteggiamento egoista dell’uomo che ha davanti, Sherlock è certo che se si fosse trovato sul posto, consapevole dell’attacco, avrebbe avvisato metà dei suoi compari per spingerli alla fuga semplicemente perché da solo non sarebbe sopravvissuto alla fame dovuta all’assenza di lavoro. In solitudine infatti, la sua carriera di cacciatore sarebbe finita.
-Lui chi?- sbotta John, risvegliandolo dai suoi pensieri. Lui chi? Già, il cacciatore ha nominato un lui.
-State scherzando, vero?- Il cacciatore li fissa uno ad uno, alla ricerca di una risposta. No, è evidente che nessuno di loro scherza. –Non sapete di chi sto parlando? Siete draghi e cavalieri… dovreste conoscerlo e temerlo già da tempo.-
Un’ombra di consapevolezza gli trapassa gli occhi azzurro intenso, profondi come l’oceano. –Da dove venite, esattamente?-
Molly è tentata di rispondere, ma Sherlock pigia appena la zampa sulla pedana, inclinandola ancora.
John rischia di scivolare, ma Noah abbraccia lui e Molly con la coda squamata, trattenendoli per la vita.
-Il nome.- ringhia Sherlock mentre il cacciatore scivola sul bordo della pedana fin quasi a cadere in acqua. –Il nome, ho detto.-
-Augustus Magnussen!!!-
 
Crack. Qualcosa scatta all’interno del Mind Palace. Una massa di ricordi s’agita nei corridoi, distende i morbidi drappeggi di memorie per sfiorargli i gomiti, gli avambracci, fino alle mani. Una porta lontana, sigillata, vibra di potenza al suono di quel nome.
-Sherlock.- Il ragazzo alle sue spalle compare di nuovo, immobile e non visto. Ancora una volta, Sherlock non si volta perché non vuole, perché non riesce a guardarlo in viso. Eppure, per la prima volta, la presenza invasiva di quel personaggio fuggito dalla sua stanza e a lui ben noto, quasi lo rassicura. C’è qualcosa che non va. Non  è normale che il Mind Palace vibri così. Qualcosa preme per uscire dalla sua porta, e non è un bene. I ricordi possono essere pericolosi, specialmente se riguardano un soggetto altrettanto pericoloso.
Sherlock chiude gli occhi, sforza la mente per sigillare a tripla mandata la porta che già si schiude, emettendo bassi sussurri di ricordi lontani, imbizzarriti come stallone fuori controllo. Li sente premere contro il legno della porta, vogliosi di invadere il Mind Palace e il cranio di chi l’ha costruito. Ma i ricordi non dovrebbero uscire dalle loro stanze, o sarebbe il caos…
-Sono qui.-
Invasione. Qualcosa va storto.
 
-Sherlock?-
John fissa il drago sbarrare gli occhi, improvvisamente vitrei. Nota ancora una volta la postura rigida, la pupilla sottile che poco a poco pare restringersi ancora di più fino a diventare un’unica linea dallo spessore quasi invisibile.
Sherlock trema, stringe i pugni fino a conficcarsi gli artigli nei palmi. Sangue argentato cola dalle mani serrate, piovendo leggero nel mare colorato di riflessi e affogando in silenzio come vittima senza voce.
-Sherlock!-
John tende una mano, cerca di raggiungerlo quando lo vede piegarsi in due in un gesto aggraziato, quasi elegante… ma intriso di mefitico incubo. Si afferra la testa tra le mani, sporca di sangue le tempie e conficca gli artigli nella carne con tanta violenza che per un attimo, John teme che Sherlock stia cercando di bucarsi il cranio a unghiate.
-Sherlock!!!- John grida, si dimena, ma la coda di Noah lo trattiene senza sforzo. Il drago sa che, se lo lasciasse andare, John si lancerebbe a testa bassa nel mare ghiacciato pur di raggiungere Sherlock. Non può permetterlo, o John morirebbe assiderato.
 
-Lascia che ti aiuti, Sherlock. Sono qui, fidati di me…-
-Esci dalla mia testa!-
 
-Esci dalla mia testa!-
Sherlock grida, ed è un urlo così forte, così lacerante, che per un attimo i presenti trattengono il fiato e il tempo pare fermarsi. Il mare s’immobilizza come preda spaurita, l’aurora boreale freme di pietà, la neve comincia a cadere più fitta. John non ha mai visto Sherlock così sofferente, così spiazzato. Se non lo conoscesse, penserebbe che in questo momento Sherlock abbia paura, una paura folle, di quelle che ti fanno agire irrazionalmente nel momento sbagliato.
Noah lo fissa dal basso, gli occhi sbarrati che scandagliano le reazioni dell’altro. Vede i suoi muscoli contrarsi, le ali vibrare di un dolore quasi fisico, quando Noah sa bene che in realtà la guerra vera si tiene adesso nella testa di Sherlock: deve essere successo qualcosa di brutto, molto brutto al Mind Palace.
Tutto finisce così come era iniziato. Il corpo di Sherlock s’inarca, il capo si rovescia all’indietro e subito un fiotto di sangue gli bagna le labbra e il naso. Qualcosa si spezza nella sua testa, qualcosa scombussola totalmente il suo mondo interiore. Sherlock smette di sbattere le ali e crolla svenuto, sporco di sangue, col viso cinereo di chi ha visto e toccato la morte ripetutamente senza tuttavia farsi abbracciare del tutto.
Morto? No. Ma sicuramente, la morte sarebbe stata un’opzione migliore.
 
Sussurri. Lontani, attutiti, come echi di remoti e ormai perduti passati. Qualcuno cammina da qualche parte, una voce maschile mormora al suo fianco, qualcosa lo tocca all’altezza del viso per svegliarlo.
Ma lui non può svegliarsi. Forse è morto, forse non è mai nato. In effetti, non ricorda nemmeno come si chiama.
-Sherlock, svegliati!-
Sherlock? Chi è Sherlock? Che parola ridicola. Parola… forse è un nome. Il suo? Questo il drago non lo sa.
Lentamente, con più coraggio di quanto ne possegga realmente, la creatura solleva le palpebre e si guarda intorno.
Oh.
Di certo, il paradiso non se lo sarebbe mai aspettato così. Sicuramente non è all’inferno perché non sente nemmeno dolore. Non sente assolutamente niente, se non la freddezza del nero quanto invisibile pavimento che lo accoglie. Intorno a lui, galleggianti nel vuoto oscuro a mezz’aria, vi sono degli specchi. Alti e sottili, contornati da dorate cornici mosse da arabeschi sinuosi. In cima a ognuno, vi sono delle parole: Paura, coraggio, forza, amicizia, dolore, rabbia…
Emozioni.
Ogni specchio è nominato da una diversa emozione. E lui è lì, al centro, attorniato da sentimenti che non ricorda di aver mai provato o vissuto. In effetti, lui non ricorda assolutamente niente. Non sa nemmeno come ci è arrivato lì.
-Dove sono?- mormora la creatura, alzandosi lentamente in piedi. Scopre di essere nudo, coperto di pelle e squame, come bizzarro incrocio d’uomo e bestia. Sono davvero suoi, quegli arti così mal assortiti?
Sbatte le palpebre, ma vede sfuocato. L’occhio sinistro è praticamente cieco, perciò la creatura si tocca la palpebra con dita tremanti di inquietudine. Anche l’altro occhio non sembra in ottime condizioni. Che gli è successo? È nato così? No, forse no: non si comporta come qualcuno abituato a non vedere.
-Scegli bene.- sibila una voce atona e senza tempo, che inizialmente fa sobbalzare la creatura. Si guarda intorno, scava nell’oscurità con occhi tremanti di sforzo, ma non vede niente.
-Chi parla?-
-Scegli bene.-
La creatura indietreggia di un passo, poi torna a guardarsi intorno. Specchi. Ne sono tantissimi, forse troppi. Che significa “scegli bene”? Cosa dovrebbe farci con uno specchio?
-Scegli bene.-
Lentamente, gli occhi della creatura scivolano sulla superficie riflettente più vicina. Legge la parola incisa a lettere argentate sulla sommità dell’arco, e poco a poco capisce: scegli uno specchio. Scegli un’emozione.
Come è più logico che sia, la creatura avanza verso lo specchio più lontano, quello con su scritto la parola “Felicità”. Chi non vorrebbe essere felice, dopotutto?
Stende una mano verso la superficie, cerca di toccarla, ma una voce alle sue spalle lo blocca.
-Non da quella parte.-
Una creatura magrissima e ammantata di nero lo fissa in silenzio, il volto nascosto dal cappuccio e le mani scheletriche, prive di pelle, muscoli e nervi, stese lungo i fianchi. Il drago sbatte le palpebre per mettere a fuoco il nuovo arrivato, convinto che le pallide ossa di quelle mani siano nient’altro che mera illusione. Tuttavia, per quanto si sforzi, le ossa sono ancora lì, così come il loro proprietario.
-Cos è questo posto?- domanda allora il drago, accennando agli specchi per rimarcare il suo sconcerto.
Lentamente, l’incappucciato intreccia le mani in grembo e siede con calma sul nero che sembra sostenerlo a mezz’aria come una sedia invisibile.
-Cosa pensi che sia, figlio mio?-
-Non sono tuo figlio.-
Da sotto il cappuccio, la creatura sembra sorridere di un sorriso raccapricciante che il drago non è ansioso di vedere.
-Oh, sì che lo sei. Lo siete tutti e, nonostante mia sorella agisca diversamente, tra voi io non faccio differenze: innanzi alla Morte siete e sarete sempre tutti uguali.-
Il drago inclina la testa, fissa quasi incantato l’elegante figura incappucciata che quieta continua a fissarlo da sotto il cappuccio.
-Sei la Morte?- domanda, pur conoscendo già la risposta.
-Perché domandi se già sai, figlio mio?- risponde infatti quella. Il drago sente di doverla temere. Sente di dover indietreggiare e quantomeno impedire che lo tocchi. Un semplice sfiorarsi potrebbe ammazzarlo, questo lo capisce dall’oscura aura di potere che emana dalle vesti di seta nera. Già. Dovrebbe avere paura.
Paura.
Ma lui non sente niente, a parte l’inquietante senso di confusione e scombussolamento che gli stringe i nervi in una morsa d’acciaio.
-Non mi hai ancora spiegato che posto è questo.-
La Morte inclina il capo al punto da piegarlo a novanta gradi rispetto al collo. Se fosse umana, probabilmente avrebbe mandato in frantumi le ossa cervicali.
-Non lo riconosci, figlio mio? Non riconosci ciò che rimane del tuo Mind Palace?-
Il drago si guarda intorno spaesato. Mind Palace. Che cos è?
-Non riconosco questo posto.-
Ancora una volta, la Morte pare sorridere da sotto al cappuccio.
-Non è innaturale che qualcosa non vada in te, adesso. Dopotutto, è appena crollata la tua intera struttura nervosa. Non hai saputo controllarla, non hai saputo sostenere il panico di un’invasione indesiderata nella tua testa. Il Mind Palace è un’arma potente e profondamente strutturata, ma non è facile mantenerne il dominio. Basta una distrazione, un istante di panico, e tutto cadrà.-
Il drago si guarda intorno, inquieto. -È successo questo? Sto per morire?-
La Morte non risponde ma anzi, continua a fissarlo in silenzio, come per spingerlo a trarre le sue logiche conclusioni.
-Scegli bene.-
Voltandosi verso gli specchi, il drago rabbrividisce.
Scegli bene. Scegli bene. Come si sceglie un’emozione? È chiaro che chiunque voglia essere felice, conoscere la serenità e la calma. Perché allora la Morte gli ha impedito di varcare la soglia dello specchio che ha davanti? Perché il drago ha la sensazione che l’incappucciata alle sue spalle l’abbia appena… aiutato?
Ma soprattutto: perché ha la sensazione che dalla sua scelta dipenderà la sua stessa sopravvivenza?
 
-Non esiste! Un drago non soffre di collassi nervosi!-
John urla, stringe forte i pugni lungo i fianchi, si guarda intorno alla disperata ricerca di un appoggio, di qualcuno che abbia pietà di lui e del fato del suo compagno.
Sono tutti riuniti lì, come ai vecchi tempi. Irene, Mycroft, Molly, Greg, Mike, Anthea, Noah, Edarion… ci sono tutti. Ma c’è qualcosa di diverso, stavolta: una presenza oscura aleggia tra loro, negli occhi di ognuno, nel corpo di chi già avverte la presenza dell’oscurità permeare i muri della casa.
Mycroft appare posato come al solito, ma John non può impedirsi di notare la sua mano artigliata, stretta convulsamente sul manico già fragile dell’ombrello. I suoi occhi racchiudono l’acciaio più resistente, implacabile e freddo come diamante, ma alle spalle della barriera da essi eretta, qualcosa spinge per uscire: emozioni? Forse. Conoscendo Mycroft, John non saprebbe rispondere con sicurezza.
-John.- chiama allora Edarion, e la sua voce appare barbaramente incrinata, prossima alla rottura, come fragile specchio già coperto di crepe. Ha la morte negli occhi, antica memoria di padre che con le sue stesse mani tentò in passato di ammazzare quello stesso figlio ora moribondo, ora sull’orlo del baratro. –Non possiamo più aiutarlo.-
Una condanna. Poche parole di gelido giudizio, fredde d’un implacabilità che incrina la psiche di John, spingendolo d’un passo più vicino alla follia. Si volta lentamente verso Sherlock, mentre ricordi di un passato doloroso gli affollano la mente.
Lo rivede mentre lo stringe burberamente a sé con l’ala per proteggerlo dalla pioggia e dalla neve.
Lo rivede mentre lo solleva come un burattino, rovesciandolo a mezz’aria, divertito dalle proteste che quel gesto faceva scaturire.
Lo rivede. Rivede Sherlock e la vita che adesso la morte gli sta negando.
Irene chiude gli occhi e volta il capo dall’altra parte mentre Molly scoppia in lacrime e abbraccia Noah, i cui occhi sbarrati sembrano ancora non realizzare appieno le parole di Edarion.
Sherlock. Il suo protettore, suo padre… non tornerà più. L’ha cresciuto, e l’ha visto sviluppare la sua nuova forma un istante prima di collassare. Noah non gli ha mai chiesto cosa pensasse del suo nuovo aspetto. È stato il suo mentore, il suo angelo guardiano. E adesso, quelle stesse ali che tanto spesso lo proteggevano, sono immobili, spezzate, troppo pesanti per levarsi ancora una volta.
Sherlock Holmes non avrebbe volato di nuovo.
-No…-
John indietreggia, raggiunge il letto dove Sherlock giace pallido e abbandonato come marionetta senza più fili a sostenerla. John si china, gli afferra il viso tra le mani, appoggia la fronte sulla sua. Prega Dio d’aver pietà, prega il mondo intero di non lasciare andare quel bellissimo angelo.
Sherlock ha combattuto per la pace, ha piegato il capo innanzi alla pietà anziché alla violenza. È un giusto, uno dei grandi che tanto spesso il suo popolo ha saputo idolatrare. Non si è spezzato davanti a niente: non dinanzi a una guerra, non dinanzi alla potenza devastante di Jim Moriarty, suo acerrimo nemico. Alla fine, il virus è sempre stato nella sua testa, e John non l’ha mai capito.
-Mi dispiace…- singhiozza amaramente, stringendolo tra le braccia. Lo sente freddo, abbandonato, così diverso dall’inarrestabile, maestosa creatura con la quale ha convissuto per tanto tempo. Stringe gli occhi brucianti di lacrime, gli bacia i capelli più e più volte. –Avrei dovuto proteggerti… scusami, Sherlock… perdonami, se puoi.-
-John…-
Un sospiro, un pallido richiamo troppo flebile, troppo diverso dalla voce possente alla quale John è abituato. Quel richiamo non appartiene a Sherlock, eppure sono state le sue labbra esangui a chiamare John Watson.
John si allontana da lui per guardarlo in viso, ma quando s’accorge che qualcosa è cambiato in Sherlock, il cuore gli sprofonda in basso, giù verso gli abissi più reconditi dell’inferno stesso: l’occhio sinistro. Il bellissimo occhio sinistro di Sherlock è… vacuo, slavato, come pallida imitazione della preziosa punta di diamante che mai più tornerà come prima.
D’improvviso, i ricordi delle ultime settimane aggrediscono John, ricordandogli di come Sherlock voltasse spesso la testa a sinistra per guardarsi intorno, o di come pareva non percepire più il senso della profondità. Ricorda la sua ultima caduta, quando Sherlock tardò a raggiungerlo. John aveva pensato a uno scherzo, o a una delle piccole rivincite che Sherlock era solito prendersi su di lui, ma la realtà adesso gli appare lampante come un faro dinanzi a quell’unico occhio irrimediabilmente cieco. In quel frangente, Sherlock non era semplicemente riuscito a raggiungerlo perché non percepiva chiaramente la distanza che li separava.
-Va… vai a no… rd.- mormora Sherlock, i cui occhi adesso paiono ciechi entrambi, perché entrambi fissi su un orizzonte lontano che John non riesce a vedere. –Tro… va… il mi… mio rifl… esso.-
John singhiozza più forte, stringe i pugni sulle squame di Sherlock fino a incidersi profondamente la carne, che adesso sanguina meno del suo cuore spezzato.
Per un attimo, gli occhi di Sherlock si schiariscono, fissandosi sul suo volto come se l’ultima cosa veramente importante, l’ultima cosa che volesse concedersi di guardare, fosse il viso di John. Arriccia un angolo delle labbra in quel suo sorriso familiare, arrogante, che per poco riconduce John alla splendida creatura che ha conosciuto e amato sin dal loro primo incontro.
Poi, improvvisamente, Sherlock spinge lo sguardo oltre la sua spalla, verso la luce dell’alba che poco a poco comincia a filtrare. I caldi fasci solari si riflettono nei suoi occhi, scaldando gentili quelle iridi che poco a poco si fanno più fredde, più lontane, spinte alla deriva da una forza che nemmeno il grande Sherlock Holmes può arrestare.
-Madre…?-
Con questa ultima parola, Sherlock si accascia, gli occhi ancora semiaperti fissi sull’orizzonte lontano, ormai per lui irraggiungibile. Il corpo si rilassa, la testa s’abbandona pesante contro la mano di John che la sostiene strenuamente.
Un urlo lancinante squarcia il silenzio dell’alba nascente, respingendo di dolore quella luce calda che non s’estende al gelo perpetuo ormai aggrappatosi all’anima lacerata di John Watson.
E intanto, da qualche parte, la Morte sorride.
-Scegli bene.-
 
Angolo dell’autrice:
Che finale del cacchio. No, sul serio. Io stessa avrei preso a testate la tastiera quando l’ho scritto. Ma, ehi! Le esigenze di copione si rispettano, no?
Sherlock: VATICAN CAMEOS!!!
Che cazz… SHERLOCK!!! Smettila di lanciare cose dalla finestra! Hai appena colpito la vicina e… è il pc di mia madre quello che hai lanciato di sotto?
Sher: mi sembra ovvio che NO, IL VIOLINO NO!!!
Ora, visto che sto affogando negli impegni fino al collo, mi vedo costretta a passare subito ai ringraziamenti!
Wibbly: sì, Noah è cresciuto bene. E adesso crescerà anche meglio, anche se a modo suo. È arrivato il momento di studiare un po’ meglio questo personaggio, credo. Ahahahahah, David-Noah XD No, Noah è parecchio più muscoloso di David, o in uno scontro tra draghi basterebbe uno sputo per atterrarlo. Esigenze di copione! Dai, resuscita! Spero che questo capitolo ti sia piaciuto! A presto!
Sonia_0911: sono felice che questo capitolo ti sia piaciuto! Spero di aver risposto a qualche tua domanda con questo capitolo, ma sono certa di averne anche create più di prima. A volte io stessa ho problemi a seguire il filo della storia, quindi chiedi a Sherlock cosa sta combinando perché io non lo so. Sono d’accordo con te: se Molly resiste a Noah, allora vi munisco personalmente di manganelli giusto per farla rinsavire. Un bel pestaggio non ha mai fatto male a nessuno. A presto, e grazie per il commento!

Tomi Dark Angel
  
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